Un caldo così lo sognavo da anni. Voi no?
Donald Trump, quarantotto ore dopo che i suoi B-2 avevano bombardato i siti nucleari iraniani, ha annunciato che la guerra tra lo Stato sionista d’Israele e lo Stato islamico dell’Iran era finita. Un po’ come se, nel settembre 1939, Stalin avesse annunciato che la guerra tra la Germania e la Polonia si era conclusa.
Eppure sappiamo che quei dodici giorni di bombardamenti e di lancio di missili non hanno risolto nulla e sono stati solo un altro episodio del conflitto che contrappone Iran e Israele dal 1979. La guerra tra sionisti e sciiti continuerà in altre forme.
Nonostante il cessate il fuoco, permane un senso di guerra permanente, le cui munizioni sono le parole. Il vocabolario, le espressioni e le dichiarazioni sui social media si distinguono per la loro palese violenza. Un bombardamento quotidiano di insulti e minacce appena velate contro chi non è dalla nostra parte. Verrebbe da porsi la domanda: è la violenza delle parole la causa della guerra o è la guerra che la genera?
Come possiamo partecipare ai dibattiti che scuotono il mondo senza che ciò contribuisca a questa aggressività generalizzata? Purtroppo molte persone eccitate, che cercano una causa alla quale immolarsi solo simbolicamente, non capiscono o non accettano altro modo che quello, e pensano che la brutalità delle loro parole faccia parte della tradizione di una libertà di espressione illimitata. Questo ragionamento errato e stupido illustra il fatto che oggi la libertà di espressione è divisa tra estremismi desiderosi di poter dire qualsiasi cosa e minacciare chiunque in nome delle proprie convinzioni, che ovviamente ritengono superiori a tutte le altre.
Come se agli abitanti di Gaza o di Sumy importasse qualcosa delle bandierine esposte nei nostri profili social o stese alle finestre o sui frontoni dei nostri municipi.
Dopo l’attacco a Pearl Harbor, Churchill rivolse queste parole all’ambasciatore giapponese: “Quando devi uccidere qualcuno, non costa nulla essere educati”. I giapponesi mancarono di creanza. Anche nelle ore tragiche della storia, è essenziale mantenere un certo grado di savoir-faire e di humor (che non va confuso col sarcasmo), ultime vestigia di civiltà.
Mi chiedo a proposito di Trump (ma l’elenco degli “unti” sarebbe birichino): è la povertà del suo vocabolario che lo costringe a usare parole semplici e, di conseguenza, a esprimere idee semplicistiche e oltraggiosamente demagogiche? Certo, la sua spavalderia deve procuragli un delizioso brivido e possiamo ravvisare anche un gusto infantile nel giocare con i fiammiferi mentre cosparge di benzina i suoi elettori.
Nelle dichiarazioni ufficiali e sui social media, possiamo solo osservare un impoverimento delle parole e quindi del pensiero. Insulti e minacce isteriche sono diventati la norma e preannunciano un’era imminente in cui manganelli e bombe sostituiranno il vocabolario in uso un tempo, e anche il dizionario, al quale non si bada quasi più.
Citando un cantautore bolognese: "ma la cosa eccezionale, dammi retta, è essere normale"
RispondiEliminaPietro
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