lunedì 6 giugno 2022

Finiamola nel dire cose "facili"

Questo signore sostiene che la produttività è determinata dalla disponibilità di capitale, eccetera. Si dimentica di dirci da che cosa effettivamente è determinata la produttività: non certo e semplicemente dalla mera disponibilità di capitale e dall’organizzazione del lavoro. In prima battuta la produttività è determinata dal lavoro umano. Non esiste quantità di capitale e qualità di organizzazione che possa di per sé produrre un solo atomo di nuova ricchezza senza l’intervento del lavoro umano. Solo il lavoro vivo produce nuovo valore. Nient’altro produce sia poco e sia tanto di qualcosa di nuovo.

Se pensate che tiri in ballo una questione terminologica, di mera lana caprina, vi sbagliate. Si tratta di un’omissione di base su cui regge tutto il castello ideologico borghese. Veniamo al punto.

Il lavoro trasferisce nel prodotto il valore dei mezzi di produzione da esso consumati. D’altra parte il valore e la massa dei mezzi di produzione messi in movimento da una quantità data di lavoro crescono in proporzione del crescere della produttività del lavoro.

Dunque, anche se la stessa quantità di lavoro aggiunge ai suoi prodotti sempre e soltanto la stessa somma di nuovo valore, tuttavia il vecchio valore capitale ch’essa contemporaneamente trasferisce in essi, cresce col crescere della produttività del lavoro.

Fin qui ci siamo? Bene.

Posto un certo grado di sfruttamento della forza-lavoro, la massa del plusvalore è determinata dal numero degli operai sfruttati in un medesimo momento e questo numero corrisponde, benché in proporzione variabile, alla grandezza del capitale.

In questo modo la questione evocata da quel signore di cui sopra è posta correttamente. Per quale motivo cito il plusvalore? Per l’ovvio motivo che il processo lavorativo nel modo di produzione capitalistico è essenzialmente processo di produzione di plusvalore. Tutti gli elementi che entrano nel processo lavorativo (lavoro vivo, mezzi di lavoro, materiale di lavoro) si definiscono prioritariamente per rapporto col processo di produzione del capitale: nel modo di produzione capitalistico il processo lavorativo si presenta solo come mezzo del processo di valorizzazione.

In altri termini, nessun capitalista investe il proprio denaro per produrre “beni”, cioè per soddisfare le esigenze dei nostri consumi. Infatti, la prima determinazione di ciò che viene prodotto è quella di essere merce, cioè mezzo di valorizzazione del capitale, di cristallizzazione di valore e plusvalore. Non c’è alcuni fine filantropico in ciò.

Passiamo ora alla questione della produttività del lavoro.

Per mettere in movimento una certa quantità di capitale costante, espresso in termini materiali, ossia come mezzi di produzione, è necessaria una massa determinata di lavoro vivente. Questa massa è data tecnologicamente. Ma non è dato né il numero degli operai necessari per rendere liquida questa massa di lavoro, perché ciò cambia con il cambiare del grado di sfruttamento della forza-lavoro individuale, né è dato il prezzo di questa forza- lavoro (che è molto elastico).

L’impossibilità di continuare a aumentare le ore giornaliere di lavoro, lo sviluppo delle forze produttive portò ad accrescere l’estrazione di plusvalore relativo, tant’è che, ai giorni nostri, il plusvalore relativo è arrivato ad essere la forma principale di produzione del plusvalore.

L’estrazione di plusvalore relativo, è caratterizzata da una contraddizione che la differenzia notevolmente dal plusvalore assoluto: mentre quest’ultimo era basato sull’aumento delle ore di lavoro, il plusvalore relativo, essendo basato sulla diminuzione del lavoro necessario, tende a produrre sempre maggiori valori d’uso (produttività) e minor valore (scambio).

Questa è una delle principali contraddizioni del modo di produzione capitalistico, e fa parte dell’arcano di cui gli economisti non si capacitano quando parlano di crisi.


Tra lo zappatore e il trattorista è ovvio chi vince a man bassa la gara, ma tra due zappatori oppure tra due trattoristi, vale dire a parità di condizioni produttive (capitale, organizzazione, burocrazia, ecc.), che cosa determinerà l’eventuale (reale!) differenza di produttività dell’uno rispetto all’altro? È una domanda affascinate, lo so. 

7 commenti:

  1. è più produttivo il vaccinato, ovvio

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  2. sempre che indossi la ffp2

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  3. La voglia di lavorare dei trattoristi, è ovvio.
    Pietro

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  4. https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/06/07/salario-minimo-fissato-per-legge-una-trappola-per-i-lavoratori/6617205/

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    1. È una giungla, ma non per questo si può rinunciare a un salario minimo stabilito per legge, dipende poi come è quanto viene fissato, i meccanismi di adeguamento, ecc. Ecc.

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  5. Mi piacerebbe sapere come si calcola il valore prodotto dal lavoro vivo di molte persone, ad esempio un tenente colonnello degli alpini? Oppure un vigile urbano, pardon, agente di polizia municipale? Oppure un giornalista, un avvocato? Un ministro degli esteri? Un banchiere, un segretario generale, un sindacalista d'oggi, una guardia giurata e molti altri, tanto quanto grande è la mia ignoranza.
    Forse fanno parte del processo di valorizzazione della produzione capitalista ma di per se non producono alcun valore? Si può produrre il contrario del valore pur facendo parte del processo di valorizzazione?
    Scusa ancora Olympe per la mia inconsapevole condizione a riguardo.
    bonste

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    1. Solo il lavoro che si scambia con capitale è produttivo. Ci sono dei lavori molto utili che però non si scambiano con capitale ma con reddito e dunque non sono produttivi. I lavori che hai elencato spesso non sono né utili né produttivi.

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