Tra gli statisti e i condottieri
della storia mondiale che giovani hanno assunto il potere, Eugenio Scalfari nel
suo consueto articolo domenicale cita nell’ordine Lorenzo il Magnifico,
Napoleone e Alessandro. E fin qui nulla da dire. Sennonché a tali celebrità affianca
il nome di Matteo Renzi, il più giovane presidente del consiglio dall’Unità. Il
Renzi, infatti, ha compiuti 39 anni, come del resto Benito Mussolini (1883) quando
ricevette lo stesso incarico nel 1922. Scalfari non cita il predappiese, e dire
che il riferimento al duce – in bella vista sul vassoio del Novecento italiano –
sarebbe stato ben più cogente rispetto agli altri tre personaggi.
“Altri tempi”, s’affretta a liquidare
l’Eugenio, temendo una pernacchia corale da ogni città e borgo d’Italia e una nota
di protesta ufficiale quantomeno dall’ambasciata di Francia.
Ci sarebbe da dire, a proposito di
fiorentini, che la figura di Lorenzo gode di una buona dose di mito così come
tutta la sua casata. Suo nonno, Cosimo, che consolidò il potere della famiglia,
acclamato dopo la morte come “padre della patria”, in realtà – per dirla con
Volker Reinardth – fu piuttosto un padrino, nel significato odierno del
termine. E Lorenzo non gli fu da meno come padrino (*), oltre all’accusa
comprovata di condurre il Banco Medici ad un inesorabile declino e di fare un
uso quantomeno disinvolto del denaro pubblico (**). E molto ci sarebbe da dire
anche sul mecenatismo, vero e presunto, della celebre famiglia, e sulle sue
reali motivazioni.
Tuttavia stiamo parlando di
giganti e ogni riferimento (non voglio dire confronto) con i nani attuali è semplicemente
ridicolo. Non si tratta solo di “altri tempi”, bensì di uomini di ben altra statura,
di livello culturale e preparazione professionale di cui oggi è raro trovarne.
Noi ci dobbiamo contentare di
Renzi Matteo, il quale per ora, oltre al dato anagrafico e al suo stile
giovanilista, non mi pare abbia dato prova di alcunché di speciale nella sua quasi
ventennale carriera politica e nei numerosi incarichi amministrativi, a parte certe proposte balzane. Ma può
darsi mi sbagli, non sia al corrente, e del resto quei milioni che l’hanno
scelto quale segretario del Pd avranno avuto i loro buoni motivi (forse i suoi contendenti erano ancor più modesti e ciò basta per scegliere il meno peggio).
A proposito di Pd, partito che si
definisce ancora di centro-sinistra, qualcuno mi sa dire (facendo finta che qualcosa
di sinistra sia sopravvissuto in questo paese) quali dei ministri del nuovo
governo sarebbe di centro e quali invece di sinistra?
Il Renzi ha detto, tra l'altro: "Il mio governo è il più di sinistra degli ultimi trent'anni". Può essere che abbia qualche ragione, senza saperlo.
Il Renzi ha detto, tra l'altro: "Il mio governo è il più di sinistra degli ultimi trent'anni". Può essere che abbia qualche ragione, senza saperlo.
(*) Volker Reinhardt, I Medici, potere e affari nella Firenze del Rinascimento, Carocci; Patrizia
Salvadori, Rapporti personali, rapporti
di potere nella corrispondenza di Lorenzo dei Medici, in Lorenzo il Magnifico e il suo tempo (a
cura di G.C. Garfagnini), Olschki.
(**) Raymond de Roover, Il Banco
Medici, dalle origini al declino (1397-1494), La Nuova Italia, 1970. Un’osservazione
molto interessante di de Roover: “I
risultati della presente indagine smentiscono la tesi di Max Weber, secondo cui
lo spirito capitalistico è un prodotto della riforma calvinistica. I Medici
sono anteriori di molti decenni alla Riforma, ma negare che erano capitalisti
volti al conseguimento della ricchezza sarebbe far loro un’ingiustizia tutt’altro
che lieve”.
Com’è ben noto i Medici non furono
gli unici grandi banchieri (e quasi monopolisti del mercato dell’allume, un minerale fondamentale per l’epoca
del quale ho accennato in questo post), già nel XIV secolo troviamo i Bardi e i
Peruzzi – banchieri più potenti finanziariamente di quello che saranno poi i
Medici – e gli Acciaiuoli, poi gli Alberti, i Pazzi, i Rucellai e gli Strozzi,
solo per citarne alcuni. Ma anche Siena, nel XIII secolo, per tre quarti di
secolo fu forse il principale centro bancario d’Europa con Piacenza. Eppure il librino del Weber gode di grande considerazione, a dimostrazione che non è necessario per raggiungere la fama letteraria scrivere cose esatte e intelligenti, basta scrivere quelle gradite a certi lettori.
"Le concessioni fatte durante il capitalismo fordista del dopoguerra sono a rischio di eliminazione perché, tra le altre cose, la privatizzazione del Welfare State offre opportunità di guadagno tali da consentire il recupero della caduta del saggio di profitto"...." Come scriveva recentemente Ulrich Beck, viviamo la tragedia di trovarci in momenti rivoluzionari senza rivoluzione e senza soggetto rivoluzionario. Non c’è nulla".
RispondiEliminaQuesto, e altre considerazioni, in
http://www.asimmetrie.org/mission/uscire-dallincubo-delleuro-le-asimmetrie-delleurozona/
In realtà parliamo di aria fritta, perché che si voglia abbattere l'euro o soltanto riformare un sistema che peraltro è irriformabile, si tratta di opzioni che coi rapporti di forza attuali non sono praticabili. Trovo comunque interessante, e mi piacerebbe sapere cosa ne pensa Olympe, la questione dell'arresto, o del rallentamento, della caduta del saggio di profitto grazie anche al saccheggio del sistema pubblico.
come mi pare di aver scritto fin troppe volete (alcuni lettori del blog lamentano nausea) l'attacco al welfare, la distrazione del plusvalore nella ripartizione sociale della ricchezza prodotta a favore del capitale, è una delle principali cause antagonistiche messe in campo dal capitale.
Eliminaciao
preciso: antagonistiche alla caduta del saggio del profitto, ecc.
EliminaIn effetti - e a qualche blogger l'ho anche chiesto senza averne risposta - non ho mai capito perché fra Weber e Veblen perlopiù si scegliesse il primo, anche se (al netto forse di qualche errore metodologico), la classe descritta dal secondo ci fosse molto più familiare e riconoscibile.
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