martedì 5 agosto 2014

Asinara / 1


Roberto Napoletano, direttore de Il Sole 24ore, nonché consueto editorialista del Domenicale che fu già di Riccardo Chiaberge, domenica scorsa ha dedicato il suo pezzo all’isola dell’Asinara, all’amarezza inconsolabile della sua bellezza. Da ciò che racconta è evidente che è rimasto sull’isola per poche ore, forse per qualche giorno, una fortuna che non capita a tutti. In ogni senso.

Napoletano riporta ciò che rammenta Pierpaolo Congiatu, direttore del parco dell’isola, ossia che lì “vivevano pastori e pescatori abbandonati da tutti, ma una bella sera furono deportati a Stintino per fare posto al lazzaretto e al carcere”. Non dice quando ciò avvenne, ma posso precisare la data: 1884, ossia quando si decise di fare dell’isola un luogo di detenzione. Pare non risultino discendenti di quegli esiliati forzati.

Nemmeno di quale lazzaretto si tratti è specificato nell’articolo, e quanto al carcere ricorda “i grandi penitenziari che hanno ospitato boss del calibro di Riina e Cutolo”. Non una parola nell'articolo sul fatto che l’isola sia nota per essere stata il campo di detenzione di prigionieri politici. È anche questo un modo di fare memoria storica. A mia volta non è di ospiti relativamente recenti dell’isola che voglio dire, ma di quelli presenti durante la Grande guerra (*).



Incomincio con alcuni dati relativi all’isola: ha una superficie di 52 km, è a 14 miglia nautiche da porto Torres, dunque nella parte nord occidentale della Sardegna, raggiunge la massima lunghezza (in linea retta da punta Salippe alla settentrionale punta dello Scorno) di 17 km e mezzo, e la massima larghezza (da punta Crabara a punta Gian Maria Cucco) di 7 km. Possiede 110 km di coste, la quota più elevata, citata anche nell’articolo di Napolitano, è quella di punta della Scomunica (408 m). Prevalentemente arbustiva è dominata da venti di est e di nord-ovest, e il suo clima è molto mite.

Dato il suo completo isolamento fu scelta come stazione sanitaria e come colonia penale agricola. A Cala d’Oliva è la direzione della colonia penale e residenza del personale di custodia. Lì vi era anche la parrocchia e l’ufficio telegrafico. Da Cala d’Oliva, seguendo verso sud una strada costiera sinuosa, si giungeva al lazzaretto o Cala Reale. Prima di giungervi, appena passata punta del Trabuccato, s’incontrano dei fabbricati, costruiti in origine nel 1885 quali stazioni sanitarie per il periodo di quarantena per le persone sbarcate sull’isola. Tali caseggiati, erano stati, fino al dicembre 1915, occupati in parte da ergastolani e dal relativo personale di custodia, altri adibiti a magazzino, altri ancora lasciati vuoti. Seguendo la strada che passa per Cala Reale si giunge a Campo Perdu, Stretti, Tumbarino e Fornelli.

I reclusi vi coltivavano poche cose: alcuni vigneti, qualche campo di frumento e biada, e già era in numero ridotto la presenza degli asinelli bianchi dagli occhi azzurri che vivevano allo stato brado nelle alture. A quei tempi i mezzi di collegamento con la Sardegna erano a vela, compreso il servizio postale giornaliero nella tratta Cala Reale – Porto Torres, quando il mare lo permetteva. Ogni martedì però, a Cala d’Oliva, giungeva il postale proveniente da Genova – Livorno – Caprera – Maddalena – Porto Torres. E il giovedì vi faceva scalo quello proveniente da Cagliari per Alghero. L’approdo però a Cala d’Oliva era facoltativo. Poi c’era la navetta cisterna Dora, che riforniva d’acqua, assai scarsa nell’isola. Insomma, una bellezza inconsolabile, soprattutto se non a scopi turistici.

Sennonché nel 1915-’16 l’Italia si fece carico dei prigionieri austro-ungarici, ma non di quelli provenienti dal fronte italiano, bensì di quelli catturati dai serbi e che nella loro ritirata, sotto l’incalzare asburgico, i soldati di re Pietro traevano con sé fin verso l’Adriatico, cioè fino al porto di Valona, dove, raccolti e imbarcati su navi italiane, furono poi inviati in l’Italia. I più fortunati, si dovrebbe dire, poiché furono migliaia coloro che morirono nella marcia da Niš a Valona (Vlora).

Dove si sarebbero potuti alloggiare, nutrire, curare e sorvegliare questi prigionieri? Non in una qualche sperduta isola, sicuramente, viste le loro condizioni a dir poco “pietose” e “miserande”, come ebbe a suo tempo a rilevare chi li vide imbarcare a Valona. L’ordine di predisporre l’Asinara a ricevere i prigionieri giunse di pochi giorni l’arrivo degli stessi sull’isola.

Il 16 dicembre, periodo ideale per questo tipo di escursioni, su ordine del comando della legione di Cagliari, giunse sull’isola il capitano dei carabinieri reali Curti Giardino (che non ho conosciuto) con sedici militi, il capitano di commissariato Ulleri ed il ragioniere del genio sig. Canessa, i quali avevano l’incarico di predisporre ai bisogni, inizialmente, dei 5 o 6 mila prigionieri in arrivo! Alla ricezione dei materiali necessari, diciamo così, fu inviato il giorno 14 a Porto Torres il sottotenente Scano.

Nel pomeriggio del giorno 17, giunsero nell’isola il ten. col. della riserva Efisio Paulis, il quale assunse il comando del costituendo presidio, e il comm. Giuseppe Druetti, medico provinciale di seconda classe, quale ispettore di sanità pubblica, quindi il cav. Paolo Brigida, medico di terza classe, ed il dott. Raimondi, medico di porto. Restava da provvedere alla sorveglianza dei prigionieri e alla sicurezza dell’isola, e perciò un fatto sbarcare il giorno 18 la 3^ compagnia del 319° btg. territoriale (immaginiamo costituita da quali scarti della leva), con un tenente e tre sottotenenti.

Ma già dei prigionieri, quel mattino stesso, erano giunti con i piroscafi Alighieri e America, in totale 3.716 uomini di cui 635 ufficiali. Durante la traversata si erano verificati dieci decessi. Uno dei primi problemi che si presentarono, non il più grave però, fu quello delle lingue. Incomprensibili non solo, immaginiamo, al dott. Efisio Paulis, ma incomprensibili anche ai prigionieri stessi, di diverse nazionalità, per cui le traduzioni che si poterono rimediare portarono confusione sui nomi che non di rado furono completamente cambiati.

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(*) Mi risulta, invece, che l'ingPierpaolo Congiatu conosca molto bene la vicenda di cui qui per sommi capi si narra.



11 commenti:

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    1. toh, uno che non è (ancora) in ferie

      se sto bene continuo un po', solo per te

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    2. Ho sempre privilegiato la forma 'vacanze', ferie sa un pò di ferien,deutsch worterbuch, e forse l'annessione territoriale è ancora prematura. Per tutti i lettori presenti credo che sia opportuno procedere ad un appello.

      E' abbastanza triste constatare che alcune (poche) bellezze
      paesaggistiche si siano conservate grazie al possesso privato o perchè sedi di galere (v. Pianosa). Per molto del resto che esiste purtroppo è saccheggio e malcostume (a Nord - europa - civiltà,al Sud - sud - clima; si vede che tutto dalla vita non si può avere).



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  2. Per sua informazione c'era (c'è?) anche una stazione meteorologica dell'Aeronautica Militare.

    La leggo sempre con estremo interesse.
    Saluti, Domenico

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    1. grazie per l'attenzione che mi dedica.
      sì, c'è una stazione
      saluti

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  3. svp.
    C'est un plaisir de vous lire

    Stefano

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  4. ciao carissima , un racconto avvincente - continua -

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  5. Buongiorno,

    le posso chiedere come mai quando trova una inesattezza su wikipedia non la corregge?
    Bastano pochi secondi e visto che è un sito usato da molte persone (anche studenti) farebbe una grande azione.

    Grazie.

    Andrea

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    1. buongiorno Andrea,
      tempo addietro ho già spiegato il motivo che sintetizzo: in un paio di casi l'ho fatto, ma se si tratta di cose lievi, non vale la pena; varrebbe la pena di farlo per cose importanti, ma si corre il rischio che la correzione, pur suffragata da fonti primarie, non sia gradita, anche perché a volte bisognerebbe riscrivere daccapo la voce interessata, come per esempio la storia medievale di una non grande città italiana completamente frutto di fantasia e di comici fraintendimenti per quanto riguarda gli etimi latini, quando invece esistono codici del X e XI secolo – pubblicati – che raccontano tutta un’altra e curiosissima origine. Non è il caso di mettere mano alle leggende, anzi, è tanto più pericoloso quanto più esse sono sedimentate e condivise.

      cordiali saluti

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