giovedì 16 maggio 2024

La minaccia cinese: mito e realtà

 

C’è chi vede il “pericolo giallo” annidarsi dappertutto, specie quando si tratta di auto elettriche. È realmente così? Prendiamo l’esempio offertaci dal più grande mercato automobilistico europeo, ossia la Germania. Secondo quanto riportato dal quotidiano Handelsblatt, nel mese di marzo il produttore cinese BYD ha venduto 160 veicoli. Con le 139 vendute a gennaio e le 94 vendute a febbraio, BYD ha “invaso” il mercato tedesco con un totale di 393 veicoli elettrici nel primo trimestre 2024! In percentuale del mercato automobilistico complessivo in Germania, questo dato è leggermente superiore allo 0%. I piazzali del porto di Bremerhaven sono pieni da settimane di auto BYD invendute.

In realtà, le vendite di veicoli elettrici cinesi stanno subendo la stessa sorte delle case automobilistiche europee. Se BYD piange, i produttori tedeschi di veicoli elettrici non ridono. Con 31.384 unità vendute a marzo, le vendite di veicoli elettrici in Germania sono crollate del 28,9% su base annua. La fine dei sussidi statali sui prezzi (a proposito di “aiuti” di Stato), la mancanza di infrastrutture di ricarica e la dura verità: sempre meno persone vogliono o possono permettersi di acquistarli.

Ma c’è un’altra notizia: la città di Oranienburg, nel Brandeburgo, ha posto il veto alla costruzione di nuovi punti di ricarica per veicoli elettrici, pompe di calore e aree industriali, perché la rete ad alta tensione non ha capacità sufficiente per questo. La transizione energetica fatta con i piedi.

Veniamo alla mitica sovracapacità produttiva cinese grazie agli aiuti di Stato. Andiamo a un altro esempio e a un altro marchio automobilistico cinese: Leapmotor. Attraverso una joint venture con Stellantis, Leapmotor venderà due modelli in Europa a partire da settembre 2024. Leapmotor è stata fondata a Hangzhou nel 2015 e produce auto elettriche dal 2019. L’anno scorso Leapmotor ha venduto 144.155 veicoli. In Europa? No, complessivamente nel mondo e dunque principalmente in Cina.

I tedeschi nicchiano a proposito di dazi da applicare alle auto elettriche cinesi. Ne hanno motivo, le auto “cinesi” UE più vendute (gennaio-febbraio 2024) sono: Tesla Modello 3: 14.300; Dacia Primavera: 6.155; Volvo EX30: 5.980; Polestar 2: 2.418; BMW iX3: 2.195, Smart 1: 1.833; Lynk & Co 01: 1.240, eccetera.

E per quanto riguarda il più grande mercato mondiale dell’auto, ossia gli Stati Uniti? Leggiamo cosa dice il New York Times: «Gli Stati Uniti importano solo poche marche – elettriche o benzina – dalla Cina. Una è la Polestar 2, un veicolo elettrico prodotto in Cina da una casa automobilistica svedese di cui la società cinese Zhejiang Geely ha una partecipazione di controllo. Nel primo trimestre di quest’anno, Polestar ha venduto solo 2.200 veicoli negli Stati Uniti. Entro la fine dell’anno, tuttavia, è previsto l’avvio della produzione di un nuovo modello, la Polestar 3, in uno stabilimento della Carolina del Sud gestito da Volvo Cars, di proprietà di Geely». Mamma i musi gialli.

Poche migliaia di auto. Sempre il NYT: «Volvo vende negli Stati Uniti una berlina ibrida plug-in di fabbricazione cinese, la S90 Recharge, e prevede di iniziare quest’anno a importare un nuovo piccolo SUV, l’EX30, dalla Cina negli Stati Uniti». Anche in tal caso si tratta di poche migliaia di auto, poco più dello 0% di quelle prodotte e vendute negli Usa.


Leggiamolo sempre sul NYT: BYD, un’azienda cinese leader nel settore delle automobili e delle batterie in rapida crescita, vende già un’auto elettrica compatta, la Seagull, per meno di 15.000 dollari in Cina. E martedì ha detto che avrebbe iniziato a vendere un pick-up ibrido plug-in in Messico, anche se ha aggiunto che non ha ancora intenzione di vendere il veicolo negli Stati Uniti.

La Cina esporta un numero molto limitato di veicoli elettrici negli Stati Uniti e dunque la presenza minima delle auto cinesi nel mercato statunitense non giustifica l’esasperato protezionismo. E allora per quale motivo Washington ha deciso di elevare dal 25 al 100% il dazio per l’importazione di auto cinesi? Un’azione preventiva perché si teme che in un prossimo futuro gli americani preferiscano le piccole utilitarie elettriche con gli occhi a mandorla?

Cito ancora dall’articolo del NYT: «Nei primi tre mesi dell’anno, la divisione veicoli elettrici di Ford ha perso 1,3 miliardi di dollari prima di tenere conto di alcune spese. Sia Ford che G.M. hanno rallentato la produzione di veicoli elettrici e ritardato l’introduzione di nuovi modelli. [...] G.M. sta perdendo soldi con le auto elettriche [...]».

Già ora stanno perdendo mercato e soldi con i veicoli elettrici, pur con una concorrenza cinese pressoché inesistente! E infatti il NYT sottolinea: «L’entusiasmo degli americani per le auto elettriche è diminuito nell’ultimo anno, principalmente perché tali veicoli vengono venduti a prezzi relativamente alti. Alcuni acquirenti sono riluttanti a comprare anche perché non sono sicuri che ci saranno abbastanza posti dove ricaricare quelle auto in modo facile e veloce».

Sui reali motivi del protezionismo bisogna tener conto che gli Stati Uniti hanno effettuato centinaia di miliardi di dollari di investimenti pubblici (quelli non sono aiuti di Stato, è concorrenza leale) nel settore della cosiddetta “transizione energetica”. Inoltre, ci offre uno spunto lo stesso articolo del NYT:

«Contemporary Amperex Technology Company Limited, o CATL, il produttore cinese che è il più grande produttore mondiale di batterie per auto elettriche, ha dichiarato il mese scorso di aver sviluppato una batteria che potrebbe caricarsi in 10 minuti abbastanza da consentire a un’auto di percorrere circa 370 miglia [quasi 600 km] – un grande passo avanti rispetto alle batterie utilizzate dalle affermate case automobilistiche occidentali e asiatiche, tra cui Tesla».

Ecco il reale motivo: il temuto sorpasso tecnologico e industriale della Cina sugli Stati Uniti, ovviamente non solo per quanto riguarda le batterie per auto elettriche. Dopo decenni, i politici e la grassa borghesia statunitensi si sono svegliati dai postumi di una sbornia di consumismo e alti profitti ottenuti grazie alle delocalizzazioni e ora vogliono ripristinare la loro base industriale, ricostruire la propria capacità produttiva a colpi di dazi.

Già a cominciare dagli anni Settanta praticamente tutte le principali aziende statunitensi produttrici di elettronica di consumo come registratori, macchine fotografiche, sistemi televisivi, computer, telefoni e così via, abbandonarono quelle attività di produzione, furono vendute o chiusero i battenti. Favorito fu, allora, principalmente il Giappone, in seguito la Corea del Sud e poi Taiwan.

Per esempio, nel 1982 la quota statunitense del mercato mondiale dei semiconduttori scese dal 70 al 51%. La quota del Giappone aumentò al 35%, rispetto al 15% del 1972. Nel 1989, la quota statunitense del mercato dei semiconduttori era scesa al 35% e quella del Giappone era aumentata al 51%. Altro esempio: Zenith Corporation vendette la sua tecnologia televisiva ad alta definizione a LG in Corea del Sud negli anni ’90 per circa 360 milioni di dollari.

Il risultato dello spostamento offshore di questi settori tecnologici è ora evidente, non ci sono più televisori e display prodotti negli Stati Uniti. Per quanto riguarda i semiconduttori, l’83% della capacità produttiva totale di semiconduttori risiede ora in Corea del Sud, Taiwan, Cina e Giappone, così come gran parte della produzione di elettronica di consumo e di elettronica in generale.

Tesla ora ha una capitalizzazione di mercato tre volte superiore a quella di tutte le altre case automobilistiche statunitensi messe insieme. Tuttavia, Tesla deve ancora ottenere i propri chip dall’Asia (principalmente da TSMC).

Pertanto, più che alle auto, pensiamo ai semiconduttori, che sono il vero motore che fornisce la funzionalità a quasi tutti i prodotti elettronici e il cui dazio su quelli cinesi passerà dal 25 al 50%. All’inizio gli Stati Uniti rappresentavano il 100% della capacità produttiva di semiconduttori. Oggi quella capacità è circa il 10%, e rimane per ora conservata nei chip logici avanzati. Se gli Stati Uniti perdessero il loro vantaggio competitivo nel settore dei semiconduttori rispetto alla concorrenza, diventerebbero asserviti a quel concorrente: economicamente, politicamente e, certamente, militarmente.

Nel 1983 fu possibile costruire un impianto per la produzione di semiconduttori con una spesa di 50 milioni di dollari. Mezzo secolo dopo, un impianto di fabbricazione di chip avanzati può costare tra i 20 e i 30 miliardi di dollari. La dimensione del chip GPU di elaborazione è approssimativamente quella consentita dagli strumenti di produzione dei chip. Negli anni ‘80 un’apparecchiatura per fotolitografia progettata per produrre semiconduttori su un wafer di silicio poteva costare circa 450.000 dollari. Oggi, per i chip più avanzati, le più recenti apparecchiature di litografia possono costare 400 milioni di dollari, ma anche molto di più (la tecnologia CoWoS: chip-on-wafer-on-substrate, combinata con tecnologia SoIC 3D). In prospettiva la fotonica del silicio diventerà una delle tecnologie più importanti nel settore dei semiconduttori.

Che cosa diceva l’anno scorso Liu Deyin (alias Mark Liu), presidente di TSMC, la più grande società del settore dei chip? La creazione di fabbriche negli Stati Uniti è impegnativa a causa delle difficoltà nell’assumere lavoratori locali e per gli alti costi operativi, che si traducono in un aumento dei costi del prodotto, sottolineando che non è economicamente fattibile per l’azienda di chip produrre beni negli Stati Uniti (salvo non arrivino cospicui aiuti di Stato e, dicono le malelingue, le dimissioni di Liu Deyin, previste per il prossimo mese).

13 commenti:

  1. "La rivoluzione verrà se la guerra sarà bloccata sul suo scatto, e capovolta, ossia se impedirà che la guerra si sviluppi. Perché tanto sia possibile sarà necessario che un potente partito internazionale sia organizzato con la dottrina che solo abbattendo il capitalismo si impedisce la serie delle guerre. Insomma, l'alternativa è questa: o passa la guerra, o passa la rivoluzione", scrive Bordiga al compagno Ceglia nel 1957."

    https://www.quinternalab.org/teleriunioni/2024/maggio-2024/881-la-guerra-e-dissipazione-di-energia?fbclid=IwZXh0bgNhZW0CMTEAAR1MvRlg6tuPJZMh91a_sxL0ijGjcZ_xK9va0nLFM_v4UMPgRitevIi5yZw_aem_Ab32847pvb86t5wBVXI9ecnAXBNJp6g6APiIIPx8IDjXtqn3q2GbLOC-M1sSw_04zQ6zlgmOa5IyneN6l03BtoEu

    P. S: questo articolo dei compagni di N+1(dove si parla, inevitabilmente anche della Cina) è a grandi linee in sincronia con le sue idee espresse nel suo blog.
    Mi farà molto piacere che lei lo legga e si esprima dicendo cosa ne pensa.
    Saluti!

    A. S.

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    1. Bordiga si sbagliava. Un modo di produzione non si "abbatte". Un modo di produzione si trova, per sua natura e per le leggi che ne sono a fondamento, in un continuo processo di trasformazione; in tale processo l'azione soggettiva può intervenire in accelerazione (e anche in regressione!) ma non ne può determinare l'esito sostanziale (che è nelle cose, nelle leggi stesse di processo, ecc. ).
      Don Chisciotte sognava un ritorno alla cavalleria; Bordiga e altri come lui, sognavano il comunismo quando ancora gran parte dell'umanità si muoveva a piedi o a cavallo. Mancavano di senso storico.

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    2. IL PARTITO DELL'ANTIFORMA

      L'attuale modo di produzione è uno zombie, un cadavere che resta in piedi solo perché i senza-riserve glielo permettono. Nel grande wargame mondiale manca per adesso un giocatore fondamentale, il proletariato, che non ha nulla da perdere in questa forma sociale se non le proprie catene. Una volta entrato in scena il partito dell'antiforma, il gioco non sarà più tra stati ma tra classi. E se cambiano le regole del gioco, cambia anche il gioco stesso. Non c'è solo caos all'orizzonte, vi sono anche saggi di futuro. E, difatti, caratteristica della Sinistra nei suoi lavori, è quella di delineare una dinamica ieri-oggi-domani: in articoli come "Il ciclo storico dell'economia capitalistica", "Il ciclo storico del dominio politico della borghesia" e "Il corso storico del movimento di classe del proletariato" (Prometeo, 1947), si mette in luce un andamento storico che porta a uno sbocco definito, previsto. Ad un certo punto si esaurisce la spinta propulsiva del capitalismo, si acutizzano le sue contraddizioni economiche e si arriva così allo scontro aperto tra le classi. Il capitalismo nella sua fase senile assume un carattere parassitario (il capitale finanziario domina su quello industriale) e ciò vale sia per lo sbirro mondiale, gli USA, che per tutti gli altri stati.
      https://www.quinternalab.org/teleriunioni/2024/maggio-2024/884-terremoti-naturali-economici-e-sociali?fbclid=IwZXh0bgNhZW0CMTEAAR3KYy0xNkiSF1qO_huAaHL5D8TS6jvbMftG-B6SGNEdPzRneQN6DTND7Hc_aem_AbxxTMxWs4iPW-upDoT4DxEVoe-xxxYm8eA2lKV-NwkwUhoMdViBW8J87K8Dncm5Nyb-7gAf3WrGww84-Bsi_h7j

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  2. https://www.geopolitica.info/capitalismo-guerra-ucraina/

    La guerra e il conflitto nel ‘900 • Ancora più importante, seppure molto meno citata, è l'affermazione che la natura della guerra è la risultante di tre forze inseparabili: – il cieco istinto (odio, inimicizia, violenza primordiale), – la libera attività dell'anima (valore militare, gioco d'azzardo e calcolo delle probabilità, strategia) – la pura e semplice ragione (politica), che è l'unico elemento razionale. • “Il primo di questi tre aspetti riguarda particolarmente il popolo; il secondo, il comandante in capo e il suo esercito; e il terzo il governo”. • Clausewitz fu il primo teorico militare occidentale a prendere in esame l'importanza del sentimento bellico, dell'animo del comandante, dei soldati e del popolo.
    Governare è far credere. N. Machiavelli

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    1. Clausewitz era un teorico dei luoghi comuni, un pragmatico intriso di spirito borghese.
      Far credere non è governare, ma dominare con la menzogna e l'inganno

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    2. Governare è far credere. È la maschera, con la menzogna e l'inganno,usata dalle "democrazie".
      https://www.minimaetmoralia.it/wp/ritratti/edward-louis-bernays/

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  3. Perbacco, hai una capacità di elaborare le informazioni pazzesca! Saluti

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  4. Oltre ai punti di debolezza delle auto elettriche che tu citi, ce n'è uno la cui importanza probabilmente travalica tutti gli altri: il valore di rivendita dell'usato. Proprio il progresso tecnologico scoraggia l'investimento dell'utente in una macchina cara ma a tecnologia non consolidata. Si rischia che dopo 5 anni non la voglia più nessuno.
    Per quanto riguarda, invece, la perdita di capacità industriale da parte degli Stati Uniti e del mondo occidentale, questa è irreversibile. Poche decisioni di politica economica sono state più autolesioniste dell'inclusione della Cina nel WTO, e in generale dell'apertura economica alla Cina. Naturalmente il processo era irreversibile, ma almeno poteva essere rallentato e si potevano mettere paletti.
    Come dicevo in un precedente commento, io nutro sostanzialmente più simpatia per la Cina che per gli USA. Tuttavia, le mie simpatie non contano un fico. Per noi che viviamo in questa parte del mondo sarebbe stato meglio perseguire politiche duramente protezioniste e, soprattutto, insistere sulle regole.

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    1. Già mr. Erasmo...
      Anche lei vive l' incertezza di chi sa di essere storicamente dalla parte del torto, ma sa anche che ogni passo verso la riparazione del torto equivale ad un passo indietro delle nostre condizioni materiali di vita.
      Scomoda posizione

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    2. È proprio questo il punto: “noi che viviamo in questa parte del mondo”. Siamo tra l’incudine e il martello, tra Washington e Pechino, tra Bruxelles e Mosca. Chiaro che preferiamo l’occidente (anche perché nell’occidente “vincente” vi siamo nati e vissuti, cosa da non trascurare), ma allora dobbiamo chiudere gli occhi come fanno certi “liberali” a cui va bene tutto, spingere la Nato sull’uscio di casa della Russia, sabotarne in tutti i modi i legami commerciali con l’Europa e pure ciò che avviene a Gaza? È chiaro che non possiamo stare con Saladino, ma nemmeno con Alessandro VI e Torquemada.
      Poi, come è capitato più volte, qualcuno viene a chiedere a me indicazioni sul che fare in riferimento a questo stato di cose. Come se fossero dei bimbi smarriti nel bosco. L’ultima cosa che farei è dire a qualcuno che cosa fare (a parte astenersi dal voto poiché il voto non paga). Ognuno ha una testa per pensare e risponde delle proprie azioni.

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    3. Ai personaggi storici con i quali non stare aggiungerei Paolo IV.
      Invece, quanto a geopolitica basterebbe non fare: non ingerirsi fra Russia e Ucraina, non dare udienza alle lobby ecologiche/farmaceutiche/automobilistiche/tecnologiche etc. , e non dare ulteriore potere alle burocrazie sovranazionali. Capisco che ci sono di mezzo non solo ideologie ma anche quattrini, quindi dico "basterebbe", ma so che è difficile.

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  5. Quando si pensa che il progresso tecnologico risolvi magicamente tutti i problemi intrinsechi del capitalismo e quindi della società vigente, si ottiene esattamente l'effetto contrario.
    Si dovrebbe PRIMA ripensare il modello di sviluppo e POI scegliere cosa e come produrre i beni effettivamente essenziali.
    Traslando al modo elettrico: PRIMA le colonnine di ricarica e POI produrre e commercializzare le auto.
    Ma se ci facciamo guidare dal profitto e dal consumo sfrenato, le auto diventano i nuovi cellulari e tablet, obsolescenti programmati, dopo pochi anni bisogna avere il modello più figo del momento. Non è un caso che Apple ci abbia provato per decenni di entrare nelle auto elettriche abbandonando più per costi e competenze che per motivi ideologici.
    I costi sono proibitivi, la popolazione mondiale sta assaporando la povertà dell'economica di guerra e le elite si arricchiscono senza limiti e cosa vuoi ai primi di comprare le auto dei secondi?
    Tutto fuori scala, un modo rovesciato che sta scivolando verso il ribaltamento totale, di potere, di idee, di confini.

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  6. https://www.rinnovabili.it/mercato/politiche-e-normativa/minerali-critici-gap-investimenti/

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