giovedì 30 giugno 2022

Lasciate in pace la geografia


Si dà il caso che la contea di Arlington, una contea del Commonwealth della Virginia del Nord, sia limitrofa al Distretto di Columbia, ossia alla Città di Washington, che ha la stessa entità e personalità giuridica del Distretto, e non a caso porta il nome di Washington D.C..

La contea di Arlington e il Distretto di Columbia non sono separati dal fiume Potomac, poiché entrambe le sponde del fiume sono territorialmente parte della Città di Washington D.C..

Le comunità della regione formano la parte della Virginia dell’area metropolitana di Washington e la più ampia area metropolitana di Washington-Baltimora. La sede vera e propria del Pentagono si trova a meno di 200 metri dal fiume, confine geografico della Città di Washington, e a non più di tre chilometri dalla Casa Bianca.

Insomma, un po’ come voler eccepire che la basilica di San Pietro non si trova a Roma, bensì all’interno della città del Vaticano.


A proposito di rappresaglie

 

Gli storici statunitensi Morison e Commager, dei veri patrioti, sono stati autori della Storia degli Stati Uniti d’America, una delle più accurate e accreditate anche a livello internazionale. Questo tipo di opere non sono molto diffuse, ed è un po’ stano trattandosi della storia della più grande e importante potenza mondiale. Osservo che la Storia degli Stati Uniti non offre un quadro molto esaltante delle vicende che portarono alla nascita e alla costruzione di quella nazione.

Morison e Commager, tra l’altro, raccontano della guerra tra Washington e Londra dal 1812 al 1815. Rivelano anche il reale motivo del conflitto con queste parole:

«La guerra scoppiò non perché i navigatori volessero la libertà dei mari ma perché gli uomini della frontiera volevano la libertà di occupare nuove terre, che si sarebbero potute ottenere a spese degli Indiani e dell’impero britannico. Si rimane certo attoniti davanti all’appetito di un popolo che, non avendo ancora colonizzato i territori compresi nelle sue frontiere ed avendo appena raddoppiato la sua superficie con l’acquisto della Louisiana, agognava tuttavia di conquistare nuovi territori.» [*]

Quindi, nel dettaglio: «Nel corso dell’estate del 1814, la marina britannica fu padrona della costa atlantica. [...] una squadra navale agli oridni dell’ammiraglio Cockburn aveva condotto una guerra ingloriosa contro i pollai, le stalle e i beni mobili lungo le rive della baia di Chesapeake. [...] La campagna che ne seguì conferì scarso credito all’una delle parti e parecchio discredito all’altra. Il generale Ross, comandante delle forze di terra, ricevette l’ordine dall’ammiraglio Cochrane “di distruggere e devastare tutte le città e i distretti della costa” che sarebbe riuscito a prendere d’assalto.» [**]


Stalle e pollai? Oggi al National Maritime Museum di Greenwich è conservato un dipinto di John James Halls che ritrae il contrammiraglio Cockburn, nello sfondo il profilo della città di Washington in fiamme e dalla quale si elevano enormi colonne di fumo nero.Il 24 agosto 1814, le truppe britanniche guidate dal maggiore generale Robert Ross, accompagnate dal contrammiraglio George Cockburn, attaccarono la capitale degli Stati Uniti. Il piano per attaccare Washington era stato formulato da Cockburn, il quale predisse che “entro un breve periodo di tempo, con una forza sufficiente, avremmo potuto facilmente avere alla nostra mercé la capitale”.

Nacquero numerose leggende circa quest’azione; la più persistente narra che, dopo l’incendio, la dimora presidenziale, chiamata Presidential Mansion, sia stata dipinta di bianco per nascondere i segni del fuoco, da cui il nome successivo di Casa bianca. La residenza, così come altri edifici pubblici della capitale, quali il Campidoglio, fu quasi completamente distrutta dopo essere stata depredata.

Un ulteriore motivo per la rappresaglia britannica contro le città americane fu la “distruzione sconsiderata di proprietà private lungo le sponde nord del lago Erie” compiuta nel maggio precedente da parte delle forze americane al comando del colonnello John Campbell, tra cui il saccheggio e l’incendio di Port Dover. Molte fonti suggeriscono che l’attacco a Washington sia stato motivato anche per il saccheggio di York, nell’Alto Canada, la capitale della provincia.

Il 2 giugno, sir George Prévost, governatore generale del Nord America britannico, scrisse al vice ammiraglio, sir Alexander Cochrane, comandante in capo della Royal Navy’s North America, chiedendo una rappresaglia contro la distruzione americana delle proprietà private in violazione delle leggi di guerra. Prévost sosteneva che,

«in conseguenza della condotta vergognosa delle truppe americane nella distruzione sfrenata di proprietà private sulle sponde settentrionali del lago Erie, se la guerra con gli Stati Uniti continua, tu possa, se lo ritieni opportuno, contribuire a infliggere quella misura di ritorsione che dissuaderà il nemico dal ripetersi di simili oltraggi.»

A sua volta, il 18 luglio, Cochrane ordinava a Cockburn di «dissuadere il nemico dal ripetersi di oltraggi simili [...] Con la presente sei obbligato e indirizzato a distruggere e devastare le città e i distretti che potresti trovare attaccabili». Cochrane precisò: «Risparmierete semplicemente la vita degli abitanti disarmati degli Stati Uniti».

L’ammiraglio George Cockburn ricevette l’Ordine del Bagno dal principe reggente nel marzo 1815. Il 21 giugno 1815 fu nominato comandante della stazione del Capo di Buona Speranza e gli fu poi affidato il compito di trasportare Napoleone a Sant’Elena. Redasse un diario del viaggio pubblicato anche in italiano a cura di Alberto Dati: Gli ultimi viaggi di Napoleone, Magenes 2010.

[*] Vol. I, pag. 565.

[**] Ibidem, 583.


mercoledì 29 giugno 2022

Non possiamo accettare lezioni da Biden

 

S’è mai visto un politico statunitense, un candidato alle presidenziali, dichiararsi apertamente non credente, ossia ateo? Allora perché sorprendersi di Trump che ha salutato come l’imporsi della “volontà di Dio” la liquidazione della sentenza che per cinquant’anni aveva garantito il diritto all’interruzione volontaria della gravidanza negli Stati Uniti?

I vescovi di New York hanno detto: “Rendiamo grazie al Signore per la decisione di oggi [che] salverà innumerevoli bambini innocenti non nati”. I preti avranno una quantità maggiore di materiale da selezionare con cristiana cura.

E del resto nel sigillo ufficiale degli Stati Uniti (e nella banconota da un dollaro) c’è iscritto il motto Annuit Cœptis, tradotto dallo U.S. State Department, la U.S. Mint e lo U.S. Treasury come “Egli [Dio] ha favorito le nostre imprese” (parentesi presente nel testo originale).

Persiste nei simboli ufficiali e nel discorso pubblico (con mano sul cuore e l’altra sulla bibbia) il richiamo a Dio. Ancora una volta i Suoi brillanti rappresentanti sulla terra hanno vinto, e la peccatrice Eva ha perso di nuovo. Come solito le donne sono ostaggio di religiosi di ogni risma, islamisti ossessionati dal controllo del corpo delle donne o cattolici ed evangelisti terrorizzati dal potere che esse hanno di prendere decisioni che riguardano solo loro.

Le religioni mettono le donne in primo piano, come i fanti nelle guerre, utilizzano i loro corpi come strumenti politici per aprire la strada ad altri divieti (il divieto è prerogativa precipua del “potere”). Eterno campo di battaglia solcato dalle più oscure superstizioni e dai più cinici dogmi religiosi, le donne tornano al loro ruolo di perpetue galline ovaiole.

Si potrebbe credere che la crociata per l’abolizione dell’aborto sia una lotta di retroguardia guidata da preti e vecchi reazionari. È sorprendente (ma che cosa ormai può sorprenderci?) leggere che negli Stati Uniti è emersa negli ultimi lustri una giovane generazione molto coinvolta nella militanza contro l’interruzione volontaria della gravidanza. C’è da interrogarsi sul perché questi giovani abbiano un problema con la libertà di scelta.

Perché il diritto all’aborto è prima di tutto una libertà che si può utilizzare oppure no, e che quindi ha il merito di non essere imposta a nessuno (come del resto l’eutanasia, il divorzio, ecc.). Così giovani e già impenitenti censori. È diventato sempre più facile fare i moralizzatori o sostenere una tesi, magari ammantata di scientismo, limitando le libertà altrui. Dev’esserci dell’altro oltre che le loro posizioni apparentemente più morali.

Chi lo fa passa per un difensore della società, del suo benessere sociale ed etico, della civiltà, mentre chi si oppone alle imposizioni e ai divieti, come in questo e altri simili casi, tradisce la società che lo ha visto nascere e protetto nei “valori” più alti espressi fino ad oggi. È un confine tra i salvatori del mondo ordinato e civile e quelli che lo contestano e vogliono sopprimerlo.

C’è una ragione fondamentalmente politica, ne abbiano coscienza o no i soggetti interessati. Si potrà dire che la mia è una fissazione, ma penso che in fondo tutto questo abbia a che fare, più ancora che con la “crisi della democrazia” e simili, con il fatto che in realtà la “democrazia”, la “libertà”, la “laicità” e altri principi universalistici siano in gran parte, allo stato delle cose, delle espressioni di comodo per mascherare l’effettiva natura di quest’ordine sociale. E che dunque questa deriva, questo va-et-vient per dirla con Beckett, non è casuale.

Sul punto specifico la domanda da porsi è: quale ruolo e rilievo politico hanno le confessioni religiose negli Stati Uniti?

L’indottrinamento religioso impartito da certe “confraternite” statunitensi, di là della specifica memorizzazione di preghiere e regole, ha forse un’impronta sociologica molto diversa da quello delle madrase islamiche? È molto differente la dimensione retrograda rilevabile per esempio nel mormonismo, nei testimoni di Geova, nel cristianesimo scientista? Oppure dall’autorità religioso-patriarcale e dalle idee sessiste delle confessioni tradizionali? Tutte le religioni hanno “certe cose” in comune.

Il dichiarato attaccamento degli statunitensi alle libertà individuali può apparire sincero, ma è sempre piuttosto selettivo, procede per condizione sociale, etnia, colore di pelle e religione. Se è pacifico che non possiamo andare d’accordo con le concezioni di un Putin, è altrettanto vero che non possiamo accettare lezioni da un Trump e da un Biden.

martedì 28 giugno 2022

Che gioia saperlo

 

A latere del vertice della NATO che inizierà oggi a Madrid, ieri il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, ha affermato che l’organizzazione militare guidata dagli Stati Uniti aumenterà di sette volte le sue forze terrestri, uno schieramento di truppe che passerà da 40.000 a 300.000, oltre a innumerevoli carri armati e aerei, direttamente al confine con la Russia.

La decisione comporterà un massiccio dirottamento di risorse verso la guerra in corso della NATO con la Russia e la guerra pianificata con la Cina. Stoltenberg ha affermato che la creazione di questa massiccia forza armata è una risposta alla “nuova era di concorrenza strategica” con Russia e Cina.

Stoltenberg si è vantato che il 2022 sarà l’ottavo anno consecutivo di aumenti della spesa militare degli alleati europei e del Canada, aggiungendo che l’obiettivo della NATO del due per cento del Pil destinato alla spesa militare sarà “considerato un minimo, non un tetto”. Che gioia saperlo.

Ha definito il piano “un cambiamento fondamentale nella deterrenza e nella difesa della NATO”, abbracciando non solo la guerra con la Russia, ma “le sfide che Pechino pone alla nostra sicurezza, ai nostri interessi e ai nostri valori”. Ovviamente a migliaia di chilometri dal membro della NATO più vicino.

Lo stesso giorno, i funzionari statunitensi hanno presentato in anteprima l’ennesima massiccia spedizione di armi in Ucraina (altri 450 milioni di dollari), incluso il sistema di lanciatori terra-aria a medio e lungo raggio NASAMS con missili Raytheon AIM-120 o AIM- 9X Sidewinder.

Il New York Times ha scritto che forze statunitensi stanno operando segretamente sul terreno in Ucraina, così come le forze di diversi altri paesi della NATO, nonostante le ovvie smentite dei diretti interessati. Il quotidiano scrive che dozzine di elementi delle forze speciali provenienti da Regno Unito, Canada, Francia e Lituania stanno operando all’interno del paese.

Nonostante il massiccio coinvolgimento diretto degli Stati Uniti nella guerra le perdite ucraine stanno aumentando. La Russia ora controlla oltre il 90 per cento del Donbass e un totale di un quinto dell’intero territorio dell’Ucraina, che consta di una superficie esattamente doppia dell’Italia. Stando così la logica del conflitto a spirale, una guerra aperta tra NATO e Russia è quasi inevitabile.

La massiccia espansione delle forze militari della NATO che sarà discussa al vertice di Madrid non è diretta solo contro la Russia, ma anche contro la Cina. L’escalation della guerra per procura USA-NATO contro la Russia non è un conflitto episodico limitato all’Europa, ma di carattere globale.

Secondo Stoltenberg e il Segretario alla guerra Lloyd Austin, Mosca e Pechino stanno contestando apertamente “l’ordine internazionale basato sulle regole”. In realtà, gli Stati Uniti

stanno cercando di preservare l’ordine del secondo dopoguerra, in cui stabilivano le regole con ogni mezzo, con le sanzioni economiche, i golpe e la guerra.

Fino ad ora, non per la bontà d’animo di nessuno dei contendenti, il rischio atomico e cioè l’annientamento reciproco e la distruzione totale è stato evitato con gli accordi tra le grandi potenze. Così per l’impiego di gas tossici e delle armi batteriologiche. Anche le due atomiche sul Giappone erano da considerare l’inizio, per nulla rischioso, della guerra fredda con l’Urss, piuttosto che la fine della seconda guerra mondiale.

Oggi lo scenario è completamente cambiato. Gli Stati Uniti sono in lotta per la propria sopravvivenza quale potenza egemone. Fino a ieri la loro posizione di forza era fuori discussione, garantita dal dollaro e dalla loro forza militare e tecnologica. La Cina sta minacciando seriamente l’egemonia statunitense sul piano dell’espansione e della penetrazione economica, rendendosi sempre più autonoma tecnologicamente e resistente sul piano militare. La contesa con la Cina non può prescindere dalla neutralizzazione della Russia. Ecco perché sono disposti a giocarsi il tutto per tutto, per quanto possibile soprattutto a spese dei loro alleati.


lunedì 27 giugno 2022

Ritorno agli Anni Settanta ?

 


Alcuni gentiluomini e gentildonne hanno deciso una politica monetaria più restrittiva, ossia di alzare di volta in volta il tasso d’interesse dello zero virgola qualcosa, apparentemente quasi un niente.

Il tasso d’interesse, di cui mediamente pochi comuni mortali (e anche tra gli immortali) capiscono di che cosa realmente si tratta, governa un numero incredibile di eventi della nostra vita, non solo quella degli abitanti di Marte, che pure sono immigrati in massa tra noi.

Ieri, la Banca dei Regolamenti Internazionali, nella sua assemblea generale annuale, ha però chiesto alle banche centrali un aumento accelerato dei tassi d’interesse per impedire che l’inflazione si radichi.

Nel suo report annuale, afferma che un “modesto rallentamento” dell’economia “potrebbe non essere sufficiente” e un calo dell’inflazione “potrebbe comportare costi di produzione significativi, come dopo la grande inflazione degli anni ‘70”. Si legge che “un po’ di dolore sarà inevitabile” (Some pain, however, will be inevitabile, v. pag. xiii), ma la “priorità principale è evitare di rimanere indietro”.

In tal modo questi geni della lampada pensano di mettere un freno all’inflazione (lo chiamano “moderare la domanda”), fino al punto di provocare una recessione coi fiocchi.

Infatti, se il credito diventa più costoso, conseguentemente aumentano gli oneri finanziari delle aziende, diminuiscono i loro profitti, calano gli investimenti così come i consumi delle famiglie. Un tasso d’interesse molto più alto significa meno produzione, meno posti di lavoro e più disoccupazione.

L’aumento del tasso d’interesse significa anche un aumento del costo del debito pubblico negli anni a venire, e ciò che questo comporta in termini di spesa pubblica, che non è poca cosa sotto diversi aspetti e indovinate soprattutto quali.

Gli investitori si comportano oggi in base ai tassi d’interesse più elevati di domani, quindi diffidano dei debiti pubblici meno credibili, e ciò riguarda in particolare modo l’Italia. Ci aspettano recessione e nuovi shock del debito pubblico (il famigerato spread), quindi lancio di miracolosi salvagente europei in cambio di “riforme”.

Tutto ciò in nome della “lotta all’inflazione”, come usava dire ai miei tempi. L’inflazione, ossia l’aumento dei prezzi delle merci, non è influenzata solo da fattori ciclici, ma è essenzialmente determinata da fattori strutturali (vedi l’Italia negli anni 1970 e oggi la GB e la Francia), dai movimenti del cambio (negli anni 1970 il dollaro si deprezzava rispetto alla lira!), ma anche dalla natura stessa del processo di accumulazione capitalistico.

Quei signori della BRI, come tutti noi del resto, sanno bene che si è ricorsi alla politica fiscale e monetaria per rilanciare la crescita, indipendentemente dalle cause che ne provocano la debolezza. È sulle cause di “debolezza” che gioca a nascondino la loro falsa coscienza e proprio sull’appena citato processo di accumulazione capitalistico.

Vorrei ricordare che sotto la presidenza di Paul Volcker (1979-1987), la Fed alzò i tassi d’interesse ai massimi storici (raggiunsero circa il 20 per cento) provocando la più profonda recessione fino a quel momento dalla Grande Depressione. Oggi il rischio è anche maggiore d’allora, per la quantità immane di attività sopravvalutate e di debito pubblico e privato ai massimi storici.

I cervelloni della BRI (ma non solo loro) hanno in mente un solo “pericolo”, la famosa spirale “salari-prezzi”. Per l’ovvia ragione che la forza-lavoro, una merce venduta e acquistata come le altre, risente della variazione del prezzo delle altre merci, soprattutto di alcune. Sarà pertanto facile tra poco, anzi già ora, indicare le rivendicazioni salariali come la causa maggiore del rincaro di tutte le altre.

La merce forza-lavoro ha in sé una peculiarità che le altre non hanno, e dunque c’è un motivo, non solo ideologico ma molto prosaico, per cui essa non debba aumentare o rimanere per quanto possibile sotto il tasso d’inflazione.

Inflazione che non è altro che una delle forme specifiche principali che in date congiunture assume un sistema dominato dall’oligopolio multinazionale. Il resto sono seghe, comprese quelle sulla “mentalità inflazionistica negli agenti economici, consumatori e imprese”. Le oggettive contraddizioni del sistema ricondotte a meri fenomeni di natura soggettiva proprio da chi ci fa lezione ogni giorno sullo scarto tra aspettative soggettive e realtà oggettiva? Quarant’anni dopo mi aspettavo qualcosa di più originale.

[...]

 

Ci siamo guardati e ci siamo detti la stessa cosa: “Hai notato che, senza farci caso, sono trascorsi dieci giorni senza accendere quell’irrinunciabile strumento di oppressione esistenziale, di certificazione della “verità”, che sfrutta l’emotività delle persone?”. Per dieci giorni abbiamo vissuto nel nostro tempo reale.

Principalmente attraverso la televisione hanno riscritto la storia da capo a piedi, e ci raccontano una “realtà” che non esiste se non come costruzione ad hoc. Uno strumento, il principale, che negli ultimi tre decenni o poco più ha reso possibile una pulizia totale, morale, materiale, politica, culturale, sociale.

Lottano per mantenere il potere, non per la democrazia. Decidono tutto alle nostre spalle, guerra compresa, senza discussioni pubbliche e senza dichiarazioni formali.

Lo scopo principale delle loro bugie è di renderci remissivi, a colpi di bonus e di elezioni farsa (con un’affluenza attorno al 40%). 


venerdì 24 giugno 2022

Great America

Gli statunitensi sono liberi di farsi ammazzare dal primo svitato che passa con un fucile mitragliatore, ma le donne in circa metà degli Stati perderanno il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza. Infatti, la corte suprema americana ha seppellito la sentenza Roe vs Wade, che risale al 1973 e garantiva il diritto all'aborto. Gli Stati sono ora “liberi” di approvare proprie leggi in materia e molti hanno già predisposto il nuovo quadro normativo con il divieto all’aborto.

Esempi: il Missouri ha annunciato venerdì il divieto, così sarà presto anche nel Texas, dove una legge che vieta l'aborto dovrebbe entrare in vigore 30 giorni dopo la decisione della Corte Suprema. Tennessee e Idaho hanno fatto lo stesso. In Florida, dal 1° luglio entrerà in vigore una legge che vieta l’aborto dopo 15 settimane di gravidanza. In alcuni stati, come il Kansas, gli elettori voteranno per decidere se la costituzione dello stato debba essere modificata.

Naturalmente per il NYT la colpa è tutta di Trump. 

Sta tornando di moda

 

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A ognuno la sua Iwo Jima

Ipotizziamo una campagna mediatica contro il consumo di carni animali motivata dal fatto che sono prodotte con animali “assassinati”. Un tempo sarebbe apparso irrealistico, ridicolo; oggi però non lo sarebbe più di tanto.

Immagini con opportuno sottofondo sonoro dei luoghi del “massacro”, a seguire la sequela di “esperti” con dati scientifici inoppugnabili e la battente pioggia parolaia degli apparatchik, quindi lunghe teorie di camion frigorifero che trasportano i “cadaveri”, divieto di macellazione e di consumo, slogan del tipo “Io non uccido animali”, eccetera.

L’imposizione da parte dei mezzi di comunicazione d’una certa visione delle cose, spesso falsa, strumentale e atta a evocare condanne morali e censure, può aprire la strada a qualunque scenario, anche a ciò che oggi possiamo ancora ritenere inverosimile.

Non da oggi la propaganda è uno strumento bellico e può diventare un’arma di distruzione di massa. A scuola leggiamo il De bello gallico, una cronaca dettata da un uomo colto e raffinato, e però non si fa caso che il suo esercito sterminò, senza distinzioni di sesso ed età, circa un milione di persone, ossia intere popolazioni le quali avevano la sola colpa di resistere all’invasione, a volte anche senza questa “colpa”.

Dove comincia l’informazione e dove finisce la propaganda? Comunemente sappiamo ciò che è avvenuto in Cambogia (Kampuchea) tra il 1975 e il 1979, ma non sappiamo nulla di ciò che è avvenuto in Indonesia, dove furono sterminati tra 500.000 e 2 milioni di persone dall’esercito e dai paramilitari indonesiani. Può essere rilevante la motivazione?

Quanto è avvenuto per anni dal 2014 in Ucraina ci ha lasciato indifferenti, pensando non fosse un crimine ma una reazione difensiva contro una minaccia.

Massacri e genocidi non sortiscono dal nulla, non si afferra il machete o costruiscono campi di lavoro forzato e di annientamento senza la preparazione degli attori e dei testimoni che li circondano. Sono sempre stati preceduti da una preparazione ideologica della popolazione, che consiste nel prendere di mira le vittime e disumanizzarle, renderle dei mostri. È meno imbarazzante uccidere chi è percepito come un nemico mortale e non consideri più come un essere umano.

Lo scontro tra popoli e nazioni per affermare “valori e principi” si sta radicalizzando sotto i nostri occhi, con la nostra sostanziale e generale passività. Già accettiamo e taluni accarezzano l’idea che sia possibile un’altra guerra europea e mondiale, perfino nucleare se ciò dovesse essere “necessario”. La letteratura, la musica e gli artisti e gli intellettuali del “nemico” sono già al bando, come se nulla fosse. È vero, ciò che è successo in passato non solo può accadere ancora, ma sta tornando prepotentemente di moda.


mercoledì 22 giugno 2022

I fondamentali di un futuro non troppo lontano

 

Oggi sembra di essere a Travemünde, sul Baltico, sulla spiaggia descritta da Mann, che nel suo insuperato primo romanzo ci regala il respiro del tempo che fu. Nell’atmosfera l’odore dei medesimi temporali, le tonalità del cielo e del mare si aprono l’una all’altra. Prima che la pioggia incipiente mi costringa a sgombrare, tento di scrivere un’amena elegìa estiva in evanescente stile malinconico proprio a riguardo degli “odori”.

Ha destato nuovamente un certo divertito interesse quanto dichiarato dall’architetto Fulco Pratesi circa l’opaca cura della propria igiene personale, e ciò a riferimento della consueta crisi idrica estiva e al suo comico inconscio ideologico. La curiosità s’è appuntata sul fatto che egli dichiari di farsi la doccia solo quando se ne ricorda e, conseguentemente, di mutare l’intimo solo in tale non quotidiana occasione.

Mi ha stupito di più che egli non abbia fatto menzione dell’ordinario uso del bidet, la qual cosa, se così fosse, dovrebbe preoccupare ancor più chi gli vive accanto e nei dintorni. Tuttavia e non certo a suffragio della sua eccentricità, vorrei ricordare che fino a circa sessanta anni fa, periodo che molti vecchi come me tendono a rivendicare come un’età dell’oro, era consuetudine comune fare il “bagno” settimanalmente, indi cambiare la biancheria per lo più in tale frangente.

Mi sovvengono a tale riguardo diversi letture. Vado a memoria, per esempio Sbucciando piselli, spassoso libretto scritto a quattro mani, due delle quali appartenevano all’indimenticato storico dell’arte Federico Zeri. Si descrive lo stato comune dell’igiene del tempo che fu, compreso riferimento alle mutande di Mussolini.

A tale riguardo, Gore Vidal, forse in Tra Broadway e Hollywood (non ho ricordo preciso), descrive la scia ottundente di Halley che accompagnava il passaggio del Duce, il quale era uso a vere e proprie abluzioni in autarchica Acqua di Colonia atta a coprire il suo fluttuante meteorismo. L’eccesso di profumazione è un camouflage non infrequente anche oggi e trasversale alle classi sociali.

Rossana Rossanda, nel suo La ragazza del secolo scorso, nel descrivere il suo adolescenziale soggiorno presso una zia al Lido di Venezia (ahimè, il mio Lido), rammenta come all’epoca ci si lavasse, presso la gente perbene e durante la settimana, “a pezzi” (mi pare usi proprio tale espressione). Ciò, se non altro, non salvava solo le apparenze, ma poneva in salvo anche le “parti” essenziali.

Da parte mia vorrei ricordare, per il tempo che fu, l’inusitata profondità dei lavabi inglesi e l’assenza di qualsiasi altra comodità. Pertanto evitiamo stupori dal timbro troppo sarcastico e spocchioso (nous non plus) sui fondamentali dell’igiene personale. Chissà cosa potrebbe riservarci, anche sotto tale rispetto, un futuro non troppo lontano, che potrebbe essere già domani!

La verità è che il “passato” è sempre stato qualcosa di controverso, e con il passare del tempo cambia anche il significato di un fatto, come sanno bene gli americani ma anche gli “indiani”, così come i russi e gli ucraini. Eccetera, come ama ripetere Cacciari.

La bella alternativa offerta

 

Davvero c’è interesse a commentare ciò che è avvenuto nei palazzi di Roma ieri? Sono decenni millenni che accadono le stesse cose.

Qualunque partito, formazione politica variamente denominata o leader, intelligente o solo astuto, liberale nelle questioni sociali oltre che in quelle economiche, ognuno è come tutti gli altri, ossia un prodotto di questo sistema, e non ha altra prospettiva che mantenerlo in funzione.

Certo, c’è anche di peggio di uno scarafaggio caduto per caso nel vasetto del miele. Quelli che per nascita, nell’ambiente sociale in cui sono stati allevati e istruiti, si sono convinti di essere al mondo per comandare agli altri, programmati per gestire una PMI, dirigere una multinazionale o presiedere una banca, governare un Paese. Qualunque cosa purché sia un posto di comando lautamente ricompensato.

Questo sentimento di superiorità è comune in soggetti a destra come a sinistra, qualunque cosa ciò non significhi. I Draghi, i Macron, eccetera, ma anche i leccaculi e succhiacazzi che abbiamo la sventura d’incontrare tutti i giorni a ogni angolo di questo meraviglioso labirinto, di sentire in tv, leggere sui giornali o nello smartphone.

È la razza di quelli che si mettono di sopra della folla per mostrare la strada da seguire: lavorare di più, consumare di più, contribuire di più, vaccinarsi di più, credere e obbedire di più per il proprio benessere e ovviamente per l’optimum di tutti.

Per quanto riguarda l’essenziale, le cose non sono cambiate e non si vede come possano cambiare, se non in peggio. Il sistema capitalistico è l’unico che fa girare il mondo e nessuno, né a destra né a sinistra, ha idee per sostituirlo e riformarlo è impossibile per propria legge costitutiva.

Possono aumentare le imposte sui patrimoni, imporre qualche risibile balzello ai ricchi e ai più ricchi ancora per convincerci che sono davvero di “sinistra”, anzi, di “centrosinistra” (sono democratici, dunque inclusivi), tuttavia questo non rimette assolutamente in discussione questo sistema che alla fine sembra far comodo a tutti.

Anche a quel popolo ingrato cui sono devoluti compiti ingrati: cassieri, badanti, corrieri, manovali, camerieri, facchini, insomma quei mestieri che anche presso un pubblico di sinistra suscitano malcelate reazioni di disprezzo perché sono considerati “lavori di merda”.

Possono largire diritti (piuttosto revocarli), aumentare il salario (quando mai?), cambiare il nome ai mestieri (più facile e gratis), ma questa gerarchia tra esseri umani, non certo invisibile, è molto presente nella testa delle persone e trova conferma in ogni rapporto sociale.

Ci sarà mai un modo per gestire una società cosiddetta moderna che sfugga a questa maledizione? Disprezzo e odio per il nemico di turno, vuoi per Draghi o per Putin, per il vicino di casa o di ombrellone, ecco la bella alternativa che ci viene offerta.

martedì 21 giugno 2022

Non sono imbecilli qualsiasi


Ieri, la Lituania, membro della NATO, ha imposto un blocco effettivo alla Russia, impedendo il trasporto ferroviario di molte merci, tra cui acciaio e carbone, nell’enclave russa di Kaliningrad (territorio russo a ogni effetto), stretta tra Polonia e, appunto, Lituania. È l’unico porto russo del Mar Baltico che rimane libero dai ghiacci tutto l’anno ed è fondamentale per il mantenimento della flotta russa del Baltico.

Tradizionalmente, l’imposizione di un blocco è un atto ostile, di guerra. Con questa sconsiderata provocazione, gli Stati Uniti e i loro alleati della NATO stanno cercando di spingere la Russia a reagire con un attacco militare verso un paese della NATO, che porterebbe l’invocazione dell’articolo V della Carta dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord e ad una guerra su vasta scala con la Russia.

Il ministro degli Esteri lituano, Gabrielius Landsbergis, ha dichiarato: “Non è la Lituania a fare nulla, sono le sanzioni europee che hanno iniziato a funzionare. È stato fatto con la consultazione della Commissione europea e secondo le linee guida della Commissione europea”.

È evidente che di fronte a una serie di capovolgimenti militari sul campo in Ucraina, gli Stati Uniti e i suoi vassalli europei stanno cercando di aprire un fronte settentrionale nella guerra.

Vorrei sommessamente ricordare che la prima guerra mondiale fu il risultato soprattutto di un fatto, di là del famoso attentato di Sarajevo, ossia che la situazione fu poi gestita da una manica d’irresponsabili e d’imbecilli. Se non credete a me, basta leggere cosa scrisse al riguardo l’ex cancelliere tedesco (1900-1909) Bernhard von Bülow. In questo momento non ho i miei libri sottomano, ma Bülow nelle sue memorie fu anche molto più drastico delle mie parole nell’esprimere il suo giudizio.

Il ministero degli Esteri russo ha avvertito senza mezzi termini: “Se il transito delle merci tra la regione di Kaliningrad e il resto della Federazione Russa attraverso la Lituania non verrà ripristinato completamente nel prossimo futuro, la Russia si riserva il diritto di intraprendere azioni per proteggere i propri interessi nazionali”.

Non si tratterà di addivenire a un arbitrato internazionale per comporre la questione, questo pare chiaro. Continuo a chiedermi in che mani siamo, e non mi riferisco tanto a personaggi tipo Mario Draghi, che si è rivelato politicamente persona mediocre e umanamente meschina, né al suo tirapiedi insediato agli Affari esteri.

Siamo in mano a dei folli, per davvero, non è solo un modo di dire. Lo dimostra il nuovo capo di stato maggiore generale dell’esercito britannico, Patrick Sanders, il quale nel suo messaggio alle truppe ha dichiarato, secondo la BBC, “di essere il primo capo di stato maggiore generale dal 1941 a prendere il comando dell’esercito all’ombra di una guerra terrestre in Europa che coinvolgeva una grande potenza continentale”.

Ha aggiunto: “L’invasione russa dell’Ucraina sottolinea il nostro scopo principale – proteggere il Regno Unito ed essere pronti a combattere e vincere guerre sulla terraferma – e rafforza l’esigenza di scoraggiare l’aggressione russa con la minaccia della forza”.

Ha osservato che “il mondo è cambiato dal 24 febbraio e ora c’è un imperativo ardente di forgiare un esercito in grado di combattere al fianco dei nostri alleati e sconfiggere la Russia in battaglia”.

Un’altra minaccia agghiacciante è venuta da Ingo Gerhartz, capo della Luftwaffe, il quale al Kiel International Seapowers Symposium ha dichiarato che la Germania deve essere pronta a usare armi nucleari, dicendo: “Abbiamo bisogno sia dei mezzi che della volontà politica per attuare la deterrenza nucleare, se necessario”.

Questi non sono degli imbecilli qualsiasi, si tratta di personale apicale delle forze armate dei principali paesi europei, perciò sono tanto più pericolosi di altri imbecilli in divisa e no.

Gli Stati Uniti e le potenze europee, ciascuna alle prese con una seria crisi economica, sociale e politica e temendo un crescente movimento popolare di protesta, stanno incautamente intensificando una guerra che minaccia l’uso delle armi nucleari.

La risposta della NATO a un’azione di forza della Russia contro la provocazione e il blocco deciso dalla Lituania porterebbe in automatico a un’inevitabile escalation bellica.

Ci stiamo rendendo conto di questa serissima minaccia, oppure ci balocchiamo nell’idea che tanto a noi non può succedere nulla e basterà una riunione del consiglio dei ministri per mettere a posto tutto? 

Il miracolo di Macron


Lesito della elezioni francesi è una prefigurazione di che cosa accadrà tra otto mesi in Italia? Ciò che accadrà in Italia e in Europa nei prossimi mesi è nelle mani degli dèi di Washington. Sono loro che decidono il nostro destino, anche della vita e della morte, in senso letterale, e non hanno intenzione di mollare la presa, anzi stanno pensando allo ius primæ noctis.

Non sputo in faccia a chi ancora s’illude, perché capire la realtà richiede tempo. E però cerchino di sbrigarsi che la faccenda si fa ogni giorno più seria e urgente.

Emmanuel Macron diceva di voler ridurre a zero il partito di Le Pen, e in cinque anni ha fatto il miracolo! Più di 9 milioni di poveri in Francia, e lui non hai mai smesso di arricchire i ricchi. Se alle elezioni presidenziali Marine Le Pen restava un fantasma, che però ancora una volta andava al ballottaggio al posto del candidato della sinistra, alle legislative i francesi che vanno a votare non si vergognano di eleggere tutti i pesi massimi della destra chimicamente pura.

Tutti guardavano la corsa tra marcheurs e mélenchonistes, e però nessuno s’aspettava l’arrivo in volata a Palais Bourbon di ottantanove deputati del partito della Le Pen, che così ha moltiplicato per 11 i suoi seggi precedenti e si radica come mai prima nell’Assemblea nazionale con i suoi bravi soldatini.

Marine Le Pen si sta consolidando già dove era in buona posizione, ossia al nord come nel sud della Francia, ma vampirizza anche nuovi territori. Alcuni candidati RN non riescono a credere di un simile successo. Fino a pochi giorni fa, tutti i sondaggi prevedevano una fascia alta da 45 a 50 deputati per la RN. Va anche detto che per i sondaggisti e i media contava solo il duello Macron/Mélenchon. Quali riforme ritenute essenziali, si chiedevano le star dell’intrattenimento, avrebbe potuto portare a casa Jean-Luc Mélenchon nel caso fosse entrato all’Hôtel Matignon?

Perfino il primo ministro ad interim, Elisabeth Borne, ha avuto difficoltà a farsi rieleggere e solo con il 52% dei voti contro un giovane sconosciuto, Noé Gauchard. Diversi ministri del governo insediato dopo le elezioni presidenziali del 24 aprile sono stati trombati: quello della salute, Brigitte Bourguignon, quello del mare (esiste dal 1981), Justine Benin, e il ministro della transizione ecologica, Amélie de Montchalin, ex per gli affari europei e poi della trasformazione e la funzione pubblica.

Anche in Francia i governi durano poco, quelli della Cinquième République in media 17 mesi, 43 governi in meno di 64 anni.

Mélenchon canta vittoria, ma si dimentica che nel 1978 l’Unione di sinistra ottenne il 49,24% dei voti. Ciò accadeva quando la partecipazione al voto era dell’84,79%. Se non altro ha ammesso che i livelli di astensione sono troppo alti, il che significa, ha detto, che gran parte della Francia non sa a chi rivolgersi. Ci voleva il 54% di astenuti per capirlo? Ovviamente si finge di non capire.

L’elettorato popolare s’è rotto i coglioni di sentire vuote chiacchiere e vedere la propria posizione economica peggiorare ogni giorno. In Francia, in Italia e così come dappertutto ciò che ci si aspetta sono lavori e paghe decenti, e che la pensione non sia un continuo inseguimento a tappe.

Invece di provocare guerre e inviare armi e truppe in giro per il mondo, si occupassero dell’inflazione che è la più iniqua tassa a carico delle famiglie con i redditi più bassi. In fondo si chiedono delle cose banali. Nonostante tutto siamo in Europa e l’astensione massiccia dal voto può provocare terremoti politici. 

lunedì 20 giugno 2022

Risultati ufficiali del secondo turno legislative francesi


Dei 48.589.360 elettori registrati hanno votato 22.464.276, pari al 46.23 %; hanno espresso un voto valido 20.747.470, pari al 42,70 %.

Si sono astenuti 26.125.084 elettori, pari al 53,77 %;
Schede bianche: 1.235.844, pari al 2.54 %;
Schede nulle: 480.962, pari allo 0,99 %.

Ensemble (partito del presidente) ha ottenuto 8.002.419 voti, pari al 38.57 dei votanti, il 16.47 degli aventi diritto al voto. Seggi: 244.

Nuova unione popolare ecologica e sociale (NUPES): 6.556.198 voti, pari al 31.60 dei votanti, il 13.49 degli aventi diritto. Seggi 127.

Repubblicani (centrodestra ex UMP, già di Sarkozy, con gollisti, liberisti, cattolici ecc.): 1.447.838 voti, pari al 6.98 dei votanti, il 2.98 degli aventi diritto. Seggi 61 (*).

Raggruppamento Nazionale (neofascisti): 3.589.465 voti, pari al 17.30 dei votanti, il 7.39 degli aventi diritto. Seggi 89.

Vari disperati di sinistra: 443.282 voti, pari al 2.14 dei votanti, lo 0,91 degli aventi diritto. Seggi 22.

Vari fascisti di destra: 231.071 voti, pari all’1.11 dei votanti, lo 0,48 degli aventi diritto. Seggi 10.

Seggi totali attribuiti 572. Maggioranza assoluta: 287.

Pertanto, per governare, il partito di Macron deve allearsi con i Repubblicani, e dunque le vaghe promesse elettorali macroniste presso gli elettori di sinistra rimarranno appunto delle mere promesse (le avrebbe comunque disattese).

Considerazioni: alle legislative del 2017, i neofascisti di Le Pen avevano ottenuto 1.590.869 voti e 8 seggi. Nel 2022, più che raddoppiando i voti, il partito di Le Pen decuplica il numero dei seggi. In Francia vige il sistema elettorale maggioritario a doppio turno in collegi uninominali, e dunque il successo del RN non è dovuto alla forte astensione, ma al fatto di essere risultato decisivo negli scontri diretti.

Ne è prova che la coalizione NUPES raccoglie più del doppio dei seggi rispetto ai singoli partiti presenti nel 2017 (ex socialisti, comunisti, verdi, ribelli, ecc.).

A perdere sanguinosamente sono i Repubblicani, che nel 2017 avevano 112 seggi, e Ensemble, partito di Macron, che nel 2017 si presentava come En Marche!, e assieme a MoDem (con 42 seggi) raccoglieva 351 seggi.

Vince la destra neofascista, ma anche l’accozzaglia di sinistra (se avesse ottenuto la maggioranza ne avremmo viste delle belle), presentandosi unita ottiene un ottimo risultato, che però non peserà, e in ogni caso non avrebbe inciso significativamente, nelle decisioni di politica sociale ed economica di Macron.

Anche per quanto riguarda le sorti del conflitto bellico con la Russia non cambia nulla. A decidere in tutto e per tutto non sono e non saranno le eventuali pressioni dei leader delle colonie europee, ma sempre e comunque gli oligarchi di Washington e dintorni.

La forte astensione dal voto parla forte alla Francia (e non solo). La maggioranza dei francesi non si fa irretire né dalla destra né dalla sedicente sinistra. Essa rappresenta la delusione, la rivolta sociale e il solo modo, al momento, di dire no al sistema.

(*) Nelle elezioni per il Senato francese del 2020, i Repubblicani avevano ottenuto la maggioranza relativa, con 148 seggi. 

sabato 18 giugno 2022

Un nuovo osservatore nazionale

 

In attesa che la nazionale maschile di calcio trovi i suoi nuovi idoli per potersi qualificare alle prossime competizioni internazionali (covid, vaiolo e yersinia pestis permettendo), giunge conferma alla notizia filtrata nei mesi scorsi che l’ex nazionale Bobo Vieri ha finalmente trovato la sua giusta collocazione nel calcio quale “osservatore speciale”.

Il 49enne ex-giocatore di Venezia, Atalanta, Juve, Lazio, Inter e della nazionale sarà ora in servizio come osservatore speciale per la nazionale femminile Under 20. Secondo un portavoce della FGCI, il lavoro di Vieri ha lo scopo di valorizzare e portare allo scoperto le giovani calciatrici più talentuose.

Nella sua prima conferenza stampa, Vieri ha elogiato la lungimiranza della FGCI: “Sono molto soddisfatto che le mie qualità ed esperienze siano state finalmente riconosciute e apprezzate”. Ha annunciato che avrebbe osservato le giovani giocatrici con un impegno e un interesse che altri prima di lui non hanno saputo dimostrato: “Ho già in mente delle giocatrici molto dotate, ha detto, le ho viste in book fotografico e le metterò quanto prima alla prova sottoponendole singolarmente e in piccoli gruppi a stress test molto specifici”.

L’ex attaccante, noto anche per un famoso scambio di cazzotti con Marcello Lippi, è un perfezionista. Ad esempio ha chiesto l’accesso allo spogliatoio “per stare il più vicino possibile alle giocatrici, per istruirle e coordinarne i movimenti”.

Vieri ha intenzione di tenere d’occhio anche i talenti internazionali per inserirle nella squadra nazionale. Soprattutto le giocatrici dell’Est Europa sono giovani promettenti che devono solo essere naturalizzate per fare strada in Italia. Per la rapida naturalizzazione delle giocatrici prescelte ha già un’idea su come risolvere questo problema in un modo snello e poco burocratico. Nel merito non ha voluto entrare nel dettaglio, ma, ammiccando ai giornalisti presenti, ha fatto capire che ha già i contatti giusti.

venerdì 17 giugno 2022

Inflazione, stagnazione e salari

 

Dopo il rialzo di mercoledì, Wall Street è scesa di nuovo bruscamente ieri, riprendendo il calo che l’ha mandata in territorio ribassista (un calo del 20% dal suo massimo precedente).

Il Dow è sceso di 741 punti, portando il calo dell’anno al 18% e ha chiuso sotto i 30.000 per la prima volta da gennaio 2021. L’indice S&P 500, dopo essere aumentato dell’1,5% il giorno precedente, è sceso del 3,3%. Il prezzo di quasi tutte le azioni dell’indice è sceso con perdite per moltissime società ai minimi da 52 settimane. Il calo è stato ancora più ampio per il Nasdaq, che è sceso del 4,1%, portandolo al livello raggiunto a settembre 2020. Dall’inizio dell’anno, l’indice dei tecnologici è sceso di circa il 33%. Ma questo dato è una media e le perdite in aree chiave del mercato sono state anche maggiori.

A ogni modo le Borse sono ancora gonfie dei risultati straordinari messi a segno dopo il tonfo del marzo 2020, al quale la Fed fece fronte regalando soldi a chiunque li chiedesse, anche società con i libri contabili in tribunale.

È solo l’inizio di un nuovo crollo? Sicuramente assisteremo a una forte correzione della tendenza rialzista, ma non mi sentirei di escludere momenti di forte tensione e di panico, con scenari sociali che è difficile prevedere in anticipo.

Come in ogni crisi che si rispetti, il capitale finanziario incarnato nel mercato azionario sta implodendo. Questo fenomeno è accelerato dall’aumento dei tassi d’interesse in seguito alla decisione della Fed, con effetti nell’economia reale.

Questa manovra sui tassi viene condotta dalle principali banche centrali seguite da quelle più piccole all’insegna della necessità di “combattere l’inflazione”, ma il vero principale effetto è un altro, perché il rialzo dei tassi d’interesse, e per altri versi il “raffreddamento” della domanda, non faranno per nulla abbassare i prezzi delle commodity.

Aumentare i tassi d’interesse porta inevitabilmente un rallentamento dell’economia e induce recessione. Inoltre, ciò serve a mantenere il prezzo nominale della forza-lavoro sostanzialmente stabile, mentre quello reale scende favorendo i profitti aziendali, a cominciare da quelle sezioni di capitale che dominano largamente il mercato delle materie prime ed energia, derrate alimentari e altri settori chiave.

Il salario, pur aumentando, non cresce mai nella stessa proporzione in cui il valore del denaro diminuisce. Nulla cambia all’infuori delle denominazioni monetarie dei valori della domanda e dell’offerta. Il salariato che chiede un aumento proporzionale dei salari, in realtà viene pagato con dei nomi invece che con delle cose. L’inflazione non è altro che una svalutazione della moneta, cioè del potere d’acquisto.

Vale la pena ricordare in questi tempi così infami che, sulla base del sistema attuale, il lavoro è una merce come le altre. Sarebbe sciocco considerarlo da una parte come una merce, e d’altra parte volerlo porre al di fuori delle leggi che determinano i prezzi delle merci, così come fanno quegli idioti che dicono di agire in nome e per conto dei lavoratori ma sono contrari alla scala mobile.

Un esempio concreto: il fatto che si sia costretti a elemosinare un salario minimo di legge, significa che quei lavoratori pagati sotto tale minimo condividono tutta la miseria di uno schiavo senza godere la posizione sicura dello schiavo stesso, che se non altro riceveva una quantità fissa e costante di mezzi per il suo sostentamento.

La tendenza generale della produzione capitalistica non è di elevare il salario normale medio, ma di ridurlo.

La determinazione del livello reale dei salari viene decisa soltanto dalla lotta incessante tra capitale e lavoro; il capitalista cerca costantemente di ridurre i salari al loro limite minimo, mentre il salariato esercita costantemente una pressione in senso opposto. Perciò la cosa si riduce alla questione dei rapporti di forza delle parti in lotta.

Pur senza esagerare il risultato finale di questa lotta per le sorti dei salariati, purtroppo si deve constatare che chi dovrebbe accostarsi dalla parte dei salariati in questa lotta, spesso e volentieri fa il gioco dei padroni della società.


100 milioni di libri al macero

 

In un’intervista di Oleksandra Koval, Direttrice dell’Istituto del Libro Ucraino, a Interfax- Ucraina, si legge:

“[...] per studiare letteratura straniera, e la letteratura russa è proprio questo, è necessario un certo equilibrio. Ora siamo convinti che la letteratura britannica, francese e tedesca, la letteratura degli Stati Uniti e delle nazioni dell’Est, abbia dato al mondo molti più capolavori della letteratura russa”.

L’evocazione di tale aspetto quantitativo rappresenta bene il personaggio Koval e la sua russofobia. Sotto l’aspetto qualitativo non va meglio. Per esempio Pukin e Dostoevskij «hanno gettato le basi della “misura russa” e il messianismo», dunque è questo il motivo per ritenere che i classici della letteratura russa siano “in realtà una letteratura molto dannosa, che può davvero influenzare le opinioni delle persone. Pertanto, è mia personale opinione che questi libri debbano essere rimossi anche dalle biblioteche pubbliche e scolastiche”.

Prosegue così: «Penso che verranno scritte molte riflessioni e ricerche scientifiche su come i classici russi abbiano influenzato la mentalità dei russi e su come abbiano indirettamente portato a una posizione così aggressiva e ai tentativi di disumanizzare qualsiasi altro popolo del mondo, inclusa l’Ucraina».

La Koval sostiene che le biblioteche scientifiche potrebbero conservare «letteratura scientifica specializzata i cui autori potrebbero avere opinioni anti-ucraine» per il momento, «ma solo se il libro scientifico in questione non ha connotazioni ideologiche». Dunque autori come Karl Marx, Rosa Luxemburg o Bertolt Brecht, pur tedeschi, verranno rimossi dalle biblioteche ucraine. E poi chissà quali e quanti altri.

Questo il programma della Koval: «stimo che ora potrebbero esserci più di 100 milioni di copie del patrimonio di biblioteche pubbliche che necessitano di sequestro». Si tratta della rimozione/distruzione di metà del patrimonio bibliotecario ucraino.

Ovviamente non poteva mancare la giustificazione anche in chiave economica riguardo un simile provvedimento di rimozione e censura: «A mio avviso, l’ostacolo principale nel processo di rimozione della letteratura che può essere rapidamente eliminata non è la difesa degli interessi di Tolstoj, ma semplici, mercantili, ma allo stesso tempo chiari interessi dei bibliotecari. Il fatto è che a seconda del numero di fondi, alla biblioteca viene assegnata una determinata categoria. Di conseguenza, gli stipendi di tutti i dipendenti dipendono dalla categoria della biblioteca».

Il ministro della Cultura e della politica dell’informazione ucraino, Oleksandr Tkachenko, ha dichiarato «che i libri di propaganda russa confiscati dai fondi della biblioteca ucraina possono essere usati come carta straccia».

Prosegue anche la campagna di “decolonizzazione” cambiando i nomi delle strade e delle fermate della metropolitana. Per esempio, riportava il NYT il 7 giugno, Lev Tolstoj sarà cancellato da una fermata della metropolitana di Kiev. Tale campagna ha assunto un carattere velenoso che assurdo, se si considera che il confine tra cosa e chi è ucraino o russo è spesso sfocato. Pyotr Tchaikovsky, che ha ridefinito la musica classica occidentale, aveva radici ucraine, e così come molti altri artisti e scrittori, come Nikolai Gogol, Mikhail Bulgakov, Anna Akhmatova, oppure il poeta sovietico Mayakovsky, nato da madre ucraina.

Indipendentemente dal fatto che i nazionalisti ucraini siano direttamente influenzati dall’ideologia nazista, e non pochi di loro lo sono, questo “rogo” del libro rivela la loro visione fanatica, autoritaria e sciovinista. Che cosa ne pensino gli altrimenti loquaci intellettuali occidentali non è dato sapere. Ne vedremo delle belle, signori democratici del cazzo.

giovedì 16 giugno 2022

Draghi a Kiev

 

Finalmente Mario Draghi è arrivato oggi a Kiev in treno con un ritardo di circa tre mesi. Com’è noto, il presidente del consiglio italiano era atteso lì da marzo. Trenitalia si è giustificata con non meglio specificati “motivi tecnici” come causa del ritardo.

Ad ogni modo l’accoglienza ucraina alla stazione centrale di Kiev è stata calorosa. Un funzionario ucraino si è lasciato sfuggire: “Beh, dovevamo aspettarcelo un tale ritardo dalle ferrovie italiane, ma l’importante è che Draghi abbia portato gli spaghetti e il vino”.

Il presidente del consiglio ha preso parte ai colloqui con il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy insieme al presidente francese Emmanuel Macron e al cancelliere Olaf Scholz, ai quali ha chiesto di condividere il costo del biglietto per il viaggio di ritorno.

Il rientro di Draghi non è atteso a Roma prima di settembre.

Macron ha regalato a Draghi e Scholz un paio di guanti di lana per il prossimo inverno.


Scholz a Zelenskyy ha consegnato una busta il cui contenuto non è stato rivelato. Ai giornalisti che chiedevano chiarimenti, Scholz ha risposto: “Ho sempre detto che a Kiev non sarei venuto a mani vuote”. Fonti vicine al presidente ucraino hanno detto che dentro la busta c’era un voucher di 50 euro per l’acquisto di armi pesanti. Il voucher è riscattabile senza restrizioni fino a dicembre 2023.

Ritorno al passato: le gite in treno

 


Quello scorcio d’estate del 1914 fu l’ultimo della cosiddetta belle époque (bella per chi se lo poteva permettere, ovviamente). Indubbiamente segnò una cesura tra un prima e un dopo. I contemporanei d’allora ne ebbero consapevolezza? Pochi di loro l’ebbero e solo in parte. L’esercito francese vestiva di panno blu e rosso, combatteva come fosse ancora a Sedan. Nel torno di pochi anni quattro imperi, tre dei quali plurisecolari, sarebbero scomparsi e i loro territori spartiti, fagocitati. Solo la Russia, e non subito, recupererà ciò che aveva dovuto cedere a Brest-Litovsk. A Versailles, nel 1919, si porranno le basi geopolitiche per un altro conflitto europeo che diventerà mondiale.

Secondo gli storici, con l’intervento bellico diretto degli Stati Uniti (1917) e il declino del ruolo britannico quale dominus mondiale, si apriva il cosiddetto “secolo americano”. Questa espressione fu coniata solo molto più tardi e la sua cronologia è discutibile. Sicuramente l’imperialismo americano nasce molto prima e però si può parlare di “secolo americano” con Yalta, Bretton Woods, Hiroshima, Piano Marshall.

Un esempio un po’ trascurato è dato dalla Dottrina Truman, annunciata il 12 marzo 1947, in un discorso tenuto dal presidente statunitense avanti a una sessione congiunta al Congresso, prendendo spunto dai casi di Grecia e Turchia (*).

A differenza dei suoi predecessori alla Casa Bianca dopo la prima guerra mondiale, Truman non ha parlato di alcun “ritorno alla normalità” del dopoguerra. Ha iniziato le sue osservazioni con una nota minacciosa, parlando della “gravità della situazione che deve affrontare il mondo oggi”, come se una nuova guerra mondiale fosse imminente.

Il breve discorso è stata dimenticato, salvo per una frase, quando il presidente annunciò quella che divenne nota, appunto, come la sua dottrina: “Credo che debba essere la politica degli Stati Uniti a sostenere i popoli liberi che stanno resistendo al tentativo di sottomissione da parte di minoranze armate o da pressioni esterne”.

Da allora, Washington si è sentita in diritto d’intervenire in tutto il globo sulla base dei suoi criteri di valutazione, ossia su chi fossero i “popoli liberi”, gli “interessi vitali” degli Stati Uniti”, i “diritti umani”, la “democrazia”. In questo modo, la Dottrina Truman ha impegnato gli Stati Uniti nei successivi 75 anni in guerre e colpi di stato di ogni genere, con ingenti budget militari, fino ad oggi nella guerra per procura in Ucraina.

I “popolo liberi” per i successivi 13 presidenti sono stati: Franco in Spagna e Salazar in Portogallo; Marcos nelle Filippine e Suharto in Indonesia; Syngman Rhee in Corea del Sud e Ngo Dinh Diem nel Vietnam del Sud; Reza Pahlavi in Iran e la dinastia Saud nella penisola arabica; Batista a Cuba e “Papa Doc” Duvalier ad Haiti; Mobuto nello Zaire e Mubarak in Egitto; le sanguinose giunte del Sud America e il regime di apartheid del Sud Africa; i Contras in Nicaragua e i Mujaheddin di Bin Laden in Afghanistan; i terroristi del Fronte Al Nusra in Siria e del cartello della droga dell’UCK in Kosovo, il governo fantoccio a Kiev e le falangi neonaziste di Azov in Ucraina, eccetera.

A ciò, volendo, si potranno contrapporre i gulag sovietici e tutte le dittature “comuniste” sparse per il globo, le carestie, a cominciare dalle sette piaghe d’Egitto, fino all’odierna aggressività mercatista della Cina, la patologica perfidia di Putin e altro ancora. È un gioco che appassiona variamente un po’ tutti, una volta per un motivo e un’altra per una nuova “giusta causa”.

(*) Ciò che accadde allora in Grecia e Turchia penso non sia più di alcun interesse, tanto più che anche ciò che succede realmente in Ucraina e intorno a noi sta perdendo l’appeal ricreativo dei social media. Dirò solo che allora Truman riconobbe ufficialmente, così come se avesse annunciato la chiusura di una banca di secondo livello sovraesposta, la liquidazione dell’imperialismo britannico, non più in grado di fornire ulteriori aiuti finanziari e militari ai paesi satelliti. Gli Stati Uniti erano padroni del pianeta. Nessuna Inghilterra, nessuna Francia, nessuna Germania, nessun Giappone potevano contestarne la volontà e la potenza. Salvo quei pezzi di merda dei comunisti.