È
sempre più difficile avere per fine la verità pratica, specie se questa poggia
su una legge economica che l’ignoranza e la sciatteria si pregia voler
ignorare.
*
Nel
maggio del 1968, su un muro di boulevard Port-Royal si poteva leggere una frase
che era comparsa quindici anni prima su un altro muro, posto qualche chilometro
più a nord-ovest, in rue de la Seine, dunque in Saint-Germain-des-Prés. Quelle
frasi enunciavano un’utopia: Né
travaillez jamais. Molti decenni dopo, i nipoti di coloro che tracciarono
quelle frasi sono stati accontentati.
Poco
dopo, anche sui muri italiani comparve una frase sovversiva, meno utopica ma
coerente col background cattolico del nostro paese. Essa scandiva: Lavorare meno, lavorare tutti. Figli e nipoti
del 1968 oggi preferiscono un’altra frase, che non ha ad oggetto il lavoro,
bensì il “reddito minimo garantito”.
Il
reddito minimo ha come obiettivo implicito la creazione di una grande classe di
senza lavoro ai quali viene offerto un minimo di mera sussistenza. In prospettiva, da qui a un decennio, si
tratta di 15 o 20 milioni di persone per recuperare le risorse necessarie, bisognerà
tagliare le spese inutili, gli sprechi, tassare le rendite, e naturalmente
approntare otto milioni di baionette contro l’evasione fiscale.
Politicamente
e socialmente la cosa si rivelerebbe un po’ meno potabile, ma non è il caso di sottilizzare.
Però la sportula dopo un po’ resterebbe comunque vuota (*). La mungitura si sposterebbe dalla rendita ai profitti della sfera produttiva. Che
direbbero i magnati dell’industria, le banche e i fondi pensione, se gli si
dicesse che con i loro profitti e dividendi devono mantenere una pletora di
disoccupati che consumano senza produrre, che non sono utili alla valorizzazione del
capitale, che non servono nemmeno come forza-lavoro di riserva? Sarebbe una
guerra di religione.
La
nuova fase del capitalismo (possiamo chiamarlo come vogliamo, anche digitale)
comporta trasformazioni sociali profondissime, che coinvolgono il nostro modo
di essere all’interno della società, e tuttavia in discussione non sono solo
gli aspetti soggettivi e di classe dei rapporti sociali di produzione, ma le
più cogenti determinazioni connesse allo sviluppo delle forze produttive,
laddove una massa sempre più grande di capitale costante richiede una quota di
lavoro vivo sempre più piccola.
Lo
sviluppo progressivo della produttività sociale del lavoro, conseguenza della
stessa natura della produzione capitalistica, induce la tendenza progressiva
alla diminuzione del saggio generale del profitto, nonostante dall’altro vi sia
un costante aumento della massa assoluta del plusvalore acquisito. La
diminuzione del saggio generale del profitto è un’espressione peculiare del
modo di produzione capitalistico, una necessità
logica del suo sviluppo. Per contro, il capitale complessivo aumenta
in progressione più rapida della diminuzione del saggio del profitto, e ciò dimostra il modo dialettico in cui procedono le cose, da una parte la caduta del saggio e dall'altra ciò che lo contrasta. Ecco perché il "crollo" non è immediato e definitivo, ma punteggiato da crisi sempre più ravvicinate e di lungo periodo.
Questi fatti, che ai più possono sembrare secondari e trascurabili, denotano invece implicazioni
decisive per quanto riguarda il modo di produzione capitalistico e il suo
destino storico. E, naturalmente, entro tale destino ci siamo noi. Scrive Marx
nel cap. 15° del III Libro:
“il modo di produzione capitalistico
trova, nello sviluppo delle forze produttive, un limite che ha nulla a che
vedere con la produzione della ricchezza in quanto tale; e questo particolare
limite testimonia del carattere ristretto, semplicemente storico, transitorio,
del modo di produzione capitalistico; prova che esso non costituisce affatto
l’unico modo di produzione in grado di generare ricchezza, ma, al contrario,
arrivato ad un certo punto entra in conflitto con il suo stesso ulteriore
sviluppo”.
È
su tale carattere ristretto e limite storico del modo di produzione
capitalistico che si dovrebbero misurare le idee e l’organizzazione della lotta
della sinistra (l’intervento possibile sulla storia). Questa sarebbe già una vittoria! Si stanno producendo le condizioni
materiali di una nuova società e la sinistra che fa? Scimmiotta e
punta sull’elemosina, al pasto gratis, spacciandolo per il più conseguente dei
modi di stare al mondo.
(*) Basterebbe richiamare alla memoria le vicende del III e IV secolo. L’intuizione costantiniana di affidare le plebi alla caritatevole manumissio ecclesiastica, trasformando gli schiavi in servi del Signore, fu sicuramente geniale e rivoluzionaria, e tuttavia ciò non impedì, complici eventi demografici e migratori, il crollo della civiltà antica e con essa del relativo modo di produzione.