domenica 11 dicembre 2022

A chi interessa?

 

Ieri un lettore mi ha scritto che ultimamente sono “a corto di argomenti”. Di quali argomenti dovrei trattare? Quelli che vanno per la maggiore su twitter o nei “dibattiti” televisivi?

A riguardo di un post, un altro lettore commenta: “Ma se il lavoro cessa di essere la forma di ricchezza, cosa oggi produce ricchezza??”.

Non ho scritto semplicemente che il lavoro cessa di essere il modo nel quale è prodotta la ricchezza sociale (sarebbe follia pensarlo), bensì che il lavoro “in forma immediata” sta cessando (tendenza!) di essere la grande fonte (la principale fonte!) della ricchezza.

Perfino nell’agricoltura africana il lavoro umano immediato tende a non essere più la grande fonte della ricchezza, progressivamente sostituito dalla cosiddetta information and communication technologies (ICT). Certo, ancora oggi il 65-70% della forza-lavoro in Africa sub-sahariana è impiegata nel settore agricolo, ma per l’appunto parlo di una situazione limite (l’agricoltura africana!) e di “tendenza”.

Qualche settimana fa, in un terreno agricolo non lontano da casa mia, ho potuto vedere un’enorme e complessa macchina operatrice, condotta da un solo lavoratore (ma già sono disponibili macchine totalmente autonome, già programmate e gestite da remoto), compiere in poche ore un lavoro che anche solo trent’anni fa avrebbe richiesto più macchine combinate tra loro e un relativo numero di operatori, il tutto per almeno una giornata lavorativa. Un secolo fa, per compiere lo stesso lavoro, sarebbe stato necessario impiegare manodopera molto numerosa per almeno una settimana (*).

Ecco ciò che intendo per lavoro immediato, sempre più sostituito da lavoro "morto", passato, già oggettivizzato.

In generale, non si lavora più con la pialla e la zappa, la produttività del lavoro è aumentata enormemente fino al punto, come scrivevo in quel post e in altri precedenti, che “la quota di capitale variabile tende sempre più a un ruolo residuale nel processo di valorizzazione”. Ciò avviene in tutti i settori produttivi, dall’industria all’agricoltura, nei trasporti e nell’edilizia, nel terziario in generale, eccetera.

Ecco perché è necessario chiedersi: quali conseguenze ha e sempre più avrà questo fenomeno sulle nostre vite individuali e nella società? Sul piano della domanda di forza lavoro, quindi sulla demografia, sulla sostenibilità del debito pubblico, su tutto. Siamo a un passaggio d’epoca che non ha confronti nella storia dell’umanità. A un passaggio di fase anche per il capitalismo, considerando che ciò avrà sempre più effetti dirompenti sul valore di scambio quale misura del valore d’uso.

L’intera società è stata messa a valore, nell’istante in cui accendiamo il nostro smartphone, mentre leggiamo o scriviamo un post, o stiamo ancora dormendo nel nostro letto.

Magari questi sarebbero “argomenti” di cui trattare, caro lettore di cui sopra, ma nella pigrizia intellettuale attuale (fenomeno troppo trascurato anch’esso) simili “argomenti” a chi interessano?


(*) Pensiamo solo, per rifarci a una macchina di uso domestico la cui introduzione data da quasi un secolo, alle conseguenze sul lavoro femminile e dunque sul piano sociale che ha avuto la lavatrice! 

9 commenti:

  1. Un lettore che si prende la briga di scrivere che sei a corto di argomenti deve essere a corto di cose da fare nel fine settimana.
    A me non pare che tu sia a corto di argomenti. Quello trattato qui sopra è, con ogni probabilità, l'Argomento con la A maiuscola dei prossimi anni.
    A questo proposito, mi permetto di ripetere la mia osservazione, fatta più volte. Se il capitale variabile tende a zero, e il capitale costante a 100, ossia: se non ci sono più lavoratori, non dovremmo ripensare all'applicabilità tout court della teoria del plusvalore?
    Solitamente le formule, in qualsiasi disciplina scientifica, valgono entro un certo intervallo di valori. Tanto per essere chiari: supponiamo che un impianto abbia un unico operatore per macchine del valore di 1 miliardo. Mi pare chiaro che il plusvalore estraibile da quell'unico individuo sia insufficiente a spiegare gli enormi profitti che l'imprenditore potrebbe lucrare. L'esempio è portato all'estremo, ma è per essere chiari.
    La robotizzazione e l'intelligenza artificiale ci pongono di fronte a sviluppi che non si potevano concepire nel secolo XIX. Parallelamente, anche l'uscita dalla società capitalistica, che, vivaddio, è certo più matura che nella Russia del 1917, appare sempre più lontana. E dubito che venga dalla rivoluzione.

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    1. Posto che sei un carissimo rompicoglioni (ormai il blog lo scrivo per te e pochi altri, anche per qualche insospettabile), la faccio lunga, ribadendo ciò che ho scritto in molte occasioni.

      Vado subito alla questione che tu sollevi: poiché l’unica fonte di valore, e quindi di plusvalore, è la forza-lavoro umana, la diminuzione relativa del capitale variabile implica che si giunga a un punto del processo di accumulazione in cui il plusvalore prodotto è divenuto così piccolo, relativamente al valore del capitale complessivo accumulato, che non è più sufficiente a valorizzare l’intero capitale, facendogli compiere il necessario salto di composizione organica (la tendenza del capitale alla finanziarizzazione, D-D’, quindi al superamento di D-M-D’, è un aspetto di questa contraddizione).

      Questo particolare limite testimonia del carattere ristretto, semplicemente storico, transeunte, del modo di produzione capitalistico (ci piaccia o no); prova che esso non costituisce affatto l’unico modo di produzione in grado di generare ricchezza, ma, al contrario, arrivato ad un certo punto entra in conflitto con il suo stesso ulteriore sviluppo (operano ovviamente delle contro-tendenze: concentrazione e centralizzazione del capitale, quello che Marchionne, nel suo limite teoretico ma concretamente prosaico, chiamava problema del “capitale fisso”).

      Andando nel dettaglio: occorre tener presente che la composizione organica non è una semplice composizione (rapporto) di valore tra capitale costante e variabile, ma essa presuppone ed è sostenuta da una data composizione tecnica, ovvero da un determinato livello di sviluppo tecnologico, di condizioni organizzative e di formazione della forza-lavoro. L’incremento costante della composizione tecnica rappresenta la tendenza del capitale a sviluppare produzione e produttività del lavoro.

      Il fatto che ogni composizione organica presupponga e sia sostenuta da una data composizione tecnica, comporta che non ogni quantità di profitto può trasformarsi in un aumento dell’apparato tecnico di produzione (questo è l’aspetto fondamentale!). Cosa che s’intuisce anche da sé: per l’espansione quantitativa e qualitativa della scala della produzione è necessaria, infatti, una quantità minima di capitale addizionale che, nel procedere dell’accumulazione, diventa, a causa della crescita accelerata del capitale costante (come osservi bene anche tu), sempre maggiore (vale anche qui la preoccupazione del fu Marchionne).

      L’accumulazione è costretta, quindi, ad interrompersi, non perché vi sia l’impossibilità tecnica di procedere oltre, ma perché il valore di scambio non è più in grado di “misurare” il valore d’uso: vale a dire che i rapporti capitalistici di produzione non possono più sostenere il livello raggiunto dalle forze produttive sociali.

      Stiamo parlando di tendenze, non di crolli del capitalismo, dunque di limiti storici che si manifestano nel lungo periodo. Noi, nel frattempo, seguendo l’esempio di Marchionne, diventeremo tutti “tera da piteri” (concime per i fiori).

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  2. Il futuro dell’umanità, se non estinta per possibili guerre atomiche o devastanti reazioni ambientali, sarà basato su un reddito di Sopravvivenza: beoti che consumano senza pensare.

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  3. Da appassionato di fantascienza questo post mi intriga. Il futuro sarà alla Star Trek, mentre le macchine lavorano gli umani se ne vanno ad esplorare l'universo, o alla Terminator, l'umanità e divenuta superflua. Vedremo, o meglio, vedranno.
    Pietro

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  4. Il problema si può formulare in questi termini: la tendenza a lungo termine delle più importanti relazioni della struttura del capitale (cioè composizione organica/composizione tecnica, saggio di plusvalore e saggio di profitto) corrisponde o no all’ipotesi marxiana di una composizione organica in aumento e di un saggio di profitto in diminuzione? Sennonché la risposta corretta a tale quesito non può prescindere dalla correlazione, decisiva per la teoria marxiana, tra la legge della caduta tendenziale del saggio di profitto e la teoria della crisi. E qui occorre ribadire che Marx non ha mai preteso che ci potesse essere una tendenza a lungo termine ed ininterrotta della composizione organica, anzi tutto il contrario. Infatti, poiché a lungo andare la caduta del saggio di profitto è incompatibile con la sopravvivenza del capitalismo, la crisi diventa necessaria proprio perché, con la svalorizzazione e la concentrazione del capitale, permette di riprendere il processo di accumulazione. Scrive Marx (cfr. “Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica”, trad. it., Firenze 1970, pp. 461-462): «…nelle contraddizioni, nelle crisi, nelle convulsioni acute, si esprime la crescente inadeguatezza dello sviluppo produttivo della società rispetto ai rapporti di produzione che ha avuto finora. La violenta distruzione di capitale, non per circostanze esterne ad esso, ma come condizione della sua autoconservazione, è la forma più incisiva in cui gli si notifica il suo fallimento e la necessità di far posto ad una superiore condizione di produzione sociale. …Queste contraddizioni conducono, naturalmente, a esplosioni, a cataclismi, crisi in cui una momentanea sospensione di ogni lavoro e la distruzione di gran parte di capitale, lo riportano violentemente al punto in cui esso può continuare ad andare avanti impiegando pienamente le sue capacità produttive senza suicidarsi». Concludendo, va precisato che la svalorizzazione del capitale fa calare la composizione organica senza abbassare la produttività del capitale, perché ciò che viene distrutto non è il valore d’uso delle macchine, ma il loro valore. Così, le condizioni dell’accumulazione migliorano perché la produttività, benché diminuisca la composizione organica, resta invariata o aumenta perfino, in seguito alla concentrazione del capitale. Infine, a proposito delle conseguenze epocali determinate dalla rivoluzione tecnico-scientifica e dall’applicazione dei suoi risultati ai processi produttivi, sempre nei “Lineamenti fondamentali” è dato leggere quanto segue: «Il capitale, senza averne l’intenzione, riduce a un minimo il lavoro umano, il dispendio di energia. Ciò andrà a tutto vantaggio del lavoro emancipato, ed è una condizione della sua emancipazione».

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    1. lei fa un mischione di tutto, ma non c'entra nulla con quanto ho scritto.

      un solo esempio, dove ha letto che io parli della diminuzione della composizione organica del capitale? Mi pare invece sia lei a non distinguere tra “composizione in valore” e “composizione tecnica”, riducendo la composizione organica a semplice “composizione in valore”, precludendosi qualsiasi possibilità di cogliere la contraddizione fra lo sviluppo storico-naturale delle forze produttive e la forma che esse assumono nel modo di produzione capitalistico.

      mi pare che cinque anni fa già le dissi che cosa penso di lei. perciò, la prego, non insista oltre.

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  5. Su quello che tu dici, e anche (mi perdonerai) quello che non infondatamente dice il buon Barone, ripeto quello che ho detto l'altro giorno: qualche cifra non guasterebbe. Non vorrei essere vessatorio, ma è mai possibile che nessuno, in un secolo e mezzo, si sia mai preso la briga di esprimere tutti questi concetti in valori? Euro, dollari, lire, criptovalute, franchi coloniali: qualsiasi denominazione. I numeri sono una cosa grande: servono a capire.
    Ma lasciamo stare. Sono cose complesse, come dici tu. Io stesso non sono in grado, anche se, ricevendone incarico retribuito, il filo d'Arianna potrei cercare di dipanarlo.
    Però mi permetto di richiamare l'attenzione sull'ultimissima mia frase, che continuo a considerare valida finché non sarà confutata, e che qui ripeto: Parallelamente, anche l'uscita dalla società capitalistica, che, vivaddio, è certo più matura che nella Russia del 1917, appare sempre più lontana. E dubito che venga dalla rivoluzione.
    Non è tanto il fatto che la mia carcassa sia trasformata in "tera da pitèr". Ma quante altre generazioni, secondo te, devono passare? e, soprattutto, con quale percorso?

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  6. A me - un insospettabile - interessano molto e anche a qualche altro frequentatore del blog che conosco. Bravissima. Non vorrei annoiare e sono opinioni individuali quindi opinabili per definizione, ma se qualcuno pensa di risolvere i problemi affidandosi alla tecnica è chiaramente un decerebrato ed è tecnicamente un impedito. Da questi è governato l'occidente. La prima cosa che un bravo tecnico deve imparare è il limite della complessità gestibile, un confine da non superare. Siamo già con un piede oltre il confine e stiamo andando all'attacco come nelle cariche della prima guerra mondiale (Avanti Savoia!) a gozzo schierato.
    Di solito i tecnolatri sono quelli che di tecnica sanno poco o niente e non l'hanno frequentata, chi ha sbadilato sa che non può fidarsi. Più un sistema tecnico è complesso, più diventa fragile e soggetto a improvvise fratture per concomitanza di piccoli fattori singolarmente irrilevanti.
    Ma questo forse non interessa a molti, estasiati di fronte al paese dei balocchi. Comunque, per me, l'intelligenza artificiale è un ossimoro.
    Da lettore affezionato, a volte in disaccordo, ma sempre apprezzando.
    Morvan.

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  7. Che cosa bisogna intendere per composizione organica? Marx su questo punto è molto esplicito e dà una definizione estremamente chiara del concetto in parola: egli distingue tra la composizione tecnica, che rappresenta la relazione tra i mezzi di produzione e la quantità di lavoro impiegato, e la composizione organica che rappresenta invece la relazione tra capitale variabile e capitale costante (cfr. “Il Capitale”, trad. it., Roma 1968, vol. III, pp. 184 sgg.). Bisogna poi insistere sul fatto che la composizione organica non è sempre identica alla composizione del valore e che quest’ultima è effettivamente tale nella misura in cui riflette la composizione tecnica. «Fra entrambe – scrive Marx – esiste uno stretto rapporto reciproco». Che cosa comporta questo «stretto rapporto reciproco»? Comporta, per esempio, che una trasformazione della composizione del valore, non rapportabile ad una trasformazione della composizione tecnica, non debba essere considerata come una trasformazione della composizione organica; comporta, inoltre, che una trasformazione della composizione tecnica, che non determini una trasformazione della composizione del valore, non debba essere considerata come una trasformazione della composizione organica. Facciamo un esempio: una diminuzione del valore della forza-lavoro, non accompagnata da alcuna trasformazione della composizione tecnica, cambia il rapporto del capitale variabile con il capitale costante, perché riduce il capitale variabile. Ma siccome non si verifica nessun cambiamento nel rapporto tra mezzi di produzione e quantità di lavoro, non bisogna confondere questo aumento della composizione del valore con un aumento della composizione organica. Altrimenti, ogni cambiamento del valore della forza-lavoro comporterebbe, anche in assenza di un qualsiasi cambiamento della tecnica produttiva, un cambiamento della composizione organica, benché non sia cambiato il rapporto tra lavoro vivo e lavoro morto. Bisogna invece sostenere che un aumento della composizione organica implica sempre, per una data quantità di lavoro assorbita dal capitale costante, un aumento di quest’ultimo. E’ chiaro che tutto ciò ha delle conseguenze immediate per ogni tentativo di analisi, fatto con espressioni matematiche, della caduta del saggio di profitto. E qui cade a proposito la domanda posta da Erasmo: come esprimere matematicamente la composizione organica?

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