Scriveva
ieri l’altro il New York Times:
«Il Census Bureau ha riferito ieri che il
tasso di povertà in America si è mantenuto stabile tra il 2011 e il 2012, a
circa il 15 per cento. Secondo la stima ufficiale, la povertà oggi è più alta di quanto non fosse nel 1973, quando ha raggiunto il minimo storico del 11,1
per cento».
E tuttavia il NYT non ci sta, dice che questi dati ufficiali dell’ufficio statistico governativo non tengono conto, nel calcolare i redditi dei cittadini poveri, degli aiuti che questi cittadini ricevono dal governo.
E tuttavia il NYT non ci sta, dice che questi dati ufficiali dell’ufficio statistico governativo non tengono conto, nel calcolare i redditi dei cittadini poveri, degli aiuti che questi cittadini ricevono dal governo.
Bel
modo di ragionare questo: è come se in Italia, per fare un paragone, si scrivesse
che i poveri non sono poi tanto poveri poiché diversi di loro hanno accesso
alle mense di carità e ad altri tipi di assistenza. Le persone povere che hanno
la “fortuna” di ricevere degli aiuti, non
per questo cessano di essere povere. Ma questo concetto non può entrare
facilmente nella zucca di persone ricche o benestanti che vivono in un certo
ambiente sociale e culturale.
Tuttavia, ammette il NYT, se questi programmi aiutano i poveri, la povertà rimane elevata perché la disparità di redditi è fortemente aumentata dal 1970. Anche in tal caso l’errore è di confrontare la povertà odierna con quella del passato, come se il mondo fosse rimasto alle condizioni di sviluppo di allora. Ma di questo aspetto dirò dopo.
Ciò
che inoltre l’autore – Sheldon H. Danziger presidente della Russell Sage Foundation e co-editore di Legacies of the War on Poverty – dell’articolo
del NYT tace, è il livello eccezionalmente alto negli Stati
Uniti del tasso di povertà infantile, il 21,8% nel dato ufficiale del 2012, un
tasso che è di gran lunga superiore al tasso medio di povertà infantile nei
paesi ad alto reddito. Tace inoltre che la riforma del welfare ha ridotto la
percentuale a meno del 33% delle famiglie povere con bambini ammesse a ricevere
un aiuto, e ha ridotto tale assistenza in tutti gli Stati a meno della metà di
coloro che si trovano a livello della soglia di povertà.
* * *
L'US Census Bureau – che non è un organismo di sovversione interna agli Usa – ha pubblicato, il 17 settembre, il suo consueto rapporto sullo stato di povertà. Nel 2012, il reddito reale medio familiare e il tasso di povertà non sono stati statisticamente differenti rispetto all'anno precedente, mentre la percentuale di persone senza copertura assicurativa sanitaria è diminuita. Ciò che non dice il rapporto, ma lo dice il NYT, è che mentre l'economia è cresciuta del 2,8 e i profitti sono aumentati in percentuale, i redditi sono rimasti sostanzialmente fermi.
Vediamole in dettaglio i dati per capire perché
essi non “meritano” tanto risalto presso certa stampa internazionale.
Il
reddito familiare medio degli Stati Uniti nel 2012 è stato di $ 51.017, non
statisticamente differente in termini reali da quello di $ 51.100 del 2011. È
dunque calato solo un po’ a seguito di due flessioni annuali consecutive, e
tuttavia si tratta di un reddito medio tra i più alti al mondo. Ma come insegna
Trilussa la statistica può nascondere amare verità: multimilionari alla Dick
Fuld e un tasso di povertà ufficiale della nazione che nel 2012 ha toccato la
percentuale del 15,0 per cento (stime ufficiali!), che
rappresenta 46,5 milioni di persone che vivono o al di sotto della soglia di
povertà (quindi grazie ai sussidi alimentari governativi). Come dire: un
americano su sei, ma in certe zone della nazione si arriva a un cittadino su tre
e anche di più. Di questi, 20,4 milioni di persone vivono con un reddito
inferiore al 50 per cento della soglia ufficiale di povertà, 7,1 milioni di
questi sono bambini o adolescenti.
Nonostante
la propaganda obamiana sulla ripresa e altre chiacchiere di questo genere,
questo dato ha segnato il secondo anno consecutivo che né il tasso di povertà
ufficiale né il numero delle persone in povertà ha subito significative modificazioni
rispetto alle stime dell'anno precedente.
Anche
le famiglie, nel loro complesso, non se la passano benissimo e non vi è stato
alcun miglioramento rispetto al 2011, quelle povere sono l’11,8 per cento. La
differenza tra questo dato e la percentuale totale dei poveri (15,0), indica
che la povertà colpisce significativamente di più le persone anziane e quelle
che vivono sole (il numero di persone di 65 anni che vive in povertà è
aumentato da 3.6 a 3.9 milioni tra il 2011 e il 2012). Tra l’altro, a vivere in
povertà sono il 30,9 per cento delle famiglie con un capofamiglia femminile (il
tasso dei divorzi e abbandoni è altissimo) e il 16,4 per cento delle famiglie
con un capofamiglia maschio.
Un
confronto tra il reddito reale delle famiglie nel corso degli ultimi cinque
anni mostra un calo 8,3 per cento dal 2007 (in certi paesi d’Europa è stato
anche peggio, sappiamo). Nel 2012, le famiglie con i più alti redditi medi sono
quelle delle zone occidentali (dove il tasso di povertà è diminuito) e del nord-est,
seguito dal Midwest e del sud (con differenze medie attorno l’8%, e dove il
tasso di povertà è aumentato da 18,4 milioni nel 2011 a 19,1 milioni nel 2012).
Nel
2012 la media ponderata che indica la soglia di povertà per una famiglia di
quattro persone è stata di $ 23.492. Più del 31 per cento della popolazione ha
conosciuto almeno per un certo periodo una situazione di povertà durante gli
anni 2009-2011. Come ho posto in rilievo nel post di ieri, il limite minimo di
sussistenza può essere dato da una ciotola di farina oppure da caviale e
champagne, poiché ciò non dipende esclusivamente dai meri bisogni fisici, ma
anche dai bisogni sociali storicamente sviluppati, che diventano una seconda
natura, ossia dal grado dello sviluppo sociale raggiunto.
Questo
punto va precisato ancora: il continuo peggioramento dei salari sia relativi
che reali nei paesi industriali di più antica tradizione, testimonia
l’irriducibile antagonismo tra lavoratori e capitalisti e conferma la tendenza
al peggioramento delle condizioni di esistenza delle classi salariate
relativamente a quelle della borghesia (e non rispetto alle classi subalterne
di altri periodi storici, come vorrebbero far crede coloro che, dalla
constatazione che la quantità di merci che gli schiavi odierni possono disporre
è notevolmente aumentata rispetto al passato, deducendo tra le altre cose il
presunto fallimento della teoria della “pauperizzazione”).
Martedì
scorso, un giorno prima della pubblicazione del Census Bureau rapporto, Forbes magazine ha pubblicato la sua
lista annuale dei 400 americani più ricchi. Il patrimonio complessivo di questi
400 individui della moderna plutocrazia è aumentato sensibilmente (oltre il 17%
!!) rispetto all'anno precedente – da 1700
miliardi di dollari a 2200 miliardi. Il dato sconcertante è che tale ricchezza
è superiore alla ricchezza del 50% degli
americani – quasi 150 milioni di persone
– e pari al 12 per cento del Pil degli Stati Uniti e a due terzi delle
entrate fiscali previste nel 2013. Di questo il NYT nel suo articolo citato non
dà notizia.
Vediamo altri dati del rapporto. Il
confronto dei salari reali medi tra uomini e donne nel 2012, mostra che il
reddito medio delle donne che hanno lavorato a tempo pieno, per tutto l'anno
(37.791 $) è stata del 77 per cento di quella per gli uomini che lavorano a
tempo pieno, per tutto l'anno (49.398 $). Dunque anche negli Usa la parità
salariale uomo/donna è ben lontana da essere una realtà.
La
percentuale di persone senza copertura assicurativa sanitaria – la famosa e
strombazzata riforma vanto (?) di Obama – è scesa al 15,4 per cento nel 2012 dal
15,7 per cento nel 2011, e tuttavia le persone senza copertura sanitaria nel
2012 restano 48,0 milioni. Ma ciò che non è mai sottolineato
abbastanza, è il fatto che negli Usa perdere il lavoro da un giorno all’altro
(purtroppo anche da noi ci stiamo
adeguando al modello americano), e quindi molto spesso l’assicurazione
sanitaria per sé e la propria famiglia, è un fatto normalissimo e che può
capitare a chiunque. Non male per la più grande democrazia del mondo, la quale
però se non altro può darci lezioni per quanto riguarda la pubblicazione in
rete di questo tipo di dati statistici e su come la propria burocrazia funzioni
decisamente molto meglio della nostra (non ci vuole molto, per la verità).
* * *
Infine,
va sottolineato che ciò che i rapporti statistici non dicono e ciò che gli
articoli della stampa evitando di chiarire, è il motivo profondo dello stato di
povertà, di difficoltà economica e di malessere e disgregazione sociale che si diffonde sempre
più.
RispondiEliminaE per l'EU una conferma puntuale dell'analisi di marx degli effetti della caduta del saggio di profitto sull'occupazione:
Se l’export cresce a spese del mercato del lavoro
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/09/19/se-lexport-cresce-a-spese-del-mercato-del-lavoro/716341/
g.