Un
fenomeno può essere definito sia in base al suo aspetto esterno, sia in base
alla sua origine reale. L’analisi fenomenologica (empirismo, positivismo, varie
derive “marxiste”, ecc.) considera il fenomeno per quanto si mostra nella sua
manifestazione esteriore e ne deduce che la forma del manifestarsi coincida col
nesso causale che le sta a fondamento.
Il
caso più frequente riguarda i fenomeni connessi alla crisi economica, ma anche,
per esempio, quando si ha a che fare con le classi sociali. Non starò qui a
dire in che cosa si differenzi il metodo marxista, presupponendo non sia
necessario poiché più o meno tutti
si sono fatti un’esatta idea di che cosa sia il marxismo e dunque sanno di che
cosa si sta parlando, anche se il pensiero di Marx viene viepiù inteso come una
“spiegazione” (*).
A
stare in tema di classi sociali si può rilevare un errore comune al
sociologismo borghese. È vero che ad un esame puramente fenomenico noi troviamo
delle “cose”, e cioè dei gruppi psico-sociali, dei gruppi di status (patrizi e
plebei, manovali e artigiani, borghesi e gentiluomini, ecc.) surdeterminati
dalle motivazioni più disparate, ma queste aggregazioni, essendo potenzialmente
infinite, quanto lo sono gli individui, possono essere sciolte da un’infinità
di fatti casuali.
Le
classi sociali, invece, sono delle strutture oggettivamente motivate e
determinate dalla base economica e dai rapporti complessivi storico-sociali,
nei quali gli individui, volenti o nolenti, si generano e ricadono. Il criterio
fondamentale che distingue le classi è il loro posto nella produzione sociale e
in conseguenza il loro rapporto con i mezzi della produzione. L’appropriazione
di questa o quella parte dei mezzi sociali di produzione e la loro conversione
in economia privata per la vendita del prodotto costituisce la caratteristica
fondamentale che distingue le due grandi classi della società moderna: la
borghesia, classe proprietaria dei mezzi produzione e detentrice del capitale,
e il proletariato, privo di mezzi e costretto a vendersi come forza-lavoro.
I
proletari, quantunque possano anche sentirsi soggettivamente di non appartenere a tale classe,
di appartenere invece a una non meglio definita “classe media”, restano incatenati a
una sfera di attività determinata ed esclusiva che è loro imposta quasi
“naturalmente” e dalla quale non possono sfuggire se non vogliono perdere i
mezzi per vivere.
Pertanto,
il prius su cui s’innesta la
divisione in classi è dato dalla divisione sociale del lavoro e non, meramente
da reddito, status, frequentazioni, rapporti di vicinanza o lontananza dai
partiti e dal potere, posto di lavoro e luogo di abitazione. Anche la coscienza
soggettiva, in generale, è soggetta alla stessa determinazione, ossia all’antagonismo
tra la ricchezza che non lavora e la condizione di chi per vivere deve
lavorare, dunque un antagonismo del sapere.
(*)
Anche se più spesso si tratta di una riduzione del materialismo dialettico
marxista ad un realismo “economico”, laddove la critica dell’economia politica
viene intesa come uno degli aspetti delle cose, e poi magari procedendo per un
pragmatismo storico fino ad arrivare a conciliare individualismo e socialismo,
in cui il marxismo risulti semmai mero ingrediente. È in tale contesto che
nasce il gioco a rimpiattino, ossia se debba nascere prima l’uovo o la gallina,
riducendo il marxismo al realismo programmatico.
Uno dei grandi equivoci che, in un certo senso, accomuna sia i "marxisti del movimento operaio" sia i detrattori più feroci - e ingenui - di Marx, è credere appunto che per Marx la "rivoluzione" consista semplicemente nella conquista da parte del proletariato della proprietà dei mezzi di produzione e nel ribaltare i ruoli padrone-schiavo, lasciando tuttavia inalterato il “sistema” produttivo mercantilista (produrre merci, conquistare mercati, illudersi che il saggio del profitto non cada).
RispondiEliminasì, però la divisione del lavoro persisterà pure dopo l'abolizione delle classi sociali.
EliminaInoltre, per giungere a detta abolizione, è necessaria una fase di transizione, almeno per gestire gli espropri, fase che si chiama dittatura del proletariato.
è così.
RispondiEliminaA questo riguardo è interessante far notare che i cambi di classe sociale che pure sono possibili per gli individui non avvengono quasi mai attraverso il lavoro.
Espropri a carico di chi? In che misura? Chi li decide?
RispondiEliminaComisiones obreras? Non ci sarà per fortuna la divisione del lavoro, rimarrà quella dei cervelli.