domenica 22 maggio 2022

L'antiamericanismo secondo Sergio Fabbrini

 

Oggi, Sergio Fabbrini, sul quotidiano della Confindustria, si è esercitato su un tema di grande attualità: l’antiamericanismo. Per rintracciarne le radici è partito da lontano, dal dopoguerra, da quel periodo che fin d’allora si chiamò Guerra Fredda.

Osserva Fabbrini che i comunisti e i socialisti, propensi “alla socializzazione dei mezzi di produzione”, combattevano l’America quale rappresentante per eccellenza del capitalismo, guardando con simpatia all’Unione Sovietica.

Si potrebbe osservare che i comunisti e i socialisti furono propensi “alla socializzazione dei mezzi di produzione” ben prima d’allora e però senza manifestare accese idiosincrasie per gli Stati Uniti. Marx sottoscrisse perfino petizioni al presidente degli USA, peraltro anticipando le dannose e pericolose involuzioni del capitalismo americano.

Pertanto il mutamento di atteggiamento di comunisti e socialisti può essere rintracciato nell’ambito della cosiddetta Guerra Fredda. Peccato però che a tale contesto storico Fabbrini non dedichi nemmeno una riga, un po’ come si volesse descrivere, che so, il “diciannovismo” senza parlare del fascismo, e viceversa.

Anche alla destra non piaceva l’America, scrive Frabbrini, perché aveva contribuito a sconfiggere fascismo e nazismo (teoria semplicistica). Non fino al punto però, e questo Fabbrini evita di evincerlo, da rifiutare i copiosi finanziamenti in dollari e gli stretti legami con gli apparati d’intelligence americana, quindi fino a farsi coinvolgere in cupe trame.

L’America non piaceva neppure alla Chiesa, sostiene Fabbrini, per cultura terzomondista e soprattutto perché rappresentava il paese protestante per eccellenza. Mah, a me pare un po’ stiracchiata e unilaterale anche questa tesi e a ogni modo non ho interesse a discuterne qui.

Scrive Fabbrini:

«La fine della guerra fredda ha cambiato l’America, ma non il nostro antiamericanismo. Priva del nemico mortale che ne aveva favorito l’autodisciplina, l’America ha finito per portare in superficie le divisioni radicali che pure avevano attraversato la sua storia. Al capitalismo regolato del New Deal e della Great Society, si è contrapposto il capitalismo deregolamentato del neoliberismo trionfante degli anni Novanta del secolo scorso».

Fabbrini non menziona da che cosa era nato il New Deal (e il Fair Deal), e come quella politica economica entrò a sua volta in crisi sia per problemi interni di sostenibilità e sia per l’enorme spesa bellica negli anni della guerra in Vietnam, tanto da portare alla famosa decisione di Nixon dell’agosto 1971, ossia di sospendere la convertibilità tra dollaro e oro.

A proposito della guerra in Vietnam, che Fabbrini nemmeno cita, va ricordato l’antiamericanismo endogeno, le grandi manifestazioni di protesta, in cui anche negli Stati Uniti si bruciavano le bandiere a stelle strisce. Fabbrini esalta i bei tempi andati, ma va ricordato che la guerra nel Vietnam fu concepita e condotta dagli uomini che John F. Kennedy portò a Washington (spero non serva rammentarne qui i nomi).

Dimentica, Fabbrini, che gli Stati Uniti non rappresentano solo il capitalismo nella forma storicamente più avanzata, ma anche la forma più sviluppata, proterva e totalizzante dell’imperialismo capitalista. La sua continua minaccia e ingerenza in nome di quei diritti umani che però sono violati sistematicamente negli stessi Stati Uniti.

Dell’antiamericanismo si potrebbero chiedere le ragioni ai popoli latino-americani, che dell’imperialismo di Washington ne sanno più di altri, oppure rammentare, a proposito delle “divisioni radicali che pure avevano attraversato la sua storia”, l’antiamericanismo espresso a causa della segregazione razziale, tipo quello che divampò tra il 13 e il 16 agosto 1965, quando la popolazione nera di Los Angeles (Watts) si sollevò in armi, tanto che dovette intervenire una divisione di fanteria appoggiata da carri armati: 32 morti, più di ottocento feriti, 3000 incarcerati. Quella sì fu una chiarificazione dei problemi esistenti negli Stati Uniti.

Non basta alludere sottilmente alle “divisioni radicali”, è necessario portarle “in superficie”, metterne in fila la loro cronaca, e da qui chiedersi perché realmente l’antiamericanismo nel mondo non è cambiato.

Fabbrini cita l’invasione dell’Iraq come un “errore”, mentre ci raccontano che la guerra intrapresa dalla Russia in Ucraina è diventata il più esecrabile dei crimini, ascritto alla paranoia di Putin così come la Guerra Fredda fu ascritta a quella di Stalin. Anche se queste caratterizzazioni di Stalin e di Putin fossero fondate, ciò ancora non spiegherebbe la natura e i motivi per cui gli USA adottarono allora la Guerra Fredda e ora la sua prosecuzione, ossia l’allargamento a Est della NATO.

Per essere concretamente plausibile, tale teoria basata sul dispotismo e la paranoia di Putin (o altra affezione morbosa, a scelta) dovrebbe essere messa alla prova dei fatti. Sarebbe valida una tale teoria solo se vi fosse stata una diversa politica americana, accuratamente formulata e tentata per un tempo significativo, al fine di verificare il reale pericolo costituito dalla Russia per l’Europa e l’Occidente, la sua indisponibilità a un accomodamento delle questioni.

Tutto ciò non è mai stato tentato e non era negli interessi degli USA farlo. Fin dagli anni Novanta, approfittando della debolezza in cui versava la Russia di Eltsin, Washington ha optato per scelta strategica netta di cui oggi si raccolgono i frutti avvelenati a danno soprattutto dell’Europa.

Dopo decenni in cui questi specialisti alla Fabbrini hanno riscritto la storia, capovolgendola, non si può nutrire alcun rispetto per la loro integrità e accuratezza. Una critica teorica dell’antiamericanismo o di qualsiasi altro fenomeno storico, politico e sociologico non può procedere scegliendo alcuni fatti, stravolgendoli, e presentarli in termini di propaganda ideologica.


7 commenti:

  1. Io capisco che il giornale di Confindustria peschi i suoi esperti alla LUISS. Anch'io, se devo cuocere la pasta, vado nella cucina di casa mia. Ma, proprio perché c'è ampia scelta di docenti, occorrerebbe utilizzarli per le materie che conoscono. Mi piacerebbe, per esempio, capire in cosa sia consistito il radicale cambiamento che avrebbe portato al capitalismo deregolamentato del neoliberismo trionfante degli anni Novanta, rispetto al sistema precedente (capitalismo regolato del New Deal e della Great Society). Un marziano atterrato di recente potrebbe pensare, leggendo questa roba, che l'America pre-Reagan fosse una specie di Svezia. Ma vattene a fambagno, Fabbrini. Tutto quello che c'era prima, e che rimase poi negli anni di Reagan, è un po' di "medicare". E l'unica cosa che cambiò con Reagan fu una diminuzione delle tasse. Neoliberismo trionfante? Forse, se togli in prefisso "neo".

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  2. Infatti parlo di politica economica e non di capitalismo, che nella sua sostanza non muta

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  3. Sull'antiamericanismo
    Non so voi ma io quando ero piccolo leggevo gli album di Topolino (Mickey Mouse) con Paperino (Donald Duck) e i suoi nipoti. Qualche anno dopo andavo al cinema (per fortuna c'erano Stanlio e Ollio, Stan Laurel e Oliver Hardy) ma soprattutto eroi velocissimi con la pistola che uccidevano indigeni selvaggi (mito evidentemente copiato dalle nostre Crociate). E, ancora più tardi, gli hamburger, il pollo fritto, i jeans, il jazz, le Marlboro, il Bourbon, il Ketchup, gli Hot Dog, il barbecue...
    Con questi miti (a parte il calcio) sono cresciuto e altri semplicemente non ce n'erano.
    L'altro imperialismo che cosa offriva a un minorenne? La vodka, il colbacco e poi?
    Come faccio a essere antiamericano?
    M.Caputo

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  4. Se nascevi in Vietnam avresti apprezzato anche il napalm, ad Harlem la segregazione ... Il punto non è questo. Lo schiavo antico poteva godere degli spettacoli dell'arena e di qualche altro privilegio, ma non si può ridurre la discussione a queste cose.

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    1. Evidentemente mi sono spiegato male. Il Vietnam e il razzismo non c'entrano. Volevo invece sottolineare la pervasività della "cultura dell'hamburger", cioè di quella che George Ritzer chiama la McDonaldizzazione del mondo, cioé il messaggio che gli USA mandano al resto del mondo per stabilire che la loro realtà sociale e culturale è l'unica che conti. Se intere nazioni fanno fatica a difendersi da questo virus, figuriamoci come può opporsi un adolescente. Col tempo qualcuno sviluppa gli anticorpi, alcuni rimangono segnati a vita.
      M.Caputo

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    2. insomma, mettiamola cosi':
      gli usa hanno offerto topolino e hamburger ( a noi e a chi gli faceva comodo),ma gli altri hanno offerto frankestein , dracula e l'uomo lupo messi insiemi.
      Al netto di invasioni e brutalità, possiamo dire che gli altri il loro prodotto se lo son venduto male?

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  5. L'eredità : https://www.google.com/search?q=Worldwide+Devastation+The+history+of+the+British+Empire%E2%80%99s+violence&oq=Worldwide+Devastation+The+history+of+the+British+Empire%E2%80%99s+violence&aqs=chrome..69i57.10654j0j7&sourceid=chrome&ie=UTF-8

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