martedì 5 gennaio 2016

Quando c'era (o mancava) Pizzaballa


I meno giovani se lo ricorderanno di certo. Dal 1960 si diffuse presso i ragazzini, in genere i maschi, l’uso di collezionare e scambiarsi delle figurine (le famose Panini), ognuna delle quali ritraeva un giocatore del calcio. Di queste figurine ve n’erano di molto comuni, altre meno e alcune molto rare. Si acquistavano nelle edicole o nelle tabaccherie in bustine chiuse, e da quel momento il rapporto di scambio di quei piccoli ritratti stampati su carta dipendeva dalla rarità e ovviamente dall'abilità di contrattazione. Tuttavia tali rapporti di scambio erano grossomodo stabiliti per consuetudine e si scostavano di poco da una certa media. Invece l’introvabile figurina del portiere Pizzaballa poteva avere un rapporto di scambio con altre figurine elevatissimo o inesitabile. Ad ogni modo il valore economico di quei pezzetti di carta colorata, qualunque fosse la loro rarità, fuori da quel circuito di scambio adolescenziale era, a quel tempo, nullo.

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È facile cadere nella banalizzazione quando si trattano argomenti come quelli attinenti alla moneta, al denaro (che non è la stessa cosa della moneta) e, per quanto riguarda questo post, al capitale monetario investito in titoli. Basta rammentare i fanta-complotti all’ombra del cosiddetto signoraggio et similia, i quali venivano evocati una quarantina e più di anni fa nelle pubblicazioni, credo tra le prime a trattare l’argomento, della destra neofascista facente capo a Franco Freda. Transeat.



Le azioni societarie rappresentano capitale effettivo (duplicato cartaceo del capitale effettivo), somma monetaria che è stata anticipata dagli azionisti al fine di essere spesa come capitale in tali imprese (il che tuttavia non esclude che esse possano anche rappresentare delle semplici truffe). Questo capitale esiste sotto forma di azioni e queste non sono altro che un titolo di proprietà, pro rata (in proporzione) al profitto che verrà realizzato da questo capitale (in ultima analisi titolo di proprietà sul lavoro, diritto legale su una parte del plusvalore che dovrà essere da esso creato).

Questi titoli si trasformano in rappresentanti nominali di capitali inesistenti, poiché il capitale effettivo esiste indipendentemente da essi e non muta affatto di mano se questi duplicati cambiano di mano. Essi diventano forme di capitale produttivo d’interesse, non soltanto perché assicurano certi proventi ma anche perché con la loro vendita si può realizzarne il rimborso come valori-capitale. Tuttavia, come detto, in quanto duplicati, essi stessi negoziabili come merci e circolanti come valori-capitale, sono fittizi e il loro valore può accrescersi o diminuire con un movimento del tutto indipendente da quello del valore del capitale effettivo di cui sono titoli.

Chiaro che essendo dei duplicati, dei rappresentanti nominali di capitali, la loro quantità in circolazione e il loro prezzo non sono fissati né da alcuna regola comune e possono fluttuare anche per le più inverosimili variabili di ordine soggettivo ed emozionale.

I jobbers, gli speculatori che trafficano con questi titoli, esercitano un influsso determinante sul mercato monetario. La pletora di capitale monetario (dimostrata dalla caduta del saggio dell’interesse allo zero) esprime (anche se non necessariamente) una sovrapproduzione e indica anche una mancanza di sfere di investimento per il capitale dal momento che la funzione originaria del mercato azionario è stata completamente stravolta dall’aspetto speculativo dominante.

Inoltre, l’investitore non può richiedere al suo debitore (cioè a chi gli vende i titoli) il capitale ma può soltanto vendere il suo credito, il suo titolo di proprietà, le azioni stesse, sul mercato. Sembra nella sostanza la stessa cosa, ma è solo apparenza. Il capitale dell’investitore è stato consumato, a sua volta investito o speso. Non esiste più. Di ciò ci si accorge, appunto, quando c’è il crollo.


Il clamore con cui vengono accolte le notizie dei crolli borsistici è davvero fuori luogo poiché dovrebbe stupire proprio il contrario, ossia come il mercato di questi titoli, il cui valore è presuntivo e molto esagerato, riesca a reggere per anni prima di un crollo. E stupire ancor più per come l’economia reale è influenzata in modo decisivo da questo genere di speculazione. In altre parole, la funzione che aveva il mercato azionario in origine, largamente positiva senz’altro, non esiste quasi più, anche perché finanza, banca e grande industria sono tutt’uno.

4 commenti:

  1. Si , ma alla fine della fiera , i "beni" , corrispettivo reale dei "titoli", fittizi, nelle mani di "qualcuno" finiscono sempre.
    E' il solito "ciclo del credito" che sembra ripetersi sempre uguale , ma con l' unica differenza che il numero di questi " qualcuno" diminuisce sempre mentre cresce la relativa quota di possesso di beni reali.
    Mi pare infatti che uno studio svizzero dimostrasse gia' alcuni anni fa che una in gran parte a noi ignota rete di partecipazioni riconducesse il controllo del 70% della ricchezza mondiale a sole 50 societa'finanziarie "capofila".
    Figuriamo quindi la "concentrazione" che seguira' questa "crisi".

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    1. sì, ne scrissi già tre anni fa in questo:
      http://diciottobrumaio.blogspot.it/2012/01/la-realta-del-sistema-imperialistico.html
      e poi a volontà anche in seguito.

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  2. Cara Olympe ,
    grazie , due vere chicche i tuoi ultimi due post.
    Caino

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