Sono in attesa che l’ex metalmeccanico Maurizio Landini, attuale segretario generale della Cgil, proclami uno sciopero generale di quattro ore per la quarta domenica del mese prossimo.
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«Certi mezzi di comunicazione di massa al servizio d’interessi più o meno mascherati rovesceranno sul mondo, con visioni e rumori fantomatici, un oppio dei popoli più insidioso di quello che nessuna religione sia mai stata accusata di diffondere. Una falsa abbondanza, dissimulando l’erosione crescente delle risorse, distribuirà cibi sempre più adulterati e divertimenti sempre più gregari, panem et circenses di società che si credono libere» (Marguerite Yourcenar, Archivi del Nord, Einaudi, p. 259).
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Faccio seguito al post di ieri, che qualche lettore forse incautamente s’è spinto a leggere integralmente. Da esso si potrebbe ricavare l’impressione di un mio giudizio positivo per quanto riguarda il capitalismo, nel senso che è grazie al modo di produzione capitalistico che la produttività del lavoro, favorita dallo sviluppo della tecnologia e delle tecniche di produzione, ha raggiunto livelli fino a poco tempo fa inediti e forse inimmaginabili, consentendo un miglioramento generale, seppur di grado diverso, delle condizioni di vita di larga parte della popolazione mondiale.
È effettivamente ciò che penso: il modo di produzione capitalistico ha avuto anche una funzione positiva e progressiva. Negarlo sarebbe da sciocchi. La borghesia ha avuto nella storia una parte “sommamente rivoluzionaria”, almeno inizialmente, lacerando spietatamente tutti i variopinti vincoli feudali che legavano l’uomo al suo superiore naturale, e non ha lasciato fra uomo e uomo altro vincolo che il nudo interesse, il freddo “pagamento in contanti”. Ipse dixit (Marx).
Ecco il punto: lo sviluppo dei mezzi di lavoro non è accidentale per il capitale, ma è la trasformazione storica di tali mezzi in una forma adeguata alla sua valorizzazione, nel senso che ciò non avviene per bontà innata del capitalista, ma seguendo una logica tutta interna al processo stesso. Il capitalista ha la necessità inderogabile, attraverso nuovi procedimenti tecnici, di ridurre incessantemente il tempo di lavoro necessario ad un minimo, allo scopo di aumentare la quota di plusvalore estorta e anche per far fronte alla concorrenza.
Tutto ciò induce indubbiamente delle conseguenze positive sul piano della ricerca scientifica e dello sviluppo complessivo della società, ma nasconde anche un’altra verità, ovvero una contraddizione tendenzialmente esiziale per il capitalismo stesso (dirò alla fine di che cosa si tratta).
Inoltre, si potrebbe osservare, molto a ragione, che il capitalismo non ha avuto solo una funzione economica positiva con un corrispondente progresso sociale e politico, poiché il suo sviluppo è stato accompagnato da forme di sfruttamento selvaggio, sopraffazioni e violenze innumerevoli. Basti pensare agli effetti del colonialismo, allo sfruttamento del lavoro minorile, alla dissipazione delle risorse, alla distruzione di interi habitat naturali, eccetera.
Insomma, la borghesia ha messo lo sfruttamento aperto, spudorato, diretto e arido al posto dello sfruttamento mascherato d’illusioni religiose e politiche delle epoche passate. E fin qui si tratta di un giudizio morale, ma ciò che serve è una valutazione oggettiva dei risultati raggiunti dall’umanità nell’epoca storica dominata dal modo di produzione capitalistico.
Sulla scorta dei dati positivi illustrati nel post precedente, il modo di produzione capitalistico, pur con le sue contraddizioni e negatività, è considerato da molti come l’ideale e più stabile forma economica della società, tanto più che i regni coercitivi del secolo scorso hanno dato pessima prova di sé.
A ben considerare, dicono i suoi sostenitori più critici, puntando su una più equa distribuzione dei redditi, su una decrescita felice oppure su un capitalismo con “elementi di socialismo”, cari alla sinistra di lotta e di governo del tempo che fu, insomma su una serie di riforme strutturali, il capitalismo resta storicamente il sistema migliore.
In realtà, non si tratta di essere a favore o contro ogni comoda idea di liberalismo e di capitalismo riformato, bensì di stabilire di quale capitalismo stiamo parlando, in altre parole in che cosa oggi esso è realmente e quali potranno essere, tendenzialmente, i suoi stimabili sviluppi.
Al riguardo, non si chiede nemmeno di leggere tutti gli scritti marxiani, che tanto più oggi tale lettura appare come un privilegio da iniziati o addirittura come uno studio superfluo, posto che le immanenze del capitalismo descritto da Marx si ritengono superate dai fenomeni del mercato e delle nuove tecnologie (sic!). In realtà, i suoi scritti sono come la storia della “lettera rubata” di Edgar Allan Poe: tutti ne parlano, nessuno l’ha letta. E però ciò che più di ieri colpisce in tale lettura è l’approssimarsi di una serie di situazioni colte a suo tempo dal Grande Vecchio (morì a soli 64 anni!).
Come già Marx riconobbe per primo, è lo stesso processo di valorizzazione del capitale a produrre conseguenze storiche decisive per il capitalismo (il limite al capitale è il capitale stesso). Il furto del tempo di lavoro altrui, su cui poggia la ricchezza odierna, si presenta sempre più come una base miserabile rispetto alla nuova base che si sta sviluppando nel frattempo. Il lavoro in forma immediata sta cessando di essere la grande fonte della ricchezza, e come conseguenza il valore di scambio sta progressivamente cessando di essere la misura del valore d’uso.
Appare così in superficie la contraddizione in processo del modo di produzione capitalistico: laddove è il capitale stesso a porre il tempo di lavoro come unica misura e fonte della ricchezza, opera altresì la necessità, sempre più spinta sotto l’effetto di altre dinamiche, di ridurre il tempo di lavoro necessario a un minimo. Tale tendenza, sotto gli occhi di chi vuol vedere, mette a nudo il dirompente conflitto tra forze produttive capitalistiche e rapporti di produzione, confermando il carattere storico e transitorio della legge del valore, la quale non gode di proprietà “naturali” valide in eterno.
Il movimento dialettico di questa così come di altre contraddizioni, ci mostra come l’insieme di queste tendenze alludano a un processo di trasformazione della formazione economico- sociale capitalistica, così come del resto è avvenuto per le formazioni che l’hanno preceduta nell’ambito delle loro peculiarità storiche. Peraltro, il rapporto dialettico tra caso e necessità, condizione universale che non controlliamo affatto, sconsiglia previsioni di dettaglio, anche perché, nel tempo lungo, non ci verrà data possibilità di verifica personale.
P.S. : solo dei politici e giornalisti ignoranti o in malafede possono pensare a una potenziale forza-lavoro resa “occupabile” con decreto nell’ambito della marginalità sociale al solo scopo di raschiare il barile della spesa pubblica. Pensassero invece di adeguare i salari di quelli che ancora hanno un’occupazione.
capitale recide distinzione umana, fra l'uno e l'altro: sia la scienza che la tecnica diventano indiscriminate, per tutti, perseguendo il meglio utile ultimo, astratto e concreto... Astratto per i più, molto concreto per i proprietari (il freddo pagamento online)
RispondiEliminaNel limite della proprietà ogni interesse particolare si scambia per scienza universale spianando l'umanità.
Non c'è solo contraddizione del saggio di profittot ma pure quella della vita sempre più ridotta alla sua quantità.
Solo i proprietari, specie dei mezzi di comunicazione, fomentano le vecchie istituzioni politiche quali sigillo di democrazia, ossia coperture.
Sarebbe però bello, dopo tanti anni, vedere qualche dato in valore monetario. Quanto è il plusvalore, per azienda, settore industriale, intero paese, mondo? E la caduta del saggio di profitto, che sarà tendenziale, ma sicuramente avviene da tempo, a quanto ammonta in percentuale e quindi in valore? Di nuovo, per azienda, settore, eccetera.
RispondiEliminaTu capisci che ci tocca vedere sui giornali quanto vale il black friday (in euro) però le cose che ho menzionato qui sopra nessuno le valorizza.
Nel post non tratto della caduta tendenziale del saggio del profitto. Tale caduta tendenziale rinvia alla omonima legge, dunque non a un'opinione che aspetti di essere verificate e provata. Marx la illustra anche dal punto di vista matematico. Non c'è nulla da aggiungere o da togliere a tale sua scoperta. A fronte di tale tendenza, vi sono delle cause antagonistiche alla legge stessa. Anche queste sono state indagate e spiegate da Marx.
EliminaChe tale legge operi effettivamente è provato dal fatto concreto che i capitali tendono a concentrarsi e centralizzari, proprio per contrastare quel fenomeno che Marchionne chiamava, impropriamente, il problema del capitale fisso (“Confessions of a Capital Junkie”).
Ne scrissi qui sette anni fa:
http://diciottobrumaio.blogspot.com/2015/05/confessions-of-crafty.html
Io non chiedevo di provare alcunché. Volevo cifre. I fenomeni vengono quantificati continuamente. Vediamo il PIL del Burkina Faso, vediamo il fatturato della Pfitzer, vediamo la spesa militare degli USA. Anche i rapporti sono pubblicati:vediamo la spesa procapite per la salute di tutti i paesi dell'UE, vediamo la produttività del lavoro, vediamo la redditività di un'azienda o di un settore. Ma i dati Pv=L-V, quelli no.
Eliminasì, avevo capito, ma la questione è un po' più complessa. è già difficile avere qualche dato sui profitti netti, figuriamoci sul pv. Del resto pv e profitti sono cose diverse.
Eliminahttps://www.giorgiogaber.it/discografia-album/l-america-testo
RispondiEliminahttp://www.linterferenza.info/attpol/la-caduta/
RispondiEliminamah, molto moralismo e poca analisi
Eliminahttps://www.sinistrainrete.info/geopolitica/24352-alessandro-visalli-la-guerra-necessaria-logiche-della-dipendenza.html
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