giovedì 19 gennaio 2023

Il Global Risks Report 2023

 

Per una volta non sarò io a recitare la parte di Cassandra. Il Global Risks Report 2023 presenta i risultati dell’ultima Global Risks Perception Survey. Leggiamo:

All’inizio del 2023, il mondo affronta una serie di rischi che sembrano completamente nuovi e stranamente familiari. Abbiamo visto un ritorno dei rischi “più vecchi” – inflazione, costo della vita crisi, guerre commerciali, deflussi di capitali dagli emergenti mercati, disordini sociali diffusi, confronto geopolitico e lo spettro della guerra nucleare – che pochi dei leader aziendali di questa generazione e i responsabili delle politiche pubbliche hanno sperimentato. Questi vengono amplificati da sviluppi relativamente nuovi nel panorama dei rischi globali: insostenibili livelli di indebitamento, una nuova era di bassa crescita, bassi investimenti e de-globalizzazione, un declino dello sviluppo umano dopo decenni di progresso, sviluppo rapido e senza limiti di tecnologie a duplice uso (civile e militare), e la crescente pressione degli impatti e delle tendenze del cambiamento climatico in una finestra sempre più ridotta per una transizione verso un mondo di 1,5°C. Insieme, questi rischi stanno convergendo per plasmare un decennio unico, incerto e turbolento [p. 6].

Tradotto: le contraddizioni accumulate dalla crisi capitalista mondiale hanno raggiunto l’equivalente della massa critica, ossia hanno raggiunto il punto in cui la dinamica della crisi è andata oltre la capacità dei governi di controllare il movimento che porta verso un cataclisma sociale.

Tutto nel Global Risks Report conferma, a suo modo, la veridicità di questa analisi, motivo per cui il documento del WEF ha ricevuto poca o nessuna copertura nei cosiddetti media mainstream.

Si tratta di una serie di crisi sempre più profonde, tra cui il continuo peggioramento delle prospettive economiche, l’intensificarsi dei conflitti e delle tensioni geopolitiche, il rapido deterioramento dell’assistenza sanitaria e gli effetti del cambiamento climatico.

Anche se alcune economie subiranno un atterraggio più morbido del previsto, la fine dell’era dei bassi tassi di interesse avrà conseguenze significative per i governi, le imprese e gli individui. Gli effetti a catena saranno avvertiti in modo più acuto dalle parti più vulnerabili della società e dagli stati già fragili, contribuendo all’aumento della povertà, della fame, delle proteste violente, dell’instabilità politica e persino del collasso dello Stato.

Quindi, a conferma di quanto scrivevo in un post dell’altro ieri:

[...] I governi continueranno ad affrontare un pericoloso equilibrio tra la protezione di un’ampia fascia di cittadini da una crisi prolungata del costo della vita senza incorporare l’inflazione e il pagamento del debito e dei costi di servizio poiché le entrate sono sotto pressione di una recessione economica, una transizione sempre più urgente verso nuovi sistemi energetici e un contesto geopolitico meno stabile.

Il rapporto avverte che i disordini sociali e l’instabilità politica non si limiteranno ai mercati emergenti, poiché le pressioni economiche colpiscono la fascia del medio reddito:

La crescente frustrazione dei cittadini per le perdite nello sviluppo umano e il declino della mobilità sociale, insieme a un crescente divario nei valori e nell’uguaglianza, stanno ponendo sfide esistenziali ai sistemi politici di tutto il mondo.

Il rallentamento globale e lo sviluppo della recessione in molte parti del mondo aumenteranno le tensioni e i conflitti geopolitici:

La guerra economica sta diventando la norma con l’aumento degli scontri tra potenze globali e l’intervento statale nei mercati nei prossimi due anni.

Le politiche economiche non saranno utilizzate solo in modo difensivo, ma “in modo sempre più offensivo per limitare l’ascesa di altri”.

Il rapporto sottolinea anche l'aumento della spesa militare in proporzione al PIL da parte degli Stati Uniti, insieme ad altri, e rileva la decisione del Giappone di raddoppiare la sua spesa militare:

L’ampia spesa per la difesa, in particolare per la ricerca e lo sviluppo, potrebbe aggravare l’insicurezza e promuovere una corsa tra potenze globali e regionali verso armamenti più avanzati.

Ciò sarà accompagnato dalla nascita di blocchi che legano insieme i paesi in termini di sicurezza, commercio, innovazione e investimenti.

Queste valutazioni spazzano via le precedenti dichiarazioni del World Economic Forum secondo cui la globalizzazione della produzione e della finanza attraverso il “libero mercato” avrebbero portato il mondo alla pace e alla prosperità.

In realtà, un tale organico sviluppo pacifico era impossibile perché il mondo è lacerato dalla contraddizione tra l’economia globale e il sistema degli stati-nazione.

Lo stato moderno, sia esso democratico o autoritario, di cui quello imperiale romano fu una prefigurazione, deve assolvere a due esigenze fondamentali: uno sviluppo economico adeguato al fine di garantirsi il consenso politico e sociale interno. L’obiettivo di adeguare lo sviluppo economico (che si traduce nelle esigenze indotte dal processo di accumulazione), e di contrastare le crisi (prodotte dalle dinamiche dello stesso processo), ha l’effetto perverso di esportare sul piano geopolitico gli antagonismi tra gli Stati.

Non la politica determina le scelte dello Stato, ma le leggi dell’accumulazione capitalistica, che plasmano la sua politica interna e internazionale. Questo modo irreversibile di essere dello Stato non è privo di rovinose conseguenze tanto dal lato della mediazione degli interessi tra le varie fazioni della borghesia, quanto da quello della simulazione della sua pretesa autonomia formale, che è la condizione del suo rappresentarsi come portatore di un determinato interesse generale.

La grande borghesia si trova ovviamente in una posizione privilegiata rispetto alle altre classi, ma tale privilegio ha tuttavia un costo, perché nella fase della crisi generale del modo di produzione capitalistico (che, come ricordo sempre, coincide paradossalmente col suo massimo trionfo) mina alla base l’edificio ideologico che fino a oggi ha sorretto gli Stati borghesi.

Ciò spiega, in gran parte, perché si siano andate progressivamente perdendo le condizioni di relativa autonomia che fino a ieri avevano caratterizzato il rapporto tra capitalismo e personale dello Stato, tanto a livello di sistema dei partiti, quanto a quello più profondo dell’apparato amministrativo. L’ineludibile dipendenza sostanziale del politico dall’economico, rivelandosi anche nella forma (lo vediamo bene nelle determinazioni della Ue e della Bce), disegna una diversa simmetria nel soddisfacimento degli interessi particolari e costruisce un dualismo aperto agli sviluppi più contraddittori.

1 commento:

  1. Vale comunque ricordare che Cassandra non era una menagramo ma una che ci aveva visto lungo.
    Pietro

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