sabato 10 maggio 2025

Freud, Mussolini e gli altri

 

I ricordi di Paula Fichtl, la cameriera di casa Freud a Vienna, in una intervista pubblicata nel 1988 da Tuttolibri e ripresa il 12 aprile da La Stampa (*).

«Molte cose si sapevano già, per esempio che Anna Freud, la vestale del tempio paterno, fosse lesbica e amica di Dorothy Burlingham. [...] Sconcerta, invece, apprendere che la povera Fichtl fosse costretta a dormire come un cane su una panca vicino al gabinetto, aggiustandoci il giaciglio la sera tardi e disfacendo la mattina presto. E questo in un appartamento che, con le sue 19 stanze [in realtà erano 16, nota mia] e una superficie di oltre 550 mq, aveva quasi le dimensioni di una reggia. I Freud dovevano avere i loro buoni motivi per raccomandare alla fedelissima governante di tenere la bocca chiusa.»

Scrive a sua volta Luciano Mecacci nel suo Merilyn M. e altri disastri della psicanalisiDorothy Burlingham «abitava lo stesso palazzo di Freud, al piano di sopra (i due appartamenti erano collegati da una linea telefonica interna). La relazione con Dorothy costituisce un aspetto fondamentale della vita di Anna, ma rappresenta anche un altro prototipo di costellazione analitica. [...] nelle parole della stessa Anna, l’amicizia con Dorothy era “il rapporto più splendido” che lei avesse mai avuto, e anche il padre ne era compiaciuto, come scrisse nel 1929: “la nostra simbiosi con la famiglia americana (senza marito), i cui figli mia figlia alleva analiticamente con mano sicura, si consolida sempre più, cosicché i nostri bisogni per l’estate sono comuni”.»

Di “costellazioni”, triangoli e di più complicati intrecci amorosi tra i più famosi analisti e le loro pazienti, il libro di Mecacci (un tempo non avrebbe avuto bisogno di presentazioni, ma oggi è un altro mondo ...) ne offre esempi a decine, tutti debitamente documentati e fantasmagorici. Con donne che, «allo stesso tempo, erano intelligenti, ricche e fedeli: qualità delle quali almeno una parte fosse necessaria per entrare nel ristretto cerchio dei due maestri [Freud e Jung].» Un mondo, dice Mecacci, «allucinato, parallelo a quello della ricerca scientifica».

Paula Fichtl non fu una semplice cameriera, ma testimone silenziosa e custode di segreti mai rivelati: “Tutta la vita ascoltando i suoi peccati senza parlarne in giro”, è la sintesi perfetta di una convivenza lunga e discreta con il padre-padrone della psicanalisi.

Quello che non c’è nell’intervista qui viene integrato: la moglie di Freud, Martha, era una donna calma, timida, ma molto precisa. Amava curare la casa con meticolosità, legava con nastri colorati la biancheria perfettamente lavata e stirata e faceva la spesa personalmente. Attenta al risparmio, conservava ogni pezzo di spago o carta, raccogliendo tutto in grandi scatole in cucina. Eppure, all’interno della famiglia, la sua voce sembrava contare poco: nessuno le dava davvero retta, nemmeno i figli.

Minna Bernays, la cognata di Freud, era una figura centrale nella vita domestica. Amata dai bambini, rispettata da tutti, viveva in una parte separata della casa ma con una porta comunicante con la camera da letto dei coniugi Freud. Un dettaglio che ha fatto discutere molti biografi. I maligni denigratori, scrive Mecacci, «nell’intento di provare una relazione tra Sigmund Freud e la cognata Minna – che avrebbe abortito il frutto di questo amore – anda[rono] a spulciare persino negli elenchi degli alberghi e nelle stazioni climatiche del Tirolo, dove i due amanti avrebbero soggiornato nel 1900.»

Si legge ancora nell’articolo riedito da La Stampa: dopo il libro di Detlev Berthelsen, raccolta delle memorie della cameriera (**), «Si è cercato di correre ai ripari, dicendo che l’anziana signora non ha più la memoria buona. Ma non è vero, perché ricorda benissimo. [...] È molto vispa e perfino ironica. Le sue cose, a quanto pare, sono state diligentemente e delicatamente setacciate da mani esperte. A parte le lettere, non ha più neppure la raccolta di francobolli regalatale da Freud».

L’intervista non rileva rivela nulla di particolarmente nuovo sul clan Freud. L’intervistatore le chiede se tra i vari pazienti erano più le donne o gli uomini. La cameriera risponde: «Diciamo che erano di più i principi e le principesse. Un povero diavolo non se lo poteva certo permettere».

Il malevolo intervistatore chiede a Paula se si meravigli ancora oggi che molti pazienti di Freud si siano suicidati. Gli domanda se può fargli un esempio particolare. La cameriera risponde: «I due figli della ricchissima Burlingham [Dorothy Trimble Tiffany].»

Chiede ancora se vi fossero più pazienti austriaci o stranieri. Paula risponde: «Stranieri, stranieri! Soprattutto americani. Ricchi, naturalmente». E a proposito dell’arrivo dei nazisti al potere, l’intervistatore afferma: «Si è scritto che Freud fu minacciato e la sua casa saccheggiata dai nazisti». Paula: «Questo non è vero. Vennero 4 o 5 persone, ma non fecero niente e non portarono via niente. Il professore fu lasciato in pace.»

L’intervistatore insiste con un certo tipo di domande: «Le risulta, per esempio, che Freud avesse simpatie per Mussolini? Ho trovato una dedica, che forse non tutti conoscono: “A Benito Mussolini con il devoto saluto di un uomo che nel detentore del potere riconosce l’eroe della cultura. Vienna, 26.IV.1933. Sigmund Freud”». Risponde Paula: «Non sapevo. Mi pare solo di aver sentito dire che Mussolini intervenne a favore del professore quando si trattò di andar via da Vienna. Ma lo fecero anche altri.»

La domanda di fondo resta sempre la stessa e riguarda la validità scientifica della psicanalisi. A tale proposito, Luciano Mecacci nella Premessa alla nuova edizione del suo citato Il caso di Marylin M., scrive:

«Il fatto che, per comprendere lo sviluppo del pensiero di Sigmund Freud o Carl Gustav Jung, di Anna Freud o Melanie Klein, non si possa prescindere dal riferimento alla loro vita personale e al loro ambiente storico-culturale, indubbiamente ne relativizza la pretesa di universalità e scientificità in senso stretto, ma non ne sminuisce il fascino. Direi però nel senso del “perturbante” di freudiana memoria: lo si avverte soprattutto quando, leggendo il resoconto di un caso clinico o la vita di qualche figura centrale della storia della psicanalisi, si rimane in sospeso, non si comprende quale sia il confine tra finzione narrativa e realtà fattuale

Mecacci dedica un intero capitolo del suo libro ai casi inventati e manipolati, che non sono pochi e marginali, a partire proprio da Freud. Quando si leggono i racconti sull’Uomo dei topi, oppure sul caso del piccolo Hans, viene spontaneo chiedersi se il mistificatore e falsario Freud non fosse uno psicotico bisognoso di cure appropriate.

(*) Paula Fichtl proveniva da una famiglia di proprietari di mulini che gestivano il cosiddetto Kirchtagsmühle a Gnigl, località vicino Salisburgo. Suo padre Felix lavorava a tempo pieno come macchinista per la Imperial and Royal State Railway e gestiva il mulino, che era stato di proprietà del nonno, solo come attività secondaria. Dopo la morte prematura della madre Maria, deceduta a causa della tubercolosi, il padre contrasse un secondo matrimonio, ma difficoltà economiche lo costrinsero ad affidare la figlia Paula alle cure della nonna acquisita. Da giovane, dopo vari lavori saltuari in negozi di alimentari e in una fattoria, trovò lavoro come cameriera nella casa della contessa Blome a Salisburgo.

All’età di 24 anni, Paula Fichtl si recò a Vienna per cercare un altro incarico in una famiglia nobile. La ragione del trasferimento fu la rottura del fidanzamento da parte di Paula. Nel 1926, Paula fu assunta come tata da Dorothy Tiffany-Burlingham, la figlia di un gioielliere di New York giunta a Vienna con i suoi quattro figli per sottoporsi a psicoanalisi con Sigmund Freud. Nel frattempo, i quattro figli di Dorothy ricevevano assistenza educativa e psicologica dalla figlia di Freud, Anna. Dorothy, che viveva in Berggasse 19, un piano sopra la famiglia Freud, aveva una relazione intima con Anna Freud. Dopo quattro anni di servizio, Dorothy contrasse la tubercolosi e licenziò Paula perché era importante evitare il contagio della tata, che all’epoca si riteneva avesse una predisposizione ereditaria. Dorothy raccomandò Paula alla famiglia Freud del piano di sotto.

Paula Fichtl ebbe un ruolo nella pratica quotidiana di Sigmund Freud. Il suo compito era aprire la porta ai clienti e accompagnarli nella sala d’attesa. Avrebbe anche dovuto assicurarsi, se possibile, che le persone che si rivolgevano a Freud per un trattamento non si incontrassero nelle sale d’attesa.

Il 4 giugno 1938 accompagnò Sigmund Freud, sua moglie Martha e la figlia Anna in esilio a Londra, a Maresfield Gardens 20.

(**) Si tratta di una lunga intervista, condotta nel corso di otto anni dalla Berthelsen a Londra: Alltag bei Familie Freud, die Erinnerungen der Paula Fichtl, trad. Vita quotidiana in casa Freud, Garzanti 1990, poi anche Ghibli 2022. 

2 commenti:

  1. Bel post, conferma molte mie idee riguardo gli psicoterapeuti.
    Pietro

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  2. Un ipotesi che sollecita la fantasia....
    Non so se sono ammessi link esterni, nel caso chiedo venia.
    https://youtube.com/watch?v=9FVeyf5kARY&feature=shared

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