Ieri
pomeriggio, nella trasmissione Geo
della Rai, fascia oraria per i più giovani, era ospite in studio uno dei soliti
esperti sui “mali” che affliggono l’umanità, il quale poneva in rilevo che: 1)
almeno un milione di bambini italiani vive in povertà assoluta; 2) il 15 % dei
ragazzi fino ai 15 anni non è in grado di risolvere la più elementare
operazione aritmetica e il 25 % non è capace di comprendere il più semplice dei
testi scritti. Tali percentuali diventano rispettivamente del 25 e del 40 per
cento nelle famiglie povere e del 7 e 10 per cento in quelle benestanti.
La
conduttrice della trasmissione, che non fa mai, tra l’altro, mistero della sua
confessione religiosa, si è lasciata andare, in riferimento ai dati riferiti, a
tutta quella serie di frasi retoriche che hanno lo scopo di non dire
assolutamente nulla sulle cause di simili condizioni sociali. Avrebbe potuto
far riferimento alle disuguaglianze sociali, ma nemmeno questo s’è sentito
dire.
Ad
ogni modo, anche le anime belle che a ogni piè sospinto chiamano in causa le
“disuguaglianze sociali”, non fanno altro che menar il can per l’aia. Le
disuguaglianze sociali non sono la causa
della povertà e dei suoi corollari, esse sono la conseguenza di determinati rapporti sociali, dunque dei rapporti di classe, ossia dei rapporti economici tra le diverse
classi sociali. Quante volte sentiamo in televisione o leggiamo nella stampa di classi sociali,
di rapporti di sfruttamento?
Ci
raccontano che per far andare molto meglio le cose sarebbe sufficiente far
pagare effettivamente le tasse a tutti, in progressione al reddito. Bella
trovata. Anche se ciò avvenisse, le maggiori entrate erariali andrebbero a
favorire sprechi e ad ingrassare camorre, e per i poveracci, se va bene, solo
le briciole. È l’essenza stessa di questa società, del suo modo di produzione,
ad impedire che si riducano sensibilmente le disuguaglianze e il bisogno. Questo
modello di società, questo ergastolo trasparente, può sopravvivere solo nella
marcata differenziazione dello status sociale, nell’ampia disponibilità di
disperati che per sopravvivere accettano qualunque condizione di lavoro.
Il
lavoro, essendo oggetto di sfruttamento da parte di una classe, non può
attirare a sé il lavoratore né per contenuto, né per le modalità della sua
esecuzione. Chiaro dunque che la materializzazione di tale dominio reale della
classe dei proprietari sulle classi lavoratrici ha bisogno di porre in essere
degli strumenti sociali di contenimento e controllo delle contraddizioni che si
vanno man mano divaricando con il persistere e l’acutizzarsi della crisi: crisi
generale-storica del modo di produzione capitalistico. Strumenti sociali,
ideologici e politici, per dirigere, controllare e comunque sottomettere le
produzioni fondamentali della vita a scopi comuni o illusoriamente comuni, nel
mentre s’espande la miseria soggettiva, l’alienazione e la dipendenza.
Fascismo,
nazismo, neobonapartismo, democrazia, sono forme politiche di un medesimo
contenuto economico e sociale di classe, seguono il suo ciclo. Ecco perché
infine, mutati i nomi e i simboli, le “idee” e i “programmi”, la vecchia storiaccia
si ripete, ed è sempre gioco stabilire se prevale la tragedia o la farsa.
Impeccabile, come quello sotto, chapeau!
RispondiEliminaCaifa.
Le disuguaglianze sociali non sono la causa della povertà e dei suoi corollari, esse ne sono la conseguenza
RispondiEliminainfatti se un "povero " (anche intelligente) ne avesse i soldi non sarebbe socialmente diverso da un "ricco scemo" :-)
Cara Olympe,
RispondiEliminaseguo anch'io certe trasmissioni.
Il senso di "Fastidio" che ne emerge va aumentando in modo esponenziale.
Potrebbe essere una cartina di tornasole utile..
E' proprio come dici semplicemente tu : una vecchia storiaccia che si ripete !
caino
Anche le brutte storie però ,alfine, si concludono !