lunedì 4 aprile 2011

A chi serve Liu Xiaobo



I regimi capitalistici hanno tutto l’interesse a sostenere l’impostura delle burocrazie totalitarie come negazione delle democrazie cosiddette liberali. Ecco dunque oggi nella trasmissione condotta da Corrado Augias, Le storie, un filmato dove lo speaker declama i fatti cinesi del 1989 come il “volto più feroce del comunismo”. Si tratta delle stesse persone che s’indignano e si burlano di Berlusconi quando definisce “comunista” il Partito democratico. È evidente, se si ha un po’ di rispetto per la realtà storica [*], che anche nel caso delle burocrazie totalitarie il “comunismo” non ha altra funzione se non come giustificazione ideologica qualsiasi, poiché tali regimi sono esattamente il mondo capovolto della comunità proletaria. Insomma, non bastano le bandiere rosse e la statalizzazione della realtà economica e sociale per parlare di comunismo, tanto più che i fatti attuali  e recenti dimostrano come la privatizzazione più selvaggia trova i più grandi vantaggi nel totalitarismo cinese.

Questi sistemi burocratici non possono tollerare il dissenso, anzitutto al vertice dello Stato, altrimenti la legittimità del sistema va a farsi fottere. Quindi la repressione può discendere verso i gradi e i livelli man mano più bassi dell’apparato e sfociare nel terrorismo sulla massa degli sfruttati, coadiuvato dalla più nauseante propaganda. Anche all’epoca della cosiddetta “rivoluzione culturale”, quando in realtà si trattava “fin dall’inizio di una lotta per il potere”, come ammise la stampa cinese coeva. In altri termini era in atto un'aspra battaglia condotta all’interno della classe dominante cinese. Morto Mao, la fazione di classe antimaoista, quella che aveva capito che non si poteva continuare a governare come prima, prende il sopravvento e con una certa gradualità impone la propria svolta.

Tale rilievo dei fatti non dà quindi il diritto alle vestali della democrazia e della libertà di parlare per questi regimi di comunismo, di intorbidire cioè la storia con speculazioni che mirano ad ignorare le specificità e il ruolo della classe dominante in Cina. Pertanto, anche quando si parla del “dissenso” e della persecuzione di noti intellettuali “dissidenti”, si deve tener a mente che lo scontro non riguarda la “democrazia” o la “libertà”, aspetti in gran parte ideologici e propagandistici che servono alle varie fazioni della borghesia cinese per nobilitare la lotta per il potere.  Non è casuale del resto che tali dissensi trovino, finora, scarsissimo seguito e consenso nella massa di contadini e operai. Questo almeno fino a quando i motivi del dissenso non troveranno tra i lavoratori supersfruttati le condizioni idonee per una larga e decisa protesta sociale alla cui guida, c’è da scommetterci, saranno posti quei leader che la borghesia cinese al potere chiama ora “controrivoluzionari”. È un gioco che in Cina, e altrove, dura da millenni e che alla fine premia l’élite che conquistando il controllo dell’economia diventa padrona anche dell’ideologia.

[*] “In Cina i bambini sono stati cotti per essere usati come fertilizzanti”, ebbe a dire un politico italiano che incarna tutti gli equivoci e tutte le incompetenze, un trust di tutte le vanità e di tutte le debolezze, l'espressione più autentica della classe dirigente nazionale degli ultimi 150 anni.

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