Scrive
il direttore del Sole 24ore che il
costo del lavoro in Italia è cresciuto negli ultimi lustri più che in paesi
come la Germania o la Francia. Non so s’è vero, ad ogni modo si tratta di oneri,
di tassazione, poiché i salari dell’industria italiana non sono paragonabili a
quelli dell’industria tedesca e nemmeno di quella francese. Sono tra i più
bassi dell’area euro. Ma questo particolare viene taciuto, poiché la malafede è
tanta e non ci si può aspettare, al riguardo, alcuna parola di verità da chi
scrive unicamente in difesa degli interessi del padronato e da questi è pagato.
La
stessa cosa dicasi per quanto riguarda la produttività del lavoro: lo
sfruttamento della forza-lavoro italiana è tra i più intensivi non solo in
Europa, ma nell’Occidente. E dunque se la produttività del lavoro, pur in
presenza di uno sfruttamento più elevato della forza-lavoro, ristagna,
evidentemente cause e motivi vanno ricercati altrove. E perciò c’è tanta
ideologia e malafede nelle dichiarazioni del nuovo presidente degli industriali
italiani: “costruire un capitalismo moderno fatto di mercato, avendo come
bussola lo scambio salari-produttività”. Tradotto, significa: aumentare ancor
di più il saggio di sfruttamento della forza-lavoro.
Da
questa gente non c’è da aspettarsi nulla, essi possono confidare altresì nella
mansuetudine dei lavoratori italiani. In Francia non è così. Verrebbe quasi da
dire che i lavoratori italiani sono in generale senza dignità. E però bisogna
tener conto di una situazione assai diversa da quella francese. I lavoratori
italiani sono stati, più ancora che in Francia, abbandonati da tutti, dai partiti
(che non esistono più) e dai sindacati, i quali sono gli unici attori
accreditati a negoziare i contratti collettivi nazionali: niente sindacati di
base, niente sciopero (il conflitto non è più ammesso, pena sanzioni [*]), di
modo che lo sfruttamento da individuale e privo di regole diventa collettivo e
regolato (vedi accordi sottoscritti del 28 giugno 2011, del 31 maggio 2013, e
del 10 gennaio 2014).
I lavoratori sono stati abbandonati anche da quel ceto intellettuale
che almeno a parole un tempo si schierava dalla parte di chi per sopravvivere
deve sfangarla davvero. A questi milioni di lavoratori rimane il mero titolo di
cittadini, nel loro insieme costituiscono ancora formalmente il popolo sovrano,
ma la realtà è ben diversa, poiché quando tutto è aleatorio e i lavoratori sono
sottoposti alla volontà incondizionata dell’impresa da cui dipende la loro
vita, allora questi lavoratori non diventano altro che oggetto di scambio,
degli schiavi dei loro padroni.
[*]
Lo sciopero è un diritto individuale, che però viene sempre esercitato in forma
collettiva: presuppone quindi l’esistenza di una organizzazione dei lavoratori che
lo dichiari. Con gli accordi sottoscritti da CGIL, CISL, UIL e Confindustria, un
sindacato è sottoposto a sanzioni economiche e sospensione di diritti
sindacali, nel caso utilizzi l’arma dello sciopero come “iniziativa di
contrasto”, ossia l’unica forma di lotta con cui i lavoratori abbiano mai
ottenuto risultati concreti. Sono state create pertanto le condizioni perché
nessuna associazione sindacale possa dichiararlo, e ciò significa nei fatti
rendere nullo il diritto di ogni singolo lavoratore.
Sempre dal nuovo pontefice massimo di confindustria:
RispondiElimina"Siamo pienamente coscienti del vincolo stringente del debito pubblico e del fatto che non è con il debito che si costruisce una crescita duratura. Tuttavia non vanno bene neanche le politiche di austerità che assomigliano ad un accanimento terapeutico”.
Prima bramano ed accolgono con applausi scroscianti incentivi, decontribuzioni e detassazioni che drogano il mercato (già tossicodipendente di per sé).
Poi pretendono pure debito in discesa e meno austerità, magari per aumentare la "propensione al consumo" degli schiavi.
Della serie: la botte piena, e la moglie ubriaca.