Il movimento della materia è tutto, avevano ben compreso Marx ed
Engels, e la conoscenza delle diverse forme di movimento della materia è il più
alto prodotto del pensiero umano, il riflesso delle cose reali nel nostro
cervello (*). Possiamo ricavare le leggi generali di questo movimento, tanto
del mondo esterno, quanto del pensiero umano. Una serie di leggi identiche
nella sostanza, differenti però nell’espressione, poiché il pensiero umano le può applicare in modo consapevole,
mentre nella natura e sinora per molti aspetti anche nella storia umana esse giungono a farsi valere in modo
incosciente (vedi p. es. nell’economia), nella forma della necessità
esteriore, in mezzo a una serie infinita di apparenti casualità (**). Scrive
Engels:
«Le forze socialmente
attive agiscono in modo assolutamente
uguale alle forze naturali: in maniera cieca, violenta, distruttiva, sino a quando non le riconosciamo e non
facciamo i conti con esse. Ma una volta che le abbiamo riconosciute, che ne
abbiamo compreso il modo di agire, la direzione e gli effetti, dipende solo da
noi il sottometterle sempre più al nostro volere e per mezzo di esse
raggiungere i nostri fini. E questo vale in modo tutto particolare per le
odierne potenti forze produttive. Fino a
quando ostinatamente ci rifiuteremo di intenderne la natura e il carattere, e a
questa intelligenza si oppongono il modo di produzione capitalistico e i suoi
sostenitori, queste forze agiranno malgrado noi e contro di noi, e ci
domineranno».
Economisti e politici, al
contrario, ogni giorno cercano di ingabbiare la realtà secondo un loro arbitrario
disegno, tutto ideologico e pregno d’interessi particolari. Gli utopisti borghesi, quelli che hanno
proclamato la fine della storia, non vogliono vedere nella crisi generale del modo di produzione capitalistico che ci sta
sotto gli occhi (la ripresa! tra cinque anni, tra sette, tra venti, stagnazione
secolare, causa la deflazione e altri
deliri …), come abbia guadagnato in ampiezza e in profondità la contraddizione
e il contrasto tra rapporti di produzione e le forze produttive, il conflitto
in atto fra lo sviluppo materiale della produzione e la sua forma sociale. La
contraddizione si è sviluppata sino a diventare il controsenso per cui il modo
di produzione si ribella contro la forma dello scambio.
È altresì palese che la borghesia e dunque il suo personale
economico e politico è incapace di far fronte alla crisi che colpisce la
società in ogni suo aspetto e in profondità. Che prenda sempre più piede la
coscienza che le istituzioni sociali vigenti sono irrazionali ed ingiuste, è segno
del fatto che nel modo di produzione e nelle forme di scambio si sono
verificati dei mutamenti che rendono palese come questo ordinamento sociale non
regge più e in esso deflagra la contraddizione che produzione sociale e
appropriazione privata non possono andare ancora insieme.
Che cosa c’è di più
anacronistico e ipocrita nello stabilire che la grande maggioranza delle
persone ha uguali diritti e però riceva solo lo stretto necessario per vivere,
quando lo riceve, a fronte di una capacità produttiva e anzi di una
sovrapproduzione di ogni tipo di merci? Non si rispetta dunque l’uguale diritto della maggioranza di
tendere alla felicità più di quanto lo rispettassero la schiavitù o la servitù
della gleba. E le cose non vanno meglio per quanto riguarda i mezzi spirituali
della felicità, i mezzi dell’educazione intellettuale, posti sotto il dominio
del profitto e le strategie del marketing.
Va da sé che più si divaricheranno le contraddizioni immanenti al
modo stesso di produrre, distribuire e consumare, e maggiore diverrà il rischio
di tragiche involuzioni e catastrofi.
*
Per contro, fin troppi hanno in mente le vecchie concezioni del
socialismo, la cui immaturità corrispondeva all’immaturità della produzione
capitalistica. Per dirla ancora con Engels, la soluzione delle questioni
sociali restava ancora celata nelle condizioni economiche poco sviluppate e
perciò doveva uscire dal cervello umano e non dalle condizioni oggettive della
società:
«La società non offriva che
inconvenienti: eliminarli era compito della ragione pensante. Si trattava di
inventare un nuovo e più perfetto sistema di ordinamento sociale e di elargirlo
alla società dall'esterno, con la propaganda e, dove fosse possibile, con
l'esempio di esperimenti modello. Questi nuovi sistemi sociali erano, sin dal
principio, condannati ad essere utopie:
quanto più erano elaborati nei loro particolari, tanto più dovevano andare a
finire nella pura fantasia.»
Oggi siamo arrivati al punto in cui non si può seriamente pensare
di risolvere nessuno dei gravi problemi che affliggono le nostre società e il
pianeta nel suo insieme senza affrontarli nella loro globalità. Si fa strada la
coscienza di tale necessità, e tuttavia si tratta ancora di una coscienza
confusa, rimasta delusa e anzi inorridita da ciò che è avvenuto nel corso del
XX secolo e che ancora si prospetta cruentamente nel nuovo. Pensare ad una
risposta pronta e definitiva in ordine a questi problemi di portata epocale
significa illudersi e ingannare, soprattutto sui tempi di tale processo. Un
fatto è comunque certo, l’umanità non può più permettersi di lasciare in mano
il proprio destino a entità economiche e statuali che agiscono ognuna per
proprio conto e ognuna come concorrente e/o avversaria dell’altra.
Tuttavia questo resta al momento solo un auspicio poiché vediamo
la piega che stanno prendendo gli avvenimenti. Una delle cause di questa impasse
sta nella nostra presa di distanza dal mondo, nella nostra pigrizia e nel
ripiegamento delle nostre coscienze, esteti – quando va bene – dei nostri
orticelli conclusi. In attesa di ciò che, rassegnati, consideriamo inevitabile.
Disgustati dalle parole e dalla mediocrità, abbiamo rinunciato alla lotta,
anzitutto e per ora a quella ideologica. Un’azione collettiva volta a produrre
una consapevolezza degli scopi, un sapere del possibile, imprigionato negli
attuali rapporti di produzione e riproduzione alienata della vita. Perché oggi
come non mai non possiamo accontentarci di un’ennesima metamorfosi delle forme
politiche del dominio dell’uomo sull’uomo.
(*) Così come il cervello umano, per quanto ne sappiamo, è il più
alto prodotto della materia. La materia non agisce secondo uno scopo o secondo
criteri di causa-effetto.
(**) È interessante notare che la dialettica materialistica,
poiché di ciò si tratta, non venne scoperta solo da Marx ed Engels e prima
ancora da Hegel, ma ancora una volta e indipendentemente, come riconobbero gli
stessi Marx ed Engels, da un operaio tedesco, Joseph Dietzgen (1828-1888).
Scrive Engels nel suo Ludwig
Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca: «[…]
si è sempre coscienti che ogni conoscenza acquisita è necessariamente limitata,
è condizionata dalle circostanze in cui la si è acquistata; ugualmente non ci
si lascia più imporre dalle vecchie antinomie di vero e di falso, di buono e di
cattivo, di identico e di diverso, di necessario e di casuale, antinomie che la
vecchia metafisica ancor sempre in voga non è in grado di superare; si sa che
queste antinomie hanno soltanto un valore relativo, che ciò che oggi viene
riconosciuto come vero ha il suo lato falso, oggi nascosto ma che verrà alla
luce più tardi, così come ciò che oggi è riconosciuto come falso ha il suo lato
vero, grazie al quale prima poteva essere considerato vero; che ciò che si dice
essere necessario si compone di pure casualità, e che il cosiddetto elemento
casuale è la forma dietro cui si nasconde la necessità, e così via.»
perfetto !
RispondiEliminacaino
quant'è ricca la materia umana, molto più di tutte le spiritualità e materialità messe insieme
RispondiEliminaè proprio la situazione di stallo (il punto morto) che il mondo borghese esprime, dall'economia alle arti, che suggerisce l'apertura a possibilità inusitate che non giungano più da fuori, nessuna destinazione-nessun volontarismo, ma dal processo storico in sè medesimo accelerato, per così dire, dai soggetti coscienti che al suo interno sono foggiati
percorrendo questo senso, non c'è nessuna classe che possa rivendicare particolari missioni storiche ma al contrario è la classe che non vuole essere più tale ad avere in potenza la chiave per liberare tutti
la situazione attuale non è di equilibrio e stallo, ma di squilibri sempre più pronunciati che però servono a meglio controllare il tutto. Le politiche redistributive dispensano paure a seconda della propria posizione di classe. Tanto più proletario tanto più terrore. Tanto più borghese tanto più riformista. Chi ha meno da perdere deve avere molta più paura, e così oggi è... L'unica uscita dal terrore pare sia legarsi mani e piedi al riformismo. Il che corrisponde ad aumentare la naturalità del sistema. Assecondare la natura del capitalismo che non è solo mezzo di sfruttamento, ma pure di controllo sociale attraverso la composizione del conflitto. I parlamenti borghesi, in principio, servono a questo.
EliminaI soggetti coscienti non hanno paura del terrore.
ma non per motivi psicologici, bensì materiali.
stallo non è sinonimo di equilibrio, meno che mai lo è "punto morto". dopo la caduta del gigante sovietico hanno inverato l'aspettativa di un mercato veramente planetario ma le cose stanno andando avanti più per inerzia che per strategia, con tutta evidenza in campo economico e anche la politica non è da meno, come è giusto che sia.
EliminaInoltre, in questo diversamente da te, vedo tutta la civiltà borghese terrorizzata, in particolare nelle sue punte più evolute. Alcuni già riflettono su come ottenere gli effetti benefici di una grande guerra senza farla, tanto per dire. Dico questo senza dedurre che le cose precipitino già domani.
perché diversamente da me? cosa intendi per civiltà borghese? se mi parli di società borghese capisco, quanto al concetto di civiltà dobbiamo ben comprendere che la speranza sociale non può prescindere dai risultati raggiunti da questa civiltà. Dal nulla non si crea nulla, il rischio è di finire in un nuovo medioevo.
EliminaCara, rispondo a ragionier
Eliminahai ragione, scusa, 'na botta di Alz
Elimina;-)
Eliminasono i borghesi che non sanno più che fare per il semplice fatto materiale che lavorano sempre meno e sempre peggio. Pieni di "risparmi" rubati allo stato, sentono la montagna cedere e allora svuotano l'invaso il più velocemente possibile accelerando così ulteriormente gli smottamenti del debito pubblico... Non è stallo né equilibrio ma proprio la necessità di accelerare connaturata a un sistema basato sulla rapina. Le sperequazioni sono semplicemente necessarie al loro modo di produzione. E per paradosso meno lavorano è più devono squilibrare il quadro.
EliminaIo dico che a questo punto le paure non possono più essere le stesse per tutti. Fine della coesione sociale. La nave borghese (una fregata) va abbandonata.
Pensare in termini riformistici è forse il modo più tranquillo di suicidarsi oggi. E troppi son "naturalmente" portati ad impiccarsi al profitto altrui. Tanto più nei paesi di antiche incrostazioni feudali come il nostro.
Ma io continuo a presumere che sia compito storico (e modernissimo) del proletariato sopraffare la borghesia, nel senso di fare di più e meglio. Non suicidarsi.