Ieri
mattina a Radio 3 ascoltavo il solito dibattito sulla mancata crescita, la
disoccupazione, il lavoro precario e le relative proposte di rimedio a tutti
questi mali. Mi spiace dover esprimere un giudizio tanto assertivo, ma come
solito nell’appassionato dibattito dell’inclita guarnigione non è stata posta in luce una sola delle contraddizioni immanenti
al capitalismo (termine che rarissimamente in simili dibattiti viene evocato).
È del resto triste
dover constatare come la più importante legge dell’economia politica moderna venga
ignorata per motivi ideologici e di bottega; non tanto e non solo perché essa è
stata scoperta da Marx, bensì perché mostra come il capitale per valorizzarsi
incontri sempre maggiori difficoltà nel suo sviluppo accelerato, provocando al
contempo guasti sociali (e ambientali) sempre più gravi ai quali nessuna
politica riformistica può porre stabile rimedio.
Pertanto, vedo di sciorinare la lezioncina sul tema della crisi, avendo cura di guardare al movimento reale nelle sue leggi e non alle ombre proiettate sul fondo della caverna.
Pertanto, vedo di sciorinare la lezioncina sul tema della crisi, avendo cura di guardare al movimento reale nelle sue leggi e non alle ombre proiettate sul fondo della caverna.
*
Se
non si vuole fin dapprincipio menar il can per l’aia, oggetto dell’indagine da
cui bisogna necessariamente partire è il modo di produzione capitalistico,
considerato nelle sue leggi e nel suo processo storico. La fase attuale si
presenta sotto due aspetti tra loro strettamente correlati: da un lato lo
sviluppo accelerato indotto dalle nuove tecnologie, e, dall’altro e
corrispondentemente, il prevalere di una netta tendenza alla caduta del saggio
del profitto (*).
Scopo
del capitale non è quello di produrre “beni” e servizi, ma quello di produrre
valori d’uso di qualsiasi genere (portaerei e navi da crociera sono, da questo
punto di vista, la stessa cosa) da trasformare in valori di scambio, ossia in
merci (**). Tali merci contengono una quota di lavoro non pagato, ossia
pluslavoro, che nello scambio si realizza come plusvalore, ossia quella
parte di valore del prodotto del lavoro che non viene pagata all’operaio.
Per
appropriarsi di quote maggiori di plusvalore e far fronte alla concorrenza, i capitalisti
devono costantemente aumentare la produttività del lavoro. Ciò impone l’aumento
e il miglioramento incessante del livello tecnico degli impianti e del
macchinario. Maggiore è il perfezionamento tecnologico, più il numero di operai
e addetti richiesti per la stessa quantità di produzione è minore. In altri
termini, si eleva la composizione tecnica del capitale.
L’aumento
progressivo della composizione tecnica del capitale provoca, necessariamente,
un mutamento parallelo della sua composizione di valore, e, quindi, nella
composizione organica, vale a dire un aumento progressivo del capitale costante
in rapporto a quello variabile (tema questo trattato più volte in questo blog,
p. es. QUI).
Occorre
tener presente che la composizione organica non è una semplice composizione di
valore (capitale costante/capitale variabile), ma presuppone ed è
sostenuta da una data composizione tecnica, ovvero da un determinato livello di
sviluppo tecnologico. Più in particolare, la
composizione organica del capitale è il rapporto reciproco che si stabilisce
tra composizione di valore e composizione tecnica.
La
composizione di valore riflette le proporzioni in valore delle parti costitutive del capitale (c/v). La
composizione tecnica riflette il rapporto fisico
tra materie prime, mezzi di produzione e lavoro (Mp/L) ed indica il livello
tecnico raggiunto dalla produzione.
Non distinguere tra “composizione in valore” e “composizione tecnica” riducendo la
composizione organica a semplice “composizione
in valore” preclude qualsiasi possibilità sia di cogliere la contraddizione
fra lo sviluppo storico-naturale delle forze produttive (Mp/L) e la forma che
esse assumono nel modo di produzione capitalistico (c/v), sia la vera ragione
per cui l’aumento della composizione organica, provocando la caduta tendenziale
del saggio di profitto, possa e debba risolversi nella crisi dell’accumulazione
capitalistica (**).
Poiché
l’unica fonte di valore, e quindi di plusvalore, è la forza-lavoro, la
diminuzione relativa del capitale variabile implica che si giunga ad un punto
del processo di accumulazione in cui il plusvalore prodotto è divenuto così
piccolo, relativamente al capitale complessivo accumulato, che non è più
sufficiente a valorizzare l’intero capitale, facendogli compiere il necessario
salto di composizione organica.
In
altri termini, è scientificamente dimostrato che non ogni quantità di profitto (plusvalore) può trasformarsi in un
aumento dell’apparato tecnico di produzione: per l’espansione – qualitativa e
quantitativa – della scala della produzione è necessaria infatti una quantità
minima di capitale addizionale, quantità che nel processo di accumulazione
diventa, a causa della crescita
accelerata del capitale costante, sempre maggiore.
L’aumento
della composizione organica del capitale è una tendenza necessaria allo
sviluppo capitalistico e rappresenta la causa delle crisi che si manifesta
palesemente nel fenomeno della sovrapproduzione (e folle finanziarizzazione) che
investe la società capitalistica. Ciò vuol dire che l’accumulazione
capitalistica è un processo gravido di crisi, anche se questo non significa che
il crollo del sistema capitalistico debba sopravvenire “automaticamente”.
Alla
luce di quanto pur sommariamente esposto, non è azzardato stabilire che il modo di produzione capitalistico è
entrato nella sua fase di crisi
generale-storica. Una fase che condurrà in tempi storici brevi a trasformazioni e sconvolgimenti
economici, sociali e politici profondi e inediti, i cui prodromi, in positivo e
in negativo, sono già presenti e visibili.
*
Quanto
precede riguarda il carattere generale della crisi, la contraddizione
fondamentale del capitalismo nella sua inalienabile divaricazione. Per quanto
invece concerne alcuni aspetti peculiari che accompagnano e aggravano la crisi
italiana va tenuto conto: 1) della sua struttura produttiva e della grande
trasformazione che l’ha segnata negli ultimi tre decenni; 2) dello spazio di
mercato e delle quote che sono state assegnate all’Italia nell’ambito della
concorrenza internazionale; 3) della penetrazione del capitale straniero
soprattutto nei settori più avanzati; 4) non ultimo, va tenuto conto del
carattere del tutto anomalo della società italiana nelle sue varie
determinazioni di classe e di potere (legale e criminale). Più che di una
borghesia, come in altri paesi, prevalgono le caste e le cupole, gli apparati e
le mafie. Ciò dà luogo, tra l’altro, a distorsioni, dissipazioni e distrazioni
nell’ambito della spesa pubblica, con ricadute pesanti sul livello del debito, su
quello della tassazione e inibitorie per quanto riguarda le risorse disponibili
per gli investimenti, ma anche ricadute esiziali sulla fiducia dei mercati. Insomma
tutte cose molto note e sulle quali qui non è il caso di piangerci sopra ancora
una volta.
(*)
La categoria del saggio di profitto svolge un ruolo fondamentale nell’economia
politica, in quanto il suo movimento è alla base della crisi del modo di
produzione capitalistico. Infatti,
la tendenza storica dell’accumulazione capitalistica consiste, come evidenziato
dappresso nel post, in un aumento della composizione organica del capitale e,
di conseguenza, in una caduta del saggio del profitto.
Le
leggi del movimento del saggio di profitto non coincidono con quelle del saggio
del plusvalore, da cui peraltro il saggio del profitto si distingue fin
dall’inizio anche quantitativamente. Il saggio di profitto può scendere, anche
se il plusvalore reale sale. Il saggio di profitto può salire, anche se il
plusvalore reale scende.
Questa
legge è “sotto ogni aspetto la legge più importante della moderna
economia politica […] È la legge più importante dal punto di
vista storico”.
(**)
Come ebbe ad osservare un mio caustico amico, la merce è stata la migliore
delle cose nel peggiore dei mondi, quello che essa ha prodotto.
Cito: "Una fase che condurrà in tempi storici brevi a trasformazioni e sconvolgimenti economici, sociali e politici profondi e inediti".
RispondiEliminaLei che intende per "tempi storici brevi?"
Saluti
ci penso e poi te lo dico, ma non essere ansioso
Eliminala merce è stata la migliore delle cose nel peggiore dei mondi, quello che essa ha prodotto.
RispondiEliminacioe' siamo tutti "drogati di merce" , il che rende piuttosto infausta la nostra prognosi
ws
Grazie.
RispondiEliminaa te
EliminaCiao, sempre un piacere leggerti.
RispondiEliminaTi segnalo, se non l'hai già visto, questo
http://sollevazione.blogspot.it/2016/10/immigrazione-e-neoliberismo-di.html
una discreta analisi di una delle attuali contromosse del sistema economico per prolungare la sua soppravvivenza, e, con essa, il tormento di gran parte dell'umanità e del pianeta.
g.
grazie della segnalazione. ciao
Eliminacom'era prevedibile l'Italia ha attraversato il tempo della borghesia senza nemmeno una riforma. Le cose sono nelle mani delle stesse famiglie di sempre. Con fatica si è descritto il mondo esterno adattando tutto il resto alla loro rendita.
RispondiEliminaMa adesso, dopo gli inglesi, tutti capiscono che l'Italia è il modello perfetto della crisi. Crisi che inizialemnte si sperava fosse neoliberale e invece era "generale e storica". E cosa c'è di più generale e storico dell'Italia? La tendenza del capitalismo che investe nell'automazione e risparmia sul lavoro non poteva non portare alla centralità dell'Italia nel disastro dell'Europa. Perché è il paese più ricco dove tutto va da sé e dove si lavora sempre meno e sempre peggio... L'Europa dovrebbe seguire il Regno Unito, non l'Italia che è già, di fatto, fuori.
concordo, tranne che nei due ultimi punti
Eliminapatriota?
Eliminastando ai dati i salariati italiani quanto a ore di lavoro non sono secondi a nessuno in europa
Eliminaquanto all'europa ci siamo dentro fino al collo
conta la popolazione attiva.
EliminaSe bce toglie il QE di europeo in Italia rimangono solo le radici cristiane.
no, conta il lavoro produttivo
Eliminaappunto
forse diciamo la stessa cosa... Il lavoro produttivo lo fa la popolazione attiva che, in %, è quella più bassa d'Europa. Il fatto che gli occupati (20 milioni in meno che la Germania se non ricordo male) lavorino molte ore fa parte dello sfruttamento intensivo. Naturalmente non vuol dire che lavorino bene, anzi. ma l'anomalia dell'Italia in europa è più che altro nella popolazione inattiva, la sua quantità e la sua composizione.
Eliminanon vuol dire che lavorino bene, anzi.
Eliminanegli anni 60 si pensava che il modello del triangolo industriale (efficienza, velocità di adeguamento) avrebbe fatto strada anche al meridione e a Roma, invece è successo esattamente il contrario. anche questa è dialettica storica
sì non c'ero ma basta leggere Donnarumma all'assalto di ottieri per un verso; e Vogliamo tutto di balestrini per l'altro (sono colto o no?)
Eliminail triangolo è stato spolpato ma non da sud. Se oggi si lavora male e peggio non è per nulla calato lo sfruttamento necessario a mantenere i vizi di questa classe proprietaria. Sfruttamento per molti versi più esteso di allora. L'Italia rimane il paese dove meno e peggio si lavora e dove più e meglio si sfrutta.
Dal mio punto di vista, in queste condizioni, essere la seconda manifattura d'Europa è solo una vergogna.
Grazie per l'appunto (ti posso pagare in voucher?)
RispondiElimina[...] Pertanto, vedo di sciorinare la lezioncina sul tema della crisi, avendo cura di guardare al movimento reale nelle sue leggi e non alle ombre proiettate sul fondo della caverna [...]
Presupporre la capacità di leggere in modo obbiettivo il proiettato, oggi fantasmagoricaménte tragico, mi sembra un traguardo non facile, per la capacità di risalire alla prospettata realtà economica ci vuole soprattutto la voglia e la testa. Il sempre attivo 'sforzo' didattico e didascalico di tradurre i contenuti tecnici in discorsivi risponde al giuramento di cattedra che è un pò meno cogente di quello d'Ippocrate :-)
Anche qualche altro sul web tiene vivo l'Istituto della Ragione e della Razionalità - fino a quando ciò sarà consentito -
Spunti di costume.
Spesse volte l'ascolto di alcune trasmissioni nella sfera sociopolitica di radio3 è reso molto faticoso dalle usuali balle infantili e/o dai modesti slogans propinati a cura dei molti mattinieri giornalisti occasionali (cosa curiosa resta il fatto che qualcuno si scusi delle papere dovute all'insolita sveglia, magari alle 6.30, per essere puntuali 'on air' - intellettuali della carta stampata alla vanga!)(*), che è altro rispetto ad una faziosità almeno consapevole; anche la cosiddetta destra i meglio preparati e meno duttili li ha cassati dall'elenco.
'non è il caso di piangerci sopra ancora una volta.'
Il problema non è quando ti fanno perdere la pazienza, ma quando perdi la voglia. La rabbia è sostituita da accidia o dal più più banale menefreghismo.
(*) Sono lontano dal pretendere gli intervalli dell'insonnia geriatrica o della turnistica operaia.
non è quando ti fanno perdere la pazienza, ma quando perdi la voglia
Eliminavero
il meccanismo dell'accumulazione è inceppato: una delle tante ricadute sovrastrutturali sembra l' aumento esponenziale dell'accumulazione di demenza pro capite
RispondiEliminaDirei schizofrenia
Eliminacara Olympe,
RispondiEliminasui dettami del "sistema",mi sono incaponito, tanto da riprendere in mano vecchissimi testi di termodinamica (meglio termologia), ovvero il calcolo
delle kg calorie consumate da un singolo individuo, rispetto al lavoro di una macchina di Newcomen e di Watt e via discorrendo.(tanto per inquadrare storicamente il problema)
Ti dirò che mi ci sono perso, ma almeno ho riscoperto che diavolo significasse il "testacroce" di un meccanismo biella -manovella. Ho deciso quindi di auto costruirmi una macchina a vapore con una vecchia pentola a pressione in grado di alimentare una turbinetta, fatta in casa con vecchi lamierini, in grado di far girare un modesto alternatore ,tanto da produrmi i 3 kwatte per alimentare un televisore con cui ascoltare gli economisti e gli opinionisti che si agitano nel clima della crisi.
Mi manca solo il costo del Gas, che serve ad alimentare la pentola a "pressione" ai fini della produzione di vapor-surriscaldato.
Quindi ho deciso di accendere un caminetto a legna al fine di tenermi caldo per rileggere ancora una volta il vecchio farlocco di Treviri,alla faccia di tutti gli economisti ..diciamo dai marginalisti in poi.
caino
Il gas risparmiato puoi immaginare a chi ho deciso di dedicarlo ...