lunedì 28 febbraio 2022

Se Chiaberge capisse che non è una guerra tra russi e ucraini

 

Chi può gioire di una guerra in Europa? Commercianti d’armi e quelli che hanno investito nel rialzo dei prezzi di gas e petrolio. Sono felici di veder bruciare tonnellate di cherosene per aerei da guerra e carri armati. Russi e ucraini questa volta? Ma sì, non ci sono pasti gratis, tutto va servito al fuoco e al sangue!

Dimenticando che questa non è una guerra tra russi e ucraini (in non piccola parte sono russi anch’essi), ma tra la Russia e la North Atlantic Treaty Organization, l’alleanza militare made in USA. L’Ucraina non è né una nazione “democratica”, il suo regime, le sue forze militari e paramilitari brulicano di neonazisti e antisemiti, né una nazione “indipendente”, poiché dal 2014 è una pedina degli Stati Uniti e delle altre potenze occidentali.

Personalmente, per ciò che valgono le mie chiacchiere da blogger ovviamente, sono perfettamente consapevole che è stato un errore, per quanto indotto dalle circostanze, quello di credere illusoriamente di poter minacciare le potenze imperialiste occidentali, di costringerle a cambiare politica e dunque a riconoscere gli interessi di sicurezza russi in Ucraina. La conoscenza non troppo superficiale di certi meccanismi della cosiddetta “alleanza difensiva” della NATO, mi porta a dire che il prossimo futuro confermerà questa mia diagnosi, a cominciare dai colloqui in corso a Gomel, dove la dirigenza ucraina non potrà decidere nulla senza l’avvallo di Washington.

Tuttavia, detto questo, e cioè rilevato che la responsabilità principale dell’attuale crisi e di tutte le sue conseguenze potenzialmente catastrofiche ricade sull’imperialismo americano e sui suoi alleati, tutto ciò che accade intorno a questo vero dramma assume connotati persino comici. A cominciare dalle espressioni di simpatia per il popolo ucraino, che sono relativamente economiche e facili, soprattutto perché non dimostrano alcuna comprensione degli eventi e della storia in questione. Vado su un esempio concreto, che mi è suggerito dall’atteggiamento, peraltro abituale, di questo signore.


Dov’era il signor Riccardo Chiaberge quando l’esercito americano scatenava devastanti “shock and awe” sulla capitale dell’Iraq, uccidendo migliaia di persone e infine distruggendo un’intera società? L’invasione dell’Iraq, basata solo su menzogne costruite a tavolino, ha provocato più di un milione di morti. Non ricordo di aver sentito questo signor levare la propria voce indignata in quel momento.

Nemmeno quando le forze americane hanno invaso e occupato l’Afghanistan per due decenni, provocando devastazioni sociali ed economiche e la morte di centinaia di migliaia di persone, e così quando l’esercito e l’intelligence americani abusano e torturano innumerevoli vittime nelle loro prigioni in tutto il mondo.

Chiaberge è stato un giornalista, ma dubito possa citare un suo articolo di critica e indignazione, anche all’acqua di rose, su questi fatti. Chiaberge è stato direttore dell’inserto culturale del Sole 24ore per alcuni lustri, ebbene dica quanti musicisti e artisti statunitensi sono stati boicottati per i crimini di guerra di Washington in Medio Oriente e in Asia centrale? Quanti eventi sportivi e organismi internazionali hanno chiuso le porte a squadre e concorrenti statunitensi?

Soprattutto, signor Chiaberge, invece di liquidare l’articolo della signora Spinelli con una battuta che solo lei e la sua cerchia d’illustri intellettuali può apprezzare, perché non le risponde ribattendo le tesi espresse punto per punto? Su, coraggio, siamo disposti a perdonarle anche qualche suo eventuale svarione grammaticale (do you remember?).

Il vecchio Gorby e la smemorata Ursula

 

Nei nostri disordini, anche i più sanguinosi, c’è sempre una moltitudine di persone per metà mascalzoni e per metà sbalordite di essere presenti allo spettacolo. Corpi e linguaggi formattati nel teatro di una democrazia rappresentativa esausta, dove ognuno distribuisce i fatti, veri o falsi, che giustificano i propri pregiudizi.

*

Nessuno ricorda più che recentemente un presidente degli Stati Uniti aveva previsto di cancellare l’ultimo accordo strategico per la riduzione delle armi nucleari, il New Start. Firmato nel 2010 tra Russia e Stati Uniti, prevede la limitazione dell’arsenale di ogni Paese a 1.550 testate nucleari, che ammontavano a decine di migliaia intorno al 1980.

Certo, Trump è un personaggio bizzarro, tuttavia è stato (e potrebbe ridiventare tra poco) presidente per volontà del popolo americano, in suo nome capo della maggiore potenza militare del pianeta e dominus della più vasta alleanza bellica internazionale.

Il vecchio Gorby, riemerse per l’occasione. In una lettera aperta pubblicata da Time, parlava in modo molto convincente del rischio di un conflitto nucleare: «È come se – scriveva – il mondo si stesse preparando alla guerra». Aggiungendo: «Nessun problema è più urgente della militarizzazione della politica e della nuova corsa agli armamenti».

Tutto indica che il complesso militare-industriale statunitense (ma non solo), denunciato il 17 gennaio 1961 dal presidente Eisenhower, è tra noi e aspetta solo l’occasione giusta. Che cosa diceva esattamente Eisenhower? «Nei Consigli di governo bisogna stare attenti all’acquisizione d’influenze illegittime, ricercate o meno, da parte del complesso militare- industriale. Il rischio di uno sviluppo disastroso del potere usurpato esiste e persisterà».

Che altro c’era in quella lettera del vecchio Gorby? «Fermare e invertire questa corsa rovinosa deve essere la nostra massima priorità. La situazione attuale è troppo pericolosa. Altre truppe, carri armati e mezzi corazzati per il trasporto di personale vengono portati in Europa. Le forze e le armi della NATO e della Russia che prima erano schierate a distanza sono ora posizionate più vicine l’una all’altra, come per sparare a bruciapelo».

E ancora: «Mentre i bilanci statali stanno lottando per finanziare i bisogni sociali essenziali delle persone, la spesa militare è in crescita. Il denaro si trova facilmente per armi sofisticate il cui potere distruttivo è paragonabile a quello delle armi di distruzione di massa; per i sottomarini la cui singola salva è in grado di devastare mezzo continente; per i sistemi di difesa missilistica che minano la stabilità strategica».

Poi rifletteva sui nostri dottor Stranamore: «Politici e capi militari sono sempre più bellicosi e le dottrine della difesa più pericolose. Commentatori e personaggi televisivi si uniscono al coro bellicoso. Tutto sembra che il mondo si stia preparando per la guerra».

Come si potrebbe dire meglio e più chiaro di così? In questo mondo fantastico dove la realtà è determinata con dei tweet, perché dovremmo stupirci che a qualcuno venga in mente di scatenare una guerra mondiale che in troppi stanno preparando?

Che cosa ne pensa la Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ex ministro della Difesa tedesco? “Per la prima volta nella sua storia l’Unione europea acquisterà e distribuirà armi a una nazione sotto attacco”. Finora le loro armi i Paesi della UE le hanno vendute a San Marino? Dopo USA e Russia, Francia e Germania sono i due maggiori esportatori di armi. C’è molta retorica e istrionismo in questo gioco di specchi deformanti. Sembra essere considerata solo una categoria: il nemico del momento.

domenica 27 febbraio 2022

Imbecilli


Dal 25 febbraio il nome di Putin è diventato in meno di 24 ore il peggior insulto. È stato paragonato a Hitler, e dunque a un criminale e a un pazzo. Che cosa dovremmo dire allora di chi ha fomentato e finanziato la guerra in Siria che ha provocato 500.000 cadaveri, tra cui un buon numero di civili? Stupri, torture, sventramenti, danni collaterali, lente agonie. Dov’era la folla che si raduna in questi giorni nelle piazze?

Sappiamo qualcosa di ciò che accade tutt’ora in Yemen? Decine di migliaia di cadaveri, sette anni di conflitto hanno costretto più di 4,3 milioni di persone, tra cui più di 2 milioni di bambini, a lasciare le loro case. Anche l’Italia ha partecipato, a modo suo, vendendo armi e bombe. Chi stava a Palazzo Chigi?

Il problema con le democrazie moderne e decadenti sta nel fatto che quando si parla di guerra e delle sue realtà, si fa in modo da renderle accettabili per i sensibili occidentali. Passa la nozione di “guerra pulita”, l’uso di droni che dà l’illusione di non sporcarsi fisicamente le mani. Nei nostri dopo cena davanti al televisore si finisce per abituarsi a questa digestione di vite altrui.

Salvo quando c’è di mezzo la Russia di Putin e degli “oligarchi” spregevoli. Allora i comunicatori ci ricordano che la guerra è sporca e disgustosa, sangue e lacrime. Subentrano le prefabbricate reazioni d’indignazione e le incontinenze dell’anima. Anche noi come l’intellettuale Pierre di Guerra e pace: “Sento con tutta l’anima che faccio parte di un tutto gigantesco e armonioso”. No, no, cancella tutto, quel Pierre era russo, cazzo! Guerra e Pace è adorata dai nazionalisti russi, scegliamo un altro esempio, perdio!

Attacco russo e resistenza ucraina, tale è la questione dibattuta, un pot-pourri di sapienza tattica e strategica. Che spreco di talenti! I morti si contano il triplo se sono russi, la grandezza e l’eroismo sono ucraini. Amiamo l’umanità solo se sta dalla nostra parte, se abiura una stretta di mano con Putin.

Un amico del secolo scorso, a un responsabile editoriale che aveva scambiato Céline per Stendhal, ebbe a rispondergli: «Lei è un imbecille, Bollati di Saint Pierre, la sua cultura ordinata e progressista non conosce Céline, ma in compenso conosce così bene Stendhal da non distinguerlo dal reazionario autore di Voyage au bout de la nuit. Come se fosse la cultura a essere ontologicamente reazionaria o progressista, e non l’uso che se ne fa!».

sabato 26 febbraio 2022

Conflitto ucraino: parla Gorbačëv

 

Le opportunità presentate dalla fine della Guerra Fredda sono state perse. Non sono state usate come si doveva, e la ragione principale era una visione distorta di ciò che ha portato alla fine della Guerra Fredda.

La disgregazione dell’Unione, causata da ragioni interne, è stata accolta da molti in Occidente con giubilo. La fine della Guerra Fredda, di cui hanno beneficiato entrambe le parti e il mondo intero, è stata dichiarata una vittoria per l’Occidente e gli Stati Uniti.

Sentimenti trionfanti hanno portato “l’unica superpotenza rimasta” a rivendicare la leadership monopolistica negli affari mondiali e persino a costruire un “impero americano”. Di conseguenza, il mondo non è diventato più sicuro. Invece di un “ordine mondiale” abbiamo una “agitazione globale”. I conflitti hanno travolto non solo i Paesi del terzo mondo, ma anche l’Europa. E ora il conflitto armato è letteralmente alle porte.

Nel conflitto ucraino non possono esserci né vincitori né perdenti “perché tutti hanno già perso”. Tutta l’attenzione dovrebbe essere concentrata sul cessate il fuoco e sull’instaurazione di un dialogo tra Russia e Ucraina. Dovrebbe esserci il ripristino della fiducia e della cooperazione tra le nostre relazioni e non il conflitto armato per non cadere in una “onda mortale”, che può trascinare in una nuova Guerra Fredda e persino “calda”.

Michail SergeeviGorbaëv, 12 febbraio 2015. Conferenza tenuta presso l’Università Internazionale di Mosca (IUM) per ricordare il 30° anniversario della perestrojka. Quelle riportate sono le parole salienti del suo discorso. Sul tema, vedi anche: M.S. Gorbaëv, Poste Kremlja, 2015; trad. it.: Il nuovo muro, Sperling & Kupfer, 2015.

Quando cadono le finzioni democratiche

 

Le grandi firme del giornalismo italiano (quelle che nei fuori onda dichiarano ciò che realmente pensano delle donne ucraine: badanti, cameriere e puttane), pubblicano la foto di un palazzo colpito a Kiev, asseverando che si è trattato di un missile russo.

In realtà il 17° e 18° piano di quel palazzo è stato centrato da un razzo a guida termica partito da terra (come mostra un filmato), probabilmente un lancio dal sistema antiaereo Strela-10. Nessuno è rimasto ucciso ha dichiarato il sindaco di Kiev Vitaliy Klitschko.

Quando si affidano certe armi sofisticate in mani inesperte, può succedere. Quando si affida l’informazione pubblica a gentaglia, succede sicuramente.

Il solo fatto di rilevare queste cose e si passa per filorussi. A quando un green pass anche per questo?

*

Il Teatro alla Scala di Milano, com’è noto, ha minacciato di annullare un concerto previsto per il 5 marzo se Valery Gergiev, un direttore d’orchestra di fama mondiale, non denuncerà pubblicamente l’invasione russa dell’Ucraina.

Il sindaco di Monaco ha concesso a Gergiev tre giorni per rilasciare una dichiarazione del genere altrimenti sarà rimosso dalla carica di presidente della Filarmonica di Monaco. Anche a Rotterdam stanno valutando la possibilità di annullare un Festival musicale con la presenza di Gergiev in programma per settembre.

Hanno preso esempio dalla direzione della Carnegie Hall di New York City che ha annullato un concerto che doveva essere diretto dall’acclamato direttore con la Filarmonica di Vienna previsto per ieri sera.

Non è stata fornita alcuna ragione per la rimozione del programma, ma è chiaramente una rappresaglia per il sostegno di Gergiev al presidente russo Vladimir Putin, che ha incontrato a San Pietroburgo negli anni Novanta.

Il New York Times, uno dei principali centri di raccolta e smistamento della propaganda della CIA, ha accolto la cancellazione con cinica soddisfazione, etichettando Gergiev non come un musicista, bensì come un agente della politica russa del soft power, ossia un “ambasciatore culturale” che ha “costruito una carriera internazionale mantenendo profondi legami con lo Stato russo”.

La direzione della Carnegie Hall ha anche annullato un’esibizione del pianista Denis Matsuev, che avrebbe dovuto eseguire il Concerto per pianoforte n. 2 di Sergei Rachmaninov.

Si sostiene che Gergiev sia stato preso di mira non perché sia russo, ma per il suo sostegno a Putin. Ogni musicista, artista o scienziato statunitense che abbia visitato la Casa Bianca o fatto parte di un comitato consultivo su affari culturali o scientifici dovrebbe finire la sua carriera a causa dei noti e vasti crimini del governo americano? Ogni celebrità di Hollywood che ha pubblicamente appoggiato Barack Obama è responsabile dei suoi incontri del “Martedì del terrore” in cui il presidente e i suoi funzionari esaminavano le “liste di eliminazione” di potenziali obiettivi di attacco dei droni?

L'Eurovision Song Contest ha annunciato che quest’anno non accetterà iscrizioni dalla Russia, sostenendo che la presenza di musicisti nati in quel paese “porterebbe discredito alla competizione”. Varie orchestre hanno persino iniziato a rimuovere dal proprio repertorio brani di Pëtr Il’ič Čajkovskij e di altri compositori russi.

Difficilmente si trovano personaggi della cultura occidentale che si oppongano a queste campagne scioviniste. Queste persone scrivono e parlano come se avessero vissuto negli ultimi tre decenni in un universo parallelo, ucronico direbbe un caro amico, in cui la “guerra globale al terrore” e le numerose altre guerre dell’imperialismo americano, tutte basate su un torrente di bugie e disinformazione, avessero mai avuto luogo.

È lo stato dell’arte quando cadono le finzioni democratiche.

Vi sono 2,4 milioni di russo-americani che vivono negli Stati Uniti, di cui quasi 400.000 sono nati in Russia o nell’ex Unione Sovietica. Devono essere trattati come potenziali agenti nemici? Saranno anch’essi costretti a denunciare pubblicamente il governo russo e le sue azioni come condizione per mantenere il loro posto di lavoro? Non facciamocene troppa meraviglia, dopo quanto è successo ultimamente nel laboratorio Italia. Giovedì, il deputato democratico Eric Swalwell ha lanciato lidea di espellere gli studenti russi dagli Stati Uniti come forma di punizione collettiva per le azioni del Cremlino.

Pazzi per definizione


Agenzia Stefani


Niente è finito, nulla è dimenticato, nessun capitolo chiuso, nessuna nuova era all’orizzonte. Il semplicismo di Francis Fukuyama smentito per l’ennesima volta. Dal mondo arabo all’Afghanistan, dalla Russia alla Cina, dall’Iran a Taiwan, ovunque vi siano “interessi vitali” da difendere.

Putin si è sentito abbastanza forte, militarmente, da imporre il suo ritmo e una sfera d’influenza russa, una zona di sicurezza fisica e ideologica, contro la protervia di Washington che voleva soffocare la Russia nei suoi confini. Mosca vuole discutere una nuova Yalta.

Con la Cina, il duello del secolo è più pericoloso ancora.

Tutto avviene mentre alla Casa Bianca si alternano i più modesti e maldestri rappresentati delle due grandi fazioni della cleptocrazia americana, in lotta tra loro ma compatte come sistema di classe, di sfruttamento e di rapina. Far credere che si tratti di una democrazia è l’operazione ideologica e propagandistica più riuscita della storia. Chapeau, sono dei maestri.

Putin dapprima ha dimostrato la brillantezza ritrovata della potenza tecnologica e militare del suo Paese, lanciando missili all’avanguardia e capacità di gigantesche manovre ai confini dell’Ucraina. Ora è a Kiev, dove vincerà, ma poi non è da escludere che sarà un affare di guerriglia. L’intelligence americana e dei suoi alleati non starà ferma. Destabilizzare è il loro mestiere.

Non va scartata del tutto nemmeno l’ipotesi dell’”incidente”, voluto da qualcuno o del tutto casuale, che innescherebbe la catastrofe. L’irresponsabilità dei sostenitori del confronto aperto con la Russia, presenti capillarmente con i loro galoppini nei media occidentali (già di per sé orientati ideologicamente, e questo è ovvio), costituisce l’elemento schizoide che può destabilizzare ancora di più il quadro degli avvenimenti.

Ci si renda conto del rischio cui si va incontro quanto s’invocano a bischero sciolto “misure dirette di appoggio” o di “intervento” e altri deliri di gente che crede che le guerre le subiscano sempre gli altri.

Una No Fly Zone sull’Ucraina, per esempio, dovrebbe misurarsi con quello che è probabilmente il sistema missilistico anti-accesso dell’area (A2/AD) più avanzato al mondo, che infliggerebbe perdite significative agli aerei della NATO che cercassero di ingaggiare le forze aeree russe. Verrebbe a crearsi uno spazio di battaglia conteso dove nessuna delle parti in causa godrebbe di libertà di manovra aerea o di superficie, tendendo però conto che qualsiasi aereo occidentale che fluisse da ovest a est sarebbe altamente vulnerabile ai missili russi terra-aria.

La Russia non è la Siria che possedeva un congruo sistema anti-access, ma antiquato. In termini pratici: se un aereo di Mosca dovesse essere attaccato da siti all’interno del territorio della NATO, la risposta arriverebbe con attacchi di missili da crociera sulle batterie avversarie, e ciò innescherebbe l’articolo 5 del Trattato dando inizio a un conflitto esteso e incontrollabile, con un effetto a cascata tipo “fine dei giochi”.

Questo i militari lo sanno benissimo, i politici pensano alle elezioni, l’America è lontana, e i pazzi sono pazzi per definizione. 

venerdì 25 febbraio 2022

Garantire la sicurezza internazionale

 

«Ieri notte un attacco aereo israeliano in Libano ha ucciso almeno tre soldati siriani e ne ha feriti altri sei. I militari erano in servizio nella stazione radar siriana di Dhar al Baydar, nella parte meridionale della pianura della Bekaa lungo la strada Beirut-Damasco e in una postazione della contraerea siriana situata a due chilometri di distanza.

Un intervento, quello dIsraele, che ha subito suscitato reazioni forti anche a Washington. «Gli Stati Uniti sollecitano tutte le parti a esercitare moderazione – ha detto il portavoce della Casa Bianca Ari Fleischer – Questa è un'altra conferma della necessità di por fine al ciclo di violenza in Medio Oriente».

Dice l’ipocrita a proposito del bombardamento israeliano che bisogna sollecitare tutte le parti di porre fine al ciclo di violenza in Medio Oriente.

Questa è una notizia datata 16 aprile 2001. Quest’altra è di oggi:

«Per la quarta volta in un mese, le forze di Israele sono state accusate di aver perpetrato raid aerei contro obiettivi in Siria, nella notte tra il 23 e il 24 febbraio. Il bilancio provvisorio dell’ultimo attacco comprende 6 morti e circa 20 feriti».

Israele ha effettuato centinaia di attacchi aerei sulla Siria da quando Washington e le altre potenze della NATO hanno lanciato la loro guerra per il cambio di regime in Siria nel 2011. In tal caso però si tratta di una guerra “giusta”, guidata dalle democrazie per garantire la sicurezza internazionale.

Papa Francesco ha annunciato che si recherà dallambasciatore israeliano.

Putin a lezioni di storia

 

Il giorno dopo “le ore più buie dell’Europa”, le Borse si stanno riprendendo, compresa quella moscovita. Il prezzo del gas è in forte discesa e anche quello del petrolio. La limited war, come dicono quelli che con contrizione consumano roast-beef guardando le immagini che giungono dal “fronte”, è stata un buon affare per chi ha comprato ieri per rivendere in apertura oggi. Con un indefinibile senso di colpa, va da sé, come quando scartano Ferrero Rocher guardando il TG2 che trasmette “una pioggia di missili” che cade sull’Ucraina, poi rivelatasi un filmato del videogame War Thunder. Succede di sbagliare filmato, ma mai al contrario.

Tutte le partite del weekend inizieranno con 5 minuti di ritardo, in quanto la proposta di ritardarle di 15 minuti è stata respinta unanimemente dai club. Va bene prendere posizione, ma non esageriamo.

Andiamo sulle cose serie. Nel settembre scorso, uno studente liceale, Nikanor Tolstykh, ha corretto il presidente russo Vladimir Putin, in versione professore di storia in occasione del primo giorno di scuola, provocando l’ira della preside Yulia Ryabtseva, che ha denunciato una “certa arroganza” del giovane, privo di “modestia”. La preoccupazione della direttrice è stata subito placata dallo stesso Putin che ha ringraziato il giovane della correzione.

Che cosa era successo? Lo studente ha corretto Putin sostenendo che la Guerra dei Sette Anni non si chiama così, bensì Guerra del Nord. Chi dei due aveva ragione? Entrambi. Generalmente è nota come Guerra dei Sette Anni, ma per esempio i tedeschi e gli austriaci la chiamano anche Terza guerra slesiana, gli svedesi guerra di Pomerania, i nordamericani guerra franco-indiana, in India è denominata terza guerra del Carnatico. Fu una guerra mondiale dalla quale rimasero esclusi sono i pinguini dell’Antartide, e le cui conseguenze si fecero sentire nella guerra d’indipendenza americana, nel prodromi della rivoluzione francese, in tante altre situazioni sparse per il mondo intero.

Dal punto di vista territoriale a rimetterci fu soprattutto la Francia. Il trattato che concluse la pace, fu firmato il 10 febbraio 1763 a Parigi. L’Inghilterra ottenne tutto il Canada, l’hinterland delle colonie nordamericane e molto altro ancora.

Il trattato di Parigi ebbe ripercussioni capitali sulla situazione patrimoniale nei territori extraeuropei. I diritti di possesso su quella gigantesca massa di terra che costituisce il Canada (quasi uguale all’Europa), vennero trasferiti grazie alle poche righe di quel trattato. Sennonché quel territorio era abitato dalle tribù indiane (le chiamo così per comodità), le quali, nella prospettiva degli europei, non potevano far valere i propri diritti di possesso su quelle terre. Stando alle teorie di diritto internazionale europee, tali diritti derivavano soltanto dalla colonizzazione e coltivazione della terra secondo il modello europeo.

La principale differenza tra la concezione giuridica indigena (ne possedevano una, consuetudinaria) e quella europea, consisteva nella distinzione fra diritto di godimento e diritto di proprietà. Gli indiani conoscevano soltanto il primo, cosicché gli europei li privarono sostanzialmente di un diritto di proprietà che implicava i diritti di sovranità. Agli effetti pratici ciò comportava che, nei contratti stipulati con gli europei, gli indiani davano per scontato che avrebbero alienato solo diritto di godimento delle loro terre, mentre gli europei erano ben consapevoli di acquisire i diritti di proprietà.

Questa controversia portò alla cosiddetta “ribellione di Pontiac”, ossia a una guerra anglo-indiana combattuta tra il 1763 e il 1765. Gli indiani ovviamente persero con molte perdite la guerra e i pochi rimasti furono cacciati.

«Dovevamo pensarci prima ...»

 

La Jugoslavia fu invece una lite tra condomini.


Piove la condanna unanime per la decisione di Mosca dapprima di riconoscere i secessionisti (e la cosa è ben stucchevole) quindi di penetrare militarmente in Ucraina. Solo a non allinearsi a tali condanne si passa per amici di Putin e si può rischiare anche il posto di lavoro, come sa Valery Gergiev (il quale magari ha anche familiari e parenti ancora residenti in Russia). L’andazzo è questo, l’idiozia si vende più a buon mercato di qualsiasi altra merce.

Resta pur sempre valida e in attesa di risposta la mia domanda di tre giorni fa: chi è disposto ad andare, armi in pugno, a morire per Kiev? Avanti coraggiosi paladini della libertà e della democrazia, fuori i vostri nomi e cognomi che un arruolamento in questa o nella prossima guerra ve lo trovano di sicuro.

La vivacità delle diverse posizioni ci priva della giusta dimensione prospettica da cui guardare gli avvenimenti. Sfugge la consapevolezza pubblica delle interazioni globali, anche per quanto riguarda la questione tra Russia e Ucraina, che andrebbe trattata in chiave di confronto globale e non semplicemente con una controversia tra due Stati confinanti. Confronto globale tra imperialismi della massima serie, senza dimenticare quelli delle serie cadette, di cui fanno parte Francia, Germania e perfino l’Italia, a cui la Francia ha fatto recentemente lo sgambetto in Libia e da una vita glielo fa nel Mediterraneo. Che facciamo, invadiamo Mentone, ci riprendiamo Nizza e la Savoia?

E dunque a proposito di sanzioni economiche, bisogna guardare alla realtà dei fatti. Pensiamoci al mattino quando ci facciamo la doccia con l’acqua calda, quando accendiamo il nostro smartphone, alle pratiche concrete in cui si svolge la nostra vita quotidiana, a ciò che serve all’industria per produrre fertilizzanti per l’agricoltura, per citarne una.

A proposito del gas naturale si sente ripetere diffusamente: dovevamo pensarci prima, adesso è tardi per renderci indipendenti dalla Russia.

Domanda: per importarlo da dove il gas, a che prezzo?

Inoltre, non dobbiamo dimenticare che la Russia non è solo il più grande fornitore di gas naturale in Europa, ma anche il secondo produttore mondiale di petrolio. E Mosca vende il suo greggio principalmente alle raffinerie europee. E anche altre materie prime. Pensiamo anche a chi tira a campare grazie all’import-export con la Russia, con la Cina, con la Turchia, insomma con tutti quelli che non ci piacciono.

Anche in questo caso, che facciamo? A chi dobbiamo rivolgerci per gas, petrolio e matreie prime, da chi dobbiamo farci eventualmente ricattare al posto della Russia? E tutto ciò per mantenere in piedi un carrozzone obsoleto e dispendioso come la NATO, la lunga mano di Washington e dei suoi interessi strategici?

La Cina detiene le maggiori riserve di terre rare, e anche di shale gas. Cancelliamo dal mappamondo la Russia e la Cina? Allora anche la Turchia di Erdoan! E giocare i prossimi mondiali di calcio in Qatar? Non ci siamo ancora qualificati, per fortuna.

giovedì 24 febbraio 2022

Il paradosso delle sanzioni alla Russia

 

Supponiamo che la Cuba di Fidel Castro fosse il maggior fornitore di zucchero degli Stati Uniti, e che, dopo la crisi dei missili del 1962, Washington decidesse di continuare a rifornirsi di zucchero cubano sottoscrivendo contratti con L’Avana. Si sarebbe trattato di un paradosso molto curioso, per usare un eufemismo.

Ed è esattamente quello che succederà con le minacciate sanzioni da parte dei paesi dell’Unione Europea verso la Russia. Durissime sanzioni promesse e tuttavia si continuerà a importare miliardi di metri cubi di gas russo. Non solo, è probabile che la stessa Ucraina continuerà a usare il gas russo.

Insomma queste sanzioni europee sembrano far parte di un bluff, di una commedia. L’ipocrisia e la pavidità dimostrata in questi sette anni, quando la UE avrebbe potuto attuare una progressiva integrazione dell’Ucraina nell’Unione, senza che diventasse l’avamposto di nessuno, in rapporti stretti di tipo economico anche con la Russia e garantendo la propria neutralità.

È sempre più evidente che a livello di leadership nazionale ed europea scontiamo un preoccupante deficit culturale e di proposte, di “visione” direbbe qualcuno, e di elemento strategico d’insieme soggiungo a mia volta. Oggi la mediocrità a tutto campo prevale sulla competenza, cosa rilevata non strumentalmente anche dal ministro degli esteri Sergej ViktoroviLavrov, che lamenta la scarsa professionalità dei suoi interlocutori occidentali, tanto che sono riusciti a trasformare fin da subito un negoziato in una crisi (studiassero le Relazioni degli ambasciatori veneziani al Senato per capire che cosa significa “negoziare”).

Sicuramente chi ha meno da perdere per quanto sta succedendo sono gli Stati Uniti, dove la borsa di New York ha vissuto una giornata tranquilla, nel senso che il Dow ha continuato la sua lenta discesa in conseguenza delle decisioni della Fed in tema di tasso di sconto, e il Nasdaq ha addirittura guadagnato più di un punto.

La Russia di Putin farà buoni affari in futuro, vendendo le sue armi, i mezzi elettronici e gli equipaggiamenti sperimentati in Ucraina con successo. Nel prezzo sarà compreso anche un po’ di sangue dei malcapitati.

Che il mondo sia più interessante di tutto ciò che viene spacciato in tv e sui giornali è fuori di dubbio.

Anche a Kabul il problema del traffico







Anche questi erano in fuga dai talebani, con un po' d'anticipo.



Alcuni esempi cliccando qui.
È il momento della propaganda, da una parte e dall'altra.
Per dettagli su quella USA, chiedere a Julian Assange.  

Le conseguenze dell’imperialismo

 

Le conseguenze dell’amore, titola un bel film di Paolo Sorrentino. Le conseguenze dell’imperialismo è il titolo del film russo-ucraino in corso di produzione dal 2014. La guerra nel Donbass data da allora e nessuno sè preso cura di spegnere i focolai. Al contrario, s’è versata benzina a più non posso, specie nellultimo mese.

Ancora non è chiara la reale dimensione di ciò che sta accadendo in queste ore, fin dove si spingerà la ramazza russa, quanto a fondo spazzerà via dal proprio uscio di casa i reazionari neofascisti ucraini, i rappresentanti dei guerrafondai di Washington e Londra.

Caduto il famigerato Muro, a Washington pensavano di dettare le regole del nuovo ordine mondiale. La prima regola recita: ovunque facciamo quello che vogliamo. E invece che un solo imperialismo, il loro, sulla scena mondiale se ne sono presentati altri due, ognuno con i propri appetiti da soddisfare. È inevitabile che interessi divergenti configgano tra loro.

Ho scritto spesso ciò che è nelle cose: la Russia e la Cina non sono piccole potenze di terz’ordine come l’Iraq, la Libia o l’Italia. Non si faranno intimidire, venderanno cara la pelle. Parla la loro storia. Impensabile che la Russia avrebbe tollerato i missili nucleari della Nato a cinque minuti da Mosca, così come a suo tempo la presenza dei missili russi a Cuba non fu, giustamente, questione negoziabile.

Draghi: «Attacco ingiustificato, rispondere immediatamente». Armiamoci e partite (che a lui vien da ridere). Se la NATO è una tigre di carta, certi personaggi sono solo dei pupazzi. A Cuba le sanzioni durano da sessant’anni. In Iran da quaranta. Se Putin decide di chiuderci il gas, la nostra industria si ferma dopo un paio di settimane.

Chi di noi, se non un pazzo, andrebbe a difendere Kiev armi in pugno? Eppure i russi combattono, convinti di ciò che stanno facendo. E non è solo l’effetto della loro propaganda o della loro eventuale protervia. Le persone oneste per davvero, dimenticando per un momento le antipatie per Putin, dovrebbero porsi nei panni dei russi.

Quanto all’Europa, è governata da gente pavida, da una cricca borghese di debosciati, già camerieri del grande capitale, come quel tipino di Macron, già alle dipendenze della Rothschild & Cie, advisor della Nestlè nell’acquisto della divisione di prodotti per bimbi della Pfizer. Poche settimane alle elezioni presidenziali francesi, dovrà mostrare determinazione.

Come può il popolo minuto fidarsi di personaggi del genere? Come possiamo fidarci di coloro, e sono numerosissimi, che pur sedendo negli scranni delle istituzioni italiane ed europee si fanno stipendiare (anche) dalle multinazionali della finanza, dalle società del gas russe o dalle monarchie petrolifere?

Il ministero della Difesa russo ha dichiarato che le forze armate russe non lanciano attacchi missilistici, aerei o di artiglieria sulle città dell’Ucraina: nulla minaccia la popolazione civile. Intanto l’Ucraina ha deciso di interrompere le relazioni diplomatiche con la Russia, ha detto Zelensky. A Putin stanno tremando i polsi.

Vedremo cosa dirà Biden masticando la gomma e scoreggiando. Ampio spazio alla propaganda di ognuno, mentre la gente scappa in Russia o in Turchia, oppure dalla parte opposta. A farne le spese, in primis, sono come sempre i poveracci.

Il diritto di muovere guerra a qualsiasi paese

Ancora qualche giorno e il titolo sarà questo.

Biden ha posto una domanda pertinente: «Chi, in nome del Signore, secondo Putin gli dà il diritto di dichiarare nuovi cosiddetti “paesi” sul territorio che appartiene ai suoi vicini?».

Questa è una domanda alla quale lo stesso Biden dovrà rispondere al suo Signore, se avranno occasione d’incontrarsi, ma per il momento dovrebbe rispondere al mondo intero.

La disgregazione della Jugoslavia, culminata nel bombardamento di 78 giorni della Serbia nel marzo-giugno 1999, è particolarmente istruttiva.

Il processo di smantellamento della Jugoslavia iniziò nel dicembre 1991, in concomitanza con lo scioglimento dell’URSS, con il riconoscimento unilaterale da parte della Germania dell’indipendenza di Slovenia e Croazia. Nell’aprile 1992 fece seguito il riconoscimento da parte dell’amministrazione Bush della Bosnia-Erzegovina come una “nazione” indipendente.

Le mosse tedesche e statunitensi per riconoscere gli stati indipendenti in Jugoslavia hanno fomentato sanguinosi conflitti nazionali per tutti gli anni 1990, inclusa la guerra croata del 1995.

L’amministrazione Clinton lanciò la sua guerra contro la Serbia per imporre la secessione della provincia del Kosovo, accompagnando ogni sorta di denunce di violazioni dei diritti umani che alla fine si sono rivelate grossolanamente esagerate (della segregazione razziale negli USA, invece, si occupa Hollywood).

La guerra fu condotta dalla NATO, che non aveva ottenuto una risoluzione dalle Nazioni Unite e agì in diretta violazione del diritto internazionale. Culminò con l’insediamento di un governo in Kosovo guidato dall’Esercito di liberazione del Kosovo, che gli Stati Uniti avevano precedentemente designato come organizzazione terroristica e che sarebbe stato successivamente denunciato per traffico di droga, prostituzione e traffico di organi umani (vedi qui e qui, eccetera).

mercoledì 23 febbraio 2022

Il riconoscimento (quando fa comodo agli USA)

 

A seguito delle contestate elezioni presidenziali del 20 maggio 2018, che confermavano per un secondo mandato, fino al 2025, Nicolas Maduro, l’allora presidente dell’assemblea nazionale, Juan Guaidó Márquez, il 23 gennaio 2019, nel corso di una manifestazione in piazza, si autoproclamò presidente del Venezuela ad interim.

Nel marzo successivo, Guaidó si vide revocare la carica di presidente del Parlamento da Maduro, mentre la Contraloría General de la República dichiarava l’ineleggibilità dell’autoproclamato presidente a ogni carica pubblica per i prossimi 15 anni.

Ciononostante, Guaidó fu riconosciuto come presidente del Venezuela dagli Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Francia e altri Stati della UE, ad eccezione di Italia, Slovacchia e Cipro. Il Parlamento europeo, il 31 gennaio 2020, riconosceva Guaidó come presidente ad interim. Guaidó nominò i propri rappresentanti diplomatici, e ciò creò una situazione paradossale, laddove i diplomatici rappresentanti di Guaidó si venivano a sovrapporre agli ambasciatori già accreditati da Maduro, non senza ovviamente provocare serie tensioni diplomatiche.

Sul piano fattuale, giova osservare che, dal punto di vista del diritto internazionale e, quindi del diritto diplomatico, l’unica autorità avente rilievo esterno era quella detenuta da Maduro (cfr. Carlo Curi Gialdino, Diritto diplomatico-consolare internazionale ed europeo, p. 88).

Ciò nonostante l’ambasciata venezuelana negli Stati Uniti, il 10 aprile 2019, si è vista dapprima interrompere la fornitura idrica ed elettrica, dopodiché la sede diplomatica fu sgomberata il 16 maggio successivo da agenti del Diplomatic Security Service del Dipartimento di Stato e dei servizi segreti statunitensi. Una situazione analoga si è verificata in altre ambasciate del Venezuela in diversi Stati che avevano riconosciuto Guaidó. A Berlino come a Parigi, le credenziali dei nuovi capi missione furono congelate e, di regola, le relazioni diplomatiche sono state mantenute con il personale precedentemente accreditato o notificato.

Solo nel dicembre scorso l’ONU ha riconosciuto il presidente Nicolás Maduro come legittimo rappresentante del Venezuela.

Una tragedia in un pericoloso gioco geopolitico


Si sono dimenticati di precisare in partenza per dove e di quale Rostov si tratti. Se si tratta, e non si può dubitare, di Rostov sul Don, caricare i mezzi corazzati per mandarli nel Donbass, vale a dire a 50 chilometri, per poi doverli scaricare, sarebbe veramente dispendioso, anzi, una vera e propria sciocchezza. Di cui sarebbero certamente capaci gli strateghi di Repubblica. È più verosimile che, terminate le esercitazioni, questi mezzi siano fatti rientrare nelle loro sedi stanziali. A riguardo delluso spregiudicato delle immagini da parte di questi gaglioffi, richiamo il mio post di ieri.


Il signor Luciano Capone ha indubbiamente ragione: ciò che è successo in Ucraìna nel 2014 è di una trasparenza cristallina. Ed è vero soprattutto che è la Russia a circondare i paesi della NATO, così com’è palese che ciò che sostiene Vladimir Valdimirovic Putin è solo propaganda. Joseph Rubinette Biden, invece, è la bocca della verità disinteressata. 

*

Tale è la febbre bellica contro la Russia che tutte le belle anime hanno denunciato le sanzioni annunciate come irrimediabilmente inadeguate. Vorrei proprio vedere se la borghesia statunitense ed europea sarebbe disposta a mandare i propri figli a morire nel Donbass. Oppure in Siria, in Libia, in Afghanistan, ovunque vi sia da implementare la democrazia presso i barbari e portare loro i vantaggi del libero mercato. Mai più sarà commesso lo stesso errore del Vietnam: quando si decide una guerra si mandano i poveracci, i loro figli e nipoti. Dopo morti, li celebreremo come eroi nei nostri film.

Nessuno sembra far caso che in Ucraina, con la formazione di uno Stato ucraino etnicamente puro e ostile alla Russia, è in corso una violenta derussificazione, con milioni di russi (definiti “russofobi” dai media, simulando, almeno in tal caso, una clamorosa ignoranza) costretti non solo a rinunciare alla loro identità, ma anche, se non vogliono essere etichettati come separatisti e terroristi, a credere che la Russia sia il loro nemico.

Molti territori dell’odierna Ucraina non facevano storicamente parte di questo Stato. In particolare, i territori di Novorossiya furono annessi alla Repubblica Socialista Sovietica Ucraina nel 1918 durante la fusione con la Repubblica Rog di Donetsk-Krivoy; nel 1939 la Galizia e Volyn; nel 1940 parte della Bessarabia e della Bucovina settentrionale; nel 1948 l’isola di Zmeiny nel Mar Nero, e nel 1954 la Crimea. La consegna di quest’ultima dalla Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa alla RSS ucraina è stato condotto con una grave violazione delle norme legali dell’epoca.

Non si possono rivedere i confini? Ma è ciò che avviene continuamente. Vedi la separazione tra Cechia e Slovacchia e prima ancora la vicenda Iugoslava. Di recente la Macedonia ha dovuto cambiare nome! La costruzione federale degli USA è stata un processo ininterrotto durato secoli, con guerre di ogni tipo. La dissoluzione dell’Urss è un fatto storico enorme (vedi quanto accadde nel 1947 in India con la costituzione del Pakistan, poi nel 1971 con il Bangladesh), è ovvio che rimangano aperte questioni del genere, specie se un’alleanza militare come quella della NATO, dominata dagli USA, si spinge fino a pochi chilometri da Mosca e Pietrogrado.

Che si tratti per quei popoli, a prescindere dalla propria appartenenza etnica, di una grande tragedia comune, poco importa. Che quei popoli siano coinvolti in un pericoloso gioco geopolitico, il cui obiettivo è trasformare l’Ucraina in una barriera tra la Russia e l’Unione Europea, non conta nulla per i nostri media. Che Kiev invece dei suoi interessi nazionali (l’Ucraina è diventata uno dei paesi più poveri d’Europa) stia difendendo quelli altrui, neanche ci sfiora.

Per quanto ci riguarda, siamo interessati che arrivi il gas in quantità adeguata e possibilmente al minor prezzo, poi ci penseranno i nostri liberi e democratici “imprenditori” (gli “oligarchi” sono i russi) ad adeguarlo ai loro profitti. Fintanto che il monopolio del gas non finirà in sicure mani “alleate”.

A proposito di minacce, provocazioni e aggressioni. La Joint Expeditionary Force (JEF) del Regno Unito è una forza di spedizione guidata dal Regno Unito composta da Danimarca, Finlandia, Estonia, Islanda, Lettonia, Lituania, Paesi Bassi, Svezia e Norvegia. Finlandia e Svezia (quest’ultimo paese neutrale per antonomasia) non fanno parte della NATO.

Il JEF è stato istituito nel 2014 su iniziativa del governo Tory del primo ministro David Cameron e degli Stati Uniti/NATO. I paesi coinvolti condividono oltre 2.300 km di confini con la Russia. Lunedì è stato deciso d’intraprendere “una serie di attività militari integrate nella nostra parte del nord Europa, in mare, a terra e in aria”. Gli esponenti del JEF hanno concluso: “Ad esempio, condurremo a breve un’esercitazione per dimostrare la libertà di movimento delle nazioni JEF nel Mar Baltico”. Impiegando, tra l’altro, personale e attrezzature della Royal Navy, dei Royal Marines, dell’esercito e della Royal Air Force del Regno Unito.

E però ci si strappa i capelli se le forze congiunte di Russia e Bielorussia compiono esercitazioni militari a casa loro.

Dopo le guerre del petrolio ora vanno in scena quelle per il gas, i microchip, per qualsiasi cosa abbia un rilievo strategico che possa compromettere il dominio di Washington e del suo zerbino britannico. Alla radice di questi conflitti c’è l’imperialismo statunitense, che sta diventando sempre più aggressivo nel tentativo di compensare il suo declino economico con la forza militare.

martedì 22 febbraio 2022

Quel criminale di Putin

 

La manipolazione dell’informazione ha assunto aspetti patologici tali che non è più possibile distinguere tra informazione e comunicazione, tra distorsione, falsificazione e pressappochismo. Prima degli articoli sulla stampa scritta, le informazioni passano attraverso le immagini. Basta inquadrare un carro armato, un camion militare, dei profughi, una bomba appena esplosa, ripresi chissà dove, quando e da chi, e il gioco è fatto. Quelle immagini ubique si possono trattare in modo diverso secondo ciò che si vuole dimostrare in modo inoppugnabile. I falsi clamorosi sono noti. Che possiamo fare noi anime comuni, posto che sono le nostre stesse emozioni che si vogliono influenzare? Non è dunque facile dare un senso alle cose in questa situazione dove la disinformazione amplifica le paure, l’odio e la confusione.

Prendiamo il caso del gas, della sua fornitura e del suo prezzo. Tutto dipende dal gioco sporco che è stato fatto, sostengono molti dei media occidentali, dalla Russia, da quel criminale che ne sta a capo, ossia Putin.

lunedì 21 febbraio 2022

Il secolo lungo


Nella vana attesa che qualche giornale della libera stampa occidentale pubblichi integralmente il discorso di Putin alla tv russa, riporto alcuni stralci di un articolo di Alberto Negri, che non può essere accusato di simpatie per questo o quello, pubblicato oggi su il manifesto (chissà perché Negri non scrive più sul giornale di Confindustria):

«Vicino a Srebrenica, nel luglio 1995, durante il massacro di oltre 7mila musulmani bosniaci vidi in un bosco una donna appesa a un albero: si era impiccata pur di non finire in mano alle milizie, il marito si era fatto saltare con una granata. I morti non dovevi neppure cercarli: la mattina ti svegliava l’odore dei cadaveri in decomposizione al sole e all’afa.

Ma questi racconti l’europeo medio, preso dalle vacanze dell’estate, non li voleva sentire e fino a oggi ha voltato la testa dall’altra parte. Si sveglia adesso perché oltre all’odore dei morti, sente puzza di gas e di crisi economica. Senza dimenticare l’arroganza di Biden che badisce l’accusa contro la Russia dei «pretesti» di guerra dmenticando che gli Stati uniti ne hanno fabbricati di vergognosi per le avventure belliche in Vietnam, Kosovo e per l’ Iraq 2003.

[...] L’amico Davide Hearst, direttore di Middle East Eye – di origini polacche, ucraine ed ebree – ricorda che nel 1941, quando il Terzo Reich invase l’Urss, i nazisti vennero salutati come dei liberatori dal duro regime sovietico. Le perdite civili totali durante la guerra e l’occupazione tedesca in Ucraina sono state stimate in quattro milioni, inclusi 1,6 milioni di ebrei. Secondo il Simon Wiesenthal Center «l’Ucraina, per quanto a nostra conoscenza, non ha mai condotto una singola indagine su un criminale di guerra nazista locale, e tanto meno ha perseguito un perpetratore dell’Olocausto». E neppure se ne è parlato nei giorni della memoria. Oggi nell’Ucraina di Kiev bramosa della Nato, un persecutore e criminale come Stepan Bandera, che giurò fedeltà a Hitler, è considerato un eroe nazionale e le milizie e i gruppi che si richiamo a lui sono istituzionalmente la Guardia nazionale ucraina che addestra i civili e aizza alla guerra». 

Stupidi e ciechi

 

Con la Risoluzione 47/1 del 19 settembre 1992, L’Assemblea generale, considerata la dissoluzione della Repubblica federale dell’ex Iugoslavia, decise che una nuova domanda di ammissione alle Nazioni Unite dovesse essere presentata dagli Stati sorti sull’ex territorio iugoslavo. Tuttavia, il Consiglio giuridico dell’ONU ritenne che la missione permanente dell’ex Iugoslavia potesse continuare a funzionare e, conseguentemente, potesse partecipazione ai lavori dell’Assemblea generale, ricevere e far circolare documenti.

domenica 20 febbraio 2022

Qual è la ragione?

 

La tribolata vicenda umana di Pasquale Martignetti (1844 –1920), raccontata nella voce biografica che la Treccani gli dedica, offre uno spaccato delle vili condizioni esistenziali dei socialisti proletari nell’Italia della seconda metà dell’Ottocento, e più in generale del precariato intellettuale del quale non siamo esenti neanche oggi. La corrispondenza che Martignetti intrattenne con Engels, fino alla sua scomparsa (1895), offre altresì una dimensione abbastanza misconosciuta ai più dello spessore umano del grande scienziato e amico fraterno di Marx.

Engels, allora il più autorevole riferimento del movimento comunista internazionale non disdegnò di entrare in relazione e di aiutare in ogni modo questo modesto ma intelligente militante socialista, vessato oltre che per la sua attività politica, anche dai leader del partito socialista tutti presi all’interno di una prassi politica contingente che privilegiava le strategie della lotta legale-parlamentare, con lo Stato borghese come interlocutore politico. Tutto ciò è antico quanto attuale, come ben sappiamo: il marxismo dei partiti parlamentari è rapidamente declinato in riformismo e ora in nulla.

Tra le diverse lettere che Martignetti scambiò con Engels, una in particolare mi ha colpito. La riporto integralmente ricavandola dal 40° volume delle Opere Complete. Per rendere pienamente intellegibile la lettera che Engels gli scrisse il 9 gennaio 1891, è necessario premettere, per quel poco che si sa, un cenno circa l’antefatto della vicenda oggetto della lettera stessa.

In una lettera del 2 gennaio 1891, Pasquale Martignetti aver chiesto consiglio a Engels sul comportamento da tenere di fronte alla disavventura della propria sorella, sedotta da un commerciante e abbandonata poi incinta.

La lettera di Engels:

Caro amico, partecipo sinceramente al Suo dolore per la disgrazia toccata a Sua sorella. E comprendo bene l’indicibile agitazione in cui L’ha messa. Ma non perdo la testa. Cosa gioverebbe a Sua sorella se anche Lei uccidesse quel cane infame? Egli porterebbe con sé nella tomba la soddisfazione di aver rovinato due famiglie invece di una. So bene che in una società come quella dell’Italia meridionale, dove permangono ancora tracce dei tempi della gens, il fratello è considerato protettore naturale e vendicatore della sorella. Ma il fratello è anche marito, ha moglie, figli e doveri verso di loro, e nella società attuale questi doveri valgono più di tutti gli altri. A mio parere, Lei ha dunque verso la Sua famiglia il dovere di non commettere un atto che necessariamente la condannerebbe a starle lontano per sempre.

Sua sorella appare i miei occhi pura e degna di rispetto come prima. Ma se crede proprio di doversi vendicare, ci son pure altri mezzi con cui segnare il seduttore con il marchio dell’infamia gli occhi della società.

Qui un fratello costerebbe pubblicamente il mascalzone. In Francia e in Germania basterebbe schiaffeggiarlo in pubblico. Nella Polonia austriaca (Leopoli) un giornalista si

era venduto alla Russia. Un gruppo di giovani polacchi lo fermò sulla pubblica passeggiata, lo stese su una panca e gli appioppò 25 potenti nerbate sulla schiena.

Anche in Italia avete un mezzo per marchiare pubblicamente un simile mascalzone e segnarlo al pubblico disprezzo senza ferirlo o ucciderlo.

Come Le ho detto sono ben lontano anche dal consigliarle questo. Ma se è fermamente convinto che una qualche vendetta debba esserci, allora è sempre meglio una vendetta che colpisca l’onore del seduttore, piuttosto che un’altra.

Cordiali saluti, Suo F. Engels.

*

In un sito internet che illustra le attrattive di Chiaromonte, un paese della Lucania, si legge:

«... altre [notizie] d’interesse sociologico sul paese e sui suoi abitanti, è possibile trovarle su Le basi morali di una società arretrata di Eduard Banfield (ed. Il Mulino 1962), che proprio su Chiaromonte, da lui denominato “Montegrano” elaborò una tesi sociologica. Il testo ampiamente dibattuto e contestato negli anni settanta è adottato in università americane: a distanza di cinquant’anni, dimostra la sua attualità. Il paese conserva in modo anche inquietante, un ethos strutturato.»

Armando Bagnasco, introducendo il libro di Eduard Banfield, scrive: «La frase finale è enigmatica e sollecita curiosità, più che fornire un’informazione documentata». Dopo qualche riga che dà genericamente conto delle critiche e degli apprezzamenti ricevuti dalla ricerca di Banfiled, Bagnasco prosegue con questa puntualizzazione:

«Per quel che mi riguarda, condivido gran parte delle critiche, ma ho anche la sensazione che non ci si liberi facilmente di Banfield; ho il sospetto che anche in molti dei più accesi critici rimanga la sensazione di avere a che fare con una specie di fantasma nascosto da qualche parte nella casa, e pronto a ritornare quando e dove meno loro se lo aspettano. Diciamo allora meglio: molte e decisive riserve facilmente vengono alla mente leggendo oggi la ricerca a Montegrano, ma bisogna anche riconoscere che si tratta di una ricerca con la quale è necessario comunque misurarsi, e il modo non banale» (p. 9, ediz. 2006).

Il libro è incentrato su quello che l’autore chiama “il familismo amorale”, ossia una delle categorie che più hanno contribuito a formare l’immagine della famiglia meridionale e del suo ruolo nei rapporti sociali:

«In una società di familisti amorali, coloro che ricoprono cariche pubbliche, non identificandosi in alcun modo con gli scopi dell’organizzazione a cui appartengono, si daranno da fare quel tanto che basti per conservare il posto che occupano o (se pensano che ciò sia possibile) per ottenere promozioni. E d’altra parte, le persone istruite e i professionisti, di solito non saranno mossi da uno spirito di vocazione o di missione. In realtà le cariche pubbliche, o le conoscenze specializzate, saranno considerate da coloro che ne dispongono come armi da usare a proprio vantaggio contro gli altri.» (pp. 106-07).

Nel libro è posto retoricamente un interrogativo di carattere generale che potrebbe essere esteso oggi a tutta la situazione italiana: “qual è la ragione dell’incapacità politica del paese?” (p. 57).


Lo scontro tra Venezia e Genova

 

Ieri, visitando la Chiesa di San Giovanni e Paolo, a Venezia, una piccola lapide, alla quale non avevo prestato attenzione in visite precedenti, mi ha rammentato un curioso episodio storico che sa quasi di leggenda. La lapide è posta a margine della statua imponente dedicata all’ammiraglio Vettor Pisani. Bisogna dire che nella stessa chiesa v’è ben altro da vedere sia in fatto di statue e sarcofagi (numerosi quelli dei Dogi), sia in dipinti (Paolo Veronese, Giovanni Bellini, Palma il Giovane, ecc.). Oltre ai poveri resti di Marcantonio Bragadin, vi sono anche le sepolture dei fratelli Bandiera e di Pisacane.



A Nicosia, nell’ottobre 1372, sorse una disputa tra il console genovese Pagano Doria e il bailo veneziano Mario Malipiero per una questione di precedenze durante la cerimonia d’incoronazione di Pietro II di Lusignano quale re di Cipro. Secondo una consolidata tradizione, al console di Genova spettava tenere la redine di destra del cavallo del re mentre usciva a cavallo dal suo palazzo per recarsi nella cattedrale e ricevervi la corona, e la redine di sinistra spettava tenerla al bailo di Venezia. Ma in quel giorno a Nicosia i veneziani erano in maggioranza per la presenza di varie galere in porto e impedirono al console genovese di prendere la redine.

Ne nacque un tafferuglio in esito al quale entrambe le redini furono prese da nobili ciprioti (il terzo, gode). Tuttavia, alla fine del banchetto, i veneziani, con l’aiuto di alcuni nobili ciprioti, sopraffecero i genovesi, che furono perfino gettati da una delle finestre del palazzo reale. Ne seguì una vera e propria caccia ai genovesi in tutta l’isola, con aggressioni, massacri e saccheggi. Per rappresaglia Genova occupò Famagosta. Il confronto militare tra le due repubbliche degenerò in una vera e propria guerra nell’Adriatico tra il 1378 e 1381, detta guerra di Chioggia perché lì ebbe luogo l’azione risolutiva, che trasformò la quasi inevitabile rovina di Venezia in una clamorosa sconfitta dei suoi nemici.


Vettor Pisani in questa guerra svolse un ruolo di primo piano con alterne fortune. Dapprima, a capo dall’armata veneziana, vinse ad Azio una flotta comandata da Luigi Fieschi, poi fu sconfitto nel 1379 nelle acque di Pola da Luciano Doria (erroneamente la Treccani indica Pietro Doria, succeduto tempo dopo a Luciano che morì nella battaglia di Pola).

In seguito, liberato dal carcere dopo essere stato condannato per la sconfitta di Pola, Vettor Pisani armava con arruolamenti forzati tutte le navi disponibili nell’arsenale, e con i rinforzi di Carlo Zeno sopraggiunti dal levante, prese ad assediare i genovesi asserragliati a Chioggia. Il 24 giugno del 1380, i resti della potente armata genovese si arresero ai veneziani. Nello stesso anno Vettor Pisani morì di febbri malariche. Dopo altre vicende belliche, la pace tra i contendenti fu conclusa a Torino l’8 agosto 1381.

Scrive la Treccani: la guerra aveva stremato non soltanto Genova, ma anche Venezia, venuta a patti con gli alleati dei genovesi, e segnatamente col re d’Ungheria, rinunziando alla Dalmazia.

I padovani, con a capo Francesco da Carrara (latifondista e cospicuo usurario), puntando come sempre a uno sbocco sul mare, si allearono con gli ungheresi e i genovesi. La rivalità con Venezia non si risolse, dopo pochi anni, a favore dei padovani.

Quello descritto è un altro esempio di come il caso, ossia una mera questione di precedenze tra diplomatici, possa fare da innesco a una guerra tanto distruttiva. Ovvio che alla base di tutto vi fosse una ben più nutrita rivalità commerciale già esplosa in precedenti scontri e scorrerie. Alla fine genovesi e veneziani decisero di spartirsi le zone d’influenza. Furono più saggi, lungimiranti e meno ingordi degli imperialisti d’oggi.

Oggi si gioca la partita Venezia-Genoa, uno scontro diretto per la salvezza dall’esito incertissimo, anche se sarà sicuramente meno cruento di quello combattuto nel XIV secolo. Purtroppo arbitrerà un tizio di Schio, che per sua stessa ammissione è tifosissimo del Vicenza (oggi in serie B, ultima in classifica). L’antica rivalità tra la città lagunare e la terraferma, sia pure espressa calcisticamente, è assai viva e a volte aspra.

Scusate se vi ho annoiato.



Cappella del Rosario



Vino Vero



Sullo sfondo San Michele (cimitero)