Roberto Napoletano, direttore de Il Sole 24ore, nonché consueto
editorialista del Domenicale che fu
già di Riccardo Chiaberge, domenica scorsa ha dedicato il suo pezzo all’isola
dell’Asinara, all’amarezza inconsolabile della sua bellezza. Da ciò che racconta
è evidente che è rimasto sull’isola per poche ore, forse per qualche giorno,
una fortuna che non capita a tutti. In ogni senso.
Napoletano riporta ciò che
rammenta Pierpaolo Congiatu, direttore del parco dell’isola, ossia che lì
“vivevano pastori e pescatori abbandonati da tutti, ma una bella sera furono
deportati a Stintino per fare posto al lazzaretto e al carcere”. Non dice
quando ciò avvenne, ma posso precisare la data: 1884, ossia quando si decise di
fare dell’isola un luogo di detenzione. Pare non risultino discendenti di quegli esiliati forzati.
Nemmeno di quale lazzaretto si
tratti è specificato nell’articolo, e quanto al carcere ricorda “i grandi
penitenziari che hanno ospitato boss del calibro di Riina e Cutolo”. Non una
parola nell'articolo sul fatto che l’isola sia nota per essere stata il campo di detenzione di
prigionieri politici. È anche questo un modo di fare memoria storica. A mia
volta non è di ospiti relativamente recenti dell’isola che voglio dire, ma di quelli
presenti durante la Grande guerra (*).
Incomincio con alcuni dati
relativi all’isola: ha una superficie di 52 km, è a 14 miglia nautiche da porto
Torres, dunque nella parte nord occidentale della Sardegna, raggiunge la
massima lunghezza (in linea retta da punta Salippe alla settentrionale punta
dello Scorno) di 17 km e mezzo, e la massima larghezza (da punta Crabara a
punta Gian Maria Cucco) di 7 km. Possiede 110 km di coste, la quota più
elevata, citata anche nell’articolo di Napolitano, è quella di punta della
Scomunica (408 m). Prevalentemente arbustiva è dominata da venti di est e di nord-ovest,
e il suo clima è molto mite.
Dato il suo completo isolamento fu
scelta come stazione sanitaria e come colonia penale agricola. A Cala d’Oliva è
la direzione della colonia penale e residenza del personale di custodia. Lì vi
era anche la parrocchia e l’ufficio telegrafico. Da Cala d’Oliva, seguendo
verso sud una strada costiera sinuosa, si giungeva al lazzaretto o Cala Reale. Prima di giungervi, appena passata punta del
Trabuccato, s’incontrano dei fabbricati, costruiti in origine nel 1885 quali
stazioni sanitarie per il periodo di quarantena per le persone sbarcate
sull’isola. Tali caseggiati, erano stati, fino al dicembre 1915, occupati in parte da ergastolani e
dal relativo personale di custodia, altri adibiti a magazzino, altri ancora
lasciati vuoti. Seguendo la strada che passa per Cala Reale si giunge a Campo
Perdu, Stretti, Tumbarino e Fornelli.
I reclusi vi coltivavano poche
cose: alcuni vigneti, qualche campo di frumento e biada, e già era in numero
ridotto la presenza degli asinelli bianchi dagli occhi azzurri che vivevano
allo stato brado nelle alture. A quei tempi i mezzi di collegamento con la
Sardegna erano a vela, compreso il servizio postale giornaliero nella tratta
Cala Reale – Porto Torres, quando il mare lo permetteva. Ogni martedì però, a
Cala d’Oliva, giungeva il postale proveniente da Genova – Livorno – Caprera –
Maddalena – Porto Torres. E il giovedì vi faceva scalo quello proveniente da
Cagliari per Alghero. L’approdo però a Cala d’Oliva era facoltativo. Poi c’era
la navetta cisterna Dora, che
riforniva d’acqua, assai scarsa nell’isola. Insomma, una bellezza
inconsolabile, soprattutto se non a scopi turistici.
Sennonché nel 1915-’16 l’Italia si
fece carico dei prigionieri austro-ungarici, ma non di quelli provenienti dal
fronte italiano, bensì di quelli catturati dai serbi e che nella loro ritirata,
sotto l’incalzare asburgico, i soldati di re Pietro traevano con sé fin verso
l’Adriatico, cioè fino al porto di Valona, dove, raccolti e imbarcati su navi
italiane, furono poi inviati in l’Italia. I più fortunati, si dovrebbe dire,
poiché furono migliaia coloro che morirono nella marcia da Niš a Valona (Vlora).
Dove si sarebbero potuti
alloggiare, nutrire, curare e sorvegliare questi prigionieri? Non in una
qualche sperduta isola, sicuramente, viste le loro condizioni a dir poco “pietose”
e “miserande”, come ebbe a suo tempo a rilevare chi li vide imbarcare a Valona.
L’ordine di predisporre l’Asinara a ricevere i prigionieri giunse di pochi
giorni l’arrivo degli stessi sull’isola.
Il 16 dicembre, periodo ideale per
questo tipo di escursioni, su ordine del comando della legione di Cagliari,
giunse sull’isola il capitano dei carabinieri reali Curti Giardino (che non ho
conosciuto) con sedici militi, il capitano di commissariato Ulleri ed il
ragioniere del genio sig. Canessa, i quali avevano l’incarico di predisporre ai
bisogni, inizialmente, dei 5 o 6 mila prigionieri in arrivo! Alla ricezione dei
materiali necessari, diciamo così, fu inviato il giorno 14 a Porto Torres il
sottotenente Scano.
Nel pomeriggio del giorno 17,
giunsero nell’isola il ten. col. della riserva Efisio Paulis, il quale assunse
il comando del costituendo presidio, e il comm. Giuseppe Druetti, medico
provinciale di seconda classe, quale ispettore di sanità pubblica, quindi il
cav. Paolo Brigida, medico di terza classe, ed il dott. Raimondi, medico di
porto. Restava da provvedere alla sorveglianza dei prigionieri e alla sicurezza
dell’isola, e perciò un fatto sbarcare il giorno 18 la 3^ compagnia del 319°
btg. territoriale (immaginiamo costituita da quali scarti della leva), con un
tenente e tre sottotenenti.
Ma già dei prigionieri, quel
mattino stesso, erano giunti con i piroscafi Alighieri e America, in
totale 3.716 uomini di cui 635 ufficiali. Durante la traversata si erano
verificati dieci decessi. Uno dei primi problemi che si presentarono, non il
più grave però, fu quello delle lingue. Incomprensibili non solo,
immaginiamo, al dott. Efisio Paulis, ma incomprensibili anche ai prigionieri
stessi, di diverse nazionalità, per cui le traduzioni che si poterono rimediare
portarono confusione sui nomi che non di rado furono completamente cambiati.
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(*) Mi risulta, invece, che l'ing. Pierpaolo Congiatu conosca molto bene la vicenda di cui qui per sommi capi si narra.
(*) Mi risulta, invece, che l'ing. Pierpaolo Congiatu conosca molto bene la vicenda di cui qui per sommi capi si narra.
Senza forse, svp.
RispondiEliminatoh, uno che non è (ancora) in ferie
Eliminase sto bene continuo un po', solo per te
Ho sempre privilegiato la forma 'vacanze', ferie sa un pò di ferien,deutsch worterbuch, e forse l'annessione territoriale è ancora prematura. Per tutti i lettori presenti credo che sia opportuno procedere ad un appello.
EliminaE' abbastanza triste constatare che alcune (poche) bellezze
paesaggistiche si siano conservate grazie al possesso privato o perchè sedi di galere (v. Pianosa). Per molto del resto che esiste purtroppo è saccheggio e malcostume (a Nord - europa - civiltà,al Sud - sud - clima; si vede che tutto dalla vita non si può avere).
Per sua informazione c'era (c'è?) anche una stazione meteorologica dell'Aeronautica Militare.
RispondiEliminaLa leggo sempre con estremo interesse.
Saluti, Domenico
grazie per l'attenzione che mi dedica.
Eliminasì, c'è una stazione
saluti
svp.
RispondiEliminaC'est un plaisir de vous lire
Stefano
merci
Eliminaciao carissima , un racconto avvincente - continua -
RispondiEliminaciao cara, ci provo
EliminaBuongiorno,
RispondiEliminale posso chiedere come mai quando trova una inesattezza su wikipedia non la corregge?
Bastano pochi secondi e visto che è un sito usato da molte persone (anche studenti) farebbe una grande azione.
Grazie.
Andrea
buongiorno Andrea,
Eliminatempo addietro ho già spiegato il motivo che sintetizzo: in un paio di casi l'ho fatto, ma se si tratta di cose lievi, non vale la pena; varrebbe la pena di farlo per cose importanti, ma si corre il rischio che la correzione, pur suffragata da fonti primarie, non sia gradita, anche perché a volte bisognerebbe riscrivere daccapo la voce interessata, come per esempio la storia medievale di una non grande città italiana completamente frutto di fantasia e di comici fraintendimenti per quanto riguarda gli etimi latini, quando invece esistono codici del X e XI secolo – pubblicati – che raccontano tutta un’altra e curiosissima origine. Non è il caso di mettere mano alle leggende, anzi, è tanto più pericoloso quanto più esse sono sedimentate e condivise.
cordiali saluti