martedì 3 maggio 2022

Per gli antipodi non vale

 

L’accordo per cooperazione in materia di sicurezza tra le Isole Salomone e la Repubblica Popolare Cinese, ha allarmato Australia, Nuova Zelanda e soprattutto gli Stati Uniti che temono che questo accordo possa costituire il primo passo verso la costituzione di una base militare cinese.

Ciò che è considerato legittimo per quanto riguarda i paesi confinanti con la Russia, gli Stati Uniti lo considerano invece come una minaccia quando riguarda un arcipelago del Pacifico a 10.000 chilometri dalle proprie frontiere. Sarà perché agli antipodi così come a Washington camminano a testa in giù?

Le Isole Salomone, a sud-est della Papua Nuova Guinea e a circa 2000 chilometri dall’Austrialia, sono costituite da diverse grandi isole vulcaniche ricoperte quasi interamente da una giungla lussureggiante e da centinaia di atolli periferici. Sono composte da due arcipelaghi distinti, quello delle Isole Salomone propriamente dette a nord-ovest e il più piccolo delle isole Santa Cruz a sud-est. Contano meno di 700mila abitanti.

Si chiamano così perché quando gli spagnoli vi giunsero nel 1568 pensarono di aver raggiunto il biblico regno di Ofir, sede delle miniere di re Salomone. Nel 1899 la Germania cedette le Isole Salomone settentrionali al Regno Unito, che aveva dichiarato un protettorato sulle Isole Salomone meridionali nel 1893, status che mantennero fino al 1976 quando fu proclamata l’indipendenza, diventando una monarchia parlamentare (uno dei quindici reami del Commonwealth).

Le Salomone sono uno degli stati più poveri dell’Oceania e in genere del mondo. Sono delle isole piuttosto turbolente per via di aspre rivalità etniche (melanesiani 93%, polinesiani 4%, micronesiani 1,5%, cinesi e altri asiatici 1,5%). Si parlano 74 idiomi diversi; pur essendo l’unica lingua ufficiale, l’inglese è parlato solo dall’1-2% della popolazione. Il tasso ufficiale di analfabetismo è del 23,4%.

Nell’aprile 2006 l’elezione a primo ministro di Snyder Rini ha scatenato una sommossa nella capitale contro la comunità commerciale cinese accusata di avere comprato l’elezione. Rini è stato messo al sicuro dal pronto intervento di 220 soldati australiani e si è dimesso. Il parlamento l’ha sostituito con Manasseh Sogavare, del Partito popolare progressista, che ha subito dimostrato di non gradire la presenza di truppe straniere.

Nell’ultimo decennio la presenza cinese è cresciuta sotto forma di offerte di progetti infrastrutturali, prestiti e forniture di mezzi di trasporto (navi, aerei). Per rispondere alle iniziative cinesi e riaffermare il suo primato nella regione, nel 2018 il governo australiano ha deciso di aumentare gli investimenti e gli aiuti alle isole della regione (Pacific Set Up policy).

L’Australia riuscì ad assicurarsi un accordo per la costruzione di 4.000 km di cavi internet nell’arcipelago, convincendo, con ragioni legate alla sicurezza, il governo di Honiara (la capitale) a risolvere gli impegni assunti con Huawei nel 2016.

Dal 2019 i rapporti commerciali con la Cina aumentano raggiungendo la quota del 46% dell’interscambio commerciale. Verso la fine di novembre del 2021 è scoppiata una protesta contro Sogavare per aver deciso di aprire rapporti diplomatici con la Cina, tagliando invece quelli con Taiwan. Qualche settimana più tardi anche le Isole Kiribati (alias isole Gilbert, repubblica del Commonwealth delle nazioni) assunsero la medesima decisione, diversamente dalle isole di Tuvalu (a sud delle Kiribati, tutte fanno parte della Micronesia).

I manifestanti hanno preso d’assalto il parlamento, chiedendo le dimissioni di Sogavare. È anche stato dato alle fiamme una parte del quartiere cinese della capitale e una stazione di polizia. Molti dei rivoltosi provengono dall’isola di Malaita, i quali lamentano la mancanza di interventi del governo per migliorare le condizioni di vita nella loro isola, corruzione e carenza di posti lavoro. Le proteste, inoltre, includono anche critiche al premier per aver preferito Pechino a Taiwan. C’è da chiedersi se queste rivolte siano state spontanee e genuine oppure sobillate da terzi interessati a interrompere i rapporti con Pechino.

Per sedare la rivolta l’Australia ha mandato polizia ed esercito, tenendo però a specificare che non intende intromettersi negli affari interni del paese. Pechino, visti gli attacchi al distretto e alle imprese cinesi, non ha mancato di manifestare, tramite la sua ambasciata, “serie preoccupazioni” riguardo la sicurezza delle Isole, inviando personale e attrezzature di polizia. L’accordo sulla sicurezza tra Honiara e Pechino è teso ad apparire una naturale conseguenza.

Tale accordo prevede non solo la possibilità per il governo cinese di inviare forze di sicurezza a protezione di personale e progetti cinesi nell’arcipelago e per assistere le forze locali nel mantenere l’ordine, ma anche di utilizzare le Isole Salomone come scalo navale. Tutto ciò, ovviamente, previo consenso o richiesta del governo locale.

Sogavare, difendendo la scelta di sottoscrivere l’accordo sulla sicurezza con la Cina, ha affermato che non è intenzione delle Isole Salomone schierarsi nella contesa geopolitica mettendo in pericolo la sicurezza e armonia della regione, ma che lo scopo dell’accordo è meramente di incrementare la sicurezza interna. Sogavare, infatti, nel 2019 mandò a monte il tentativo della società cinese Sam Group di prendere in concessione l’isola di Tulagi.

Va ricordato che la Cina ha una sola base militare all’estero, ovvero a Djibouti (Gibuti), e che è improbabile che la Cina abbia intenzione di costruire una base navale nelle Isole Salomone, stante la situazione nell’area e l’opposizione degli Stati Uniti e dell’Australia. Infatti, l’approccio cinese, in particolare nel Pacifico, è quello di concludere accordi in materia economica e di sicurezza.

Le Isole Fiji, ad esempio, hanno sottoscritto nel 2011 un memorandum con Pechino per l’addestramento, fornitura di equipaggiamento e mezzi alle forze di sicurezza oltre a rafforzare la cooperazione in materia riciclaggio di denaro e contrasto a crimini transnazionali.

È comunque ovvio che Pechino abbia un interesse nell’estendere la propria influenza e presenza nell’area. La sua strategia potrebbe puntare a “intromettersi” nella sfera di influenza australiana, inducendo così Canberra a concentrare maggiormente la propria attenzione e risorse su questa vasta regione e meno in altre, a esempio nel Sud Est Asiatico, più prossime alla Cina.

4 commenti:

  1. Scusa, nel post precedente hai scritto 10.000km.
    Ciao

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  2. Una Ballata del Mare Salato

    ....spero apprezzerai la citazione...

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  3. Cose che non valgono a Borea: dichiararsi indipendenti nel Donbass
    Cose che valgono ad Austro: dichiararsi indipendenti a Taiwan
    ed altre curiosità citate nel Milione di quel veneziano.
    Pietro

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