domenica 13 marzo 2022

Il discorso di Putin: “un invito a pensare”


«Il mondo ha cambiato la sua visione della Russia. Non ci viene più detto cosa fare come a degli scolari. Siamo rispettati, la Russia ha riconquistato il suo legittimo posto nel mondo. È cambiata, è più forte e più prospera.»
(Dmitrij Anatol’eviMedvedev, Vice-Primo ministro della Federazione Russa, candidato Russia Unita alle elezioni presidenziali del marzo 2008, dichiarazione su Vesti Channel, 11 dicembre 2007).

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La Russia post-sovietica non è mai stata partner diplomatico ed economico facile, ma la scomparsa dell’URSS e del confronto ideologico, l’apertura delle frontiere e degli scambi, l’instaurazione di molteplici partenariati e cooperazioni hanno fatto pensare che il vocabolario e i comportamenti forgiati durante la Guerra Fredda appartenessero alla storia.

Dopo la crisi causata dallo scioglimento dell’URSS, nel corso degli anni l’atteggiamento della politica estera russa è mutato e ciò può spiegarsi con il fatto che questo Paese molto vasto dispone d’ingenti risorse minerarie e finanziarie, di un imponente arsenale nucleare e ha proceduto a profonde riforme politico-sociali, dei suoi apparati statuali e del suo strumento militare convenzionale.

Vi sono tuttavia altri importanti parametri, che potremmo definire psicologici, di cui tener conto per comprendere l’evoluzione della politica estera russa negli ultimi lustri, ossia il modo in cui la Russia percepisce se stessa come nazione e come civiltà.

Nel corso di questo inizio secolo le relazioni della Russia con gli Stati Uniti e la NATO si sono deteriorate drammaticamente per una serie di questioni importanti per la sicurezza russa, quali l’allargamento a Est della Nato e l’installazione di elementi della difesa missilistica americana nell’Europa centrale, l’incerto futuro dei trattati sulle forze convenzionali in Europa (CFE) e sulle forze nucleari intermedie (INF) [*], la riforma dell’OSCE e lo status del Kosovo.

Il 10 febbraio 2007, a Monaco, nella 43a sessione della Wehrkunde (un incontro informale organizzato ogni anno e chiamato Davos of Defence), il presidente della Federazione russa, Vladimir VladimiroviPutin, volle ricordare con forza che la Russia è anche una potenza europea.

Disse che i problemi della sicurezza internazionale sono “molto più ampi” di quelli della sola stabilità politico-militare e si estendono all’economia mondiale, alla lotta alla povertà, alla sicurezza economica e allo sviluppo del dialogo tra le civiltà. In particolare, sottolineò:

«Tutto ciò che sta accadendo oggi in questo mondo è una conseguenza dei tentativi di implementare un concetto di mondo unipolare. E qual è il risultato? Le azioni unilaterali, spesso illegittime, non hanno risolto un solo problema. Al contrario, hanno causato nuove tragedie umane e più tensioni».

Denunciò l’imposizione di determinazioni altrui ad altri paesi: «Alcune norme – quasi l’intero sistema legale di un paese, in primis gli Stati Uniti – hanno oltrepassato i loro confini nazionali e vengono imposte ad altri paesi essenzialmente in tutti i settori: in materia economica, politica e umanitaria. A chi piacerà?».

Putin affermò che «l’uso ipersensibile e quasi illimitato della forza nelle relazioni internazionali» ha accresciuto l’insicurezza globale. Che la forza militare dovrebbe essere utilizzata come ultima risorsa e solo sotto l’autorità delle Nazioni Unite. Disse che le Nazioni Unite «non possono essere sostituite dall’Unione Europea o dalla NATO».

Criticò i tentativi di utilizzare l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) per scopi politici, affermando che «si tenta di trasformare l’OSCE in uno strumento volgare di protezione degli interessi politici di un paese o di un gruppo di paesi rispetto ad altri paesi».

Putin puntualizzò che la Russia non ha bisogno dell’Europa per essere più attiva negli affari internazionali: «vogliamo anche trattare con partner responsabili e indipendenti», aggiungendo che «la Russia non ha bisogno di lezioni di democrazia. Le persone che ci insegnano sempre la democrazia, non vogliono impararla per se stesse».

Su altre questioni, Putin affermò che gli Stati Uniti stavano cercando di militarizzare lo spazio e che la Russia stava elaborando una proposta per l’approvazione internazionale che vietasse tale attività.

Accusò esplicitamente la NATO di dislocare forze militari vicino al confine russo: «Siamo preoccupati per i piani per schierare elementi di un sistema di difesa missilistica in Europa. Chi ha bisogno di un’altra corsa agli armamenti, che sarebbe inevitabile in questo caso?».

Espresse “forti dubbi” sul fatto che gli europei avessero bisogno di tale protezione, sostenendo che nessuno dei “cosiddetti paesi problematici” possiede missili che rappresentino una minaccia per l’Europa. «Anche ipoteticamente, ad esempio, il lancio di un missile nordcoreano verso il territorio degli Stati Uniti oppure sull’Europa occidentale va chiaramente contro le leggi della balistica».

Putin invitò quindi a ricercare un “ragionevole equilibrio degli interessi di tutti gli attori del dialogo internazionale”, anche se il “panorama internazionale” sta cambiando molto rapidamente a vantaggio di grandi paesi come Cina, India, Brasile e Russia, che prima o poi finiranno per trasformare la loro crescita in “influenza politica”.

Dopo il discorso di Putin, il segretario alla Difesa americano, Robert Gates, descrisse i contenuti espressi dal presidente della Federazione russsa come “interessanti e molto schietti”. Un portavoce di Putin precisò ai giornalisti che il presidente russo non stava cercando di provocare gli Stati Uniti: “Non si tratta di confronto, è un invito a pensare”.

Considerazioni sul discorso di Putin, sia pure tratta a distanza di tre lustri: piaccia o no, in considerazione della situazione attuale, quel discorso ha rappresentato un punto fermo nella politica estera russa e dunque nella dottrina della sicurezza russa. Il presidente russo, al quale non si può negare una concezione strategica ampia e non comune, parlò molto chiaro già allora dei nodi che oggi sono venuti drammaticamente al pettine.

Si pensi, a tale riguardo, quale impatto può aver avuto, infine, la Carta USA-Ucraina sul partenariato strategico, firmata nel novembre scorso e che ho citato in alcuni dettagli in un post del 10 marzo. Come scrivevo, il Cremlino e lo stato maggiore russo non potevano non leggere quest’ultimo documento che come un’ulteriore minaccia alla luce di quanto è accaduto dal 2014 in Ucraina, e dunque come l’annuncio di una guerra imminente.

Veniamo ai fatti successivi a quel discorso: gli Stati Uniti e la Nato si sono attenuti all’essenziale raccomandazione richiamata da Putin riguardo il ruolo fondamentale dell’ONU e per contro hanno rinunciato al proprio unilateralismo da “guardiani del pianeta”? Riguardo allo status del Kosovo, hanno tenuto conto delle osservazioni di Putin e della Serbia? Hanno evitato di dislocare le cosiddette “basi leggere americane avanzate” vicino al confine russo e di schierare elementi di sistemi missilistici in Europa?

Il 7 maggio 2021, riportavo in un post la voce di Kissinger, che con il solito realismo coglieva il problema nella sua essenza:

«Henry Kissinger, del quale si può dire tutto il male possibile, ma che non è certamente uno sciocco, ha ribadito che continuando così, ossia con questo genere di contrapposizioni geopolitiche frontali, il rischio concreto di estinzione non è più una possibilità remota, ma una eventualità assai prossima». 

Concludendo: la politica estera russa è ormai parte di una visione molto ampia dei propri interessi nazionali e non si preoccupa più delle forme, l’abbiamo ben visto ultimamente con la questione ucraìna. L’Europa, che funge da sfondo per la maggior parte di questi problemi, gioca solo un ruolo politico marginale e a rimbalzo di Washington e delle entità palesi o in ombra che ne indirizzano o condizionano la politica estera e degli armamenti.

Come nel periodo della Guerra Fredda, russi e americani impongono il proprio ritmo agli europei divisi da interessi contraddittori. Le due ondate di estensione della NATO nei paesi ex membri del Patto di Varsavia, nel 1999 e nel 2004, pesano negli avvenimenti successivi e in modo drammatico in quelli odierni. Di fronte abbiamo una PESD e a una PESC che, al contrario, non mostrano alcuna reale utilità come strumento di gestione della sicurezza europea.

[*] Il trattato INF, firmato nel 1987 da Russia e Stati Uniti, riguarda la completa eliminazione dei missili terra-superficie con una gittata compresa tra 500 e 5500 km. Ha aperto la strada al trattato strategico START e al suo regime vincolante di verifica basato sul principio delle ispezioni in loco. La questione dei trattati USA-Russia è molto vasta e complessa, di scarso interesse per chi preferisca rincorrere la cronaca spicciola, ad ogni modo per quel che posso vedrò di farne una sintesi in un post futuro anche per aggiornarmi e chiarirmi le idee in proposito. 

7 commenti:

  1. purtroppo il risultato dell'uso delle armi è stato il compattamento forzato dei paesi fondatori della UE e quelli dell'ex patto di Varsavia.

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    1. L'alternativa: Comunismo o barbarie!

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    2. Ah, una alternativa pronta sul piatto

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    3. Oramai la sola e vera alternativa che tutto il genere umano può perseguire, è stata totalmente espunta dal dibattito pubblico. Eppure, mi ricordo che all'inizio questo blog ne parlava. Certo le contingenze vanno tenute in debito conto, ma mai, bisogna perdere la visione d'insieme. E la visione di insieme si chiama:Comunismo!
      La invito a tenere in debita considerazione ciò.

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  2. “Il mondo è più grande dell'Occidente, che non lo domina più”
    Dimitrij Suslov consigliere per la politica estera del Cremlino.

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  3. Presentare un'analisi del processo che ha portato a questa nuova tragedia è per me lodevole ma non è ammesso nel dibattito pubblico: la guerra ha serrato i ranghi e reso unanimi anche da noi populisti e nazionalisti, neofascisti ed ebrei, pacifisti e guerrafondai, magnati e popolani.
    Figuriamoci poi se qualcuno ha il coraggio di ammettere che il popolo ucraino continuerà per decenni ad essere la vittima delle illusioni che gli sono state ammannite da Washington. Perché è ormai chiaro che le aree di crisi (ad esempio in area ex-sovietica: Transnistria; Nagorno-Karabakh; Ossezia meridionale ed Abcasia) in questo mondo solo apparentemente unipolare sono destinate a rimanere purulente perché aperte a tutte le ingerenze, al sobillamento esterno delle fazioni che compongono ogni società umana. Nessuna comunità può subire due o più egemonie allo stesso tempo e molti di noi, assuefatti alla nostra sfera egemonica, non riescono a percepire ciò.
    (Peppe)

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