Questi
famosi “problemi”, innominati o falsati da tutti i prosatori di professione, in
che cosa consistono effettivamente, di preciso? Le menzogne della “democrazia”
e della “libertà” non si trovano più a funzionare nel momento storico in cui la
loro realtà è messa universalmente in discussione, nel momento in cui produrre
e consumare ha mutato paradigma di riferimento, ed allora tali menzogne sono
attaccate da un rifiuto che non è fugace o parziale, ma stabile e totale.
Il
capitalismo – per parafrasare Luigi Capeto – deve regnare o scomparire. Per
regnare, esso deve saper prevedere costantemente, e costantemente cercare di
evitare, il punto di rottura dell’equilibrio instabile che esiste fra tutto ciò
che deve imporre e infliggere a tutti, e ciò che tutti possono oggettivamente
sopportare e soggettivamente tollerare. Bel tema questo, al quale nessun
coglione, dati percentuali di infinocchiamento alla mano, può nemmeno
immaginare di rispondere, per il semplice motivo che questi ideologi da
strapazzo mai sono stati veramente coscienti che il capitalismo non solo
combatte contro una tendenza necessaria ed esplosiva, ma si è storicamente esaurito.
Abbiamo
potuto costatare a nostre spese – e quelle più onerose devono ancora venire –
che lavorare per questo mondo in mano ad un’accolta di spudorati grassatori e banditi
veri, significa semplicemente scambiare il proprio tempo di vita – che nessuna mostruosa
lusinga consumistica ci potrà restituire – con una sopravvivenza in fondo assai
miserabile, costellata di paure e di perenne precarietà. Ed è appunto questo
tipo di sopravvivenza – come mostrano le manifestazioni di protesta francesi di
queste ultime settimane – ad essere rifiutato in mille maniere e occasioni
differenti.
“Non
lavorare mai” era scritto sui muri di Parigi, oramai mezzo secolo fa, e poi in
Italia nel 1977. La controrivoluzione s’è presa la sua rivincita, tuttavia sul
tempo lungo si è trattato di un fuoco di paglia. Lo scontro sociale ritorna e
non sarà lo spauracchio terroristico impalcato ad arte a fermarlo. Ne avremo
conferma nei prossimi anni, lustri, decenni, per tutto il tempo occorrente. Il
superamento dell’economia è dappertutto all’ordine del giorno!
Dalla loro bandiera devono cancellare
questa massima conservatrice: “un salario equo per una equa giornata
lavorativa”, e iscriverci la parola d’ordine rivoluzionaria: “Abolizione del
lavoro salariato!" (Marx).
Nugoli
di pettegole mosche coprofaghe argomenteranno irridendo queste parole. Prima o
poi ci sarà chi s’incaricherà della disinfezione da questi parassiti, ai quali sarà
del tutto vano rammentare che perfino Keynes dovette convenire, nei famosi Saggi sulla moneta, che “il problema
economico non è, per chi ha lo sguardo rivolto all’avvenire, il problema permanente della specie umana”.
"Perdonami" questo commento quasi sviolinante, ma ogni tanto rimango letteralmente folgorato dalla tua capacità di sintesi e dall'incisività delle tue parole.
RispondiEliminaDetto questo, il secondo e il terzo paragrafo riescono a esprimere molto bene delle cose che mi frullavano per la testa quando ho scritto il mio commento "oracolo-profetico" di qualche giorno fa.
Insomma non sono così pessimista per l'avvenire di lugno termine, ma per il breve (quanto breve?) temo che stiano lavorando molto bene per ritardare al massimo "il punto di rottura dell’equilibrio instabile che esiste fra tutto ciò che deve imporre e infliggere a tutti, e ciò che tutti possono oggettivamente sopportare e soggettivamente tollerare."
è sufficiente considerare il fondo delle questioni. ciao
EliminaC'è qui un fondo di "ottimismo storico" che " consola" :-)
RispondiEliminaMa io non escluderei la possibilta' di un cambio di paradigma sociale tale da " stabilizzare" una situazione altrimenti esplosiva. Non ci dimentichiamo che molte società " statiche" durarono millenni e ancora sarebbero qui se non fossero state investite ( per dirla col Toynbee) da " sfide esterne".
Ma se questo modello "anglosassone" riuscisse a coprire l' intero globo ( e forse già ci siamo) chi la potrebbe " sfidare" ? Giusto un asteroide .
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RispondiEliminaFarla finita con il valore di scambio e pure con quello d'uso, chè al Capitale quello che non l'ammazza l'ingrassa
RispondiEliminaCome hai ben scritto in passato: "la crisi toglie razionalità al Capitale" ma, interpretando più cautamente le questioni che hai posto, con una iperbole il capitalismo potrebbe avere i secoli contati. Proprio in virtù della sua natura di totalità oggettivizzata, sociale e astratta, in cui non c'è una testa da tagliare, il Capitale si espone alla trasformazione radicale e al contempo la nega come immediatamente storica: lo stesso rappresentarsi la rivoluzione sociale, se non proiettata internazionalmente, appartiene al suo oscuro ventre ed in quanto tale ne ricalca le linee, mentre chiamo comunismo il processo che non alcuna radice nel maligno dominio del Capitale.
In altri termini la realtà è sempre gravida di rivoluzione ma non spicca la gemma della nuova coscienza della classe -che quando si coagulerà in maniera manifesta facilmente non si chiamerà in questo modo. Senza di essa districarsi nel continuum di questo dominio sociale totale semplicemente non riesce.
Per ora le residuali categorie della pessima eredità comunista novecentesca -riassumibili in "il socialismo in un solo paese, ovvero un capitalismo riformato e temperato dallo stato europeo"- confondono e pesano ancora sui giovani proletari.
Ma non sono certo io che posso dire quando ci si accorgerà che bisogna pensare e lottare meglio e più in grande
il quando è dato dalla rottura dell’equilibrio instabile, cosa che in tempi storici può essere più prossima di quanto si creda, anche se non domani
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