martedì 31 maggio 2022

Non hanno abbastanza schiavi a poco prezzo

 

Finalmente un po’ di buona economia politica! Non si trova forza-lavoro da sfruttare a salari di fame e contratti infami? La colpa è degli schiavi, non hanno abbastanza bisogno di lavorare a causa di qualche centinaio di euro di sussidio statale.

La competitività economica italiana non è mai stata in generale un portato dell’innovazione tecnica e tecnologica, ma si è basata principalmente sull’estrazione di plusvalore relativo e sulla svalutazione della moneta (quella del famigerato 1992 attorno al 20-25%). Rendere competitive le merci svalutando la propria moneta è un altro modo per svalutare i salari. Con l’euro, moneta tra le più stabili, la svalutazione ovviamente non è stata più possibile. Non rimaneva che sfruttare ancora di più la forza lavoro e agire per via legislativa per mantenere ancora più bassi i salari e precarie le condizioni di lavoro (schiavo, il voto non paga).

Questi obiettivi sono stati completamente raggiunti e anzi superati in modo positivo. I salari italiani sono tra i più bassi dell’occidente, sono proliferate le tipologie dei contratti e le tutele dei lavoratori sono diventate carta straccia. A tale riguardo ricordo le teorizzazioni dei portavoce padronali, vecchi e nuovi fascistoni, i quali sostenevano che i salariati nostrani dovevano trasferire una parte della loro “opulenza” agli schiavi cinesi, indiani, eccetera. La cosiddetta teoria dei vasi comunicanti della quale si fece corifeo Eugenio Scalfari.

Insomma, troppo comodo prendersela con il RdC per entità degli interventi. Se la miseria di quel sostegno fa concorrenza ai salari, è ovvio che questi sono troppo bassi e le condizioni di lavoro poco allettanti, e ciò nonostante i prezzi di merci e servizi non siano a buon mercato. Né abbiamo un salario minimo, tanto da dare un senso al tanto nebuloso “valore del lavoro” di cui ci si riempie la bocca. In Germania ovviamente c’è ed è aumentato del 25% (12 euro lordi l’ora), 3,6% in Spagna, e 7% nel Regno Unito, mentre in Francia vi sono proteste perché è fermo a 10,5 euro. In Italia si parla (si parla, si parla sempre) d’introdurre un salario minimo, se quando sarà, di circa metà della Germania.

Giovani italiani, se volete essere ben pagati, dovrete imparare il tedesco.

Il resto del post si può anche non leggere, tanto si tratta solo di numeri, e i numeri ... non contano.

Partiamo da un dato generale pre-pandemia: nel 2019 erano attive quasi 4,4 milioni di imprese non agricole, con 17,4 milioni di addetti. Oltre il 60% delle imprese aveva al più un solo addetto (in genere ditte individuali con il titolare lavoratore indipendente), e un ulteriore terzo della popolazione erano microimprese tra i 2 e i 9 addetti; questi due segmenti insieme occupavano circa 7,5 milioni di addetti. Le piccole imprese, tra i 10 e i 49 addetti erano quasi 200 mila e quelle medie e grandi 28mila, cioè meno dello 0,7%: queste ultime rappresentavano però più di un terzo dell’occupazione e oltre la metà del valore aggiunto prodotto.

Pertanto solo lo 0,7 per cento delle imprese rappresentava più di un terzo dell’occupazione e oltre la metà del valore aggiunto prodotto! Il 60% delle imprese registrava meno del 10% del valore aggiunto, e quasi il 95% di esse solo poco più del 25% del valore aggiunto. Ciò dà l’idea della struttura occupazionale in Italia e dell’enorme evasione fiscale implicita, cosa che peraltro si evince dai dati sulle dichiarazioni dei redditi.


Naturalmente questi dati sono molto disomogenei in considerazione del territorio rappresentato. La densità d’imprese in relazione alla popolazione in età di lavoro (a livello nazionale pari a 121 per mille residenti tra i 20 e i 65 anni) supera i 135‰ in Val d’Aosta, Toscana, Liguria, Lombardia, Emilia-Romagna e Marche, ma scende intorno o sotto il 100 ‰ in Campania, Basilicata, Calabria e Sicilia. Molto più ampio è il divario in termini di addetti: si va da valori prossimi o superiori a 700‰ in Lombardia, nelle province emiliane, a Bolzano e Prato, e fino a 1081 nella città metropolitana di Milano, a valori sotto i 250 a Rieti, in Calabria e Sicilia (con un minimo di 197‰ ad Agrigento).

Tra il 2012 e il 2019 la popolazione delle imprese si è contratta dell’1,5%, mentre gli addetti sono cresciuti del 4,3%. Si è contratta anche in tutte le province del Nord-est, ma quelle di dimensioni maggiori hanno avuto un aumento dell’occupazione superiore alla media nazionale così come, nel Mezzogiorno, sono soprattutto le province campane più popolose (oltre Napoli, anche Caserta e Salerno) ad avere registrato risultati eccellenti (nell’ordine dell’11-13%); al Centro, invece, con le eccezioni positive di Firenze e Prato, in numerose province si assiste a una contrazione del tessuto produttivo sia per numero d’imprese sia per addetti.

Né va trascurato l’andamento anagrafico: nel 2019 oltre la metà (il 51%) degli indipendenti aveva almeno 50 anni: tra il 2012 e il 2019 questa quota è cresciuta di 11 punti percentuali, mentre i dipendenti con 50 anni e più sono il 30% del totale, in crescita di 8,4 punti rispetto al 2012. L’età mediana dei dipendenti delle imprese ha superato i 40 anni e quella degli indipendenti/imprenditori ha superato i 50.

Pertanto, si fa sentire la denatalità e andrà sempre peggio.

Nel 2021, per le società non finanziarie il valore aggiunto cresce dell’8,9% (+67,7 miliardi di euro rispetto al 2020) e il tasso d’investimento sale al 22,8%, il livello più alto dal 2008. La crescita del valore aggiunto delle famiglie produttrici (piccole imprese e lavoratori autonomi) è stata del 7,6%. L’aumento del potere d’acquisto delle famiglie, ossia il reddito disponibile espresso in termini reali, è stato del 2,1.

Pertanto, sia pure a fatica, i profitti recuperano e i redditi delle famiglie ristagnano.

Sempre nel 2021, si è avuto un incremento di 4,5 miliardi delle risorse destinate ai sussidi per l’esclusione sociale (+1,6 miliardi per l’erogazione del reddito di cittadinanza, +1,4 miliardi per il reddito di emergenza e +2,0 miliardi per il “bonus 80euro”, a fronte di una più modesta riduzione di altri flussi) e di 2,3 miliardi per l’assegno temporaneo per i figli minori (DL 79/2021).

Nel corso del 2021, le società non finanziarie hanno beneficiato di un’estensione delle misure di sostegno rappresentate dai contributi alla produzione, che si sono attestati a circa 12 miliardi di euro, con un aumento di poco meno di 3 miliardi. Alle piccole imprese e ai lavoratori autonomi (famiglie produttrici) sono stati erogati contributi a fondo perduto per circa 7,2 miliardi di euro (3,5 miliardi nel 2020), a titolo di trasferimenti in conto capitale.

Di sicuro interesse anche il Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2022, con la proroga per il triennio 2023-2025 del credito d’imposta per gli investimenti in beni strumentali nuovi, proroga del credito d’imposta per R&S fino al 2031, trasferimenti diretti, fiscalizzazione degli oneri sociali (contributi previdenziali, ecc.) e sostegni vari.

3 commenti:

  1. Il senso delle parole: applicare gli art. dal 22 al 30 della
    Dichiarazione universale dei diritti umani

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  2. dovrei sorprendermi che questi temi, quando esplicitati, raccolgano solo il silenzio? ma no, lo so, interessa solo il cazzeggio

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  3. Una misura disetica e demagogica che instilla in masse cospicue di persone che esista un presunto diritto a mangiare gratis.
    Peggio del fatto che questo pattume concorre alla formazione di deficit e debito è che esso è una delle forme di oppio delle menti.
    La cosa buffa è che a fronte di mille mila di interventi necessari la lagna è sempre la solita: non ci sono persone per fare questo_e_quello perché non ci sono quattrini.
    Sembrava che non ci potesse essere peggio della ipocrita e farsesca fantubanza dei lavori socialmente utili che si sono inventati il reddito di fantubanza. Ecco, forse ha un pregio: l'aberrazione è meno ipocrita.

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