martedì 29 marzo 2022

Il motivo principale e reale della guerra attuale

 

Martedì 15 settembre 1812, Napoleone entrò in Mosca e prese alloggio in un palazzo del Cremlino, già residenza degli zar fino a quando Pietro il Grande non trasferì la sede della capitale sul Baltico.

Meno di 10 giorni prima, a Borodino, un Napoleone stanco e fiacco si era fatto sfuggire una vittoria netta e decisiva rifiutandosi di gettare al momento opportuno le sue truppe di riserva nella battaglia. Un errore che avrà conseguenze fatali per la campagna in corso e per tutto ciò che ne seguì.

Mosca era una città molto vasta, con molte centinaia di palazzi “come non ce n’era uno solo a Parigi”. Sontuosi e intatti nelle loro ricchezze erano stati abbandonati dai loro proprietari in fretta e furia. Le descrizioni dei testimoni francesi di quell’occupazione non lasciano dubbi in proposito: colpiva di quelle dimore lo sfarzo dell’arredamento, le gallerie di dipinti alla maniera di Watteau o di Boucher, le molte biblioteche fornite soprattutto di edizioni di lusso, di testi classici medievali, molte opere in francese, quindi le serre e i giardini, i tubi dei caloriferi graziosamente disposti, le splendide sale da bagno, i teatri privati “grandi quanto quelli pubblici”.

La gran parte dell’armata francese era acquartierata attorno alla città. Napoleone aveva fatto divieto, come solito, di saccheggio. Il maresciallo Édouard Mortier, duca di Treviso, cui era stato affidato il governo della città, ne avrebbe risposto personalmente. Questo divieto fu grossomodo rispettato all’inizio. Il saccheggio poteva essere punito facilmente con la fucilazione. In passato, solo nel caso della città di Pavia, Napoleone aveva concesso alle sue truppe il saccheggio per 24 ore, ma lo revocò dopo tre ore.

Come ebbe a dettare a Las Casas, Napoleone aveva meditato a lungo sul tema del saccheggio: “Sono stato messo più volte nelle condizioni di dover gratificare così i miei soldati, e l’avrei fatto se l’avessi trovato vantaggioso”. Un esercito dedito al saccheggio diventa ben presto incontrollabile.

L’imperatore dei francesi quella prima notte non dormì al Cremlino che per poche ore. Fu costretto alla fuga da Mosca e a rifugiarsi nel bizzarro castello di Petrovskoe, ad alcune leghe dalla città.

A Mosca, la situazione era precipitata quella notte in poche ore. In alcuni quartieri, già dal giorno prima, avevano cominciato a divampare degli incendi sulla cui origine nessuno al momento aveva posto interesse. La sera del 15, s’alzò un vento autunnale, con raffiche impetuose e con cambi di direzione repentini. Si comprese ben presto che gli incendi che stavano devastando ormai tutta la città erano stati appiccati da squadre di piromani secondo un piano e ordini precisi.

Impossibile spegnere gli incendi o anche solo tentare di circoscriverli. Le pompe dell’acqua erano fuori uso, le corde dei pozzi tagliate. Pattuglie d’incendiari percorrevano la città. Le truppe francesi rimaste in città, prive di buona parte dei loro comandanti, incaricate della missione impossibile di spegnere incendi di tali proporzioni, si scatenarono in un feroce saccheggio dai tratti tragicomici, laddove gli stessi soldati si uccidevano tra loro per accaparrarsi il bottino, a volte costituito solo da vino e acquavite.

Napoleone rientrò nella capitale russa incenerita il 18 di settembre. Pioveva.

Chi aveva bruciato Mosca? Napoleone si preoccupò di scagionare la sua armata dall’odioso crimine. Sapeva bene che sarebbe stato facile imputargli quel misfatto. Scrisse una lettera allo zar Alessandro portando testimonianze sull’accaduto. Naturalmente la lettera non ebbe alcun seguito. Né i francesi e nemmeno Alessandro o Kutuzov avevano interesse a incendiare la città.

L’ordine di liberare i detenuti dalle carceri fu dato dal governatore di Mosca, Fedor VasileviRostopin, il quale per un certo tempo si vantò anche per iscritto di aver dato anche ordine di incendiare la città.

Nel caso ipotetico non vi fosse stato l’esodo degli abitanti dalla capitale e nemmeno il grande incendio che la distrusse, il corso degli avvenimenti successivi sarebbe stato diverso per le sorti personali di Napoleone, della Francia e dell’Europa?

Ciò che vale per la campagna napoleonica di Russia, vale anche per quella intrapresa dalle forze germaniche nel 1941, e subito prima, in diretta connessione, per quanto riguarda il ruolo di Lenin, di Trotsky e poi di Stalin, insomma della Russia sovietica. Quale destino alternativo sarebbe stato possibile nella Russia del Novecento, con quali esiti per lEuropa e il mondo intero? 

Tutti i processi storici dipendono dalle leggi della necessità e dalla casualità degli infiniti movimenti dei singoli soggetti che vi agiscono, nelle conseguenze spesso da nessuno cercate e volute. La casualità diventa, in questo senso, causalità, e si manifesta producendo complessi fenomeni storici che comportano la necessità, sempre relativa e mai assoluta, e tutto ciò diventa insieme la base dello sviluppo storico come processo globale, continuo e senza sosta.

Sta di fatto che storicamente né l’Inghilterra, né la Russia, si arresero all’imperialismo della Spagna, della Francia e della Germania. Fu per molto tempo imperialismo anche quello britannico e quello russo, con la differenza che la Russia, ereditando la forza nucleare dell’ex impero e mantenendo finora salda una propria dignità di nazione, non si è ancora arresa e assoggettata all’imperialismo americano.

Il dominio statunitense sul pianeta è il motivo principale e reale della guerra attuale per procura, dietro cui si celano interessi assai prosaici. Sarà motivo sufficiente e scatenante di altri conflitti che in futuro gli Stati Uniti sapranno minacciare e istigare in nome della libertà e della democrazia.

lunedì 28 marzo 2022

Vecchi e nuovi disastri dell'imperialismo americano

 

L’Unione Europea ha annunciato l’intenzione di sostituire almeno una parte delle forniture di gas dalla Russia con l’aiuto di esportatori alternativi, in primis gli Stati Uniti.

Prima di parlare di costi e di prezzi vediamo la faccenda sotto l’aspetto della quantità, tenendo presente che solo Gazprom invia in Europa circa 155 miliardi di metri cubi di gas l’anno (e ci sono anche forniture di GNL di Novatek).

Vediamo i fornitori più vicini che cosa potrebbero fare. La Norvegia, sta producendo al limite. L’Algeria, altro nostro vicino, ha tagliato del tutto le esportazioni verso l’Europa alla fine dello scorso anno a causa di una disputa politica con i suoi vicini del Marocco, dove passa il gasdotto noto come Maghreb–Europe Gas Pipeline (MEG), attraverso il quale il gas algerino va nella penisola iberica.

Alla fine di febbraio, l’Algeria ha annunciato di essere pronta ad aumentare le forniture attraverso il gasdotto Transmed con una capacità di 32 miliardi di metri cubi l’anno. Al momento, fornisce 22 miliardi di metri cubi attraverso di esso, ma non può caricarli completamente: le capacità di produzione di gas del Paese consentono di aumentare le esportazioni di non più di 3-4 miliardi di metri cubi.

Pertanto, l’Europa deve cercare partner più lontani. Il Qatar non sembra al momento interessato a siglare nuovi contratti con l’Europa, essendo già impegnato in Asia. In futuro tali accordi potrebbero essere conclusi, ma anch’essi richiederanno l’ampliamento delle capacità sia dei produttori che degli acquirenti.

Il 25 marzo Joe Biden ha annunciato un piano secondo il quale entro la fine dell’anno saranno inviati 15 miliardi di metri cubi di gas naturale liquefatto nei paesi dell’UE. Anche se quanto annunciato sarà attuato, si tratterà di sostituire non più del 10% delle forniture russe entro la fine dell’anno. Ciò che è realmente in potere degli americani è di trarre pieno vantaggio da tale situazione.

Gli USA stanno investendo molto nell’espansione delle capacità di liquefazione del gas e nella costruzione di terminal di trasporto nei porti. La capacità totale di approvvigionamento di GNL entro la fine di quest’anno potrebbe aumentare del 20%, fino a 100 milioni di tonnellate (corrisponde a circa 130-140 miliardi di metri cubi dopo la rigassificazione). Va notato che una parte significativa di questo nuovo GNL va al fabbisogno americano, che cresce ogni anno.

La strategia statunitense per una penetrazione più attiva nel mercato europeo del gas non è nuova e ha avuto origine 10 anni fa, quando gli Stati Uniti sono stati in grado di dotarsi completamente di gas naturale grazie alla rivoluzione dello shale. Tuttavia, fino a ieri i prezzi del gas in Europa erano bassi, anche della metà rispetto al gas americano, ed erano garantiti dalle forniture orientali.

I paesi europei, dal canto loro, intendono predisporre le infrastrutture necessarie per ricevere fino a 50 miliardi di metri cubi di GNL l’anno. Non è ancora del tutto chiaro se si parli solo di gas americano. Ad ogni modo non sono stati conclusi contratti specifici sia per i progetti in corso che per quelli a lungo termine.

Tuttavia, in Europa non c’è ancora capacità sufficiente per rigassificare il gas importato. La maggior parte dei terminal si trova sulla costa della Spagna e del Portogallo. C’è anche un terminale GNL a Swinoujscie, in Polonia, vicino a Stettino, ma la sua capacità è di 5 miliardi di metri cubi di gas l’anno, mentre la Polonia consuma oltre 15 miliardi di metri cubi di importazioni.

In Germania, che ha promesso di sbarazzarsi della dipendenza russa dal gas entro il 2024, non esistono terminali di questo tipo. Va notato che la costruzione del complesso di Swinoujscie ha richiesto nove anni, dal 2006 al 2015. La Germania sta valutando soluzioni alternative come il noleggio di terminali di rigassificazione galleggianti, ma non è chiaro con quale reale capacità.

Nel prossimo futuro, i prezzi del GNL rimarranno notevolmente superiori a quelli pagati per le forniture del gasdotto. I prezzi spot del gas negli hub europei hanno raggiunto livelli inimmaginabili fino a poco tempo fa. Gli impianti europei di stoccaggio sotterranei sono vicini al minimo storico (28%). Anche se quest’anno non ci saranno interruzioni nell’approvvigionamento, l’Europa pagherà il gas molto più caro che in passato e rischia nel prossimo inverno di avere poche riserve.

Non sono da escludere rivolte popolari in più parti dell’Europa a causa dei rincari delle tariffe, dell’inflazione sempre più elevata e dall’aumento delle situazioni di povertà, chiusure di produzioni e perdita di mercati. Manca solo la ciliegina sulla torta: una crisi finanziaria con le Borse in caduta libera. E tutto ciò per che cosa? Se si va all’origine questa crisi senza pregiudizio, si comprende che ciò accade per assecondare gli interessi degli Stati Uniti, dell’imperialismo americano, che da trent’anni a questa parte ha prodotto solo disastri, e altri ancora ne porterà.

domenica 27 marzo 2022

[...]

 


È dunque questo il soggetto sociale pronto alla “resistenza”, al sacrificio, alla guerra mondiale.

Presupporre la capacità di leggere in modo obiettivo la realtà, oggi fantasmagoricamente tragica da ogni lato la si guardi, è un traguardo non facile, perché ci vuole soprattutto la voglia e la testa. La questione non è quando ti fanno perdere la pazienza, ma quando perdi la voglia e la rabbia è sostituita da accidia.


sabato 26 marzo 2022

Future War: preparati!

 

Effetti della guerra: oltre ai rincari sul Prosecco, in questi giorni sono arrivate le bollette del gas e molti hanno abbassato ancora di più il riscaldamento perché non hanno scelta. È sempre così: i poveri sono uniti loro malgrado alla miseria del mondo. Per gli altri, la solidarietà resta comoda.

La nostra coscienza civica è pronta a soffrire, è lei che si esprime sui social, ma la nostra parte egoistica resiste e si aspetta molto dal riscaldamento globale.

Ci avevano assicurato che i russi non sarebbero arrivati a Venezia prima della primavera del prossimo anno. Fake news. È pieno di donne che parlano slavo e più ancora di cinesi.

Una colonna di blindati russi è già alle porte di Milano. Severgnini, in diretta streaming, ha mostrato un cartello con scritto: “Alt. Prima vaccinatevi!”. Ha chiesto resistenza, ma con modestia, ammettendo che quando sei a New York è facile.

Il caffè mi sta scaldando. Fino a quando non sarà razionato, resta un rimedio efficace al sonno della ragione. Ho aggiunto un cucchiaio di miele di un vicino che ha alveari. Le sue api resistono al freddo, ai pesticidi, ai calabroni asiatici, ai russi. Alla radio, una voce femminile ha detto che un missile ha colpito la Lanterna di Genova, e che gli oligarchi russi si stanno comprando la città.

Ho guardato una foto di Genova sul mio computer e l’ho immaginata senza Lanterna. Una stretta al cuore: dopo i Benetton, i russi!

Vado in bagno. Non ha un buon odore: per risparmiare acqua, scarichiamo il water solo due volte al giorno: la mattina dopo che tutti sono passati, la sera quando l’ultimo va a letto. Questo è ciò che la siccità provocata da Putin ha fatto di noi.

Mario Draghi, ancora ricoverato in una clinica omeopatica di Bruxelles, si è congratulato per la vittoria dell’Italia sulla Macedonia del Nord. Quest’uomo ci dà morale.

Ricordiamo di quando parlò di bazooka nel 2011? Aveva già previsto tutto. Anche lui come Cassandra figlio di Ilio. 

La Russia si candida per l’europeo 2028 con sedi a Kiev, Varsavia e Berlino.

Sono passate le tre. Torno a letto, a sognare il 2019.

Ripeto, quest’uomo di pace non finirà di stupirci (non tutti, ovvio).
Dirà a Bergoglio che il 98% del Pil non avrà un destino bellico.
A Putin leggerà il Mercante di Venezia.

venerdì 25 marzo 2022

Il prezzo è giusto

 

La morte di Madeleine Albright mercoledì è stata l’occasione per un florilegio di lodi da parte dell’establishment politico americano e dei media, glorificando il suo ruolo di prima segretaria di Stato donna e nascondendo la sua stretta identificazione con alcuni dei peggiori crimini imperialisti degli Anni 1990.

Nel 1996, nel programma della CBS “60 Minutes” le fu chiesto della morte di 500.000 bambini iracheni a causa delle severe sanzioni economiche imposte a quel paese come parte di uno sforzo per minare il regime di Saddam Hussein. In Iraq sono morti più bambini che a Hiroshima, osservò l’intervistatrice Lesley Stahl. “Il prezzo ne è valsa la pena”, rispose Albright.


Albright, quand’era ambasciatore degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite, era un fervente sostenitore dell’intervento degli Stati Uniti e delle Nazioni Unite nelle varie guerre civili scoppiate in Jugoslavia. Inizialmente non è riuscita a convincere Clinton e il Pentagono che le forze militari statunitensi andavano dispiegate nella regione, in particolare la forza aerea.

In un confronto con il generale Colin Powell, allora presidente del Joint Chiefs of Staff, gli rinfacciò: “Che senso ha avere questo superbo esercito di cui parli sempre se non possiamo usarlo?”.

Alla fine gli Stati Uniti intervennero sia con attacchi aerei che con sanzioni economiche, costringendo il presidente jugoslavo Slobodan Milosevic e i leader dei serbi bosniaci ad accettare gli accordi di Dayton, una divisione tripartita della Bosnia in zone dominate da musulmani, croati e serbi, sotto la supervisione di un Forza di pace delle Nazioni Unite.

In seguito, ancora come segretaria di Stato, Albright proclamò che i delegati albanesi, provenienti dall’Esercito di liberazione del Kosovo, un gruppo di gangster legato al traffico di droga e organi umani, erano combattenti per la libertà meritevoli di sostegno internazionale. In pochi giorni iniziò un’intensa campagna di bombardamenti durata 78 giorni, con l’uccisione di migliaia di persone.

Il danno inflitto alle principali città jugoslave, in particolare alla capitale Belgrado, fu stimato in oltre 30 miliardi di dollari, che includevano più di 20.000 case, molti edifici governativi, dozzine di ospedali e altre strutture sanitarie e gran parte delle infrastrutture di base, strade, ponti, impianti di trattamento delle acque e fognature e aeroporti.

Uno specchio lontano


Michail Kutuzov entrò a Vilnus solo il 12 dicembre 1812. La retroguardia del maresciallo Michel Ney aveva lasciato la città due giorni prima. Il generale inglese Robert Thomas Wilson, consigliere di Kutuzov, dopo aver visto “quattro uomini con le mani e le gambe congelate, ma ancora coscienti, e due cani che gli divoravano i piedi”, così commentò: “C’è di che invidiare i morti”.

Non si deve pensare che l’esercito russo fosse in una situazione migliore di quello francese. Kutuzov poteva gloriarsi di aver messo in fuga Napoleone, ovvero che questi non avesse avuto più alcun motivo per restare in Russia; tuttavia l’inverno, i parassiti e la fame avevano falcidiato allo stesso modo i russi e la Grande Armata, senza distinzioni di nazionalità. Kutuzov, dopo aver lasciato Mosca all’inseguimento degli invasori, aveva perso i due terzi dei suoi uomini: a Vilnus dei centomila soldati che erano partiti da Mosca gliene restavano appena trentamila.

Dopo questi fatti di Vilnus del dicembre 1812, seguirono le brillanti vittorie di Napoleone in Europa dell’estate successiva, l’improvvido armistizio che l’Imperatore concesse ai suoi avversari, quindi la ripresa delle ostilità, la catastrofe di Lipsia. Ebbene da Vilnus erano trascorsi quindici mesi e le truppe russe vittoriose nel marzo 1814 entravano a Parigi. Anche le sorti della guerra sono incerte quanto tutto il resto. Un solo errore, un cambio di vento, e dalla vittoria si passa alla sconfitta, e viceversa.

La “Guerra d’Inverno”, combattuta da Russi e Finlandesi tra il 30 novembre 1939 e il 12 marzo 1940, in 14 settimane costò ai sovietici 400mila tra morti e feriti. Helsinki fu sostenuta da tutto il mondo: dalla Gran Bretagna al III Reich. La “Guerra d’Inverno” (insieme all’errata valutazione sulla Guerra russo-polacca del 1919/21) ebbe un impatto determinante nelle decisioni di Adolf Hitler, per la sua valutazione sulla reale forza dell’Armata Rossa.

Erano trascorsi ventotto mesi dall’8 settembre 1941, quando nel gennaio 1944 le truppe della Wehrmacht stavano ancora accerchiando Leningrado. Quindici mesi dopo, nell’aprile 1945, l’Armata rossa combatteva una delle più cruente battaglie della seconda guerra mondiale. Caddero circa 80.000 soldati dell’Armata Rossa e 275.000 furono i feriti, ma Berlino cadde e il III Reich sfumò (*).

Non voglio tracciare alcun parallelismo tra il passato e la guerra ucraina attuale, poiché ne sono assenti quasi tutti i presupposti. Vorrei solo ricordare che le battaglie e le guerre non si vincono dieci a zero.

Gli assedi delle città, come ebbe a sperimentare Napoleone a San Giovanni d’Acri, le operazioni militari nelle città (Military Operation in Urban Terrain), sono tra le faccende più sporche e difficili di un conflitto bellico. I tedeschi lo sperimentarono a Leningrado e a Stalingrado, in quest’ultima l’assedio si trasformò in Rattenkrieg, guerra di topi, una dura lotta tra le macerie. I russi, da ultimo, ne fecero esperienza a Grozny nel 1991/92, gli americani a Cassino, per citare un nome noto, più di recente a Bagdad, Falluja e Mogadiscio.

L’ho già scritto, quando sento e leggo che i russi starebbero arrancando, impantanati in Ucraina, penso con quanta leggerezza, ignoranza e malafede si parla queste cose. Magari intervistando qualche compiacente generale in pensione che ha fatto carriera seduto a una scrivania. Mostrano sempre una carta dell’Ucraina senza scala delle distanze. Per fare un esempio, tra Mariupol, vicino al confino russo, e Cherson, quasi sullo stesso parallelo, la distanza è simile a quella tra Trieste e Milano. Su un terreno non facile e d’inverno.

Non c’è vero interesse a far comprendere come stanno le cose, e ciò conferma tutto l’andazzo dello spettacolo mediatico, dei milionari che lo interpretano e dei miliardari che lo controllano. Per esempio,  Kiev è un falso obiettivo, e non deve sorprendere che s’impieghino truppe di seconda scelta. A sud di truppe ne hanno mandate di migliori, ma non certamente d’élite. Stanno sacrificano qualche pedone. Non sono entrati in azione paracadutisti, brigate aviotrasportate, né gli specnaz, vale a dire i corpi speciali, eccetera. Ogni cosa a suo tempo. La prima guerra cecena è durata 20 mesi, la seconda 10 anni. Ci stancheremo prima noi di chiacchierare di queste cose che gli americani d’inviare armi e i russi di fare la guerra.

(*) La battaglia decisiva della seconda guerra mondiale in Occidente fu quella combattuta alle porte di Mosca nel 1941. Il 5 dicembre l’Armata Rossa lanciava un massiccio contrattacco che respinse i tedeschi a decine di chilometri da Mosca, con enormi perdite umane e materiali. L’8 dicembre, Hitler ordinò al suo esercito di abbandonare l’offensiva e ritirarsi in posizioni difensive. L’Operazione Barbarossa aveva fallito e i tedeschi non avrebbero più avuto il monopolio dell’offensiva.

Nell’Unione Sovietica, la Germania avrebbe perso non meno di 10 milioni dei 13,5 milioni di morti, feriti o prigionieri durante la guerra. L’Armata Rossa fu responsabile del 90% dei soldati germanici morti durante la Seconda guerra mondiale. 

giovedì 24 marzo 2022

Quanto morde Mario Draghi

 

A causa delle sanzioni sulle riserve estere della Russia detenute nelle banche estere, ieri il presidente Putin ha ordinato che i contratti del gas con i paesi “ostili” fossero regolati in rubli anziché in valute estere, e ha concesso alla banca centrale russa e ai fornitori di gas come Gazprom una settimana per attuare il cambiamento. Nel terzo trimestre del 2021, circa il 58% delle vendite di gas all’estero di Gazprom era in euro e un 39% in dollari USA, la sterlina circa il 3%.

Gli Stati Uniti, per ora, hanno escluso le transazioni energetiche dall’elenco delle sanzioni, e l’acquisto di rubli sul mercato comporterà la ricerca di banche russe non sanzionate con cui condurre queste transazioni.

Anche il Giappone, un altro paese vassallo degli Usa, importa gas naturale liquefatto (GNL) dalla Russia. Quasi il 9% delle importazioni di GNL del Giappone nel 2021 proveniva dalla Russia, principalmente dal progetto Sakhalin-2 nell’Estremo Oriente russo. Il Giappone, con la stessa ipocrisia europea, ha escluso un divieto d’importazione del gas russo. Giovedì mattina, il ministro delle finanze giapponese Shunichi Suzuki ha affermato di non “capire bene” quali siano le intenzioni della Russia con l’ordine di pagamento in rubli, o come la Russia l’avrebbe eseguito.

Il gioco valutario del presidente russo potrebbe mettere sotto pressione le economie europee, che ottengono circa il 40% del loro gas naturale dalla Russia. Le importazioni di gas dell’UE dalla Russia oscillano e arrivano fino agli 800 milioni di euro al giorno. L’Unione Europea non ha vietato il petrolio e il gas russo, sebbene si sia impegnata a ridurre di due terzi le importazioni russe di gas entro la fine dell’anno (vedremo)e di porre fine alla sua dipendenza dalle forniture russe “ben prima del 2030” (campa, cavallo).

Di conseguenza, data l’entità delle forniture, la domanda di rubli aumenterà e il drastico calo del valore della valuta si arresterà e persino invertirà. Dopo che Putin ha fatto il suo annuncio, il rublo ha guadagnato il 7% rispetto al dollaro.

Nel 2021, queste nazioni ostili hanno pagato circa 69 miliardi di dollari per il gas da Gasprom, la compagnia statale russa. Per aderire a una scala di pagamenti simile quest’anno, i paesi dovranno procurarsi circa 6-7.000 miliardi di rubli.

L’ordine di Putin è un tentativo di sostenere il rublo. Dopo essere caduto fino al 40% sulla scia dell’invasione russa dell’Ucraina, da allora il rublo ha recuperato gran parte del terreno perduto, ora in calo solo del 22% dal 25 febbraio. Il rublo si è rafforzato alla notizia dell’ordine di Putin, prima di stabilizzarsi a 97,7 rubli per dollaro.

Il rafforzamento del rublo ha dunque, secondo il punto di vista del governo russo, un’importanza decisiva sia in chiave interna e sia di risposta esterna.

I governi europei sostengono che qualsiasi cambiamento nella valuta di pagamento sarebbe una violazione del contratto e gli analisti sono scettici che lo stratagemma del rublo funzionerà. Resta che i rubinetti del gas sono in mano a Putin e il prezzo del gas sta salendo anche del 30%.

Mario Draghi, ha dichiarato al Bloomberg Capital Market Forum: “La mia opinione è che paghiamo in euro perché pagare in rubli sarebbe un modo per eludere le sanzioni, quindi penso che continueremo a pagare in euro”.

Mi ripeto sempre più spesso una stessa domanda su quest’uomo che era descritto come particolarmente dotato. Lascio ai lettori dedurre quale tipo di domanda.

Notizie dal fronte (senza pagare canone)

 

La NATO istituirà ulteriori gruppi tattici multinazionali in Bulgaria, Ungheria, Romania e Slovacchia. La NATO ha già schierato 40.000 soldati sul fianco orientale. Ieri, il segretario generale dell’Alleanza atlantica, Jens Stoltenberg, ha affermato che la NATO non si considera parte del conflitto in Ucraina e non invierà forze lì . Il 20 marzo aveva affermato che l’Alleanza del Nord Atlantico sostiene l‘Ucraina. Allo stesso tempo, ha definito estremamente importante impedire che l’attuale conflitto si trasformi in una guerra su vasta scala tra NATO e Russia.

Interessante vedere Biden, Johnson ed Erdogan in posa per la foto stando a gomito.

Il Tesoro degli Stati Uniti ha annunciato oggi l’introduzione di nuove sanzioni contro la Russia. Le restrizioni interesserebbero 328 deputati della Duma di Stato, nonché altre persone fisiche e giuridiche. Il dipartimento ha anche affermato che le attuali restrizioni ora si applicano a tutte le transazioni in oro se sono associate alla Banca di Russia.

Il primo vicepresidente della commissione della Duma di Stato, Viktor Vodolatsky, ha dichiarato: “In Occidente credono che comitive di deputati della Duma di Stato vadano a fare shopping all’estero ogni sabato”.

A chi fanno male le sanzioni alla Russia

 





A questo punto importa poco

Il nostro Heine.


Sempre in ritardo e sempre dalla parte dove non si rischia niente. Fu Plinio a parlare per primo di crimini di guerra, in riferimento alla guerra di sterminio condotta da Cesare nelle Gallie. Si stimano 1.000.000 di morti. A Cesare sono intitolate scuole, navi, vie, ecc.. Dotto’, che faccio, lascio o tolgo?

*

Penso non ci si renda ben conto di che cosa sta accadendo e di che cosa potrebbe succedere ancora di tanto grave se la situazione, come sembra, sfuggirà di mano. Se non si smette con l’enfasi propagandistica e non si torna a ragionare non se ne verrà fuori, anzi. Da una parte e dall’altra si è perso il senso delle proporzioni.

Le cause di questa guerra sono state dette e ripetute, da opposti punti di vista. Si sono liquidati i fatti storici come nient’altro che “disinformazione russa” o peggio. Il Cremlino ha le sue ragioni, che non hanno nulla a che fare con la preoccupazione per il benessere e la libertà degli ucraini, e ha attirato l’attenzione sul ruolo sporco svolto da Washington e Bruxelles nell’allargamento della Nato e nelle “rivoluzioni” ucraine. L’uso di questi fatti da parte del governo Putin per promuovere il nazionalismo russo e giustificare l’invasione dell’Ucraina non rende i fatti stessi falsi.

A questo punto importa anche poco. Resta la questione: che cosa si vuole fare dell’Ucraina, della Russia e dell’Europa? Se non si vuole portare Zelensky a un accordo, regolando i conti interni con le frange più estremiste e intransigenti (ne avrà la forza?), la guerra andrà avanti con le sue devastazioni, non solo materiali.

Non solo la Russia si troverà a proseguire la guerra, ma anche l’Europa sarà ancor più destabilizzata e con milioni di profughi da gestire, un paese enorme in macerie, una crisi energetica da non sottovalutare, non solo in prospettiva, perdita di mercati e altre cose così.

Sullo sfondo i predatori economici, come per esempio l’European Business Association, il Center for International Private Enterprise, una delle tante organizzazioni di lobbying attive a Kiev, che funge da agenzia di collegamento tra il Congresso degli Stati Uniti e le autorità ucraine per procura dell’American Chamber of Congress, eccetera.

Sperare che la Russia imploda è anche peggio. Diventerebbe una polveriera ingestibile, con armi nucleari disseminate dappertutto e rivalità feroci tra le innumerevoli etnie. Non conviene davvero a nessuno, tranne che agli Stati Uniti, che in queste cose ci sguazzano.

La questione rimane: trovare un punto di equilibrio per fermare la guerra e siglare un accordo. Più la guerra va avanti e più sarà difficile trovare quel punto di equilibrio; più la Russia si farà forte sul campo (non sapremo mai come stanno le cose, siamo intossicati dalla propaganda) e più le forze estremiste ucraine, allo sbando, diventeranno padrone di ciò che resta dell’Ucraina.

Chiaro che a decidere non è Zelensky né altri in Ucraina. I leader europei, ubriachi essi stessi delle propria propaganda, dovranno pur riflettere su ciò che gli conviene. Tuttavia l’ultima parola spetta a Washington (non necessariamente nella persona di Biden). Washington è alleata della UE, ma non è amica dell’Europa. Questo si tende a scordarlo.

mercoledì 23 marzo 2022

Glorificazione del neonazismo


Lotta alla glorificazione del nazismo, del neonazismo e di altre pratiche che contribuiscono ad alimentare forme contemporanee di razzismo, discriminazione razziale, xenofobia e relativa intolleranza: risoluzione / adottata dall'Assemblea Generale.

Votazione:


Hanno votato contro: Stati Uniti e Ucraina.
Astenuti: Paesi Europei, Canada, Turchia, Australia, Giappone.

Non eravate internazionalisti?

Solidi profitti.

La mobilitazione ideologica e propagandistica è totale. Senza ritegno e vergogna, con una continua offesa alla verità la strategia dell’indignazione fa leva sui sentimenti morali nel tentativo di ricattare e isolare chi mantiene una posizione critica. Vogliono impedire a monte ogni riflessione che non sia già stata codificata come compatibile. Monopolizzati dal Dipartimento di Stato americano e dai suoi apparati egemonici, siamo chiamati a contribuire alla guerra stessa, in nome del bene assoluto e astratto, facendoci poi rapinare con l’aumento dei prezzi e delle tariffe.

I rapporti più elevati tra debito pubblico e pil alla fine del terzo trimestre del 2021 sono stati registrati in Grecia (200,7%), Italia (155,3%), Portogallo (130,5%), Spagna (121,8%), Francia (116%), Belgio (111,4%) e Cipro (109,6%), quello della Germania è passato dal 60 al 75%, con un aumento di oltre il 5% nell’ultimo trimestre 2021.

Alla fine a vincere sul piano economico non sarà di certo l’Europa, piena di debiti e che perderà altri mercati. Saranno gli USA a venderci il gas? Quanto gas e a che prezzo? E tutto ciò perché si vuole rimuovere la realtà e la storia. Sono diversi gli USA, loro che da sempre cercano una soluzione nel culto della forza? Basta guardare i loro film, dove prevale sempre la violenza.

Veniamo all’Ucraina. Sulla base del PIL pro capite, con i suoi 44,13 milioni di abitanti, è il paese più povero o il secondo più povero d’Europa. Compete con la Moldova, con circa 2,6 milioni di persone.

Il 50% più povero della popolazione ucraina riceve solo il 22,6 percento di tutto il reddito del paese e il 5,7 percento della sua ricchezza. Il 10% più ricco possiede quasi il 60% del patrimonio personale netto dell’Ucraina, secondo il World Inequality Database.

Il reddito familiare medio in Ucraina è di circa 4.400 dollari l’anno. Il salario medio in Ucraina è stimato in soli 330 euro al mese e il salario minimo imposto dallo Stato a un lavoratore è di 144 euro. Secondo il governo ucraino, una persona dovrebbe essere in grado di sopravvivere con meno della metà di tale importo, poiché il minimo di sussistenza è di 64 euro. I pensionati più poveri portano a casa 50 euro al mese.

L’Istituto di Sociologia del paese stima che la tipica famiglia ucraina spende il 47% del suo reddito totale in cibo e un altro 32% in bollette. Nel 2016, quasi il 60% delle persone era povero secondo gli standard del governo, compreso il 60% dei bambini. Quel tasso di povertà è sceso a “solo” il 37,8% nel 2019. Secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura nel 2020 il 15,9% dei bambini ucraini sotto i 5 anni era malnutrito e nel 2019 il 17,7% delle donne in età fertile era anemico, una condizione causata da mancanza di ferro nella dieta. Quel numero è in costante aumento dal 2004.

Tra il 2014 e il 2019, il tasso di natalità è diminuito del 19,4%. Il tasso di mortalità dell’Ucraina è molto alto: 14,7 per 1.000 persone, ben al di sopra di quello di molti paesi africani. Il suo tasso di suicidi, secondo la Banca Mondiale, è all’11° posto nel mondo. Con le morti che superano le nascite di più di due a uno e centinaia di migliaia di emigrati ogni anno in cerca di qualcosa di meglio, la popolazione del paese s’è ridotta ogni anno dal 1993. Ci sono 8 milioni di cittadini ucraini in meno oggi rispetto a 30 anni fa.

Si potrebbe andare avanti. A parte i super ricchi e un ristretto strato di persone della classe media e medio-alta concentrata nelle principali città, l’Ucraina è un paese di miseria, privazioni ed emigrazione. Questo è un risultato delle politiche economiche imposte al Paese dall’oligarchia che lo governa stando dietro le quinte e dagli stessi Stati che oggi dichiarando il loro amore per l’Ucraina.

A quelli che si sentono arruolati nel 7° cavalleggeri, che insistono per mandare armi in Ucraina perché il massacro continui, chiedo: ma voi, sareste disposti a rischiare la vostra vita per gli oligarchi di Kiev? Pensate davvero che siano diversi dagli oligarchi di Mosca e di Washington? La sinistra non era internazionalista, che fine ha fatto il vostro internazionalismo?

Quando mai gli USA hanno avuto un progetto di pace e d’ordine internazionale improntato alla coesistenza e alla condivisione?

In questo nuovo secolo, ma in gran parte anche prima, la responsabilità principale della guerra e del dolore umano e dello sconvolgimento economico che ne derivano è stata degli Stati Uniti e della Nato. Fino a ieri, in un’eventuale classifica delle minacce globali, la Russia, un paese con le pezze al culo, non stava certo ai primi posti. Quella in atto oggi, ricordiamocelo, è una scaramuccia a confronto di ciò che ci aspetta. L’imperialismo statunitense non vuole perdere il primato, soprattutto quello del dollaro, grazie al quale vive di rendita da quasi ottant’anni.

Se i russi sono oggi dipinti come criminali, i cinesi saranno presentati domani come incarnazione dei demoni dell’inferno.

Clown 2

 


Mentre il martire di Kiev parla e i galantuomini di Roma applaudono, lo stesso martire si fa pagare da Mosca. I soldi gli servono per pagare armi e altra roba. Ora possono dargli il Premio Nobel per la pace, come a Obama.

Così va meglio, signori censori?




Argent de poche. 

martedì 22 marzo 2022

Clown

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Bollettini di guerra: l'altra campana


La traduzione è: "modulistica informativa",
ma si può tradurre anche con: coglionaggine comunicativa.

 

Ieri, il ministero della Difesa russo ha denunciato una provocazione di nazionalisti ucraini nella città di Sumy. Il capo dell’amministrazione regionale locale in precedenza ha affermato che si era verificata una perdita di ammoniaca nello stabilimento di Sumykhimprom. Non vi è alcuna minaccia per i residenti di Sumy, poiché le correnti aeree “non si stavano muovendo verso la città”.

Il maggiore generale Igor Konashenkov, portavoce della Difesa, ha ricordato che il 19 marzo era stato ufficialmente comunicato che i nazionalisti ucraini avevano provocato la fuoriuscita dell’ammoniaca con l’obiettivo di accusare la Russia di presunto uso di “armi chimiche”.

Konashenkov ha sottolineato che le Forze armate della Federazione Russa non hanno pianificato e non stanno infliggendo bombardamenti alle strutture ucraine per lo stoccaggio o la produzione di sostanze tossiche. Le coordinate di tutte queste strutture e i dati sulle sostanze velenose ivi immagazzinate sul territorio dell’Ucraina sono stati acquisiti della documentazione di combattimento della 4a brigata della Guardia nazionale ucraina. Il regime nazionalista di Kiev è direttamente responsabile di eventuali incidenti con gli impianti di stoccaggio ucraini di sostanze velenose.

L'infuocato dibattito che piace alla gente che piace

 

Storicamente, la divisione della popolazione secondo il territorio, è stato il punto di rottura con l’antica società gentilizia e l’avvio di un divenire che assumerà la forma dello Stato-nazione (anche se la corrispondenza tra Stato e nazione non è stringente, potendo coesistere in uno Stato più nazioni). Da allora la politica estera è principalmente l’espressione del confronto-scontro tra gli interessi economici degli Stati. Anche i rapporti tra sviluppo internazionale e quello interno delle singole nazioni dipendono in gran parte dal rapporto reciproco tra gli Stati, dai movimenti e dalle pressioni esistenti tra loro.

Per farsi un’idea di come oggi si legga e si critichi il “realismo” nelle relazioni internazionali, basta leggere cosa scriveva Sergio Fabbrini domenica scorsa su Il sole 24ore, laddove sosteneva che l’invasione americana dell’Iraq è avvenuta dopo un “infuocato dibattito” a Washington, mentre la decisione d’invadere l’Ucraina è stata presa al chiuso nelle stanze di Mosca, e ciò basta per tracciare una netta differenza. Tanto più, concludeva Fabbrini, che poi fu eletto per la prima volta un presidente afroamericano che di quella guerra fu avversario. Come si vede le solite chiacchiere sulla superiorità morale e le benefiche virtù implicite nella democrazia in America e il Male assoluto dove essa non domina.

Attribuire le differenze a particolarità nazionali di carattere sociale, culturale o etnico, oppure, peggio ancora, a qualche volontà dispotica e lunatica, impedisce di afferrare la portata dei passaggi storici, che vanno intesi non attraverso accostamenti generici, ma scavando in profondità nei fenomeni specifici, per esempio nel rinvenire, come in questo caso, il rapporto inversamente proporzionale tra il grado della libertà interna e quello della pressione esterna.

La pressione esterna ha influito in modo decisivo sulla struttura interna degli Stati, come rivela il caso della Prussia all’indomani dell’umiliazione delle guerre napoleoniche, quando fu proprio l’adozione della coscrizione obbligatoria a imporre la liberazione dei contadini e l’abolizione dei privilegi di censo, ciò che aprì la strada al successivo conflitto per la trasformazione in senso liberale dello Stato. Come rivela ancora la vicenda della repubblica di Weimar e ciò che ne seguì alla luce della pace punitiva dettata a Versailles nel 1919. 

Non si può negare che tale pressione esterna non abbia avuto un certo peso nelle vicende interne della Russia subito dopo l’Ottobre 1917 e poi nell’URSS (sia ben chiaro: con ciò non voglio sostenere che l’Urss fu ciò che è stata in conseguenza della sua fragilità esterna). Stalin era ben consapevole dell’enorme pressione politico-militare esercitata dall’esterno sui confini estesi dell’Urss e non forniti di protezioni naturali. Lo stesso discorso vale per la natura dello Stato e la struttura della società russa dopo la catastrofe seguita alla fine dell’Urss.

E valeva anche per la Germania e la conseguente minaccia della guerra su due fronti, e prima ancora per la Francia, stretta dagli Asburgo e per mare dall’Inghilterra (ovvio che l’assolutismo francese non dipese solo da quello). L’Inghilterra a sua volta divenne un’oligarchia “democratica” man mano che si sentì più sicura. L’Italia solo dopo che divenne una colonia americana. Eccetera.

Gli Stati Uniti questa pressione ai propri confini non l’hanno mai subita, e però già con la Dottrina Monroe hanno messo le mani avanti, per non citare la guerra con la Spagna per via di Cuba, e poi con il Messico rivoluzionario, e ancora con la Cuba castrista e con qualsiasi “regime” americano sia stato percepito in opposizione agli interessi di Washington.

Bisogna però stare attenti a non spingere troppo oltre anche questo tipo di concetti, vale a dire il nesso politica estera/politica interna, correndo il rischio invero di finire nell’assegnare il primato della politica a qualche forma di determinismo geopolitico, saltando l’esame dei rapporti reciproci tra ordine politico e ordine economico, tra condizioni materiali e concezioni ideali degli individui. È appunto il rifiuto della deprecata “complessità” a portarci nella cattiva strada dell’unilateralismo.

È necessario tener presente che lo Stato sorge dalla necessità di contenere le spinte disintegrative che gli interessi antagonistici di classi sociali contrapposte portano con sé. Lo Stato è, allo stesso tempo, il loro prodotto e la loro manifestazione. Così come lo Stato materializza il rapporto di forza tra le classi al proprio interno, allo stesso modo materializza gli interessi e le aspirazioni delle classi dominanti nei rapporti con l’esterno, vale a dire nella contrapposizione tra Stati concorrenti.

Anche in tal caso però, la questione non va intesa con una corrispondenza di tipo meccanico, scambiando lo Stato-nazione per una “cosa”, per una somma di apparati e istituzioni senza margine di autonomia rispetto agli interessi di parte. Né, all’opposto, in senso idealistico, va collocato lo Stato “al di sopra” delle classi e degli interessi specifici, nell’errato presupposto della sua autonomia assoluta. E infatti non è un caso se intorno al modo d’intendere le relazioni interne ed esterne si giocano strategie divergenti all’interno della stessa élite economica.

lunedì 21 marzo 2022

Chi ne trae vantaggio?


Vai a dirglielo tu che vuoi uscire dai ranghi.

I grandi media occidentali sono riusciti a tracciare una linea temporale a partire dall’inizio del 2022, usando le vittime di questa guerra come pedine in uno stupido gioco. Tutti gli altri, o quasi, sono andati a rimorchio di questa narrazione.

In realtà la guerra è iniziata nel 2014. L’immagine della ragazzina ucraina messa in posa con il lecca-lecca e un fucile mitragliatore, che non sarebbe in grado di usare, oggi fa vibrare le corde dei cuori in occidente. L’immagine del ragazzo ucraino di lingua russa nel Donbass che piange sui resti carbonizzati di sua nonna che è stata torturata e bruciata a morte dopo essere stata cosparsa di benzina, e dopo che i maiali del Battaglione Azov hanno urinato su di lei, non ha mai raggiunto l’occidente, e, se glielo ricordi, ti rispondono: “dimostralo”.

Se volgiamo trattare l’Ucraina come un paese europeo dovremmo chiederci se bande di nazisti che portano la svastica sono integrate nelle forze armate di qualsiasi paese europeo.

Nel 2014 c’è stato un colpo di stato fascista a Kiev, che ora si tenta di negare, in cui bande di teppisti armati sono scese in piazza gridando “Morte a russi ed ebrei!”. Il battaglione Azov, con insegne neonaziste, massacrò gli ucraini di lingua russa a Odessa, a Donetsk, a Mariupol, a Slavyansk. Ma quando mai, non è vero, è propaganda. Tutto in regola, tutto è avvenuto in modo democratico. Era il vecchio sistema corrotto che poneva resistenza al cambiamento.

Gli abitanti del Donbass volevano semplicemente parlare la loro lingua, praticare la loro cultura e religione, che erano in russo e non in ucraino. L’ucraino fu imposto come lingua ufficiale e tutto ciò che era russo fu vietato se non perseguito con violenza. Tutto ciò che Kiev doveva fare era attuare gli accordi di Minsk che aveva liberamente firmato.

I colpevoli ora sono le vittime e le vittime sono i colpevoli.

Questa guerra è una tragedia per l’Ucraina e per la Russia, e anche per l’Europa. In termini di territorio, il governo russo non può sperare in qualsiasi riconoscimento d’indipendenza per Donbas o Luhansk da parte della comunità internazionale che agisce sotto l’egida degli Usa. Difficilmente un riconoscimento arriverà da parte dell’Ucraina. Inoltre, la stragrande maggioranza degli ucraini oggi è unita contro la Russia. Puoi avere tutte le buone motivazioni del mondo, ma se devo abbandonare la mia casa a causa della guerra non puoi sperare nel mio appoggio.

Chi ne trae vantaggio, al momento, oltre ovviamente agli speculatori che fanno il loro mestiere, è la cricca che governa l’Ucraina e l’Europa da Washington attraverso degli obbedienti clown. Quanto alla Russia, le rimarrà un solo vero cliente, la Cina.


Truffe di guerra e di pace

Li stavamo aspettando come manna dal cielo: operai generici, camerieri, lavapiatti, badanti. Non siamo razzisti e nemmeno classisti. È accoglienza e solidarietà cristiana.

*

Stiamo scoprendo un po’ tardi la sobrietà energetica. Un ministro di questa terza o quarta repubblica ha esclamato: “È un’enorme truffa!”. Ci si aspetterebbe che si recasse immediatamente a denunciare i truffatori, e invece la truffa continua.

È vero che L’Opec+ si rifiuta di estrarne di più, ma commercia petrolio quanto prima, e i rincari sono arrivati che dell’affaire Ucraina non c’era traccia, e da questa eroica nazione transita lo stesso gas di prima, anzi, pare anche di più (Bersani è uomo d’onore, gli credo sulla parola).

A Varsavia la benzina Pb95 costa l’equivalente di circa 1,40 euro il litro. In Italia il 70% in più (se da noi ci sono le “accise”, in Polonia vi è incluso il gettito derivante dall’assenza di bollo di circolazione). In Francia il prezzo è oggi fissato a 1,97. Del resto tutti sappiamo del forte rincaro, nel 2008, della benzina: 1,35 euro al litro! Il petrolio quotava 140 dollari al barile. Ebbene oggi è attorno ai 100 dollari.

L’Italia, si sa, fa parte della UE a giorni alterni, a volte anche solo a ore.

L’Occidente è il luogo delle “quattro libertà”: libera circolazione dei capitali, delle merci, dei servizi e la libertà di rapinare chi non può difendersi dai soprusi del potere economico. Nessuno ha fatto pressioni su Malta, Irlanda o Paesi Bassi, paesi che si permettono di darci lezioni di rigore di bilancio, mentre depredano altri Stati europei con le loro inesistenti tasse sulle società. Dove si trovano le sedi di Stellantis, Renault, Airbus, eccetera? Ad Amsterdam e all’Aia.

Tutte le società quotate in Borsa sono presenti (almeno attraverso alcune loro controllate) in paesi che offrono servizi finanziari di tipo “paradiso fiscale” in senso lato, come ad esempio i Paesi Bassi, il Lussemburgo, l’Irlanda e ovviamente la Svizzera.

Certo, la partenza del Regno Unito ha ridotto un po’ la lista degli “agevolatori” fiscali UE, ma Malta, il Lussemburgo, l’Irlanda, i Paesi Bassi e persino il buffo Belgio sono orgogliosi di essere luoghi che rendono la vita così facile al grande capitale così come ai trafficanti di droga, armi ed esseri umani.

Alle Canarie non trovate solo pensionati europei e italiani, ma anche 17 filiali di Enel. Le Canarie sono zona speciale, beneficiano di un’aliquota fiscale del 4%, ma possono anche richiedere uno sgravio fiscale per investimenti produttivi e altre esenzioni in termini di imposte di trasferimento e di bollo.

Studi dell’Università della California, Berkeley, e dell’Università di Copenaghen, stimano che quasi il 40% dei profitti delle multinazionali viene trasferito ogni anno nei paradisi fiscali, quelli ufficiali e quelli di fatto. Uno studio del Tax Justice Network stima la quantità di attività finanziarie nascoste nei paradisi tra 21 trilioni e 32 trilioni di dollari. Questo potrebbe rappresentare tra il 30% e il 45% del PIL mondiale. Anche fossero reali solo la metà di quelle cifre si tratterebbe di un movimento di denaro enorme sottratto a ogni controllo.

Veniamo ai dati ufficiali: l’OCSE ha stimato che nel 2015 la perdita di entrate pubbliche dovuta all’elusione fiscale è stata compresa tra il 4% e il 10% del gettito fiscale delle società a livello mondiale, ovvero da 100 a 240 miliardi di dollari USA l’anno, accompagnata da un trasferimento artificiale di circa il 36% dei profitti delle multinazionali ai paradisi fiscali (Tørsløv et al. 2018).

Mi chiedo: la scorsa settimana, i capi di Stato e di governo dell’UE riuniti a Versailles, non hanno trovato 10 minuti per discutere di questi “dettagli”? Sicuramente hanno trattato l’argomento del momento, ossia le sanzioni economiche da applicare alla Russia, fatto salvo il gas, che ci serve per l’industria e l’uso domestico. A tale proposito più grande ipocrisia non ci potrebbe essere.

Tuttavia l’embargo sui medicinali della Russia, porterà a questo risultato: a breve circa l’80% dei medicinali salvavita non saranno più disponibili, né sarà possibile produrli in loco. Questo tipo di sanzioni causerà inevitabilmente molte vittime innocenti, tra queste non esclusi possibili oppositori di Putin.

Ci sono molti modi per assassinare le persone, quelle che oggi chiamiamo “civili” e ieri erano solo “effetti collaterali”: con le bombe oppure con le sanzioni economiche. I russi e gli ucraini lo stanno facendo con le bombe, e ciò va da sé in una guerra. L’occidente è democratico per definizione: manda bombe agli ucraini e vieta di dare i medicinali salvavita ai russi.

Transizione economica e dei consumi alimentari

 

Gli insetti sono considerati gli animali più numerosi del pianeta (1,3 milioni di specie registrate e forse 6 milioni da scoprire) e si dice che potrebbero far parte del potenziale alimentare del futuro.

Per convincerci della bontà di quel cibo i paleontologi ci raccontano che è tutta una questione di cultura. Il consumo d’insetti è radicato nella storia dell’umanità, molto prima che apparissero gli strumenti necessari per la caccia e l’agricoltura. Personalmente non ho dubbi, anche divorare i propri genitori defunti è questione di cultura, ma penso che prima a monte vi sia un motivo di carenza di certe proteine.

domenica 20 marzo 2022

Ritorno al passato

 

Auguri di cuore per la Sua salute.

Eventi importanti come guerre e rivoluzioni sollevano invariabilmente complessi problemi di causalità, ed è uno dei motivi per cui lo studio della storia è un fondamento indispensabile per una seria analisi politica. Questa considerazione generale acquista un’importanza ancora più decisiva quando ci si riferisce alla Russia, luogo di eventi tra i più significativi del XX secolo, come la Rivoluzione d’Ottobre del 1917 e la dissoluzione dell’Urss, nonché luogo dove indiscutibilmente fu decisa sotto il profilo bellico la sorte del nazifascismo.

Pertanto, oltre che necessario per una seria comprensione della politica russa attuale, lo studio della storia della Russia rimane fondamentale per comprendere la politica e i problemi del mondo contemporaneo nel loro insieme.

La catastrofe iniziata il 22 giugno 1941 è radicata nella coscienza collettiva dei russi. Non si tratta di giustificare le idee nazionalistiche di certi revanscisti russi, tuttavia l’esperienza della seconda guerra mondiale, la sua straordinaria dimensione (che non può essere colta da un americano e ormai nemmeno da un europeo), è un fattore importante per comprendere la percezione che certe situazioni possono avere sulla popolazione russa. E ciò prescinde dai veri o solo presunti sogni di ricostruzione di un impero perduto da parte dell’élite ora al potere.

Lo stesso vale per il trauma causato dalla dissoluzione dell’Urss, per l’impatto che quegli eventi hanno avuto sulla vita concreta e sulla psicologia del popolo russo e dunque sullo stesso Putin.