giovedì 19 settembre 2013

Solo dei numeri


Scriveva ieri l’altro il New York Times:

«Il Census Bureau ha riferito ieri che il tasso di povertà in America si è mantenuto stabile tra il 2011 e il 2012, a circa il 15 per cento. Secondo la stima ufficiale, la povertà oggi è più alta di quanto non fosse nel 1973, quando ha raggiunto il minimo storico del 11,1 per cento».

E tuttavia il NYT non ci sta, dice che questi dati ufficiali dell’ufficio statistico governativo non tengono conto, nel calcolare i redditi dei cittadini poveri, degli aiuti che questi cittadini ricevono dal governo.

Bel modo di ragionare questo: è come se in Italia, per fare un paragone, si scrivesse che i poveri non sono poi tanto poveri poiché diversi di loro hanno accesso alle mense di carità e ad altri tipi di assistenza. Le persone povere che hanno la “fortuna” di ricevere degli aiuti, non per questo cessano di essere povere. Ma questo concetto non può entrare facilmente nella zucca di persone ricche o benestanti che vivono in un certo ambiente sociale e culturale.




Tuttavia, ammette il NYT, se questi programmi aiutano i poveri, la povertà rimane elevata perché la disparità di redditi è fortemente aumentata dal 1970. Anche in tal caso l’errore è di confrontare la povertà odierna con quella del passato, come se il mondo fosse rimasto alle condizioni di sviluppo di allora. Ma di questo aspetto dirò dopo.

Ciò che inoltre l’autore – Sheldon H. Danziger presidente della Russell Sage Foundation e co-editore di Legacies of the War on Poverty – dell’articolo del NYT tace, è il  livello eccezionalmente alto negli Stati Uniti del tasso di povertà infantile, il 21,8% nel dato ufficiale del 2012, un tasso che è di gran lunga superiore al tasso medio di povertà infantile nei paesi ad alto reddito. Tace inoltre che la riforma del welfare ha ridotto la percentuale a meno del 33% delle famiglie povere con bambini ammesse a ricevere un aiuto, e ha ridotto tale assistenza in tutti gli Stati a meno della metà di coloro che si trovano a livello della soglia di povertà.

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L'US Census Bureau – che non è un organismo di sovversione interna agli Usa – ha pubblicato, il 17 settembre, il suo consueto rapporto sullo stato di povertà. Nel 2012, il reddito reale medio familiare e il tasso di povertà non sono stati statisticamente differenti rispetto all'anno precedente, mentre la percentuale di persone senza copertura assicurativa sanitaria è diminuita. Ciò che non dice il rapporto, ma lo dice il NYT, è che mentre l'economia è cresciuta del 2,8 e i profitti sono aumentati in percentuale, i redditi sono rimasti sostanzialmente fermi.

Vediamole in dettaglio i dati per capire perché essi non “meritano” tanto risalto presso certa stampa internazionale.

Il reddito familiare medio degli Stati Uniti nel 2012 è stato di $ 51.017, non statisticamente differente in termini reali da quello di $ 51.100 del 2011. È dunque calato solo un po’ a seguito di due flessioni annuali consecutive, e tuttavia si tratta di un reddito medio tra i più alti al mondo. Ma come insegna Trilussa la statistica può nascondere amare verità: multimilionari alla Dick Fuld e un tasso di povertà ufficiale della nazione che nel 2012 ha toccato la percentuale del 15,0 per cento (stime ufficiali!), che rappresenta 46,5 milioni di persone che vivono o al di sotto della soglia di povertà (quindi grazie ai sussidi alimentari governativi). Come dire: un americano su sei, ma in certe zone della nazione si arriva a un cittadino su tre e anche di più. Di questi, 20,4 milioni di persone vivono con un reddito inferiore al 50 per cento della soglia ufficiale di povertà, 7,1 milioni di questi sono bambini o adolescenti.

Nonostante la propaganda obamiana sulla ripresa e altre chiacchiere di questo genere, questo dato ha segnato il secondo anno consecutivo che né il tasso di povertà ufficiale né il numero delle persone in povertà ha subito significative modificazioni rispetto alle stime dell'anno precedente.

Anche le famiglie, nel loro complesso, non se la passano benissimo e non vi è stato alcun miglioramento rispetto al 2011, quelle povere sono l’11,8 per cento. La differenza tra questo dato e la percentuale totale dei poveri (15,0), indica che la povertà colpisce significativamente di più le persone anziane e quelle che vivono sole (il numero di persone di 65 anni che vive in povertà è aumentato da 3.6 a 3.9 milioni tra il 2011 e il 2012). Tra l’altro, a vivere in povertà sono il 30,9 per cento delle famiglie con un capofamiglia femminile (il tasso dei divorzi e abbandoni è altissimo) e il 16,4 per cento delle famiglie con un capofamiglia maschio.

Un confronto tra il reddito reale delle famiglie nel corso degli ultimi cinque anni mostra un calo 8,3 per cento dal 2007 (in certi paesi d’Europa è stato anche peggio, sappiamo). Nel 2012, le famiglie con i più alti redditi medi sono quelle delle zone occidentali (dove il tasso di povertà è diminuito) e del nord-est, seguito dal Midwest e del sud (con differenze medie attorno l’8%, e dove il tasso di povertà è aumentato da 18,4 milioni nel 2011 a 19,1 milioni nel 2012).

Nel 2012 la media ponderata che indica la soglia di povertà per una famiglia di quattro persone è stata di $ 23.492. Più del 31 per cento della popolazione ha conosciuto almeno per un certo periodo una situazione di povertà durante gli anni 2009-2011. Come ho posto in rilievo nel post di ieri, il limite minimo di sussistenza può essere dato da una ciotola di farina oppure da caviale e champagne, poiché ciò non dipende esclusivamente dai meri bisogni fisici, ma anche dai bisogni sociali storicamente sviluppati, che diventano una seconda natura, ossia dal grado dello sviluppo sociale raggiunto.

Questo punto va precisato ancora: il continuo peggioramento dei salari sia relativi che reali nei paesi industriali di più antica tradizione, testimonia l’irriducibile antagonismo tra lavoratori e capitalisti e conferma la tendenza al peggioramento delle condizioni di esistenza delle classi salariate relativamente a quelle della borghesia (e non rispetto alle classi subalterne di altri periodi storici, come vorrebbero far crede coloro che, dalla constatazione che la quantità di merci che gli schiavi odierni possono disporre è notevolmente aumentata rispetto al passato, deducendo tra le altre cose il presunto fallimento della teoria della “pauperizzazione”).

Martedì scorso, un giorno prima della pubblicazione del Census Bureau rapporto, Forbes magazine ha pubblicato la sua lista annuale dei 400 americani più ricchi. Il patrimonio complessivo di questi 400 individui della moderna plutocrazia è aumentato sensibilmente (oltre il 17% !!) rispetto all'anno precedente  – da 1700 miliardi di dollari a 2200 miliardi. Il dato sconcertante è che tale ricchezza è  superiore alla ricchezza del 50% degli americani – quasi 150 milioni di persone  – e pari al 12 per cento del Pil degli Stati Uniti e a due terzi delle entrate fiscali previste nel 2013. Di questo il NYT nel suo articolo citato non dà notizia.

Vediamo altri dati del rapporto. Il confronto dei salari reali medi tra uomini e donne nel 2012, mostra che il reddito medio delle donne che hanno lavorato a tempo pieno, per tutto l'anno (37.791 $) è stata del 77 per cento di quella per gli uomini che lavorano a tempo pieno, per tutto l'anno (49.398 $). Dunque anche negli Usa la parità salariale uomo/donna è ben lontana da essere una realtà.

La percentuale di persone senza copertura assicurativa sanitaria – la famosa e strombazzata riforma vanto (?) di Obama – è scesa al 15,4 per cento nel 2012 dal 15,7 per cento nel 2011, e tuttavia le persone senza copertura sanitaria nel 2012 restano 48,0 milioni. Ma ciò che non è mai sottolineato abbastanza, è il fatto che negli Usa perdere il lavoro da un giorno all’altro (purtroppo anche da  noi ci stiamo adeguando al modello americano), e quindi molto spesso l’assicurazione sanitaria per sé e la propria famiglia, è un fatto normalissimo e che può capitare a chiunque. Non male per la più grande democrazia del mondo, la quale però se non altro può darci lezioni per quanto riguarda la pubblicazione in rete di questo tipo di dati statistici e su come la propria burocrazia funzioni decisamente molto meglio della nostra (non ci vuole molto, per la verità).

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Infine, va sottolineato che ciò che i rapporti statistici non dicono e ciò che gli articoli della stampa evitando di chiarire, è il motivo profondo dello stato di povertà, di difficoltà economica e di malessere e disgregazione sociale che si diffonde sempre più.

1 commento:


  1. E per l'EU una conferma puntuale dell'analisi di marx degli effetti della caduta del saggio di profitto sull'occupazione:

    Se l’export cresce a spese del mercato del lavoro
    http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/09/19/se-lexport-cresce-a-spese-del-mercato-del-lavoro/716341/
    g.

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