venerdì 3 febbraio 2023

La schiavitù smaterializzata

 

Sono quasi 3 miliardi le persone che possiedono uno smartphone (5 miliardi, se includiamo tutti i dispositivi mobili). In media, i bambini ricevono il loro primo laptop all’età di 12 anni. L’80 per cento degli utenti tiene il telefono a portata di mano ventidue ore al giorno. Non ho nulla contro il cellulare, una vita senza è diventata inconcepibile. Pensiamo quanto sarebbe stata peggiore sotto il comando del lockdown! Ormai è il tramite di quasi ogni scambio, senza differenze di età, reddito o razza tra i suoi utilizzatori.

Qualche differenza di “modalità” tra le generazioni più anziane e quelle più giovani c’è indubbiamente, poiché queste ultime mostrano una concezione del tempo e dello spazio radicalmente diversa e spesso conducono conversazioni intime a un volume tale da far arrossire. Ne ho sentita una l’estate scorsa su questo tono: “Sì, va bene, posso perdonare, ma se l’hai succhiato, è finita”. Non si può dire che manchino di sentimento poetico.

Le ultime generazioni, nate senza preoccupazione per il pranzo e la cena, con un cellulare per mano, sono anche quelle che non possono concepire la vita senza social network, piattaforme varie, app multiuso e “smaterializzazione” a tutto campo utilizzando server che consumano l’energia di cinque aeroporti. Per loro usare il cellulare solo per parlare è preistorico. Ci sono persone che ordinano i loro vestiti di cotone equosolidale su Amazon, danno una sola “stella” all’autista di Uber se la bottiglia di acqua minerale è tiepida, non si capacitano perché il pigro schiavo di Deliveroo impiega così tanto a recapitare l’ordine di sushi, soprattutto perché il negozio di sushi è appena a dieci chilometri di distanza dallo zerbino di casa tua.

Sì, questa è un po’ una caricatura, perché non sono proprio tutti così i giovani adulti, ma la maggioranza di loro si avvicina a questo ritratto. Per non dire dei cosiddetti influencer, un fenomeno, ammetto, di cui non mi capacito. Ma in tal caso il limite è mio, poiché, sebbene in altre forme, sono sempre esistiti (Gabriele Rapagnetta un antesignano).

Inoltre, i giovani non vogliono più lavorare. Per essere precisi, non vogliono più preoccuparsi di lavorare. Desiderano lavori che “abbiano un senso”, preferibilmente entusiasmanti e gratificanti, che diano loro tempo libero, magari con lavori esercitati a casa. Noi vecchietti non possiamo che congratularci con noi stessi per questo lodevole rifiuto dell’alienazione attraverso il lavoro e questo nobile impegno per un futuro senza capitalismo, senza inquinamento eccetera.

Giovani che non vogliono sporcarsi le mani in lavori noiosi e gravosi, il che è un auspicio legittimo (i padroni lamentano che non ci sono abbastanza figli di proletari che accettino di farli), ma vedo in ciò una leggera contraddizione per chi ha bisogno di Amazon o di un fattorino di sushi, ossia delle mani “sporche” degli altri. La società che dicono di sognare non è quella in cui vivono e desiderano vivere.

È una società forgiata e controllata da un pugno di colossi delle “nuove tecnologie”, dove ognuno, rinchiuso nella sua piccola bolla, immagina di essere uscito dalla coscia di Giove- Google e di poter ottenere tutto sul momento, come per magia e senza alcuna conseguenza né per il pianeta né per chi lo popola. La vera genialità di Zuckerberg, Bezos, Gates, Musk e altri è di essere riusciti a far credere a miliardi di persone che anche il Lumpenproletariat e la schiavitù si siano smaterializzati.

Possiamo certamente trovare incoraggiante il fatto che sempre più giovani vogliano “realizzarsi” nel loro lavoro e non si tratta di un’ambizione nuovissima. Tuttavia, con l’avvento delle nuove tecnologie e della relativa società dei “servizi” di cui tutti siamo, a vari livelli, utenti, mai così tante persone hanno fatto ricorso a dei servitori. Perché chi dice “servizi”, dice servi. Quindi, ordinare il tuo sushi o le tue mutande in due click, potresti trovarlo “pratico”, ma credere che sia anche etico ... .


8 commenti:

  1. Sei riuscito a in trattenermi fino alla fine del post!
    😁😁😁

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    1. Sarai anche tu un ggiovane, caro Anonimo. In effetti, quello di cui Olympe non parla è la crescente avversione verso la parola scritta, che provoca la selezione per classi di età nell'ambito dei social networks, e genera il successo tra i ggiovani dei SN che privilegiano immagini e (brevi) video, mentre i vecchi rimangono su Facebook.
      Patetico, al riguardo, l'esordio su TikTok di Silvio.

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    2. a questo eroe ho mandato una scatola di kleenex

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  2. Magistrale, come sempre. D'altronde - come suggerisce Luca Ricolfi - l'Italia è ormai l'emblema della società signorile di massa.

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    1. Ricolfi ha descritto benone il passato prossimo e il presente al capolinea; credo che adesso necessiti un altro sociologo, in grado di descrivere la possibile prossima società medioevale in seguito al collasso dell'impero d'occidente. Posso suggerire il sottotitolo "società signorile 'na mazza"? Sono disponibile a scrivere un manuale allegabile su come si impara a sbadilare la mer..
      Smartphoneless Morvan.

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  3. eh... Gia' il futuro e' arrivato, e non c'e ne siamo resi conto...
    Si dice in giro che qualcuno dovrebbe scrivere un nuovo "Capitale" anzi, qualche anno fa qualcuno lo ha fatto, ma nulla di nuovo solo scopiazzamenti a destra e a manca.
    Bisogna ammetterlo, ne l vecchio "Capitale" gia' c'e' tutto
    finche' esistera' lavoro salariato, in qualsiasi forma(manuale digitale online ecc ecc..) il sara' sempre un libro attuale........

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  4. Prendendo spunto dalla lettura del Libro di Byung-chul Han "Le non cose - Come abbiamo smesso di vivere il reale"

    ho buttato giù qualche riga: https://oposssum.substack.com/p/smat-world

    Trovo interessante come il digitale stia cambiando i rapporti umani in generale, silenziosamente, passo dopo passo, ogni cosa si sta smaterializzando portando via con se il suo ruolo secolare che aveva con gli uomini.

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