L’articolo
odierno di Eugenio Scalfari se la prende con tutto e con tutti, tranne che con
se stesso. Di quest’uomo vanesio non ricordo di aver mai letto un accenno di reale
autocritica, come se non c’entrasse nulla con quanto è successo in questo paese.
Denuncia spesso un’élite politica incompetente, certamente, ma egli fa parte a
pieno titolo e in posizione di grande rilievo di un ceto intellettuale compiacente
e complice, venduto totalmente alla filosofia del sistema capitalistico, di rigattieri
della pace sociale, sirene della retorica democratica che si collocano sempre
sopra le responsabilità. Scrive:
La corruzione diffusa purtroppo in
tutte le classi sociali, dai più abbienti al ceto medio fino a quelli sulla
soglia della povertà, ha come condizione preliminare il declino della
democrazia partecipata. Di fatto è la scomparsa dello Stato come soggetto
riconosciuto dai cittadini e quindi la scomparsa, nella coscienza delle
persone, del concetto d’interesse generale. L'effetto è il sovrastare degli interessi
particolari, delle lobby economiche, delle clientele regionali, dei singoli e
del loro circondario locale.
È
operazione ipocrita ed odiosa quella di mettere tutti nello stesso calderone,
le lobby politiche ed economiche e chi nella disperazione cerca di avere un
posto di lavoro. In questa situazione di degrado e corruzione diffusa le
responsabilità non possono essere spalmate in modo uguale su tutte le classi sociali, dai più abbienti al ceto medio
fino a quelli sulla soglia della povertà. Perché non dire che mentre la spesa
amministrativa e sociale non si discosta dalla media europea (*) le
privatizzazioni sono state vergognose svendite per foraggiare i profitti degli
amici imprenditori, faccendieri, banchieri nostrani ed esteri, professionisti (in
cordata)?
La
corruzione ha, tra le altre, come condizione preliminare che un funzionario del
capitale guadagni 100 o 2.500 volte il salario di un operaio; inoltre, la sfiducia
nello Stato trova ottimi motivi laddove l’operaio e il datore di lavoro, sulla base
della legge, sottoscrivono un patto che poi la Monti-Fornero rende carta
straccia. Il “mercato nero e il lavoro nero”, in seguito citati da Scalfari,
sono diventati istituti legali (voucher, ecc.), dando modo al padrone di fare
del lavoratore ciò che vuole.
La
scomparsa, nella coscienza delle persone del concetto d’interesse generale
nasce dall’esempio offerto da chi predica sacrifici per gli altri senza mai
rinunciare a un proprio privilegio, da chi legalmente, per esempio, può
permettersi di (non) pagare le tasse dove vuole. Da chi non dedica nemmeno un
rigo nel suo articolo odierno al Primo Maggio …
Scrive
Scalafari: “Gli italiani non sono per
natura un popolo di corrotti e di ladri, ma è la nostra storia che ha ridotto a
plebe il popolo sovrano”. Le classi dominanti di questo paese, gli
interessi del capitalismo feudale delle élite economiche, i gruppi bancari che
volevano per sé il predominio dello Stato, hanno incardinato la storia
economica e sociale di questo paese su un certo percorso, impedendo e frenato lo
sviluppo di una coscienza civile e politica al passo dei maggiori paesi
europei.
E
non si può tacere il ruolo avuto dalla Chiesa cattolica, come quando il
Vaticano si mise contro il governo Giolitti. Con l’approvazione della legge del
luglio 1920, che doveva entrare in vigore nel luglio del 1921, sulla
nominatività dei titoli e altre misure fiscali, Giolitti per una volta si
metteva contro i gruppi industriali, finanziari e lo stesso Vaticano, il quale
aveva in Italia la quasi totalità dei suoi investimenti e possedeva a
preferenza titoli al portatore. Non solo. Era temutissima anche la norma
fiscale sulle trasmissioni ereditarie tra persone non legate da vincoli di
sangue (dunque i preti). Fu questo il motivo che «obbligò – secondo Ernesto
Rossi – Giolitti a presentare le dimissioni».
Il
9 giugno 1921, poco prima di dimettersi, il governo Giolitti promulgò un
decreto contenente norme per la registrazione dei titoli. Con il nuovo governo
presieduto da Bonomi, tale norma fu subito sospesa, ma non abrogata. Entrambi i
successori di Giolitti, Bonomi e poi Facta, non ebbero la volontà politica di
rinunciare o cancellare del tutto le misure giolittiane. Nella crisi che
succedette alla caduta di Giolitti e fino all’avvento del fascismo, il Vaticano
si oppose ad un possibile nuovo governo presieduto da Giolitti, innanzitutto
con il veto imposto al Partito popolare di aderirvi. Il costo di questo
atteggiamento fu la paralisi parlamentare e, infine, la crisi istituzionale (**).
Quando
si parla di declino della democrazia, di responsabilità, prima ancora di
richiamarsi al solito Machiavelli, sarebbe bene dare un’occhiata ai fatti, e
chiarire da dove venne “la guerra partigiana e la Resistenza”, richiamata da
Scalfari quale omaggio dovuto e però retorico (dov’era lui allora?). Grattando
col ditino la patina della “storia” ne viene fuori sempre l’immagine di un
assetto economico che – sia pure in modo non meccanico e schematico – informa
quello sociale e politico per decenni, anzi, per secoli.
(*)
Nel 2004 la spesa per servizi pubblici generali è stata in Italia il 4% del Pil
(3,9% quella dell’area euro); 1,4% per la difesa (pari nell’area euro); 2% per
l’ordine pubblico (1,7%); 3,9% per gli affari economici (pari nell’area euro);
0,8% per l’ambiente (0,7%); 4,6% per l’educazione (5%); 26,3% per la spesa
sociale – sanità, pensioni, assistenza, ecc. – (27,9%); 4,7 per interessi
(3,1%). Pertanto, si ha un totale di 47,7% di spesa pubblica in Italia e il
47,6% nell’area euro ((http://www.tommasopadoaschioppa.eu/2-anni-al-mef/come-controllare-la-spesa/libro-verde-sulla-spesa-pubblica)).
Non
vi sono dunque differenze sostanziali e tali da giustificare i tagli lineari
alla spesa pubblica se non per la volontà di sostenere politiche economiche
sfacciatamente classiste, volte a far pagare la crisi, e gli interessi sul
debiti, ai soliti noti.
(**) Scrisse nel 1947 Benedetto Croce:
«L’azione della politica vaticana fu
allora perniciosa per l’Italia e aprì le porte al fascismo impedendo ogni
ritorno del Giolitti al potere. Su di che potrei aggiungere particolari, come
d’un colloquio che l’on. Pozio, sottosegretario alla presidenza con Giolitti e
a lui devotissimo, ebbe con il card. Gasparri, che rudemente respinse ogni
approccio d’intesa: quel che più aveva inferocito la Chiesa era la legge
giolittiana della nominatività dei titoli al portatore, nei quali molto denaro
degli istituti ecclesiastici era investito».
L’Osservatore Romano del 27-28 febbraio 1922 si rallegrò perché la più
lunga crisi ministeriale che si fosse mai avuta in Italia era stata finalmente
conclusa con la formazione di un governo di coalizione, presieduto dall’ on.
Facta, dal quale erano esclusi soltanto i socialisti. In risposta ai giornali
che avevano accusato la Santa Sede di essere stata la principale responsabile
della eccezionale lunghezza della crisi, col suo veto al ritorno di Giolitti al
governo, il giornale del Vaticano ipocriticamente affermò che «la Santa Sede era, voleva e doveva rimanere
completamente estranea alle questioni di politica italiana, sia estera che
interna, come ad ogni partito di ogni colore».
Su Repubblica Scalfari ha recentemente scritto 'Non siamo più subalterni ai pm ora norme per accelerare i processi'.
RispondiEliminaSono dell'avviso che, oltre a non manipolare più opinioni e abitudini delle masse, non siamo tenuti a sopportare ancora Eugenio anche per via traslata: non è neppure il nonno parente.
Si sa, nelle vecchiaia si ritorna bambini, nel 1942 non era stato nominato caporedattore di 'Roma Fascista' ?
E se smettessimo di occuparci di lui?
sì, quando smetterà di occuparsi di noi
EliminaMi spiace di non collaborare per il 740 dell'ing.De Benedetti pur capendo che la Verità per un euro e quaranta è a buon mercato. ))
RispondiEliminaPotremmo smettere di occuparci di lui, se lui non scrivesse su un giornale in picchiata per vendite e che noi manteniamo in vita pagandolo, lui, i quotidiani e i 'rimborsi spese' pazze dei sedicenti esponenti di qualsiasi partito.....fu repubblichino, fondò Repubblica, eterogenesi dei fini.
RispondiEliminafu repubblichino
RispondiEliminaal contrario credo che il suo fascismo sia finito esattamente il 25 luglio del 1943 perche' non c' era nessuna opportunita' personale a militare in una causa persa come la RSI :-)
Esistono foto inequivocabili......
RispondiElimina"È operazione ipocrita ed odiosa quella di mettere tutti nello stesso calderone, le lobby politiche ed economiche e chi nella disperazione cerca di avere un posto di lavoro. In questa situazione di degrado e corruzione diffusa le responsabilità non possono essere spalmate in modo uguale su tutte le classi sociali, dai più abbienti al ceto medio fino a quelli sulla soglia della povertà".
RispondiEliminaHo estrapolato questo suo brano Olympe, perchè mi ha fatto venire in mente un ricordo. Molti anni fa, quando Scalfari dirigeva Repubblica, e curava anche la posta dei lettori (come fa lei con i lettori di questo blog ora), un lettore palermitano gli disse che: per prendere la pensione minima di invalidità, aveva un po arrotondato l'effettiva malattia da lui sofferta. E Scalfari, (apriti cielo) gli rispose che aveva sbagliato, che non avrebbe dovuto permettersi, per senso dello Stato, per senso civico e bla, bla, bla. Ora all'epoca, io ero un ragazzo, ma mi ricordo la mia reazione alla reazione di Scalfari che fu: stupido coglione, prova a vivere tu in quelle condizioni di classe (semi-povertà), in cui affoga il lettore palermitano. Fu da li credo, che iniziò la mia idiosincrasia verso questo snob alto borghese.
Cordialità.