giovedì 30 marzo 2023

Tornare a contare qualcosa

 

Eccoci, tre anni dopo il covid, completamente sfiniti, con la sanità pubblica allo stremo e tutto il resto sull’orlo del precipizio. Depressi dall’orrore della guerra in Ucraina, cui nessuno intende mettere fine, dalla poca vita che ci viene imposta, dalla povertà dei sogni. Senza speranza e solo la voglia di sputare in faccia a coloro che si presentano come nostri rappresentanti politici, il cui ruolo dovrebbe essere quello di assicurarci una vita migliore, e non di ridurci sempre più alla mera e stentata sopravvivenza.

Che cosa rimane del progetto politico? Le vuote diatribe attorno a Ernest Renan, di cui si dimenticano in particolare le turpi osservazioni sulla naturale superiorità della razza bianca. Nessuno, nemmeno i fascisti avrebbero potuto immaginare che sul proscenio del discorso politico un giorno si arrivasse a tanto. E gli altri, chi di loro si prende il tempo di pensare a qualcosa di serio? Che cosa rimane dei loro discorsi, oltre alla vanità mediatica di un piccolo genere umano?

Presi nel loro ego e dai loro miserabili calcoli politici, non solo non ci ascoltano, ma si organizzano contro di noi, ci attaccano. Da decenni siamo governati da chi dovrebbe difendere l’interesse generale e invece gestisce la cosa pubblica come le società quotate in borsa. Siamo consegnati in mano a gente che sembra essere stata formata da Amazon, ed effettivamente molti di loro si sono formati presso le grandi banche internazionali. Il risultato è che il personale competente sta fuggendo dagli ospedali, dalle università, dai laboratori di ricerca, da dove non c’è prospettiva e si pagano stipendi ridicoli.

È ragionevole continuare a dar fiducia a degli infami manipolatori che hanno l’ignominia di rimproverarci di non essere democratici perché non andiamo a votare? Che nessuno voti più, che l’assenza generale di voto diventi il primo grande atto politico con cui crolla finalmente questo ignobile sistema. A cominciare dalle prossime elezioni europee, un vasto e massiccio movimento di protesta continentale che rifiuta il voto a chi tradisce il patto politico con leggi canaglia a favore dei mercati finanziari.

Decidere che non acconsentiamo più a una simile mascherata. Le elezioni non sono, come ancora molti, sempre troppi, sono portati a credere, gli unici momenti in cui ci viene riconosciuta la nostra libertà di decidere. Si può rovesciare tutto facendo uno sciopero elettorale generale. Sarebbe l’inizio di un nuovo modo di vivere politicamente e, per ognuno di noi, un risveglio, un tornare a contare qualcosa.

6 commenti:

  1. Per creare un qualsiasi movimento, di qualunque tipo, bisogna partire dai valori a cui ci si ispira e l'obbiettivo chiaro che bisogna raggiungere.
    Ad oggi il fenomeno del non-voto non è ancora movimento proprio perché non si è ragionato insieme su quale corpo e forma dargli.
    All'orizzonte non vedo questa voglia di farlo ma si potrebbe iniziare da un manifesto dei valori e chissà che sia il sassolino che genera la valanga,

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  2. Tra l’incudine e il martello:
    Delusione-disincanto-disimpegno-disinteresse-demoralizzazione-depressione-declino. Amen
    Henry Kissinger: non vedo perché dovremmo restare con le mani in mano a guardare un Paese diventare comunista a causa dell’irresponsabilità del suo popolo. La questione è troppo importante perché gli elettori cileni possano essere lasciati a decidere da soli.

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  3. Ma che singolare coincidenza, cara amica Olympe: sto rileggendo "Saggio sulla lucidità" di José Saramago...

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  4. Quello che viene proposto è il boicottaggio delle elezioni in una fase controrivoluzionaria: parola d'ordine che, se ha un senso come mozione di sentimenti sul piano dell'agitazione, è del tutto irrealistica sul piano politico. Occorre perciò evitare la confusione terminologica e concettuale, che è poi quella in cui si cade quando si ignora la differenza semantica e politica tra l’“astensione”, che è un comportamento di massa passivo e non caratterizzato, o assai poco caratterizzato, politicamente, e l’“astensionismo”, che è il rifiuto di principio verso la partecipazione alle elezioni borghesi. Quindi un rigoroso approfondimento lessicale e analitico di questi comportamenti socio-politici (astensione, astensionismo, boicottaggio e partecipazione alle elezioni, per l’appunto), nonché delle fasi storiche in cui si manifestano, sarebbe sommamente utile (cfr., come concreto esempio storico, l’atteggiamento dei bolscevichi verso la prima e la seconda Duma) e servirebbe a prevenire, oltre agli errori terminologici, gli errori politici.
    Dopodiché, sarebbe forse opportuno prendere coscienza sino in fondo del carattere irreversibile della crisi della democrazia rappresentativa borghese, resa ormai evidente dalla manomissione, esautoramento e svuotamento della Costituzione italiana del 1948. Ma vi è di più: infatti, se il sistema democratico-borghese, sul piano storico, è anacronistico in quanto risale a tre secoli fa, sul piano teorico è addirittura impossibile, come risulta sia dal paradosso di Condorcet (seconda metà del '700) sia dal teorema dell’impossibilità, che valse a Kenneth Arrow il premio Nobel per l’economia nel 1972. Oggi abbiamo una quantità e una varietà incomparabile di mezzi elettronici, cosicché il governo dovrebbe limitarsi a garantire semplicemente l’ordinaria amministrazione (ma la democrazia borghese è talmente corrotta e inefficiente che spesso non riesce neanche in questo). Al contrario, la democrazia proletaria sovietica, strumento e prodotto della rivoluzione socialista del 1917, era ben più moderna, tanto che oggi, opportunamente aggiornata, può rappresentare non solo l’unica alternativa alla reazione, alla guerra e alla regressione allo stadio barbarico, ma anche l’unico modello razionale e progressivo di un potere e di una società in cui, per dirla con Gramsci, “tutti dirigono o controllano chi dirige”.

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    1. Per quale motivo il boicottaggio delle elezioni avrebbe una valenza irrealistica sul piano politico? Lei dice perché siamo in una fase “controrivoluzionaria”. Ci siamo persi quella rivoluzionaria! Quanto alla asserita confusione terminologica e semantica, le segnalo che nel post non uso né la parola “astensione” né “astensionismo”. Dunque lei parla a vanvera di “errori terminologici” dai quali deriverebbero “errori politici”.

      Quanto alla seconda parte del suo commento, sono considerazioni sulle quali non desidero entrare nel merito.

      Le ho già detto in altre occasioni cosa penso di lei, non insista.

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