mercoledì 29 febbraio 2012

Kultura



Evinto definitivamente (si spera) che è l’essere sociale a determinare la sua coscienza e non il contrario, tale coscienza rilette una specifica modellizzazione del mondo che non può non rispecchiare attivamente una realtà oggettiva ad essa esterna e di questa farsi portato ideologico. Ecco anche perché le norme di comportamento, come quelle del linguaggio quotidiano, appaiono ai membri di una determinata cultura come “naturali”. E fin qua ci arrivano anche i “maestri di scuola di Sodowa”. Ora provo a spingermi un po’ più a fondo nella questione.

Ogni sistema culturale racchiude in sé una triplice determinazione essendo nello stesso tempo strumento di conoscenza, mezzo di comunicazione sociale e dispositivo di controllo e di direzione dei comportamenti. Ne consegue che:

1) pur essendo la cultura un sistema dinamico e relativamente autosufficiente, essa nondimeno è correlata al funzionamento del sistema sociale nel suo insieme, secondo regole e divieti;

2) tale dinamismo quale strumento vivente di specifici rapporti sociali è in ultima istanza determinato dalla contraddizione principale che caratterizza il sistema di cui è parte e ne riflette i conflitti;

3) lo scopo principale della cultura, come sistema semiotico e socio-ideologico, è anzitutto di rendere corrispondenti i comportamenti alla coscienza ideologica della classe dominante ai suoi interessi strategici di riproduzione dei rapporti sociali operanti. Ciò è vero in ogni epoca, ma tanto più nella nostra in cui il capitale è giunto allo stadio del dominio reale e totale di ogni rapporto.

Pertanto la cultura, come sistema semiotico e socio-ideologico ha sempre un carattere di classe, è la maschera di un’apparente neutralità in cui si cela “il processo di trasformazione degli uomini in macchine”, di riduzione degli individui in capitale. Del resto che altro è un salariato? Conclusione: la cultura, così come si presenta e così com’è rappresentata, esprime una pseudograndezza di una realtà storica mediocre, la giustificazione delle moderne schiavitù, delle sue limitazioni e alienazioni. Poi, ovviamente, ognuno la "gode" come può.

3 commenti:

  1. Intravedo assidue letture francofortesi...

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  2. Non lo so Olympe, in questi ragionamenti c'è sempre qualcosa che mi sfugge. Una "vocina" in testa mi gironzola per conto proprio e prende spunto dalla seguente constatazione reale. Per fartela breve, se 1+1=2 risulta essere vera, allora chi propone 1+1=3 e continua ad indottrinare la società, prima o poi fallisce. E' anche vero che la classe dominante e non solo quella dominante, anche rispetto alla crisi sistemica in atto, cercano di spostare il problema da un'altra parte facendo leva sulla comunicazione.

    Per certi versi ho toccato l'argomento anche oggi:

    http://coscienza-di-classe.blogspot.com/2012/03/il-signoraggio-certe-leggende-non.html

    E' proprio percorrendo vie sbagliate e perseverando nell'errore che i falsi profeti si smascherano al meglio. Ora, non dico che bisogna dargli filo e lasciare che entrino da soli nelle loro contraddizioni, anche perché il periodo necessario per smascherarli sarebbe proibitivo, dico soltanto che, a mio avviso, ruota tutto intorno alla conoscenza e non tanto intorno al linguaggio.

    Mi dirai, la conoscenza si inquina apposta per indottrinare i più deboli al proprio servizio. Certo, ma la verità, non era la conoscenza non inquinata?

    Questo ci riporta al punto di partenza, cosa succede quando una tesi (un modello di sviluppo in questo caso) non è vera. Chi dovrebbe spezzare il circolo vizioso, gli operai indottrinati (sprovvisti di conoscenza non inquinata, di verità) o i padroni che creano il sistema sociale per indottrinare gli operai?

    Le rivoluzioni, per non essere semplici rivolte (o addirittura reazioni), necessitano di conoscenza. In altre parole, prima di qualsiasi rivoluzione ci vuole coraggio, che per Platone (poi, un concetto ripreso anche da Schopenhauer e spiegato bene) non è altro che un insieme di conoscenze (intelligenza per Schopenhauer).

    Io penso che gli operai non sono pronti alla rivoluzione e penso anche che il dovere di ogni rivoluzionario di oggi sia quello di studiare e divulgare al meglio le proprie conoscenze in modo rigoroso e critico. Raggiunta la massa critica, la rivoluzione KULTURALE risulterà di conseguenza.

    Ne abbiamo già parlato. Vedendo come proseguono i fatti a livello europeo e non, posso constatare che le cose vanno in questa direzione: lentamente, ma si muovono (tobin tax, bilancio in pareggio, solidarietà fra i stati, unione fiscale, diritti uguali nel mondo commerciale, conflitto aperto tra rendita da capitale e lavoro...).

    Ripeto, il cammino è lentissimo, con tante buche, tante imboscate, tanti fallimenti: se fino a due anni fa parlare di profitti e di tassare i ricchi risultava un tabù, oggi non lo è più.

    saluti

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  3. Non proprio, prof, ma antiche letture: Vygotskij, Lotman, Bachtin, Pavel N. Medvedev, V.N. Volosinov, ecc.

    ero fuori moda allora, tanto MEGLIO oggi

    ciao

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