Il
7 ottobre 1934 nasceva Ulrike Meinhof, una donna straordinaria, un’intellettuale
coraggiosa, tra i più acuti commentatori politici tedeschi degli anni Sessanta,
la quale diventerà la figura simbolo della Rote Armee Frakion. Caduta
prigioniera, dopo quattro anni d’isolamento totale, il 9 maggio 1976, dopo aver
subito torture quotidiane, fu assassinata orribilmente su mandato della
socialdemocrazia tedesca nel lager di Stammheim.
Gran
parte di ciò che è stato scritto sulla figura di questa militante rivoluzionaria,
è falso. Ulrike non era una “teorica disperata” come l’ha definita Heinrich Böll,
né un’eroina del revolver alla Bonnie, ma una persona che conosceva paure e
scrupoli. Era una donna di quasi quarant’anni, madre di due figlie, separata.
Il suo impegno politico fu determinato, dapprima, da ragioni morali. Da
studentessa, uscendo dal torpore borghese e dalla torre d’avorio degli
interessi scientifico-letterari, aderiva all’appello di 18 professori contro l’armamento
atomico della Repubblica federale.
Nel
1958, dopo l’università, si unì a un gruppo studentesco e fece lavoro d’informazione,
s’iscrisse al partito comunista (*) e svolse un ruolo importante nel gruppo che
organizzò il famoso Congresso antiatomico di Berlino del 1959. Aderì a Konkret,
un’importante e raffinata rivista di critica politica e sociale nella quale
trovò il terreno per lo sviluppo del suo talento nel trasporre riflessioni comuni
in parole appropriate, tracciando la linea di demarcazione tra le forze
progressiste e quelle reazionarie, prendendo posizione, tra l’altro, contro la
politica egemonica perseguita da Bonn in Europa (stiamo parlando di cinquant’anni
fa!). I suoi editoriali spaziano dalla giustizia d’impronta nazista agli affari
e scandali ministeriali, le leggi d’emergenza (1964!), i criminali nazisti a
piede libero, gli elementi della sinistra che venivano eliminati.
Nei
suoi scritti emergono impressionanti analogie, con uno scarto di alcuni anni,
tra il “modello Germania” e il “caso Italia”. Scopre la connessione tra i media
(l’elaborazione a tavolino delle deformazioni per servire certi interessi), la
società economica e quella borghese. Denuncia la politica di Franz Josef
Strauss, ministro della difesa, e viene denunciata per “offese”. Assolta, riscrisse: come noi chiediamo ai
nostri genitori di Hitler, un giorno i nostri figli ci chiederanno di Strauss,
Adenauer, Schröeder, Höcherl, von Hassel. Non poteva prevedere, invece, quanto
a fondo si sarebbe spinta l’azione del dominio nella sterilizzazione delle
coscienze e la cancellazione della memoria storica.
Ulrike,
già nel 1965, con tre anni d’anticipo, preconizza la Grande Coalizione, cioè l’inciucio
tra SPD, CDU e CSU. Esorterà i sindacati, gli studenti e la stampa ad opporsi
ai piani d’emergenza. Si deve al “no” dei sindacati alla legge d’emergenza, se
nel 1965 la SPD si trattenne dal capitolare di fronte al progetto di legge di
Hermann Höcherl, ministro dell’interno e già membro del partito nazista. Oltre
al fatto che le elezioni erano alle porte e la SPD dovette avere un minimo di
riguardo per i suoi elettori.
Quindi
la sporca guerra, quella del Vietnam. L’organizzazione studentesca viene
vietata dal senato di Berlino. Konkret era diventata ne frattempo una rivista
di massa che si acquistava nelle edicole e Ulrike iniziava i suoi interventi
alla radio, affrontando questioni scottanti. Molto di ciò che per lei era
importante veniva tuttavia cancellato dal testo. La democrazia totalitaria non
può lasciare che ci si spinga oltre un certo limite nella denuncia. Ulrike non
desiste e i suoi editoriali diventano sempre più taglienti. Bisognosa di
comunicazione, affabile, socievole e disposta ad allargare le sue esperienze,
trova nel movimento studentesco del 1967-68 nuovi punti di partenza e amici.
Analizza lo sfruttamento delle operaie, fa ricerche sui bambini degli asili,
sui riformatori, raccoglie materiali e annota fatti. Tutto la disgusta e non
sopporta quello che vede. Parlare di rivoluzione significa farla sul serio,
scrive nel 1968.
Dunque
non vuole rassegnarsi, ma chi dovrà fare la rivoluzione? Sopravvengono crisi
personali e conflitti materiali. Continua ancora a collaborare con Konkret, ma
si separa dal marito (editore di Konkret, un "porco corrotto che si
arrenderà alle lusinghe della CIA") e si trasferisce a Berlino Ovest, dove
il terreno è più scottante. Qui vive il fallimento del movimento studentesco,
quello delle idee vaghe che non sono un programma politico e dei progetti
campati per aria. Subentrò in lei una profonda delusione per la realtà politica
del suo paese.
Riprese
la vita quotidiana ordinaria, poi andò al processo a Francoforte contro gli
incendiari di un grande magazzino, Baader e la sua compagna Ensslin. Scrisse un
articolo per Konkret, nel novembre 1968, simpatizzando con gli imputati. Tornò
a Berlino e lavorò alla sceneggiatura di un film per la televisione che non
doveva mai essere trasmesso. Si occupò di assistenza ai minorenni, di problemi
delle scuole differenziate, scrivendo in Konkret (n. 4/’69) che non era stato
riconosciuto quasi affatto “il nesso tra l’interesse del capitale tedesco e lo
sfruttamento delle donne e dei bambini”.
Quello
che accade dopo è più o meno noto, ma lei, Ulrike, non era affatto quello che
in seguito vollero spacciare la stampa di Springer e gli altri media. Nel
Progetto di guerriglia urbana ha scritto: “alla domanda, che ci si è fatta
abbastanza spesso, se la liberazione del prigioniero [Baader] sarebbe stata
messa in atto anche quando avessimo saputo che un civile (impiegato) sarebbe
stato colpito e ferito, si può rispondere soltanto di no”.
Entrò
nella clandestinità, non solo perché – come scrisse successivamente Renate
Riemeck, madre adottiva di Ulrike – anche gli altri entrarono nella
clandestinità e perché il mandato di cattura per tentato omicidio le sbarrò la
via del ritorno. Entrò nella clandestinità – come scrisse Ulrike nella sua
ultima lettera – per scelta, “perché tra integrazione, corruzione e, infine,
strumentalizzazione per la Cia, da una parte, e lotta armata e attiva
partecipazione al processo di organizzazione dell’insurrezione contro i
rapporti capitalistici di produzione, dall’altra, non vi è più un luogo per un’opposizione politica, perché opposizione
politica e illegalità sono diventate la stessa cosa”.
Comunque
si vogliano giudicare le sue spinte in avanti, dal punto di vista storico, s’intende,
resta intatta la nostra ammirazione per una donna non comune e una combattente
irriducibile che ha pagato con la vita per le sue idee.
(*) La KDP fu messa fuori
legge dal regime di Adenauer, il santo patrono dell’Europa unita sotto l’egida
germanica, mentre il generale delle Ss Wolf, sterminatore, se ne stava libero,
così come continuano a restare impuniti i responsabili delle stragi naziste in
Italia.
ti ringrazio e m'inchino.
RispondiEliminafranco valdes piccolo proletario di provincia
Grazie.
RispondiEliminaAnche da parte mia, un semplice, ma sentitissimo grazie.
RispondiEliminaParlare di rivoluzione significa farla sul serio, scrive nel 1968.
RispondiEliminaIl '68 appunto, che da un punto di vista geopolico è sempre più sospettato di essere stata una "rivoluzione colorata" ante-litteram, datosi che è ormai evidente servi' solo ad aggregare di più , sia dal punto di vista politico che ( ben peggio ! ) culturale, l' europa occidentale al carro americano....
anch'io non ti ho dimenticata
RispondiEliminaogni volta che la strada scelta porta in posti precisi viene interrotta....
RispondiEliminaGrazie per tutta la verita' e la bellezza che traspare da questo post.
RispondiEliminaGRAZIE A TUTTI VOI NON SARA' DIMENTICATA
RispondiEliminaDa qualche giorno cerco un buon approfondimento.
RispondiElimina"Anatomia di una rivolta" di Agnese Grieco lo conosce, Olympe?
E "Disoccupate le strade dai sogni" di Alois Prinz?
Qualsiasi consiglio, al solito, è ben accetto.
Sperando che i suoi acciacchi la lascino in pace, la ringrazio e saluto.
no, mi spiace, ma non conosco. m'informerò. ciao
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