lunedì 9 maggio 2022

L'immutata strategia di Washington

 

La strategia di Washington in Ucraina non è nuova, anzi è antica e ha le sue radici nella storia della formazione dell’impero statunitense.

L’espansione “bianca” verso l’ovest fu alimentata dal carbone delle ferrovie e da atti di genocidio. Le popolazioni indigene d’America del nord erano d’ostacolo all’avanzata del “progresso” e la cavalleria e i coloni le sterminarono sistematicamente, così come annientarono scientemente la loro principale fonte di sostentamento: il bisonte.

Tanto per ricordare alcuni fatti: l’Indian Removal Act del 1830 è una lettura istruttiva che consiglio; quindi il Trail of Tears, il sentiero delle lacrime, ossia la deportazione forzata dei nativi americani dalle loro terre; i massacri tipo Sand Creek, il sequestro dei bambini, il massacro di Sioux, Cheyenne, Comanche, Yuki eccetera. Sappiamo poi come la propaganda in stile hollywoodiano per oltre un secolo ha presentato le cose: erano gli “indiani” i cattivi, quelli che scuoiavano i poveri coloni, e poco importa se quella pratica l’avevano mutuata proprio dai coloni bianchi.

Mai più si offriranno tali doni di terre “libere”. Alla fine del XIX secolo la frontiera era svanita, chiudendo il primo periodo della storia americana.

1890. La nazione si dirigeva a tutta velocità verso una nuova era industriale. Alla World Columbian Exposition di Chicago, milioni di persone si radunavano per celebrare le innovazioni che alimentavano la produttività americana: luci a incandescenza, i metodi di allevamento efficienti, ferrovie moderne, una macchina da stampa più veloce. I visitatori potevano assaporare la promessa del prossimo secolo: cracker jacks, bibite cosiddette dietetiche e l’hamburger facevano il loro debutto americano.

Tuttavia, solo pochi giorni dopo l’apertura della Fiera, la nazione fu colpita dalla peggiore crisi finanziaria della sua storia. Le azioni crollano, le aziende fallite e milioni di americani perdono il lavoro.

C’era qualcosa di simile a un panico tra la gente. Si doveva trovare un nuovo sbocco per il capitalismo americano, per la sua natura dinamica. In una conferenza il giovane storico Frederick Jackson Turner, che aveva pubblicato The significance of the frontier in american history, suggerì che la soluzione per gli Stati Uniti poteva essere trovata oltre i suoi confini.

Nello stesso tempo decollava la contesa coloniale tra Gran Bretagna, Francia, Russia, Germania e un nuovo Giappone.

La Spagna era stata un grande impero globale. Comprendeva la maggior parte del centro e del Sud America e gran parte del Nord America. Le guerre civili e l’inettitudine della sua classe dirigente avevano dato modo a molte colonie di liberarsi dal suo giogo. Alla fine dell’Ottocento, tutto ciò che restava delle colonie spagnole erano ridotto a Cuba e Porto Rico, e nel Pacifico le Filippine, Guam e alcune isole sparse.

Per gran parte del XIX secolo, le entrate coloniali della Spagna, in forte diminuzione, provenivano dallo zucchero e dalla tratta degli schiavi di Cuba. L’élite statunitense, dai tempi di John Quincy Adams, aveva tenuto d’occhio il prezioso possedimento della Spagna appena fuori della Florida. Del resto se Cuba si fosse disgiunta dalla Spagna, non poteva gravitare che verso gli Stati Uniti.

Nel 1868, i piantatori di zucchero cubani, oppressi dalle crescenti tasse spagnole, presero le armi per conquistare la propria indipendenza. In realtà liberarono e armarono gli schiavi, mica potevano rischiare di persona, salvo qualche romantico loro rappresentante. Gli insorti occuparono gran parte della Cuba orientale distruggendo gli zuccherifici da cui traeva profitto la Spagna.

La rivolta, conosciuta come la Guerra dei Dieci anni, non riuscì a portare l’indipendenza, e però la lotta del Cuba Libre continuò strisciante per decenni. Le promesse spagnole di riforma non furono mai mantenute, l’industria dello zucchero continuò a essere depressa. La Spagna non poteva permettersi di prestare capitali ai piantatori cubani. Molti di loro si rivolsero ai capitalisti americani.

Nel 1895, gli americani investirono a Cuba, e l’élite cubana si trasferiti negli Stati Uniti per studiare e fare affari. Anche umili cubani immigrarono prima in Florida, poi a New York, Philadelphia, Boston e Washington. Questo periodo fu fondamentale per la formazione dell’identità nazionale cubana, facendo diventare il baseball un’ossessione nazionale a Cuba. Altro che corrida, il gioco del baseball è aperto a ognuno, significava essere moderni, progressisti, soprattutto non essere spagnoli.

La rivoluzione riprese vigore sotto la guida visionaria di José Martí, poeta e giornalista cubano che aveva vissuto a New York. Martí aveva visitato le comunità cubane negli Stati Uniti per promuovere e raccogliere fondi per l’indipendenza cubana. La sua idea era quella di rimodellare il movimento Cuba Libre.

Martí si rense conto che il punto debole del precedente tentativo d’indipendenza era costituito dalla divisione del movimento per classe e per razza. E così lui decise di mobilitare la comunità in esilio e di dire loro che la causa di Cuba è di tutti i cubani, bianchi e neri, ovunque si trovino.

Nell’aprile 1895, Martí si unì al generale Máximo Gómez nella Repubblica Dominicana. S’imbarcarono a bordo di una bananiera tedesca e raggiunsero le coste rocciose del sud-est di Cuba per guidare la ribellione. I viaggiatori si aprirono strada attraverso una fitta giungla per entrare in contatto con le forze ribelli. Sessant’anni dopo qualcuno imitò la loro avventura.

Un mese dopo, Martí cavalcando davanti alle sue sparute truppe, fu ucciso nel suo primo scontro frontale. Gómez, veterano della Guerra dei dieci anni, sapeva che l’insurrezione contro la Spagna avrebbe avuto successo solo se portata nelle province più ricche di Cuba. Il suo obiettivo fu l’Avana.

Tutte le piantagioni saranno completamente distrutte, tutto sarà bruciato. I lavoratori che sosterranno gli zuccherifici saranno considerati traditori del loro paese e fucilati. La guerra si fa così, poi penserà la stampa ad addolcire le atrocità commesse da quelli della tua parte e scandalizzarsi per quelle, vere o solo presunte, compiute dagli avversari. Nessuno sa davvero quante persone siano morte, da decine a centinaia di migliaia. Che vuoi che importi se in gioco vi è una grande causa nazionale.

Gli americani avevano bisogno di qualcuno che personificasse il perfido spagnolo e però non potevano guardare al re di Spagna poiché Alfonso XIII era solo un ragazzo di 14 anni. Sua madre, regina reggente, era austriaca, non molto spagnola. Il generale Valeriano Weyler, governatore di Cuba, era il cattivo perfetto. Fu ritratto nei giornali come un bruto, il più sanguinario macellaio che fosse mai entrato in quell’emisfero.

Il nuovo editore del New York Morning Journal era William Randolph Hearst, il trentatreenne figlio di un cercatore d’oro californiano diventato molto ricco. Hearst aveva acquistato il quotidiano nel 1895, quand’era in liquidazione. Divenne rapidamente il giornale più influente di New York.

Hearst vide che il modo per riunire tutti in una comune causa si poteva ottenere con un nemico esterno, con una guerra. È quello che fa la stampa americana odierna e la CNN. Dipinse il governatore di Cuba come un despota diabolico, un devastatore di haciendas, spietato e freddo sterminatore di uomini.

William McKinley, nel suo discorso inaugurale del 1897 quale nuovo presidente degli USA, dichiarò a proposito di Cuba: “dobbiamo evitare la tentazione dell’aggressione territoriale, la guerra non dovrebbe mai essere presa in considerazione fino a quando ogni tentativo di pace non abbia fallito”.

McKinley, che aveva prestato servizio come sergente diciannovenne durante la battaglia di Antietam nel 1862, sapeva com’era la guerra. Di avviso opposto Theodore Roosevelt, sottosegretario alla Marina: “dobbiamo accogliere quasi tutte le guerre, perché penso che questo paese ne abbia bisogno. Se perdiamo le nostre qualità virili, allora sprofonderemo in una nazione di semplici venditori ambulanti, raggiungendo una condizione peggiore di quella delle antiche civiltà negli anni del loro decadimento”.

A differenza del presidente McKinley, Roosevelt fu uno strenuo sostenitore di una guerra con la Spagna, e grande estimatore dell’ammiraglio Alfred Thayer Mahan, presidente del Naval War College, e ciò dice tutto.

Un paese con due oceani doveva avere una flotta in grado di controllare entrambi. Il Congresso stanziò fondi per modernizzare la marina. Pittsburgh e Chicago avevano l’acciaio per creare, se non la più grande marina del mondo, almeno una nuova flotta in grado non solo di difendere entrambe le coste degli Stati Uniti, che non erano peraltro minacciate da alcuno, ma soprattutto sostenere gli interessi economici americani in tutto il mondo.

Per fare questo, gli Usa avevano bisogno di stazioni di rifornimento e avamposti sparsi per il globo, così come li avevano la Gran Bretagna e, in misura minore, altre nazioni. Se gli Usa volevano avere un posto tra le grandi potenze del mondo, avrebbero dovuto entrare nella corsa imperialista e acquisire colonie.

Cuba e le altre colonie della derelitta Spagna si prestavano ottimamente a questo scopo. Roosevelt e altre persone del Dipartimento della Marina lo sapevano bene. La flotta spagnola si trovava nelle Filippine, in porti importanti per controllare le vie d’acqua tra la Cina e il sud-est asiatico. Pertanto il possesso delle Filippine significava qualcosa.

La Spagna governava le Filippine dall’inizio del 1500. Più di mille isole abitate, e la capitale Manila dominava la cultura e il commercio. Zucchero, canapa e tabacco venivano esportati sui mercati della Cina. A differenza di Cuba, la cui industria dello zucchero aveva dato grande ricchezza alla Spagna, le Filippine producevano poche entrate. Inoltre i filippini soffrivano la repressione spagnola e vivevano come cittadini di seconda classe, perciò premevano per le riforme e infine organizzarono una rivolta nel 1896.

Il ventisettenne Emilio Aguinaldo, figlio di un ricco proprietario terriero, divenne presidente della società segreta indipendentista del Katipunan nella primavera del 1897. Con duecentomila soldati che combattevano a Cuba, la Spagna non poteva permettersi una guerra nelle Filippine. Funzionari spagnoli proposero ad Aguinaldo un’offerta di pace.

La proposta fu che la leadership del movimento accettasse l’esilio a Hong Kong e una cospicua somma di denaro. Quanto alle riforme sarebbero state avviate nelle Filippine. Sebbene Aguinaldo non credesse che gli spagnoli avrebbero attuato le riforme, aveva bisogno di denaro e provviste. Accettò d’imbarcarsi per Hong Kong, da dove poi avrebbe acquistato armi per la spedizione nelle Filippine.

L’establishment statunitense sapeva ovviamente che c’era un’insurrezione nelle Filippine, e non mancò di manifestare simpatia e sostegno a favore degli insorti.

Torniamo a Cuba. Fino al 1897, i giornali di New York avevano descritto Cuba come una damigella in pericolo, la Spagna nel ruolo del cattivo e lo zio Sam nel ruolo del valoroso amorevole salvatore. Ogni storia d’amore ha il suo trovatore. Quello di Hearst si chiamava Richard Harding Davis, uno scrittore brillante, ma soprattutto un personaggio incredibile. Hearst gli pagava tremila dollari il mese più le spese, non poca cosa per l’epoca.

Come corrispondente internazionale per Harper’s Weekly, Davis aveva viaggiato in Medio Oriente e nell’America Centrale. Per il New York Journal, Davis aveva telegrafato storie da Cuba che avevano acceso l’immaginazione dei suoi lettori. Uno di questi racconti romantici e toccanti fino alle lacrime descriveva il giovane Adolfo Rodriguez, condannato a morte per essersi unito alla ribellione cubana.

Il presidente McKinley leggeva una dozzina di giornali. Come milioni di americani, fu toccato dal racconto pubblicato sui fogli di Hearst a riguardo di Evangelina Cosio yCisneros, figlia di un esponente dei ribelli, imprigionata dagli spagnoli per essere stata protagonista di un episodio poco chiaro. Hearst organizzò una campagna internazionale per ottenere che donne importanti di tutto il mondo inviassero telegrammi in Spagna chiedendo il rilascio della Cisneros.

Julia Ward Howe, attivista e poetessa statunitense nota come autrice di The Battle Hymn of Republic, scrisse un’appassionata lettera al Papa. Hearst arrivò a organizzare un rocambolesca fuga della Cisneros. Ciò suscitò un grande clamore internazionale sulla vicenda. La Cisneros fu accolta trionfalmente nel porto di New York, Hearst organizzò una serie di altri eventi trionfali e in fine in sua compagnia fu condotta a Washington. Evangelina disse al presidente che le donne e i bambini di Cuba avevano bisogno della protezione degli Stati Uniti d’America.

La domanda che ora l’opinione pubblica americana si poneva era: quando gli Stati Uniti avrebbero liberato Cuba?

Il presidente McKinley fece appello al governo spagnolo per riportare la pace a Cuba, e intanto esaminava l’opzione militare. Invitò il Sottosegretario della Marina, Theodore Roosevelt a un giro in carrozza attraverso Washington. McKinley era stato molto riluttante a nominare Roosevelt perché sapeva che era un falco e che probabilmente avrebbe coinvolto gli Usa in una qualche guerra. Roosevelt colse l’occasione per dirgli che la Marina degli Stati Uniti era molto ben preparata nel caso dovesse combattere la Spagna per Cuba.

Disse al presidente che avrebbe portato la flotta principale sulla costa cubana dopo che la guerra fosse stata dichiarata e allo stesso tempo avrebbe mandato un corpo di spedizione a Cuba. Nel frattempo, un contingente navale avrebbe bloccato le Filippine e, se possibile, preso Manila.

Due settimane dopo, gli spagnoli risposero alla richiesta di pace del presidente McKinley con quelle che consideravano concessioni significative. Se gli insorti cubani mettevano fine alla guerra avrebbero ottenuto di diventare uno stato libero con un proprio governo associato all’interno dell'impero come Porto Rico.

I ribelli non accettarono, volevano l’indipendenza punto e basta. Dietro a queste mene c’era la manona di Washington e pure quella di Hearst, in guerra coi giornali concorrenti. Gli ufficiali spagnoli all’Avana, dal canto loro, si opposero alla volontà del loro governo di negoziare. Nel gennaio 1898 scesero in piazza.

Il 24 gennaio, il presidente McKinley ordinò alla corazzata Maine di recarsi all’Avana per proteggere gli interessi degli Stati Uniti sull’isola. L’ambasciatore spagnolo a Washington, Enrique Dupuy de Lôme, si disse non impressionato da McKinley. Bastò che scrivesse questo in una lettera a un amico, e che questa giungesse nelle mani di Hearst e fosse pubblicata con titoli di scatola, che subito si sollevò l’indignazione per l’insulto al loro presidente.

I giornali scrissero che la dichiarazione di guerra era l’unica risposta possibile a tale affronto.

Il 15 febbraio 1898 la Maine era ormeggiata da tre settimane all’Avana. L’equipaggio era ansioso di tornare negli Stati Uniti. Il capitano Charles Sigsbee, comandante della Maine, alle undici di sera, telegrafò a Washington che la Maine era esplosa nel porto dell’Avana alle 9,40 della stessa sera. Molti morti, feriti e annegati.

L ’esplosione a bordo della Maine uccise 266 marinai statunitensi. L ’amministrazione McKinley nominò un comitato navale per indagare sulla causa della tragedia. Hearst e gli altri giornali americani avevano già deciso, incolpando gli spagnoli di averla fatta saltare in aria.

Ogni giorno portava nuovi editoriali che affermavano che gli americani non avevano scelta, dovevano andare in guerra, non solo per vendicare la Maine, ma per salvare i cubani dal massacro della colonizzazione spagnola. Anche dai pulpiti delle chiese ci si pronunciava a favore dell’indipendenza cubana. La rivendicazione di libertà per l’isola aveva ormai catturato l’immaginazione del pubblico.

Il presidente McKinley disse: “Dobbiamo conoscere la verità e cercare, se possibile, di risolvere la questione con responsabilità. L’Amministrazione andrà avanti preparandosi alla guerra, ma sperando ancora di evitarla”.

La spinta finale verso il conflitto arrivò il 25 marzo, quando il comitato navale che aveva indagato sull’esplosione della Maine concluse che esplosione era stata provocata da un attentato. Sebbene il rapporto non abbia mai stabilito la responsabilità del fatto, pochi dubitarono che la colpa fosse degli spagnoli.

L’11 aprile, il presidente McKinley si rivolse al Congresso: “In nome dell’umanità [!!], a nome degli interessi americani in pericolo, chiedo al Congresso di autorizzare il Presidente ad adottare misure per garantire una risoluzione definitiva e per dare a Cuba un governo stabile”.

Il 22 aprile, il presidente McKinley ordinò al contrammiraglio Sampson di bloccare L’Avana. La Spagna rispose alle manovre navali statunitensi con una dichiarazione di guerra. Il Congresso né seguì immediatamente l’esempio.

Il presidente McKinley chiese 200.000 volontari, più di un milione di americani risposero all’appello.

Gli Stati Uniti negarono qualsiasi intenzione di esercitare un controllo su Cuba, ad eccezione di portare la pace, e quando ciò sarà compiuto lasceranno l’isola alla sua gente.

La guerra ispano-americana non fu solo la guerra che probabilmente ebbe la più grande copertura sui giornali fino a quel momento, ma è stata anche la prima guerra filmata. Ogni teatro proiettava brevi filmati di quelle che furono chiamate “attualità della guerra”. La maggior parte erano dei falsi maldestri. La maggior parte dei primi film della guerra furono girati sui tetti di New York, o con barche giocattolo nelle vasche da bagno e uomini che soffiavano fumo di sigaro per simulare il fumo della battaglia.

Dall’altra parte del mondo, a Hong Kong, il commodoro George Dewey ricevette un dispaccio dal Segretario della Marina Long: “Procedere subito verso le Isole Filippine. Avviare le operazioni contro la flotta spagnola. Usare il massimo impegno”.

Subito dopo la mezzanotte del 1° maggio 1898, Olympia, l’ammiraglia del commodoro Dewey, entrava nella baia di Manila seguita da altre otto navi, modernizzate per competere con le marine d’Europa. Sarebbero state messe alla prova in battaglia.

C’erano sedici navi spagnole alla fonda. Lo squadrone del commodoro Dewey fece cinque passaggi devastanti contro la flotta spagnola. Dieci navi spagnole furono distrutte, un marinaio americano rimase ucciso. A mezzogiorno, gli spagnoli avevano ceduto la loro base navale nella baia di Manila.

Dewey ricevette l’ordine di aspettare nella baia di Manila per l’arrivo dell’esercito degli Stati Uniti. Per assicurarsi l’aiuto degli insorti filippini, Dewey inviò una nave dalla sua flotta a Hong Kong per raccogliere Emilio Aguinaldo, il leader filippino in esilio.

Dewey accolse Aguinaldo a bordo della sua nave ammiraglia nella baia di Manila. Più tardi, Aguinaldo scrisse nelle sue memorie che Dewey aveva promesso di sostenere la rivoluzione. Ma c’era una cosa che non andava, ossia che non c’era nulla di scritto a riguardo della promessa fatta. Aguinaldo voleva ottenere un impegno scritto, ma Dewey gli rispose: “La mia parola è più forte della dichiarazione scritta, più forte di ogni cosa”.

Dewey divenne l’uomo più famoso degli Stati Uniti, fu promosso in seguito Admiral of the Navy. I filippini erano stati indotti a credere che gli americani fossero i loro redentori, i loro liberatori, e quindi finché la flotta di Dewey era lì, andava tutto bene. Ma quando arrivarono i soldati, i filippini hanno iniziato ad avere dei dubbi sulle motivazioni americane. I soldati americani pensavano davvero di dover “educare” queste persone e molti di loro identificavano i filippini con i neri.

Nell’agosto 1899, il comandante degli Stati Uniti a Manila chiese 60.000 rinforzi, quadruplicando le dimensioni delle forze statunitensi nelle Filippine. Aguinaldo ordinò ai suoi ufficiali d’iniziare la guerriglia.

Quando Washington parla di genocidio, sa bene di che cosa si tratta. Nelle Filippine la conquista fu condotta su una scala del terrore e con una rapacità genocida. Oltre 200.000 filippini furono uccisi, ma prima furono torturati, i loro villaggi inceneriti e le popolazioni furono costrette in campi di concentramento. Il generale Jacob Hurd Smith ha incarnato la brutalità della conquista quando ha detto ai suoi soldati: “Vorrei che uccideste e bruciaste, più uccidete e bruciate, e più mi farà piacere”.

Quanti film abbiamo visto su questa strage statunitense? Smith fu sottoposto a corte marziale, ma se la cavò con un buffetto. Come i responsabili di tante altre stragi, compreso il Cermis, derubricato da Wikipedia come “incidente”.

I negoziati di pace tra Stati Uniti e Spagna iniziarono a Parigi il 1° ottobre 1898. Nessun filippino o cubano fu consultato o invitato a parteciparvi. Il loro destino era nelle mani di dieci delegati americani e spagnoli.

McKinley si recò nel Midwest per fare campagna elettorale per i repubblicani. Disse: “Abbiamo una buona moneta, abbiamo ampi ricavi, indiscusso credito internazionale, ma vogliamo nuovi mercati, e poiché il commercio segue la bandiera, dovremmo togliere la bandiera?” Ovviamente il pubblico rispondeva con un ruggito: “No!”.

“Insistere sulla cessione di tutte le Filippine, se necessario, versare alla Spagna venti milioni di dollari”. John Hay, segretario di Stato. La Spagna accettò l’offerta rinunciando alle Filippine e a Cuba, oltre a Guam e Porto Rico. L’impero spagnolo, che un tempo includeva gran parte dell’emisfero occidentale, terminò con un tratto di penna.

18 commenti:

  1. buon sangue non mente: https://journals.openedition.org/diacronie/3600

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  2. “La conferenza di Crimea è stata un momento di svolta nella storia del mondo…Essa dovrebbe segnare la fine del sistema delle iniziative unilaterali, delle alleanze esclusive, delle sfere di influenza, della balance of power, e di tutti gli altri espedienti che per secoli sono stati provati e hanno sempre fatto fallimento” (Roosevelt)

    Se pensiamo all'attuale rozzezza degli "atlantisti" di Stoltenberg ventriloquo di Biden questa di Roosevelt è una concessione di infinita bontà, da incipriare le orecchie, se non fosse vanificata e ridicolizzata (l'uso del condizionale) da un altro power infinitamente più grande, un patto chiaro con Churchill: l'intervento statunitense in Europa per risolvere con le armi la guerra in cambio del controllo del cartello bancario mondiale. Dopo aver di fatto creato i nazifascismi in funzione antirivoluzionaria bolscevica. Creare un problema per "risolverlo". Così tanto power che la cipria Balance è in omaggio.

    La voracità è infatti divenuta talmente incontinente da rimangiare completamente la parola data da Roosevelt restaurando (pericolosamente = nucleare) iniziative unilaterali, alleanze esclusive, sfere di influenza

    pensiero poi radicalizzatosi in fondamentalismo: l'atlantismo

    MB

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  3. "Facciamo colpi di stato dove ci pare. Fatevene una ragione"
    (Elon Musk su Twitter nel 2020)

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    1. non mi stupisce la frase e nemmeno la relativa percezione pubblica
      Bisognerebbe oscurare i nomi e indovinarne l'autore: se detta dai buoni è una scherzosa boutade, un divertissement, un bijoux, un ferrero rouché, e ho finito il vocabolario (vedi Bill Gates che sembra divertire tutti pur avendo il senso dell'ironia di un sistema operativo su controllo, demografia, riproduzione, nuovo ordine mondiale, vaccini, e il meglio del repertorio complottista che piace a Report RAI 3) se invece è detta i cattivi allora è terrorismo e richiede come minimo l'intervento del Copasir, dell'FBI, dell'A-Team simpatici criminali di guerra reduci del Vietnam

      in RAI funziona così già da anni: poi hanno messo il canone sulla bolletta elettrica e anche il teledipendente ha capito che non scherzavano

      MB

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  4. (ANSA) - ROMA, 09 MAG - "L'aggressione nelle nostre terre storiche della Crimea è stata una minaccia ai nostri confini, inammissibile per noi.

    Il pericolo è cresciuto ogni giorno, il nostro è stato un atto preventivo, una decisione necessaria e assolutamente giusta".

    Lo ha detto il presidente russo Vladimir Putin parlando sulla Piazza Rossa.
    Putin ha inoltre affermato che la Russia "è sempre stata favorevole alla creazione di un sistema indivisibile per la sicurezza, ma la Nato non ha voluto ascoltarci".

    Mi sembra che non si possa dargli mimimamente torto, o no?

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  5. Davvero un'ottima lettura. Dovrei dire: una lettura illuminante, ma so bene che gli oscurati non si lasciano illuminare.

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    1. ho omesso di raccontare l'intervento militare Usa a Cuba: tragicomico è dir poco. sono quelli che ora si fanno beffe dei russi in U.

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    2. ho visto nel tuo blog che oggi hai postato un articolo, ma non c'è possibilità di commentarlo. mi pare ci sia un po' di disordine nella tua cucina. succede perché è lunedì?

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    3. Non capisco. Chiunque può commentare. La prima volta si va in moderazione, ma i successivi commenti appaiono senz'altro

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    4. A volte, la piattaforma inserisce una fastidiosa pubblicità che si sovrappone al bottone dei commenti. Allora occorre cliccare sul titolo del post, per averlo a pagina piena.

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  6. Roma, febbraio 1890. La mascherata dell'«influenza del 1890, risorsa dei medici e di farmacisti, rovina dei popoli, disgrazia della classe operaia» dice il cartello nella foto di Giuseppe Primoli
    https://mega.nz/file/l35BybBQ#zF7fjXhctNI1b09sZdk435z9DobxU_bJurmAesd1XUE
    bonste

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  7. In un quaderno di scuola di mio figlio, accanto a un disegno, c'era la scritta «Russia cattiva!»

    Non che prima nutrissi illusioni sulla qualità media del corpo docente. A parte questo episodio, a mandare a scuola i figli mi sento in colpa.

    Roberto

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  8. Stiamo scherzando con il fuoco!

    https://www.qualenergia.it/articoli/gnl-gas-tempesta-perfetta-e-inevitabile-su-ue-questo-inverno/

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