domenica 1 maggio 2016

Le persone per bene come Eugenio Scalfari


L’articolo odierno di Eugenio Scalfari se la prende con tutto e con tutti, tranne che con se stesso. Di quest’uomo vanesio non ricordo di aver mai letto un accenno di reale autocritica, come se non c’entrasse nulla con quanto è successo in questo paese. Denuncia spesso un’élite politica incompetente, certamente, ma egli fa parte a pieno titolo e in posizione di grande rilievo di un ceto intellettuale compiacente e complice, venduto totalmente alla filosofia del sistema capitalistico, di rigattieri della pace sociale, sirene della retorica democratica che si collocano sempre sopra le responsabilità.  Scrive:

La corruzione diffusa purtroppo in tutte le classi sociali, dai più abbienti al ceto medio fino a quelli sulla soglia della povertà, ha come condizione preliminare il declino della democrazia partecipata. Di fatto è la scomparsa dello Stato come soggetto riconosciuto dai cittadini e quindi la scomparsa, nella coscienza delle persone, del concetto d’interesse generale. L'effetto è il sovrastare degli interessi particolari, delle lobby economiche, delle clientele regionali, dei singoli e del loro circondario locale.

È operazione ipocrita ed odiosa quella di mettere tutti nello stesso calderone, le lobby politiche ed economiche e chi nella disperazione cerca di avere un posto di lavoro. In questa situazione di degrado e corruzione diffusa le responsabilità non possono essere spalmate in modo uguale su tutte le classi sociali, dai più abbienti al ceto medio fino a quelli sulla soglia della povertà. Perché non dire che mentre la spesa amministrativa e sociale non si discosta dalla media europea (*) le privatizzazioni sono state vergognose svendite per foraggiare i profitti degli amici imprenditori, faccendieri, banchieri nostrani ed esteri, professionisti (in cordata)?

La corruzione ha, tra le altre, come condizione preliminare che un funzionario del capitale guadagni 100 o 2.500 volte il salario di un operaio; inoltre, la sfiducia nello Stato trova ottimi motivi laddove l’operaio e il datore di lavoro, sulla base della legge, sottoscrivono un patto che poi la Monti-Fornero rende carta straccia. Il “mercato nero e il lavoro nero”, in seguito citati da Scalfari, sono diventati istituti legali (voucher, ecc.), dando modo al padrone di fare del lavoratore ciò che vuole.

La scomparsa, nella coscienza delle persone del concetto d’interesse generale nasce dall’esempio offerto da chi predica sacrifici per gli altri senza mai rinunciare a un proprio privilegio, da chi legalmente, per esempio, può permettersi di (non) pagare le tasse dove vuole. Da chi non dedica nemmeno un rigo nel suo articolo odierno al Primo Maggio …



Scrive Scalafari: “Gli italiani non sono per natura un popolo di corrotti e di ladri, ma è la nostra storia che ha ridotto a plebe il popolo sovrano”. Le classi dominanti di questo paese, gli interessi del capitalismo feudale delle élite economiche, i gruppi bancari che volevano per sé il predominio dello Stato, hanno incardinato la storia economica e sociale di questo paese su un certo percorso, impedendo e frenato lo sviluppo di una coscienza civile e politica al passo dei maggiori paesi europei.

E non si può tacere il ruolo avuto dalla Chiesa cattolica, come quando il Vaticano si mise contro il governo Giolitti. Con l’approvazione della legge del luglio 1920, che doveva entrare in vigore nel luglio del 1921, sulla nominatività dei titoli e altre misure fiscali, Giolitti per una volta si metteva contro i gruppi industriali, finanziari e lo stesso Vaticano, il quale aveva in Italia la quasi totalità dei suoi investimenti e possedeva a preferenza titoli al portatore. Non solo. Era temutissima anche la norma fiscale sulle trasmissioni ereditarie tra persone non legate da vincoli di sangue (dunque i preti). Fu questo il motivo che «obbligò – secondo Ernesto Rossi – Giolitti a presentare le dimissioni».

Il 9 giugno 1921, poco prima di dimettersi, il governo Giolitti promulgò un decreto contenente norme per la registrazione dei titoli. Con il nuovo governo presieduto da Bonomi, tale norma fu subito sospesa, ma non abrogata. Entrambi i successori di Giolitti, Bonomi e poi Facta, non ebbero la volontà politica di rinunciare o cancellare del tutto le misure giolittiane. Nella crisi che succedette alla caduta di Giolitti e fino all’avvento del fascismo, il Vaticano si oppose ad un possibile nuovo governo presieduto da Giolitti, innanzitutto con il veto imposto al Partito popolare di aderirvi. Il costo di questo atteggiamento fu la paralisi parlamentare e, infine, la crisi istituzionale (**).

Quando si parla di declino della democrazia, di responsabilità, prima ancora di richiamarsi al solito Machiavelli, sarebbe bene dare un’occhiata ai fatti, e chiarire da dove venne “la guerra partigiana e la Resistenza”, richiamata da Scalfari quale omaggio dovuto e però retorico (dov’era lui allora?). Grattando col ditino la patina della “storia” ne viene fuori sempre l’immagine di un assetto economico che – sia pure in modo non meccanico e schematico – informa quello sociale e politico per decenni, anzi, per secoli.

(*) Nel 2004 la spesa per servizi pubblici generali è stata in Italia il 4% del Pil (3,9% quella dell’area euro); 1,4% per la difesa (pari nell’area euro); 2% per l’ordine pubblico (1,7%); 3,9% per gli affari economici (pari nell’area euro); 0,8% per l’ambiente (0,7%); 4,6% per l’educazione (5%); 26,3% per la spesa sociale – sanità, pensioni, assistenza, ecc. – (27,9%); 4,7 per interessi (3,1%). Pertanto, si ha un totale di 47,7% di spesa pubblica in Italia e il 47,6% nell’area euro ((http://www.tommasopadoaschioppa.eu/2-anni-al-mef/come-controllare-la-spesa/libro-verde-sulla-spesa-pubblica)).

Non vi sono dunque differenze sostanziali e tali da giustificare i tagli lineari alla spesa pubblica se non per la volontà di sostenere politiche economiche sfacciatamente classiste, volte a far pagare la crisi, e gli interessi sul debiti, ai soliti noti.

(**) Scrisse nel 1947 Benedetto Croce:
«L’azione della politica vaticana fu allora perniciosa per l’Italia e aprì le porte al fascismo impedendo ogni ritorno del Giolitti al potere. Su di che potrei aggiungere particolari, come d’un colloquio che l’on. Pozio, sottosegretario alla presidenza con Giolitti e a lui devotissimo, ebbe con il card. Gasparri, che rudemente respinse ogni approccio d’intesa: quel che più aveva inferocito la Chiesa era la legge giolittiana della nominatività dei titoli al portatore, nei quali molto denaro degli istituti ecclesiastici era investito».
L’Osservatore Romano del 27-28 febbraio 1922 si rallegrò perché la più lunga crisi ministeriale che si fosse mai avuta in Italia era stata finalmente conclusa con la formazione di un governo di coalizione, presieduto dall’ on. Facta, dal quale erano esclusi soltanto i socialisti. In risposta ai giornali che avevano accusato la Santa Sede di essere stata la principale responsabile della eccezionale lunghezza della crisi, col suo veto al ritorno di Giolitti al governo, il giornale del Vaticano ipocriticamente affermò che «la Santa Sede era, voleva e doveva rimanere completamente estranea alle questioni di politica italiana, sia estera che interna, come ad ogni partito di ogni colore».



7 commenti:

  1. Su Repubblica Scalfari ha recentemente scritto 'Non siamo più subalterni ai pm ora norme per accelerare i processi'.
    Sono dell'avviso che, oltre a non manipolare più opinioni e abitudini delle masse, non siamo tenuti a sopportare ancora Eugenio anche per via traslata: non è neppure il nonno parente.
    Si sa, nelle vecchiaia si ritorna bambini, nel 1942 non era stato nominato caporedattore di 'Roma Fascista' ?

    E se smettessimo di occuparci di lui?

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  2. Mi spiace di non collaborare per il 740 dell'ing.De Benedetti pur capendo che la Verità per un euro e quaranta è a buon mercato. ))

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  3. Potremmo smettere di occuparci di lui, se lui non scrivesse su un giornale in picchiata per vendite e che noi manteniamo in vita pagandolo, lui, i quotidiani e i 'rimborsi spese' pazze dei sedicenti esponenti di qualsiasi partito.....fu repubblichino, fondò Repubblica, eterogenesi dei fini.

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  4. fu repubblichino
    al contrario credo che il suo fascismo sia finito esattamente il 25 luglio del 1943 perche' non c' era nessuna opportunita' personale a militare in una causa persa come la RSI :-)

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  5. Esistono foto inequivocabili......

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  6. "È operazione ipocrita ed odiosa quella di mettere tutti nello stesso calderone, le lobby politiche ed economiche e chi nella disperazione cerca di avere un posto di lavoro. In questa situazione di degrado e corruzione diffusa le responsabilità non possono essere spalmate in modo uguale su tutte le classi sociali, dai più abbienti al ceto medio fino a quelli sulla soglia della povertà".

    Ho estrapolato questo suo brano Olympe, perchè mi ha fatto venire in mente un ricordo. Molti anni fa, quando Scalfari dirigeva Repubblica, e curava anche la posta dei lettori (come fa lei con i lettori di questo blog ora), un lettore palermitano gli disse che: per prendere la pensione minima di invalidità, aveva un po arrotondato l'effettiva malattia da lui sofferta. E Scalfari, (apriti cielo) gli rispose che aveva sbagliato, che non avrebbe dovuto permettersi, per senso dello Stato, per senso civico e bla, bla, bla. Ora all'epoca, io ero un ragazzo, ma mi ricordo la mia reazione alla reazione di Scalfari che fu: stupido coglione, prova a vivere tu in quelle condizioni di classe (semi-povertà), in cui affoga il lettore palermitano. Fu da li credo, che iniziò la mia idiosincrasia verso questo snob alto borghese.
    Cordialità.

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