domenica 17 luglio 2022

Non ridere


Dubito siano stati in molti oggi i lettori del quotidiano di Confindustria che si sono presi la briga di leggere (e per intero) il fondo di Natalino Irti, con un titolo già di per sé impegnativo con questa calura: La storia è tramonto e nascita di ordini.

Cerco di tradurne l’essenziale del pensiero di Irti: 1) il valore da dare ai concetti di ordine/disordine dipende dalla nostra interpretazione soggettiva delle cose, per cui le cose sono sempre in un certo ordine anche se questo non dovesse soddisfare i nostri requisiti; 2) non esiste un ordine assoluto valido per sempre, ma tutto è transeunte; 3) del futuro non c’è certezza; 4) il destino dell’uomo non è starsene in panciolle, ma lottare.

Tutto qua? Se poi infarcisci il tutto citando in esteso Bergson (*), poi Hegel e von Ranke, le immancabili locuzioni latine e una frase in francese, allora puoi passare per uno che la sa più lunga dei suoi più umili lettori, oppure per un ex banchiere che se la tira un po’ troppo avendo leggiucchiato qualcosa qui e là.

La morale che traspare dal concione è presto detta: se “irrompe l’immane dolore della povertà”, se non arrivi a fine mese e devi razionare i consumi in attesa che il “mercato” e il governo te li razioni ancora di più, ebbene sappi che ciò riguarda “il destino dell’uomo”. Tuttavia il tuo “sguardo deve farsi più libero e acuto, e sorprendere le forze del sottosuolo, quelle potenze, nascoste e tacite per lungo tempo, ora risvegliantesi e pronte a costituire il nuovo ordine”, ossia a mettertelo ancora in quel posto in modalità diverse.

Quando si ha a che fare con personaggi così prosaici e pretenziosamente aulici non ci deve attendere altro.

(*) Irti scrive: «Forse la definizione di Bergson è interpretabile in ciò, che le cose sono sempre in un certo ordine, ancorché esso non soddisfi l’idea di ordine propria dell’osservatore. La storia non offrirebbe un avvicendarsi di disordine e ordine, ma una serie continua di “ordini”, ciascuno con caratteristiche e modi che ne segnano l’irripetibile identità».

Ecco un classico fraintendimento tipico delle concezioni idealistiche. Parto da Bergson: per lui il “disordine” non significa l’opposto del concetto di ordine, ma l’assenza di un determinato ordine cercato, ossia un ordine prevedibile. Per esempio la genialità e l’originalità di Beethoven, che Bergson in un suo scritto cita esplicitamente come qualcosa di raro ed eccezionale (Irti non cita questo esempio, che riporto per rendere qui più comoda la comprensione).

Tuttavia, osservo, è proprio quel disordine, fatto di rumori assordanti o di composizioni mediocri, la forma naturale necessaria in cui si realizza solo eccezionalmente e casualmente il sublime. Non si tratta di un altro ordine con caratteristiche diverse, ma proprio del grande e dispendioso disordine con cui procede la natura e in essa tutte le cose. Non è facendo sparire la casualità (il disordine) che si può comprendere l’ordine necessario e statisticamente raro.

Nell’empireo metastorico di Irti restiamo invece inchiodati alle singole, infinite e mutevoli nascite e romantici tramonti dei vari “ordini”. Non è colpa sua e di quei poveracci come lui. Essi sono un prodotto inevitabile del miserabile (culturalmente parlando, s’intende) ambiente sociale in cui si muovono.

Approdando alla storia umana concreta, considerando l’insieme del processo storico, esso segue sue leggi di sviluppo. Sappiamo per esempio che la storia non fa salti di binario, e se ciò casualmente accade, sono poi le medesime ragioni di sviluppo a rimettere “ordine” (il XX secolo è ricco d’ignorati insegnamenti, comuni anche in epoche diverse).

Spartacus, uno dei più grandi rivoltosi dell’antichità, non avrebbe mai potuto oltrepassare l’orizzonte storico che gli fu proprio, considerandolo anche come un limite psichico. Avrebbe forse potuto eliminare la schiavitù a livello locale per qualche tempo, ma non come sistema generale sul quale si basava principalmente l’economia antica.

Non è opponendosi o forzando le leggi dello sviluppo storico, bensì assecondandole, che l’umanità può, di volta in volta, raggiungere determinati scopi e obiettivi, nel caso questi fossero chiari, altrimenti le cose procedono da sé, nel disordine” della casualità, come è quasi sempre accaduto finora

Certo, quando giunge il momento di agire ognuno dovrebbe dare una mano, ma purtroppo siamo quasi tutti diventati molto fragili, ricattabili (lavoro, divano, ciotola e latrina) e non all’altezza della catastrofe (poi dicono che non offro abbastanza speranza, ahimè).

L’umanità in questi frangenti può anche arrivare ad auto-annientarsi, e in ciò è già a buon punto il nostro povero mondo che ha passato tanti secoli a perfezionarsi. Non solo perché alcuni psicolabili (che pure sono presenti nei posti chiave, si chiamino Vladimir o Estragon) decidono di mandare tutto a puttane, ma perché il sistema su cui si regge il mondo, non meglio di una colonia di formiche intrappolate nella loro stessa trappola, produce poteri folli gestiti da stralunati, un’orribile scherzo di cui siamo preda. Non c’è da ridere. 

8 commenti:

  1. Sarebbe ora di smettere di chiamare Draghi "banchiere". Banchieri erano i Medici, banchiere era Jacob Fugger, banchieri sono i Rothschild. Draghi è un impiegato pubblico più raccomandato degli altri, che ha fatto il governatore di un ente responsabile del controllo sulle banche (controllando sta gran funciazza di minchia, come dicono in Sicilia) e poi, su insistenza di Berlusconi, ha ottenuto il posto di capo della BCE. Se essere capo della BCE è essere banchieri, allora anche la Lagarde è una banchiera. E io, siccome ho l'uccello, so volare.
    La cosa più irritante è che lo chiamano banchiere per sfregio, mentre lui si inorgoglisce.

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  2. Ma l'hai letto il curriculum di Irti? Da uno così, e per di più sul giornale di Confindustria, non ti puoi aspettare un articolo sulla Terza Internazionale. Da notare però che ha scritto un libro con Massimo Cacciari :)

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  3. Vladimir ed Estragon, chicca. Sorrido, ma è vero che c'è poco da ridere.
    Pietro

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  4. https://stream24.ilsole24ore.com/video/economia/irti-un-ordine-mondiale-sta-tramontando-e-ne-sta-nascendo-altro/AEldhEdB?refresh_ce=1

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  5. La politica imperiale degliUsa degli ultimi trent'anni disegna un paesaggio diverso da quelli contemplati da Irti: dalla fine del sistema bipolare a Washington si è tenuta a cuore l'ordine interno al cuore dell'Impero (da cui la "non negoziabilità del tenore di vita americano", malgrado la propaganda ambientalista) e si fomenta continuamente il disordine all'esterno, per prevenire l'ascesa di un vero competitore. La "cintura di fuoco" fatta di guerre civili (ex-Yugoslavia, Libia, Siria), guerre per procura (Ucraina, Yemen), insurrezionalismo di gruppi di fanatici (FIS in Algeria, Boko Haram nella regione del Sahel, ISIS-ISIL nel medioriente), separatismi più o meno bellicosi (Catalogna, Tigrai, Sahara occidentale), sostegno a regimi repressivi (Egitto, Israele, Turchia) e l'abbandono a sé di Stati falliti (Somalia, Bosnia, Libano) potrebbe far pensare che a Washington (e a Londra) si tema più che la Russia una riemersione dell'Europa continentale.
    (Peppe)

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