lunedì 12 settembre 2022

Ancora il professor Zhok

 

Un amico, chiedendomi un post di risposta, mi segnala quanto sostiene il professor Andrea Zhok a riguardo dell’astensione dal voto. Vediamo dunque su quali specchi argomentativi tenta d’arrampicarsi ancora, in attesa di essere paracadutato sugli scranni di Montecitorio, il simpatico candidato:

«Ho appena visto un video, tecnicamente curato, che raccoglie con cura ed esaustività tutte le voci più autorevoli a favore dell’astensionismo e tutti gli argomenti in questa direzione. Ringrazio gli autori di questo lavoro perché permettono così di fornire una risposta sintetica, e spero definitiva, sul tema.

[...] Gli argomenti 1) e 3) dicono che per essere davvero antisistema non bisogna giocare con le carte che il sistema stesso ci fornisce, ma bisogna rifiutare completamente il gioco. Brillante.

Nella stessa ottica suggerirei di rifiutare la complicità con il sistema capitalistico non ritirando lo stipendio; di rifiutare di sostenere la globalizzazione non frequentando più negozi, ma fabbricandosi in casa tutto ciò di cui abbiamo bisogno; di rifiutare l’organizzazione statale curandoci in casa se ci spacchiamo una gamba per non dimostrare complicità col sistema recandoci ad un Pronto Soccorso, ecc. ecc.

Questo tipo di argomenti è semplice retorica spicciola. Quando sei all’interno di un sistema non puoi mai uscirne con un semplice salto di lato. Questo è materia per romanzi e film di fantascienza. Il sistema puoi solo provare a cambiarlo dall’interno, o, se esiste la possibilità, puoi fuggire in un altro sistema (se ritieni sia migliore). Tertium non datur. Le elezioni sono una delle pochissime leve rimaste in cui esiste un meccanismo di trasmissione dal basso all’alto (mentre ogni giorno dell’anno subiamo i molteplici meccanismi di trasmissione dall’alto in basso.) Rinunciarvi perché è un meccanismo ormai debole mi sembra come spararsi quando si è malati, perché alla lunga la malattia potrebbe ucciderci».

Il livello delle argomentazioni di Zhok a supporto della bontà del voto elettorale nella situazione odierna è dunque questo! Qui di seguito cerco di adeguarmi, per quanto mi riesce e rincresca.

L’antico schiavo greco o romano, se avesse avuto diritto al voto, secondo il ragionamento di Zhok, non avrebbe dovuto rinunciarvi per il semplice motivo che, per coerenza, avrebbe dovuto rinunciare anche al cibo (e alle frustrate?) che i suoi padroni gli largivano (*).

Se lo schiavo avesse avuto il diritto di voto, sarebbe risuscito ad abolire la propria condizione di schiavo? Forse sarebbe riuscito, in una congiuntura straordinariamente favorevole, a mitigare alcuni aspetti della sua cattività, e in tal senso il suo voto sarebbe stato utile a qualcosa, ma non certo a sovvertire il sistema schiavistico. Lo stesso sarebbe valso per il servo della gleba e poi in seguito per il salariato moderno.

Pertanto non sto sostenendo che in una società moderna, in determinate condizioni, votare non è mai servito a nulla. Tuttavia oggi il voto non paga: le coordinate politiche e sociali, alias i rapporti di forza tra le classi, rendono il voto non solo inutile, ma controproducente perché rafforza il sistema ed elude nell’illusione riformista una reale e possibile alternativa. Anche se non votare, come obtorto collo per l’antico schiavo, per ciò stesso non basta.

E veniamo all’odierno “meccanismo di trasmissione dal basso all’alto” citato da Zhok e che ci dovrebbe (a chi?) regalare chissà quali emancipazioni, diritti e tutele. Luciano Canfora sostiene a ragione, per una volta almeno, che l’attuale sistema è dominato da “un’oligarchia dinamica incentrata sulle grandi ricchezze ma capace di costruire il consenso e farsi legittimare elettoralmente tenendo sotto controllo i meccanismi elettorali” (La democrazia, p. 331).

Dunque, il professor Zhok, volente o nolente è parte del “meccanismo elettorale” capace di costruire il consenso a favore di un’oligarchia incentrata sul censo e sul controllo dell’economia. Il nostro candidato parlamentare, quali che siano le sue intenzioni, una volta eletto andrà a legittimare proprio quel sistema oligarchico al quale dice a parole di opporsi e che però l’ha cooptato attraverso il controllo del “meccanismo elettorale”.

In tal modo, certamente suo malgrado, Zhok si frappone oggettivamente alla possibile nascita e formazione di un’opposizione sociale per una reale alternativa al sistema. Opposizione che, per essere tale, deve manifestare in premessa il rifiuto e la lotta contro i meccanismi elettorali e le figure politiche, comunque declinate, che consento all’oligarchia di ricevere consenso e legittimazione.

Vediamo anche in altri termini: il fallimento del riformismo declinato come strategia di lungo periodo, a fronte dell’ineludibile contraddizione fondamentale che sta alla base del modo di produzione capitalistico, è ora davanti a noi nella sua versione di crisi storica.

La quantità di tutto ciò che questa società impone e infligge ha già superato la soglia oltre la quale ogni equilibrio faticosamente costruito può essere rotto solo con un’opposizione radicale e diretta, violenta se necessario. Marx ha scritto che ogni epoca si pone solo i problemi che può risolvere, e questo è vero; e oggi siamo giunti precisamente al punto in cui non è più possibile risolverne nessuno senza risolverli tutti.

La sfida che abbiamo oggi di fronte riguarda la costruzione di una vita sociale diversamente concepita e organizzata, un processo che porti a una formazione sociale nuova.

È difficile far capire qualcosa a una persona quando il suo stipendio dipende dal fatto di non capirla” (Upton Sinclair).

(*) Qui ho ovviamente riguardo per i caratteri generali del fenomeno schiavistico e non c’entra nulla la distinzione tra le diverse categorie del lavoro servile. Che dei servi possano essere adibiti a cercare i pidocchi in testa ai propri padroni oppure essere addetti alla porcilaia non c’entra nulla. Qui la schiavitù è intesa come condizione generale e dunque definita in termini di classe sociale.

6 commenti:

  1. Noto una contraddizione, là dove citi, avallandolo, Canfora, a proposito dell'oligarchia: "capace di costruire il consenso e farsi legittimare elettoralmente tenendo sotto controllo i meccanismi elettorali".
    Quindi il risultato delle elezioni viene deviato verso chi sostiene l'oligarchia. Ciò può avvenire manipolando il meccanismo stesso (brogli) o organizzando propagandisticamente il consenso. Prendendo il secondo caso, e supponendo che tutti i partiti già rappresentati siano proni all'oligarchia, è chiaro che iniziative come quelle dei nuovi partiti che si definivano "di protesta" nascono proprio in funzione antioligarchica. Nelle elezioni del 2013 e del 2018 abbiamo verificato che il voto di protesta ha un elevato potenziale, e non importa se poi sia stato tradito: quello che importa, ai fini di questa discussione, è che ben difficilmente sarà stato manipolato in sede elettorale.
    Venendo al piccolo e ciononostante eterogeneo raggruppamento elettorale cui aderisce Zhok, non credo proprio che raggiungerà il 3%, e suppongo che lo stesso Zhok ne abbia piena nozione: questo per dire che il sospetto che sia un cacciatore di poltrone, che vedo affiorare più sopra, va scacciato. E, come detto sopra, non può nemmeno sorgere il dubbio che sia stato messo lì dall'oligarchia.
    Sono d'accordo, invece, che l'alternativa al voto è la rivoluzione. Attendo fiducioso che venga il momento: occhio però a non trovare appagamento nel semplice computo degli astenuti, perché gli appagati non ergono barricate.

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    1. “Prendendo il secondo caso, e supponendo che tutti i partiti già rappresentati siano proni all'oligarchia”.

      Oh no, non è così semplice e meccanica la cosa. Canfora parla di “meccanismo”, ma in senso figurato. Che ci sia la voglia dei partiti maggiori (dapprima DC, PCI, ma anche PSI ecc., oggi PD e altri) di farsi Stato, è noto da tempo. Il “meccanismo” sociale e politico, in processo, è molto più complesso dall’essere proni all'oligarchia, e le determinanti assai più sfumate. Bisogna tener conto che vi sono forme di cooptazione molto sofisticate nella formazione semiotico-ideologica borghese a sostegno del mito democratico e liberale.

      Qualunque “opposizione” è utile perché si tratta di un’opposizione laterale, non diretta e radicale, non estranea agli apparati, che accetta e parla la stessa lingua del sistema, sia pure “criticamente”. Un’opposizione che già nei suoi principi, d’ispirazione costituzionale, si pone antitetica al sovvertimento dell’ordine costituito.

      Un partito che abbia tra i suoi principi costitutivi il sovvertimento dell’ordine borghese, non può candidarsi a fare un’opposizione interna e funzionale al sistema. Questa è la differenza sostanziale, già lo scrissi più volte. Non è solo teoria, bensì conseguenza politica concreta.

      In termini diversi ma sostanzialmente nello stesso significato, vedi la mia risposta a un commento di questo post:

      https://diciottobrumaio.blogspot.com/2022/09/propedeutica-della-messa-in-culo.html

      Quanto al caso del prof. Zhok, e con ciò rispondo anche a un rilievo di un commento a un post precedente, non va mai trascurato il fatto che l’enorme estensione della comunicazione mediatica è diventata talmente penetrante nelle sue conseguenze personali, politiche, economiche, estetiche, psicologiche, morali, etiche e sociali, da non lasciare alcuna parte intatta e nessuno che possa dirsi “vergine”.

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  2. Da tanto tempo noto che la massima preoccupazione degli ortodossi (posso usare questo termine?) è che il riformismo faccia qualcosa di buono, perché ciò potrebbe corrompere l'afflato rivoluzionario delle masse, appagate dal primo tozzo di pane gettato sotto il tavolo.
    La mia opinione è che la resa dei conti sia lontana, e non è detto che sia un male, considerato che, dando uno sguardo intorno, non vedo grandi leader rivoluzionari. Mentre si costruisce questa benedetta leadership, tanto vale rosicchiare il tozzo di pane.
    Tornando alle elezioni, naturalmente non votare è opzione rispettabile, che personalmente ho praticato in passato. La principale ragione per cui penso di votare stavolta è che, pur nutrendo sfiducia generica nei meccanismi politici, individuo un fungo clientelare di dimensioni abnormi, tanto da far sfigurare la DC. Ora, mentre con le elezioni non si cambiano certi fondamentali del sistema, senza dubbio si limita la capacità di sottogoverno dei perdenti, mentre i nuovi ci mettono del tempo a avviare la macchina, come dimostra l'esperienza pentastellata. In questo senso, la semplice alternanza è un fatto positivo.

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  3. dunque votare? non votare?

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  4. dunque votare? non votare?
    chi votare?

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