sabato 31 dicembre 2022

La realtà è quello che resta quando si è detto tutto

 

La crisi della sinistra è figlia di tante cose, non meno della sua crisi teorica. Come diceva Lenin, la prassi senza teoria è cieca, ma la teoria senza la pratica è muta. Deve sussistere un rapporto dialettico tra le due cose. La sinistra già prima ci vedeva poco, ma uscita dall’implosione dell’Urss divenne completamente cieca ed è subito diventata afasica, nel senso che non ha più saputo fare analisi e dare risposte sul piano partico, ossia un dire e fare che fosse “di sinistra”. La sinistra si è trasformata in semplice apparato autoreferenziale, elettorale e di gestione del potere, orto concluso. Il fenomeno, ripeto, era già presente e non solo sottotraccia, ma in seguito al “crollo di Berlino” è diventato totalitario: gli ex comunisti sono stati ben lieti di dichiararsi tutti liberali, e disponibili a imbarcare chiunque, soprattutto arrivisti, narcisi e cialtroni, insomma il peggio che si potesse.

Invece di elaborare una nuova teoria, di ripensare il marxismo cristallizzato nel dogmatismo, si è optato per una decostruzione di tipo derridiano, dalla quale sono risultate solo macerie. Si è smesso di ragionare su quello che succede e non si è più avuta una visione storica. Sposando il prêt-à-porter liberal-democratico, ciò ha significato uno svuotamento critico e la sostanziale accettazione del sistema di produzione/riproduzione borghese come un dato immutabile, suscettibile semmai di continui adattamenti sulla base di estenuanti compromessi. Ciò che è buono per i padroni della società è buono anche per tutti gli altri, se ne resta qualcosa. C’è la globalizzazione, la grande finanza, ... , non possiamo farci niente. Ma arriva il momento che non c’è più posto per i giochini verbali e di gruppo, perché esiste qualcosa che si chiama realtà e presenta immancabilmente il conto.

venerdì 30 dicembre 2022

Marte in Ariete

 

Sì, è vero, sono degli ipocriti e tutto il resto. Come quelli che dopo nove pacchetti di sanzioni contro la Russia continuano ad acquistare il gas da Gazprom.

*

Mentre il personale sanitario in servizio presso i pronto soccorso non vede l’ora che arrivi Capodanno, piovono pronostici su come sarà l’anno che verrà. Questa domanda cruciale riguarda di preferenza gli astrologi (ma anche economisti e altri mercanti di futuro).

Gli oroscopi fanno audience e i nuovi media offrono altro terreno di gioco per falsi profeti che puntano sul fatto che molti pensano ancora si possa prevedere il domani. Anche i vecchi media cercano di vendere qualche copia in più usando dei cialtroni per gabbare i creduloni: su un supplemento di un noto quotidiano fondato da un preveggente venne pubblicato un articolo dal titolo “Come ci si pettina in base al segno zodiacale? Ce lo spiegano l’hairstylist e l’astrologa”.

Il sig. Marco Pesatori, per esempio, scrive nel profilo del suo blog che dopo gli studi psicoanalitici e essersi sottoposto a sua volta a un’analisi junghiana, dal 2003 «cura la rubrica su Repubblica delle donne, con un oroscopo “filosofico-magico-dadaista” molto amato e famoso». Nostradamus può andare a cagare.


Pare che almeno 4 italiani su 10 si fidino di astrologi, indovini e chiaroveggenti, con la speranza di avere delle “dritte” soprattutto su denaro, salute, amore e lavoro. Ogni giorno 30mila italiani, che hanno una vera passione per la credulità e l’ignoranza, si rivolgono a professionisti che l’Istat classifica come: astrologi, cartomanti, chiromanti, maghi, medium, psicoveggenti, rabdomanti, spiritisti. C’è perfino di peggio: circa il 60% degli italiani maggiorenni, pur non credendoci, vanno ancora a votare.

Il prossimo anno “ce ne sarà per tutti i gusti: un anno bello insomma”, dice l’astrologa di moda. Dopo un inizio difficile, a causa della “dissonanza Giove/Saturno”, fortunatamente “la fine dell’anno 2023 vedrà in armonia queste due stelle simbolo dell’entità europea”. Non chiedetemi che cosa voglia dire. Per quanto riguarda il conflitto in Ucraina, annuncia “l’ultima salva [...] per luglio 2023 (congiunzione Marte/Venere in Leone) con effetti residui fino a ottobre 2023, che dovrebbe porre fine a questa brutta guerra”.

Rabelais (ma chi lo legge più?) ha lasciato una gustosa parodia delle profezie emesse dagli astrologi. Nessun astrologo, a parte Burioni, ha mai anticipato il minimo evento (il resto è statistica), eppure questi ciarlatani godono ancora di largo credito. La ricetta è sempre la stessa: un miscuglio di vaghe generalità che annunciano tutto e il suo contrario, perché ognuno possa orientarsi a piacere. Inoltre, l’astrologia è fondamentalmente conservatrice se non reazionaria: pone la sottomissione all’ordine stabilito come un fatto naturale, poiché tutto è iscritto nel cielo.

E ora passiamo dalle fallaci profezie alle immarcescibili certezze: milioni di individui, che domani sera brinderanno al nuovo anno, non arriveranno a vedere la fine del 2023. Inoltre, chi nascerà il prossimo anno non è ancora al corrente di ciò che lo attende. Non pochi di questi nuovi abitanti del pianeta arriveranno tra noi contro le previsioni di genitori che non avranno usato le debite precauzioni e invece dato retta agli astrologi.

Buon anno novo. 


giovedì 29 dicembre 2022

[...]

 

Domani, su questo blog, in esclusiva e a gratis, le previsioni che sicuramente si avvereranno nell'anno nuovo. 

Fare chiarezza significa ...

 


Se diecimila persone entrassero in massa nelle migliori enogastronomie e nei supermercati di Milano, Roma, Napoli eccetera, il problema della povertà diventerebbe un problema di “ordine pubblico”. Ciò farebbe chiarezza sulla democrazia, sulla costituzione più meglio del mondo e tante altre cazzo di cose.


Abbi pietà di loro, abbi pietà delle parole

 

“Abuso”, “comportamento scorretto”, è in questi termini che la Chiesa definisce nei suoi documenti ufficiali gli stupri e le altre aggressioni sessuali commesse da non pochi dei suoi preti. Al di là delle vicende che scuotono il mondo cattolico, si pone la questione delle parole che dovrebbero o non dovrebbero essere usate per parlare di cose che inquietano. Per evitare di qualificare con precisione i fatti, usiamo espressioni che evocano la realtà senza spiegarla chiaramente. Suggeriamo senza nominare.

Mi riferisco a una diffusa codardia nell’uso delle parole: provate, per fare un esempio fin troppo banale, a riferirvi a qualcuno con la parola “vecchio” anziché “anziano” (sia mai a una signora!). È diventato obbligatorio far uso di formulazioni falsamente caute per eludere la crudezza del mondo, per cui il netturbino è diventato operatore ecologico, una domestica una colf e una guerra (prescindendo dall’opinione si abbia su di essa) una più neutrale “operazione speciale”.

La proliferazione di espressioni sterilizzate ha portato all’istituzione del divieto di utilizzare parole diverse da quelle accettate da questa nuova morale. Questa contorsione per mascherare la realtà è una censura, che attacca prima il vocabolario per poi controllare il pensiero. È sconsigliabile pronunciare tale e talaltra parola perché in realtà è sconsigliabile pensare tale e talaltra cosa.

È stato quasi rimosso dalla memoria collettiva il rapporto stabilito tra la SARS-Covid2 e la comunicazione pubblica, in particolare quando inedite restrizioni delle libertà e volontà personali sono state veicolate e rese potabili con l’uso di una terminologia anglosassone. Come, per esempio, nel caso del confinamento coatto che è diventato, non solo per comodità espressiva, un più asettico “lockdown”, oppure quando per l’attestazione dell’obbligo vaccinale serviva esibire un ecologico “green-pass”, il “contact tracing” attraverso l’app Immuni, e così via.

Le parole fanno paura, anche se non siamo ancora allo stadio immaginato da Orwell in 1984, dove il dizionario viene epurato dai termini che vanno contro l’ideologia ufficiale, ma è comunque inquietante vedere questo fenomeno in aree che non avremmo mai pensato fossero troppo colpite. Anche se i termini tabù non sono sempre piacevoli da ascoltare, esistono e dovremmo avere il diritto di usarli come meglio crediamo. Nessuna legge che vieti di pronunciarli è stata votata, per il momento, ma si comincia col distillare questo divieto che poi passa all’uso comune, e alla fine diventa regola.

Fin dove arriverà la paura delle parole? Alcuni media la settimana scorsa hanno riferito che Elon Musk ha affermato di voler cedere Twitter a “qualcuno abbastanza sciocco da assumere il suo posto di CEO”. Questa stessa frase è stata tradotta in modo diverso ma in realtà parlava di “qualcuno abbastanza pazzo”. Uno sciocco, tuttavia, non è la stessa cosa di un pazzo. Anche quel coglione di Musk può capirlo.

Come si vede dal mio esempio testé esplicitato, la paura delle parole è tanto più sconcertante in quanto, nelle discariche denominate social network, accade esattamente il contrario, laddove leggiamo quotidianamente ingiurie di ogni tipo, insulti razzisti, omofobi, misogini o antisemiti, il tutto farcito con il più classico intercalare di colorite volgarità. Più espressioni inventiamo per addolcire la durezza della realtà, più si scatena la violenza verbale. Volendo controllare tutto, si finisce per non controllare nulla.

Qui entriamo nel tema dell’opposizione tra linguaggi autorizzati e non autorizzati. È precisamente il confine tra la critica borghese, della quale ho offerto qui sopra un esempio, e una critica basata sulla lettura materialistica e storica della realtà. Forse in un prossimo post dirò qualcosa a proposito dello stesso tema, sul rapporto tra linguaggio e coscienza, tra coscienza e inconscio, che il freudismo ha così tanto frainteso fino a farne una caricatura.

mercoledì 28 dicembre 2022

Chi c'è alle nostre spalle

 

Il 2022 ha visto un deciso cambiamento nell’economia globale e nel sistema finanziario, mettendo in moto tendenze che continueranno e si approfondiranno nel 2023 e a seguire.

Il cambiamento più significativo è dato dall’inflazione al livello più alto in quattro decenni e la risposta delle banche centrali, guidate dalla Federal Reserve statunitense. Nel nome della lotta all’inflazione, le banche centrali hanno intrapreso il più forte aumento dei tassi di interesse da quarant’anni a questa parte. Bisogna aver presente che il mondo sta annegando nel debito (compreso il debito in dollari fuori bilancio) e dunque un aumento dei tassi d’interesse porterà a precise e decise conseguenze sugli interessi del debito pubblico e privato, ma anche a scelte diverse sull’allocazione della liquidità.

In passato, la teoria di base sosteneva che quando la domanda è in calo, se si buttano abbastanza soldi dagli elicotteri (la metafora è di Milton Friedman), ne risulterà una crescita. Così funzionava un tempo: se davi più soldi attraverso sussidi o tagli alle tasse, la domanda aumentava e quei lavoratori che eran riamasti disoccupati tornavano a lavorare.

Ma l’economia di oggi è diversa dal passato. Non che sia diversa la sostanza del capitalismo, ma è cambiata la gestione della politica economica e degli investimenti. Le banche centrali hanno pompato trilioni di dollari almeno negli ultimi 15 anni per prevenire una crisi finanziaria, ma ciò facendo hanno creato le condizioni per turbolenze finanziarie ancora maggiori nel tentativo di “normalizzare” la situazione.

Trilioni di dollari di euro e di altre divise sono stati iniettati non nell’economia reale ma a favore della speculazione, di operazioni di buy-back e nel private equity. Questi trilioni hanno contribuito, tra le altre cause, a innescare un’alta inflazione che le banche centrali per mesi hanno insistito nel dire che fosse transitoria, ma che per ora si mantiene molto elevata.

Si è quindi passati al rialzo dei tassi d’interesse con lo scopo dichiarato di ridurre sufficientemente l’inflazione, inducendo una recessione economica che ora prelude a un’incipiente crisi dei mercati finanziari.

Non è da escludere che un deciso calo della domanda porti a una riduzione dell’inflazione, ossia a una riduzione dei prezzi delle principali voci merceologiche, in qualche caso già in atto (qualche piccolo segnale deflattivo a causa della drastica riduzione dei consumi energetici e alimentari). Ci sono molte previsioni di recessione per il prossimo anno, sia nelle principali economie che a livello globale, man mano che l’impatto dell’aumento dei tassi e la contrazione della domanda si faranno sentire.

Con il cambiamento della politica delle banche centrali, che hanno chiarito che i rialzi dei tassi devono continuare, il castello di carte finanziario sta diventando sempre più instabile. Dei segnali si sono già avuti con il crollo della bolla delle criptovalute, quindi con il crollo di Tesla (il valore di mercato dell’azienda era di 1,2 trilioni di dollari; nel trading subito prima della pausa natalizia, la sua capitalizzazione di mercato era inferiore a 400 miliardi, dopo che il suo prezzo delle azioni è sceso di 85 miliardi in una settimana, ossia del 18%).

L’anno si sta concludendo con un altro cambiamento significativo: la decisione della Banca del Giappone di allentare il cosiddetto controllo della curva dei rendimenti. Non vi sono dubbi sulle implicazioni di tale decisione: tassi giapponesi più elevati significheranno il ritorno del denaro precedentemente investito a livello internazionale. Con 3.600 miliardi di dollari di attività nette all’estero, il Giappone è il primo creditore mondiale.

Va tenuto presente che un piccolo movimento dei tassi d’interesse può comportare guadagni o perdite considerevoli su qualsiasi operazione. Se i giapponesi rimpatriano i loro soldi, come hanno fatto alla fine del 2007 e del 2008, ciò porterà molto rapidamente a una stretta creditizia sistemica e a una reazione a catena sui mercati finanziari.

Ma tanto a noi che ce frega, ci abbiamo la Bce alle spalle. Appunto, alle spalle, e con una classe politica che butta letteralmente i soldi per finanziare cose assurde e regalarne altri a chi non ne ha bisogno.

martedì 27 dicembre 2022

Una verità storica alla luce del sole

 

Siamo nel pieno della crisi storica del sistema sociale borghese. Un sistema che aveva raccolto e fatto proprio il retaggio di un passato millenario. La rottura con un’era di continuità culturali, il declino di quella complessa civiltà che chiamiamo Occidente, sta nei fatti generali e sia in quelli più minuti e quotidiani. Ciò accade, paradossalmente e come sottolineo spesso, nel momento stesso del massimo trionfo del capitalismo, ossia nel momento stesso in cui questo modo di fare le cose ha conquistato l’intero globo.

Non possiamo rimpiangere la prima metà del Novecento. Sebbene la maggior parte di noi non abbiano vissuto in prima persona quella prima metà del secolo, sappiamo che è stata segnata da disastri ed orrori. Poi, pur tra molte contraddizioni, il sistema ha generato ciò che possiamo considerare il miglior mondo che si sia avuto. Questo fatto è innegabile, basti tener presente la cosiddetta speranza di vita, che complessivamente nel mondo non è mai stata così elevata.

Il capitalismo ha vinto a tal punto che l’Unione sovietica e i suoi paesi satelliti non esistono più come entità geopolitica, e anche la nomenclatura cinese s’è dovuta assoggettare alle leggi del mercato, se voleva salvare sé stessa e la sua entità statuale. La realtà del processo storico nel tempo lungo impone le proprie leggi. Ciò vale anche per il capitalismo, che nella sua crisi generale è a una svolta storica, più di quanto si voglia credere. Solo con la tecnica e la scienza, dimenticando tutto il resto, la civiltà non può progredire. Ci aspetta un periodo di decadenza sociale e civile, d’involuzione politica, di violenta demagogia e rimbambimento programmato, prodromi di nuove immani tragedie.

È probabile che la situazione non precipiti in un sol colpo, dobbiamo invece guardare la tendenza, e da questo punto di vista non c’è da stare tranquilli. C’è la guerra in Europa, e al momento non si vede come si possa uscirne. Gli Stati Uniti e l’Europa sono mille volte colpevoli. Da ultimo le dichiarazioni dell’ex cancelliere tedesco Angela Merkel, riportate da Die Zeit, secondo la quale l’accordo di Minsk è servito a guadagnare tempo per riarmare l’Ucraina: “L’accordo di Minsk del 2014 è stato un tentativo di dare tempo all’Ucraina, che ha usato questo tempo per diventare più forte, come si può vedere oggi”. E ancora più esplicitamente: “Era chiaro a tutti noi che si trattava di un conflitto congelato, che il problema non era stato risolto, ma è proprio questo che ha dato all’Ucraina tempo prezioso”.

Sono dunque questi i leader dell’Occidente odierno, miopi non molto diversamente di un Clemenceau, quando era la Germania e non la Russia il nemico da battere. Quale irripetibile occasione si è persa negli anni Novanta, accontentandosi di costruire un’Europa basata sugli egoismi e i veti comuni.

La Merkel conferma che la NATO voleva la guerra fin dall’inizio, ma aveva bisogno di tempo per prepararsi militarmente. Dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica, gli Stati Uniti hanno perseguito l’obiettivo di rimanere “l’unica potenza mondiale”. A tal fine, Washington ha intrapreso numerose guerre e ha ampliato la NATO nell’Europa orientale. Ora vuole nella NATO l’Ucraina, la Georgia e altre ex repubbliche sovietiche, soggiogare la Russia per saccheggiare le sue risorse e isolare la Cina, che rimane l’obiettivo principale.

Possono suonarsela come vogliono, ma questa è una verità storica che sta alla luce del sole, che solo laccecamento ideologico ne impedisce la vista.

lunedì 26 dicembre 2022

Una caduta di Tesla

 

I venditori allo scoperto su Tesla stanno finalmente sorridendo. Quest’anno hanno guadagnato almeno 15 miliardi di dollari mark-to-market (+78,1% su un Internet short medio di 19,25 miliardi). La capitalizzazione del beniamino dei mercati ha perso oltre il 60% del suo valore dall’inizio del 2022. Cioè una sciocchezza di 700 miliardi di dollari: più del valore di Toyota, Mercedes Benz, Volkswagen, Stellantis, General Motors e Ford insieme.

Più di un anno dopo il suo picco di novembre 2021, quando ha superato i 380 dollari, il prezzo delle azioni del pioniere delle auto elettriche si è letteralmente sciolto a meno di 120 dollari di questi giorni. Di certo sarebbe stato difficile mantenersi a lungo al livello stratosferico raggiunto in quel momento, ma l’entità della caduta è sorprendente.




Uno dei motivi alla base della volatilità dei prezzi di Tesla è la composizione dei suoi azionisti. Oltre ad avere il più grande flottante dei primi tre titoli più corti, Tesla ha anche il minor numero di azionisti istituzionali “passivi” (si colloca al 192° posto nella percentuale di azionisti “lunghi”). Maggiore è la percentuale di azionisti long attivi, maggiore è la volatilità degli scambi e la volatilità dei prezzi di un titolo (è il secondo più grande short negli Stati Uniti dopo Apple).

La caduta di Tesla è legata anche all’aumento dei tassi e la fine dei soldi facili, alla recessione e alla concorrenza nel mercato dei veicoli elettrici (i veicoli elettrici sotto una certa fascia di prezzo stanno guadagnando slancio), quindi al balordo investimento del suo capo, Elon Musk, con l’acquisizione di Twitter (è lui il più cospicuo liquidatore di azioni Tesla, ne ha recentemente scaricate per altri 3,6 miliardi), ma pare anche a qualche dubbio sul modello di business. Secondo Bloomberg, Tesla si sta preparando a ridurre i tassi di produzione nella sua fabbrica di Shanghai a seguito di un calo della domanda.

Per avere un’idea dello scollegamento tra speculazione (che fa il suo mestiere, sia chiaro) e realtà economica (inossidabile) basti pensare che Tesla, nonostante tutto, è scambiato a 43 volte gli utili su un fatturato stimato di 115 miliardi di dollari nel 2023.

sabato 24 dicembre 2022

La fossa dei serpenti

 

Non possiamo parlare solo dei telefonini in classe e del pos. Nel mondo succedono altre cose che, anche se apparentemente lontane, ci riguardano o ci riguarderanno.

Sam Bankman-Fried, considerato il responsabile del crollo dell’exchange di criptovalute FTX, di cui è stato fondatore e CEO, è comparso giovedì in un tribunale di Manhattan dopo l’estradizione dalle Bahamas e una cauzione di 250 milioni di dollari. È stato incriminato per una serie di reati connessi all’implosione della sua attività di trading da decine di miliardi di dollari.

FTX è una società con sede alle Bahamas, ora in bancarotta, che ha consentito ai clienti di scambiare valute digitali con altre valute digitali o denaro tradizionale; aveva anche una criptovaluta nativa nota come FTT.

Le criptovalute sono come i francobolli da collezione, si scambiano tra loro ma anche con denaro vero (con tutti i rischi di controparte), con la differenza che i francobolli sono almeno dei pezzetti di carta colorata mentre le criptovalute non esistono in forma fisica (le registrazioni delle transazioni in un “registro”, una “blockchain”, dal punto di vista del rischio connesso valgono meno di quelle della “cassa peota”). Se qualcuno vi dice che le cose nella loro sostanza stanno diversamente dai francobolli, o dai tuberi di tulipano, sappiate che mente.

Il procuratore federale ha detto alla corte che Bankman-Fried aveva “perpetrato una frode di proporzioni epiche” e che il governo aveva dozzine di testimoni, messaggi di testo crittografati e decine di migliaia di documenti da inserire come prova. Le accuse derivano dall’utilizzo di fondi forniti da investitori FTX, grandi e piccoli, alla società di trading di criptovalute di Bankman-Fried, Alameda Research, da lui fondata nel 2017.

Più della metà del denaro fornito a FTX è stato “prestato” ad Alameda. Come è stato possibile mettere in atto questa frode in bella vista? È la stessa domanda che ci si è posti nel 2008 per Bernard Madoff. Nessuna minima preoccupazione nei presunti cani da guardia del sistema finanziario come la Securities and Exchange Commission.

Bankman-Fried non ha cercato di nascondere quello che stava facendo. Lo scorso aprile, in un’intervista a Bloomberg, dopo aver esposto il suo modus operandi, ha dichiarato che quello che aveva descritto era essenzialmente uno schema Ponzi, un sistema in cui si guadagna denaro finché continua ad affluire nuovo denaro.


Nonostante queste candide ammissioni, ha continuato a essere promosso dai più alti livelli dell’establishment finanziario, mediatico e politico mentre incanalava denaro nei partiti repubblicano e democratico (soprattutto quest’ultimo).

Intermediari come FTX svolgono un ruolo fondamentale come porta d’accesso al mondo delle criptovalute dal sistema finanziario convenzionale. Incanalano il flusso di nuovi babbei investitori, che è l’ossigeno che mantiene vive queste dinamiche speculative. Il reclutamento di nuovi investitori è la chiave per la sopravvivenza delle criptovalute.

L’insieme del sistema finanziario è oggi una gigantesca frode. Proprio come le criptovalute dipendono dall’afflusso di nuovo denaro, l’intero sistema finanziario internazionale è diventato dipendente dal flusso di denaro fornito dalla Federal Reserve statunitense e da altre banche centrali.

Questa era l’essenza del programma di “alleggerimento quantitativo”: l’acquisto di titoli di Stato e altre attività finanziarie che consentivano di mantenere i tassi di interesse ai minimi storici e al contempo fornire essenzialmente denaro gratuito all’oligarchia finanziaria con cui finanziare la sua speculazione (altro che reddito di cittadinanza!).

Gran parte del trading nel più ampio sistema finanziario è autoreferenziale, coinvolge accordi tra banche, hedge fund e altre entità finanziarie, da cui vengono raccolti grandi profitti e alte commissioni con pochi o nulli riferimenti ad attività economiche tangibili.

Quando si finanzia un’acquisizione o un leveraged buyout, o si organizza un riacquisto di azioni proprie con denaro preso in prestito dalle banche – Apple è un giocatore di spicco di tali operazioni – non si crea un atomo di valore reale ma si realizzano ingenti profitti.

Riassumendo la crisi delle criptovalute è dovuta al fatto che si tratta di un settore basato semplicemente su un articolo di fede. E però questa realtà va ben oltre le criptovalute. Il sistema finanziario globale si basa su un articolo di fede, ossia sul dollaro USA quale moneta di riferimento negli affari commerciali e finanziari, e occupa questa posizione perché è considerato una riserva di valore.

E quando quella fede viene scossa, come nel 2008, oppure come durante la crisi del marzo 2020, quando il mercato dei titoli del Tesoro USA da 24 trilioni di dollari si è congelato, la stabilità dell’intero sistema finanziario globale è messa in discussione.

Nel 2020 il collasso fu impedito solo dalla decisione della Fed e di altre banche centrali di pompare ulteriori trilioni nel sistema finanziario. Ma nessuno dei problemi di fondo che hanno portato a quella crisi è stato risolto.

Ora è in atto una nuova crisi, a causa della spinta della Fed e di altre banche centrali a inasprire la politica monetaria alzando i tassi di interesse. Anche la “stampa” di moneta ha dei propri limiti. L’innalzamento dei tassi da parte delle banche centrali viene condotto nel nome della lotta all’inflazione, ma ha poco a che fare direttamente con questo. Oltre il dito che indica la luna si deve prendere atto di un cambiamento radicale nella struttura del sistema finanziario, che è una fossa dei serpenti, di conflitti d’interessi e criminalità totale, una caratterizzazione che si applica all’intero sistema finanziario e non solo alle criptovalute.

Il programma dell’oligarchia finanziaria al potere è chiaro. Le sue vaste disponibilità di attività finanziarie non incarnano di per sé un valore reale. Le sue sono rivendicazioni sulla ricchezza reale socialmente prodotta, in modo da consentire alla speculazione di valorizzare l’enorme montagna di capitale fittizio. In attesa del prossimo cortocircuito.


venerdì 23 dicembre 2022

Grandi manovre

 


A 90 anni finalmente si laurea. Ha subito trovato lavoro come commessa da McDonald’s.

Obbligo di indossare il casco sui monopattini. Proprio quando c’è carenza di donatori di organi.

Bonus: finalmente i proprietari di ville e villini avranno diritto alla tredicesima mensilità.


giovedì 22 dicembre 2022

La terapia della felicità

 

Sogno di visitare tutti i musei, le chiese e i monumenti. Non è un capriccio, una moda o una posa, anche se in questo sogno totalitario riconosco una malattia emotiva e un’ambizione (piccolo) borghese. È un modo per evadere da una realtà che parla la lingua delle sue macchine, un antidoto al culto dell’attimo presente.

Nel 2018, l’Italia vantava 4.908 tra musei, aree archeologiche, monumenti ed ecomusei aperti al pubblico. Un patrimonio diffuso su tutto il territorio: una struttura a carattere museale ogni 6.000 abitanti. La maggior parte sono musei, gallerie o raccolte di collezioni (3.882), cui si aggiungono 630 monumenti e complessi monumentali, 327 aree e parchi archeologici e 69 strutture ecomuseali.

A differenza di quel tronfio ignorante che disse «Signori miei, se l’arte non fattura, non è grande arte», mi piacciono soprattutto i piccoli musei, quelli poco noti e frequentati (chi si spinge fino a Cividale, per esempio?), così come le chiese (Santa Felicita, la tavola del Pontormo, a due passi oltre Ponte Vecchio, verso Pitti) e le aree archeologiche, innumerevoli e sconosciute, trascurate dai grandi flussi turistici. Non basterebbe una vita intera per vedere, con gli occhi e con il cuore, ciò che merita.

Adoro partire la mattina, passare la giornata tra le bellezze, rientrare la sera. Ti dà la sensazione di scolpire la tua vita: una rotondità, una calma e un’intensità che altre esperienze raramente possono offrirti. Oppure rientrare la sera in piccoli alberghi, scrivere qualche nota che esalti le virtù esistenziali e medicinali dell’arte (anche quelle civiche, ovviamente). Vivere meglio attraverso l’arte: un museo al giorno, la terapia della felicità.

Penso per esempio alle due Flagellazioni di Cristo del Caravaggio, molto simili, dipinte entrambi nello stesso anno, una delle quali è nella chiesa di San Domenico Maggiore a Napoli. L’ho vista esposta al Museo di Capodimonte, nel 2019, con altre opere del Merisi in occasione di una mostra non troppo bene allestita e con un uso dell’illuminazione orribile (*).

Il torso scintillante di Cristo emergere dal buio della tortura. Attorno a lui si agitano i carnefici, lo legano, preparano le verghe, lo afferrano per i capelli: la cattiveria degli uomini è sempre meticolosa. Sembra piacere fare qualcosa di sbagliato; lo chiamano lavoro; lo soddisfano altruisticamente. La smorfia dei carnefici che si accaniscono su questo corpo indifeso ci rivela quanto la specie umana, fin dall’inizio, tenda al crimine.

I fanatici si danno sempre ragioni per uccidere, ma faticano a nascondere il loro gusto per la morte. A Kiev, a Mosca, a Washington, a Teheran, una mappa del sangue vastissima.

(*) William-Adolphe Bouguereau, un pittore troppo frettolosamente classificato “pompier”. Il dipinto in effige al blog è suo, troppo accademico, ammetto, e però invece la sua Flagellazione di Cristo, 1880, merita a mio avviso attenta considerazione (ancora più bello è forse il carboncino su carta).

mercoledì 21 dicembre 2022

Lo squallido gioco delle parti

 

Lunedì scorso, dando conto di un’intervista di Andrea Carandini al Sole 24 Ore, riportavo una dichiarazione dello stesso: «L’errore più grande della mia vita? Iscrivermi al partito comunista. Mi convinse Giorgio Napolitano, responsabile della cultura del PCI».

L’archeologo, scavando nella sua memoria, ricorda male. Di recente aveva scritto di suo pugno e pubblicato una versione diversa:

«L’amico Marco Calamai – figlio dell’ammiraglio Marco e della nobildonna spagnola Natalia de Mesa, discendenti di Diego de Mesa capo della cavalleria castigliana che aveva conquistato l’isola di Tenerife – è stato un sindacalista della Cgil che a Caserta teneva un ritratto dei reali di Spagna sul comò. È stato lui che mi ha convinto a iscrivermi al PCI.» (L’ultimo della classe, Rizzoli 2021, p. 307).

Carandini offre uno spaccato di grande interesse, anche se non inedito, di che cos’era effettivamente il Partito comunista italiano, quantomeno nella sua dirigenza.

«Nel PCI vi erano aristocratici e borghesi di grande qualità, come Bianchi Baldinelli [il Cicerone di Hitler nella sua visita italiana del 1938] per la cultura e Giorgio Napolitano per la politica. Mi era chiaro che il PCI, dopo aver predicato agli inizi la rivoluzione e dopo aver avuto Mosca come centro gravitazionale e fonte di finanziamenti, era diventato quasi, seppure mai del tutto, un partito socialdemocratico, soprattutto da quando la (liberal-) democrazia è stata intesa da Enrico Berlinguer come un valore universale (ma i finanziamenti da Mosca proseguivano). Della cultura borghese erano impregnati anche i dirigenti e l’organizzazione centrale del partito» p. 306.

Non dobbiamo stupirci di nulla, né di ciò che accadde ieri, né di ciò che ci viene raccontato oggi. Già allora nel PCI non c’erano solo liberal-democratici finanziati da Mosca, ma anche informatori della CIA, come Giuliano Ferrara, per esempio, e chissà che altro ancora. L’essenza del patto neo-corporativo di allora, attribuiva al partito e ai sindacati il compito di far digerire alla classe operaia quelle politiche economiche necessarie alla borghesia per rilanciare i suoi profitti, dunque il compito di tenere a freno i lavoratori e mettere il morso alle lotte, perché quella era “una condizione necessaria, indispensabile di qualunque strategia di politica economica volta a combattere l’inflazione” nel quadro di un “dialogo tra attori istituzionali”, come si leggeva in uno studio della Fondazione Agnelli in collaborazione con l’Istituto affari internazionali, una succursale italiana della Trilateral.

Questo squallido gioco delle parti è proseguito anche dopo e funziona nella misura in cui regge la finzione che maschera i fili doppi e occulti che legano Stato, partiti, sindacati, istituzioni sovranazionali e grande borghesia. In tali circostanze ogni movimento autonomo, di reale contrapposizione, viene visto come un attacco diretto al Sistema, rubricato come attentato alla sicurezza dello Stato, per cui si può essere condannati all’ergastolo e alla tortura del 41bis.

Il quattro per cento

 

Le giornate si accorciano sempre di più, ma possiamo stare tranquilli, non siamo minacciati dall’oscurità eterna come potrebbe titolare Repubblica. Gli economisti potrebbero dire, sulla base di proiezioni, che ci sarà totale oscurità entro aprile 2023 se la tendenza attuale continua.

Sull’oscurità eterna ho riflettuto in questi giorni poiché è venuta a mancare una persona a me carissima e di frequentazione quotidiana. Una personalità d’altri tempi, onestissima e correttissima.

Quante domande avrei ancora per lui. È la seconda volta che irrompe la morte di una persona cara e mi rammarico di non aver approfondito certe cose quando era ancora possibile farlo. Temo che succederà ancora, è inevitabile.

A che cosa serve vivere il più moralmente possibile, senza le catene delle convenzioni, della mostruosa piccola cosa sociale se poi, alla fine, è come se non fosse accaduto nulla? L’assurdità della nostra irrisolta presenza nel mondo: a cosa approdano i nostri sforzi e le nostre angosce? Non sappiamo trovare altre risposte fuori di quelle che dava Leopardi: si gira su noi stessi come trottole, finché il moto si rallenta, le passioni si spengono e il meccanismo si rompe.

La destinazione finale è data da una certa efficienza “mineralizzante”, salvo fenomeni di corificazione, saponificazione o mummificazione. Certo, si può optare per la cremazione: calda, liquida o fredda. Anche da cadaveri non possiamo evitare di essere parte di una grande business.

Quella calda consiste nel ridurre un cadavere nei suoi elementi base (gas e frammenti ossei calcinati). Le cosiddette “ceneri” non sono altro che la frantumazione con procedimenti meccanici (rulli) delle ossa calcinate. Si arriva in tal modo al 4% della massa iniziale.

Con la resomation (detta anche cremazione liquida) il corpo viene introdotto, privo di bara, in un contenitore di materiale particolare, attraverso un processo a media temperatura e alta pressione viene dissolto in una soluzione calda di idrossido di potassio.

Per la cryomation (detta anche cremazione fredda) si utilizza una tecnica del freddo ottenuto con un trattamento di azoto liquido a -196°C, attuando una sorta di liofilizzazione del cadavere, che così raffreddato si secca e diventa solido e fragile. La riduzione volumetrica dei frammenti avviene con apposite macchine.

Mi è presa una stanchezza al limite del sonno, perciò lascio la stanza delle smorfie letterarie e vado a letto.

martedì 20 dicembre 2022

Ciò che ci piace

 

La cucina è la cultura che trasforma la natura. I cibi e gli ingredienti animali, vegetali e fungini sono lavorati dagli umani, a differenza degli animali che li consumano così come sono. In origine gli uomini non erano vegetariani, tantomeno vegani (una setta puritana). Fingere il contrario è una totale assurdità.

Le prime armi fecero un incantesimo ai grossi animali, e la dieta, in parte a base di carne, si impose definitivamente. Nel menu c’era anche il pesce: abbiamo tracce risalenti a più di 40.000 anni che testimoniano che i nostri antenati erano in grado di spingersi in mare per pescare il tonno (non avevano ancora il grissino, però).

L’espansione del potenziale proteico neolitico, l’addomesticamento di animali e piante è stato sicuramente un fatto positivo, e oggi l’agricoltura intensiva ci permette di sfamare 8 miliardi di persone, chi troppo e chi meno.

E però ciò sta causando un drastico calo della biodiversità, nel mentre quasi un terzo del cibo su scala globale, si dice, viene sprecato. Il modello di sviluppo ha raggiunto i suoi limiti, ma non c’è modo d’invertire la tendenza, se non spinti da cause di forza maggiore, non certo su invito del sistema agroindustriale dominato dalle multinazionali sementiere e dei pesticidi.

Negli anni ‘70 si parlava di “nuova cucina” (nouvelle cuisine, per i piccoli marchesi delle città). Nel decennio successivo fu lanciata la cucina cosiddetta “molecolare”, adatta agli anoressici, oggi si parla di insetti cucinati in vario modo (chissà che direbbe Ugo T.). Non sarà questa la strada per frenare gli eccessi e lo spreco di cibo.

Dodici colture, tra cui ovviamente riso, mais, grano e cinque specie animali insieme forniscono i tre quarti del cibo umano. Migliaia di altri prodotti, disponibili e che hanno dimostrato il loro valore nutritivo, vengono trascurati, tanto che diventa difficile reperirli.

I rapporti di forza sono molto sfavorevoli perché si arrivi a un cambiamento degli stili alimentari. 700 milioni di persone obese, tra cui 100 milioni di bambini, alla faccia dei veri poveri del mondo. La tutela della nostra salute dovrebbe indurci a una dieta più varia ed equilibrata. In Italia quasi 400.000 casi di tumore annui, certamente non tutti dovuti a una nutrizione sbagliata, eccessiva e adulterata, comunque non poche gravi patologie sono dovute ad essa.

La mucca pazza, il pollo alla diossina, la contaminazione da salmonella, i tanti prodotti importati, il clordecone, il glifosato e i neonicotinoidi, sono tanti i responsabili, e i colpevoli dell’avvelenamento riescono a mentire su tutto, a cominciare dall’inganno delle etichette sui prodotti, ai vini e all’extravergine d’oliva a pochi euro, all’impiego sconsiderato di dolcificanti, conservanti e coloranti.

Facevo queste riflessioni, abbastanza sottovoce, con alcuni commensali durante una recente “cena di natale” di un’associazione. Annuivano solo per compiacermi e compatirmi oppure erano un po’ d’accordo? I miei dubbi furono fugati quando sul lungo tavolo del buffet arrivarono i dolci.

Un’anziana signora, seduta proprio di fronte a me, si alza e con un balzo d’insospettabile agilità raggiunge i dolci. Quando torna, su un piatto erano disposti ben sei tipi di dolce, alcuni sovrapposti gli uni agli altri. Quando i nostri sguardi s’incrociano, mi dice sorridendo che ha la glicemia un po’ alta, ma la tiene sotto controllo con la “pastiglia”. Mi rivela che per la pressione di “pastiglie” ne assume una al mattino e un’altra la sera. Anche per il colesterolo una pillola, e pure un diuretico per via del cuore. Ciò le consente, mi dice allegra, di fare merenda al mattino con pane e salumi. Poi, guardandomi con occhi di fanciulla, soggiunge che lei a 84 anni c’è arrivata. Che cosa le rispondi?

Durante le festività natalizie si cucina e si mangia secondo tradizione, scegliendo il meglio o il meno peggio, e almeno in quei giorni non vogliamo sentir parlare di cose angoscianti. Il Natale riguarda prima di tutto il cibo, che è piacere, condivisione, cultura, e abbiamo il diritto di voler stare intorno a una tavola ben fornita. Perciò a quella cena della settimana scorsa presi due volte il dolce e tre calici di moscato. In un mondo sull’orlo della disperazione, dove tutto annuncia disastri, anche alimentari, non ci resta che farci compagnia e mangiare ciò che ci piace.

lunedì 19 dicembre 2022

Dolori ed errori di un archeologo

 

Paolo Bricco è un giornalista del Sole 24ore, cura una rubrica dal titolo “A tavola con ...”. Di volta in volta, con la scusa d’intervistare dei personaggi più o meno noti, scrocca un abbondante pranzo. Nel giornale di ieri, oltre a raccontarci uno strepitoso bis di risotto al radicchio, dà voce a un nobiluomo che si presenta così: «Mi chiamo Carandini. In me coesistono la borghesia e l’aristocrazia».

Il nobile borghese è il notissimo archeologo Andrea Carandini, che apre il gioco con una citazione: «Ogni tanto penso a me come a Hanno, l’ultimo discendente dei Buddenbrook, la famiglia raccontata da Thomas Mann. Il destino della borghesia è di consumarsi. Non è mai esistito un ceto sociale nella storia che, a fronte di una vitalità tanto grande, abbia concepito il gene di una critica così distruttiva e abbia coltivato un odio così feroce, intimo e autoriflesso».

La vicenda di Hanno è raccontata nel capitolo diciottesimo, dal quale in origine prese avvio il lavoro che condusse al romanzo quale lo conosciamo. È la storia di un ragazzino triste e insofferente per i metodi scolastici coevi e poco attratto dal latinorum. Ultimo discendente maschio della casata dei Buddenbrook di Lubecca, il suo destino fu, come quello di suo padre, semplicemente segnato dalla sfiga, e proprio nell’epoca del trionfo della borghesia e non già della sua consunzione.

Stia tranquillo Carandini, per quanto sia preda del proprio nichilismo, la borghesia odierna ha conservato il senso degli antichi valori, soprattutto quelli monetari, azionari e immobiliari. Non è per caso che il vecchio archeologo vanti compiaciuto di abitare in un palazzo dove a suo tempo il padrone della Fiat riceveva con regalità illustri ospiti.

L’intervistato rivela quale fu il “dolore più grande” della sua vita: l’amore per una sua allieva. Evidentemente non corrisposto. Per superare la crisi amorosa e l’irrequietezza del vivere agiato, il Nostro andò in analisi da Ignacio Matte Blanco, psicanalista cileno con adeguato tariffario.

Penso sia d’interesse riportare per esteso quanto afferma Carandini: «La sua capacità di analizzare il dualismo tra conscio e inconscio e l’interazione fra il pensiero logico aristotelico, proprio della dimensione conscia, e il pensiero che lui chiama simmetrico e in cui la logica tradizionale si soglie superando le categorie classiche dello spazio e del tempo, è stata fondamentale per strutturare la mia identità, per darmi comprensione e per aiutarmi nell’accettazione della vita, con i suoi dolori e le sue felicità».

A parte questo tracciamento freudiano, il nobile intervistato non manca di rivelarci quale fu “l’errore più grande” della sua vita: l’iscrizione al PCI. Ormai non c’è quasi ex “picista” che non ripudi il proprio passato, che non gridi al mondo la propria apostasia. A convincerlo ad entrare nel PCI, racconta, fu Giorgio Napolitano. Pertanto, alla luce di tale patrocinio, si possono comprendere sia i motivi d’ordine pratico che lo convinsero di aderire al Pci, e sia quelli d’ordine psicologico della successiva abiura.

domenica 18 dicembre 2022

Dal welfare alla beneficienza

 

Il cosiddetto stato sociale (quello che fino a ieri chiamavano welfare state, locuzione sempre meno in uso, ma non è qui il caso di divagare) è costituito dai servizi pubblici (salute, scuola, ecc.), dalla cassa integrazione per i disoccupati, i salari differiti (pensioni, ma anche assegni di sostegno, ecc.), insomma tutta una serie di cose che offrono una buona rete di sicurezza, consentendo agli ideologi del sistema di presentare la società attuale come l’orizzonte insuperabile dei sistemi economici democratici.

E però stiamo arrivando progressivamente alla fine di questo modello, e la crisi (le crisi, variamente denominate) raggiungerà tutti più velocemente del previsto. Milioni di persone, pur lavorando, sempre meno hanno i mezzi per vivere dignitosamente, o comunque secondo quegli standard che consideravamo stabili (quelli dettati della pubblicità). Molte famiglie devono fare economie su ciò che consideriamo essenziale. Non facciamoci ingannare dall’affollamento dei negozi e dalle luminarie (sempre più scarse) natalizie: il crollo dei consumi alimentari conferma la tendenza merceologica generale (Massimo Mantellini presto ci ricorderà come la fetta biscottata imburrata è diventata madeleine).

Dopo aver gestito da sempre lo Stato come un business (è antico il perverso intreccio tra economia, affari e partitocrazia), permesso poi ai grandi gruppi privati di diventare i maggiori acquirenti delle imprese pubbliche strategiche, promosso la sanità e l’istruzione privata, trasformato in salvadanai tutto ciò che di pubblico frutta margini, lo Stato si è lanciato nella beneficenza (devo fare un elenco di bonus ed ecobonus?), che è sempre l’inverso della giustizia sociale. E non può nemmeno garantire che le sue elemosine, erette in politica economica e fiscale, possano comprare il consenso elettorale (sempre meno elettori) e alla lunga la pace sociale (è solo questione di tempo).

Naturalmente i chiacchieroni del liberismo duro e puro descrivono un Paese di persone assistite. È il modo di pensare prevalente tra coloro che vivono bene con redditi e risparmi costituiti da polizze vita, rendite finanziarie e immobiliari, oppure imprenditori ultrasovvenzionati da una pletora di aiuti pubblici e agevolazioni fiscali. Possiamo, al contrario, dispiacerci di vedere il welfare state trasformarsi in uno stato di beneficenza, con lo sperpero di euro a palate. Gli aiuti potrebbero essere “mirati” molto meglio, anche se insufficienti a tirare fuori dai guai chi è in affanno. Tema questo che richiederebbe un altro post (breve, per carità).

sabato 17 dicembre 2022

La caccia agli “assistiti”

 

Ci sono lavori che gli italiani non vogliono più fare. Sarà per questo che non abbiamo mandato la nazionale di calcio in Qatar.

*

Poiché essere poveri non basta, viene detto che il dovere degli “occupabili” è quello di lavorare. Un dovere che viene prima del loro diritto di campare, secondo una logica che si oppone, non so se alla Costituzione (che dice una cosa e poi lascia spazio al suo contrario), sicuramente a una situazione di fatto. L’“occupazione” non dipende dalla “motivazione” dei disoccupati. Spesso il loro problema principale è molto più semplice: offerte di lavoro inesistenti. Dunque, il dovere di lavorare si scontra con il diritto al lavoro, che non c’è, o viene offerto a condizioni di autentica schiavitù.

In una società putrefatta dove lo spreco e l’evasione fiscale sono la regola, dove dei predoni possono fare e disfare i prezzi a piacimento, dove si destinano milioni e anzi miliardi di euro per le cose più pazze, dove i canoni dei beni pubblici dati in concessione ai privati sono risibili, e nonostante decenni di avanzi primari il debito pubblico è dapprima raddoppiato e poi triplicato, politici e opinionisti comodamente sistemati nelle loro vite alimentano la caccia agli “assistiti” negando loro di disporre di mezzi di sussistenza che consentano almeno di campare.

venerdì 16 dicembre 2022

A proposito di Qatar, di salari e di tasse

 

L’aumento dei tassi d’interesse, sostengono i demiurgi delle banche centrali, è l’unico strumento che queste banche hanno per ridurre l’inflazione. Per esempio, scoraggia i mutuatari che riducono gli acquisti di auto, abitazioni e gli investimenti aziendali causa l’aumento dei tassi sui fidi bancari. Ma soprattutto taglia i consumi di salariati e pensionati. In generale comporta un calo dell’attività economica, alias recessione e aumento della disoccupazione.

Christine Lagarde, nella conferenza stampa successiva all’annuncio sui tassi, facendo riferimento all’inflazione che rimane persistente nell’area euro ha dichiarato che ciò dipende anche dalla “crescita dei salari che si sta rafforzando a tassi ben al di sopra delle medie storiche e spinge verso l’alto l’inflazione per tutto il periodo di proiezione”.

L’affermazione che i salari stiano alzando i prezzi è una palese falsificazione. In tutto il mondo gli aumenti salariali, quando hanno luogo, si tengono ben al di sotto del tasso d’inflazione, che in Europa, e in Italia in particolare, è a due cifre.

In tutte le università del mondo il ciclo prezzi-salari (il loop prezzi-salari) a riguardo dell’inflazione è insegnato come la regola. È in base di questa falsa realtà che, anche nei prossimi mesi, la Bce aggraverà la situazione economica in Europa.

I salari reali sono i salari meno l’inflazione. Questi sono anche il vero prezzo della forza- lavoro per i padroni del lavoro. Prezzo del lavoro che sta diventando sempre più una componente marginale dei costi di produzione.

La causa degli aumenti dei prezzi non sono i salari, ma la pluriennale immissione di migliaia di miliardi di euro e di dollari nel sistema finanziario, le conseguenze della guerra della NATO-Stati Uniti contro la Russia in Ucraina e il sistematico furto speculativo in particolare nei settori alimentare ed energetico, che produce effetti a cascata.

Tutto ciò passa in secondo piano, l’attenzione oggi viene convogliata sullo scandalo delle tangenti al Parlamento europeo, che, almeno per il momento, coinvolge in particolare il personale politico dell’estinta sinistra parlamentare italiana. Ci si fermerà alla superficie del fenomeno, poiché andando a fondo del sistema corruttivo, nelle sue diverse forme, andrebbe a picco tutto il sistema (*).

Proprio ieri, i vertici dei 27 Paesi membri dell’Ue hanno annunciato di aver approvato il recepimento nell’ordinamento europeo dell’imposta minima del 15% sugli utili delle multinazionali. È stata salutata come una grande vittoria per l’equità fiscale. Estendessero l’aliquota del 15% anche su salari e pensioni, cioè a chi non può eludere o evadere le imposte. Quella sì sarebbe equità fiscale!

(*) A proposito di Qatar, Macron ha dichiarato mercoledì che ha “organizzato molto bene questo Mondiale”. Tra quattro anni anche lui troverà una valigia di euro pronta per consulenze e conferenze.


mercoledì 14 dicembre 2022

La triade

 

Volendo il meglio, ci dedichiamo a giudicare il peggio.  Ci indigniamo perché mille lobby assediano i centri del potere politico, fingendo di stupirci dell’oceano di corruzione che è il mondo: traffico d’influenze pagato con mazzette, incarichi e consulenze ben remunerate in banche, istituzioni, multinazionali delle armi o presso monarchie petrolifere. Dov’è la novità di questa tragicomica?

Assumiamo l’atteggiamento di giudici e di professori di morale. Il confine che separa la morale dal moralismo è incerto. Capita, per fatica e dimenticanza, che lo attraversiamo. Come sfuggire a questo pericolo? Con l’ironia, a volte, ma al massimo siamo capaci di sarcasmo, di enfasi narcisistica e rissosa, di quella malafede che tanto piace e di cui sono pieni i social e, per contagio, anche chi crede di poterne fare a meno.

Il richiamo, secondo l’aria ideologica del momento, ai buoni propositi economici in tempi di crisi e speculazione sfrenata. Il nostro continuo inventario dei mali ambientali, sociali, etnoculturali, sanitari, politici causati dallo “sviluppo” frenetico della demenza. Le illusioni di una crescita smaterializzata ipoteticamente meno avida di materie prime, di mirabolanti e progressive innovazioni nell’industria elettronica (che è predatoria come le altre).

Finché anche queste illusioni non lasciano il posto alla rabbia impotente, all’aggressività e alla frustrazione. Sono quarant’anni che sento parlare di fusione fredda. Ogni tot anni l’annuncio che siamo a un passo per ottenerla. Tra trent’anni, ci dicono ancora. Intanto hanno fatto i titoli, gli articoli, e anche per oggi l’hanno sfangata alimentando la speranza nel dopo.

La realtà l’abbiamo sotto gli occhi: la triade saccheggio/inquinamento/distruzione. È questo il nostro modo di abitare il mondo. Non esiste un altro modello di sviluppo e di potere. Crederlo vuol dire non comprendere la natura specifica e irriducibile del capitalismo stesso.

domenica 11 dicembre 2022

A chi interessa?

 

Ieri un lettore mi ha scritto che ultimamente sono “a corto di argomenti”. Di quali argomenti dovrei trattare? Quelli che vanno per la maggiore su twitter o nei “dibattiti” televisivi?

A riguardo di un post, un altro lettore commenta: “Ma se il lavoro cessa di essere la forma di ricchezza, cosa oggi produce ricchezza??”.

Non ho scritto semplicemente che il lavoro cessa di essere il modo nel quale è prodotta la ricchezza sociale (sarebbe follia pensarlo), bensì che il lavoro “in forma immediata” sta cessando (tendenza!) di essere la grande fonte (la principale fonte!) della ricchezza.

Perfino nell’agricoltura africana il lavoro umano immediato tende a non essere più la grande fonte della ricchezza, progressivamente sostituito dalla cosiddetta information and communication technologies (ICT). Certo, ancora oggi il 65-70% della forza-lavoro in Africa sub-sahariana è impiegata nel settore agricolo, ma per l’appunto parlo di una situazione limite (l’agricoltura africana!) e di “tendenza”.

Qualche settimana fa, in un terreno agricolo non lontano da casa mia, ho potuto vedere un’enorme e complessa macchina operatrice, condotta da un solo lavoratore (ma già sono disponibili macchine totalmente autonome, già programmate e gestite da remoto), compiere in poche ore un lavoro che anche solo trent’anni fa avrebbe richiesto più macchine combinate tra loro e un relativo numero di operatori, il tutto per almeno una giornata lavorativa. Un secolo fa, per compiere lo stesso lavoro, sarebbe stato necessario impiegare manodopera molto numerosa per almeno una settimana (*).

Ecco ciò che intendo per lavoro immediato, sempre più sostituito da lavoro "morto", passato, già oggettivizzato.

In generale, non si lavora più con la pialla e la zappa, la produttività del lavoro è aumentata enormemente fino al punto, come scrivevo in quel post e in altri precedenti, che “la quota di capitale variabile tende sempre più a un ruolo residuale nel processo di valorizzazione”. Ciò avviene in tutti i settori produttivi, dall’industria all’agricoltura, nei trasporti e nell’edilizia, nel terziario in generale, eccetera.

Ecco perché è necessario chiedersi: quali conseguenze ha e sempre più avrà questo fenomeno sulle nostre vite individuali e nella società? Sul piano della domanda di forza lavoro, quindi sulla demografia, sulla sostenibilità del debito pubblico, su tutto. Siamo a un passaggio d’epoca che non ha confronti nella storia dell’umanità. A un passaggio di fase anche per il capitalismo, considerando che ciò avrà sempre più effetti dirompenti sul valore di scambio quale misura del valore d’uso.

L’intera società è stata messa a valore, nell’istante in cui accendiamo il nostro smartphone, mentre leggiamo o scriviamo un post, o stiamo ancora dormendo nel nostro letto.

Magari questi sarebbero “argomenti” di cui trattare, caro lettore di cui sopra, ma nella pigrizia intellettuale attuale (fenomeno troppo trascurato anch’esso) simili “argomenti” a chi interessano?


(*) Pensiamo solo, per rifarci a una macchina di uso domestico la cui introduzione data da quasi un secolo, alle conseguenze sul lavoro femminile e dunque sul piano sociale che ha avuto la lavatrice! 

sabato 10 dicembre 2022

Confindustria, banche, clero e monarchia nell'avvento del fascismo

 

La questione sociale e politica più decisiva in questo Paese riguarda, non da oggi, il rapporto tra i diversi ceti sociali e il fisco, ovvero tra chi paga troppe imposte e chi ne paga poche o nessuna, tra chi può evadere ed eludere il fisco e coloro che invece non possono sfuggire all’imposizione alla fonte.

La questione delle tasse e del saccheggio delle finanze pubbliche ha sempre accompagnato le vicende della storia patria italiana. Per esempio, la marcia su Roma fu poco più di una goliardata nel determinare gli eventi dell’ottobre 1922. I motivi che condussero al potere Mussolini furono decisamente legati a determinati aspetti economico-finanziari.

Scrive a tal proposito Renzo De Felice: «L’azione armata era un elemento importante del piano mussoliniano». Quanto determinante? «Non certo decisivo». Ma quante chance di successo aveva? «Militarmente il fascismo non aveva nessuna possibilità di affermarsi» [p. 348]. Né allora, né in seguito, come si vide il 25 luglio 1943, quando il Duce fu fatto salire dai carabinieri su un’ambulanza e messo sotto chiave. Non fosse stato per Hitler, che aveva ancora bisogno di quella maschera truce, la fine politica di Mussolini sarebbe stata segnata già quel giorno.

Anche i Savoia contavano i loro giorni, poi avrebbero comandato i tedeschi e quindi gli americani, questi ultimi per sempre.

L’arma più distruttiva

 

La Alexander Historical Auctions, casa d’aste del Maryland, ha venduto per 1,1 milioni di dollari l’orologio da polso appartenuto a Adolf Hitler.

L’orologio sarebbe stato donato al Führer dal partito nazista nel 1933. L’oggetto è stato poi sottratto nel maggio del 1945 da un soldato francese nella residenza di Hitler a Berchtesgaden.

Si tratta, secondo quanto riferito dalla Bbc, di un orologio in oro con una cassa reversibile e due simboli incisi, l’aquila e la svastica, e le iniziali AH. L’obiettivo dichiarato dalla casa d’aste, che si è dovuta difendere dalle proteste delle associazioni ebraiche, è quello di preservare la storia.

Stando a quanto riferito dalla rete televisiva americana ABC, l’orologio sarebbe stato acquistato da un ebreo europeo.

Pare che due volte il giorno l’orologio segni l’ora con una precisione straordinaria.

Alcuni anni fa, la stessa casa d’aste riuscì a piazzare un telefono usato da Adolf Hitler per 243.000 dollari.


Il telefono della Siemens, in bachelite nera successivamente dipinto di rosso, riporta un simbolo del partito nazista e il nome di Hitler inciso sul retro. Gli ufficiali russi occupanti diedero il telefono a un ufficiale britannico, Sir Ralph Rayner, durante una visita al bunker a Berlino.

Dapprima a Rayner fu offerto un telefono nero rinvenuto nella stanza di Eva Braun, ma l’ufficiale inglese scelse quello rosso di Hitler. In una lettera alla moglie Elizabeth, il 18 maggio 1945, Rayner scrisse del “totale orrore” cui fu testimone a Berlino, ma non menzionò il curioso souvenir di cui era venuto in possesso.

Quel telefono è stato l’arma più distruttiva di tutti i tempi, prima dell’avvento dello smartphone.

giovedì 8 dicembre 2022

L'incantesimo

 

Diciamoci la verità, la guerra in Ucraina ci ha stancato, così come ci siamo già quasi dimenticati che viviamo in una società di controllo avanzato (ma non tanto per i motivi ritenuti comunemente).

La nostra attenzione è rivolta a un gioco di verosimiglianza, ossia al palco reale alla Scala: c’era la signora von der Layen, il presidente del consiglio in un abito di velluto blu scuro (che pareva un boubou da madonna pellegrina), e ovviamente Mattarella, sempre in funzione pastorale e celebrato come un monarca. La borghesia della rendita e delle professioni cospicue applaudiva convinta. La stagione si apre con il Boris di Musorgskij, opera scelta forse per allusioni meta-temporali. Per una volta sono d’accordo con Sgarbi, ma per altri motivi: Dominique Meyer, prima se ne va e meglio è.

Mentre a Milano si sfoggiano sorrisi e fruscii, tutta l’Ucraina potrebbe precipitare in un blackout totale nelle prossime settimane, affermano gli esperti, causa gli attacchi aerei e missilistici russi contro le infrastrutture energetiche. Già il 50% del sistema energetico del paese è stato danneggiato o distrutto, senza contare l’impatto degli attacchi dallo scorso lunedì che Mosca ha ordinato in risposta agli attacchi dei droni ucraini all’interno del territorio russo.

Gran parte di Kiev, che ha già subito continui blackout da oltre un mese, così come Zaporizhzhia, Odessa, Sumy, Zhytomyr e Kryvyi Rih. Si segnalano interruzioni totali, e in molti casi anche l’interruzione dell’erogazione dell’acqua e il fermo degli impianti di trattamento dei rifiuti, perché non possono funzionare senza elettricità.

Situazione drammatica negli ospedali: i chirurghi stanno lavorando con l’ausilio di torce elettriche e lampade frontali. Difficoltà gravi anche per mantenere in funzione le macchine e attrezzature per i raggi, la respirazione, gli ultrasuoni e per la dialisi. I vaccini vanno a male nei frigoriferi spenti. Gli operatori sanitari non sono pagati da mesi.

Nonostante la guerra, il governo ucraino ha rifiutato di sospendere le misure di tagli alla spesa sanitaria decise nel 2018 come parte di una serie di accordi UE, FMI e Banca mondiale. Secondo le nuove politiche, gli ospedali sono finanziati in proporzione al numero di pazienti che curano, indipendentemente dalle spese associate al mantenimento delle porte aperte. L’impatto già prima della guerra fu la diffusa chiusura delle strutture mediche, in particolare quelle al di fuori dei grandi centri abitati.

La scorsa settimana, gli Stati Uniti hanno annunciato che invieranno all’Ucraina solo 53 milioni di dollari in ulteriori aiuti legati all’energia, portando la spesa totale per il sostegno di infrastrutture e forniture energetiche a circa 106 milioni di dollari. Al contrario, Washington, per cui gli ucraini combattono contro la Russia, ha stanziato 24,2 miliardi di dollari di altri tipi di aiuti, inclusi 19,5 miliardi di dollari in armi e attrezzature.

Gli Stati Uniti e l’UE hanno impegnato rispettivamente circa 15,9 e 31,8 miliardi di dollari in aiuti finanziari, la maggior parte deve ancora essere erogata. Somme importanti stanno arrivando sotto forma di prestiti, non di sovvenzioni, con vari vincoli che richiedono all’Ucraina di attuare “riforma” a favore del mercato, vale a dire privatizzazioni, tagli alla spesa, eccetera.

Posto che tutto ciò che è stato detto su Putin sia vero, resta il fatto che in tutti questi anni il popolo ucraino è stato turlupinato da una cricca di mascalzoni e criminali fascisti fatti passare dalla propaganda occidentale per patrioti ed eroi. Non sarà facile spezzare l’incantesimo.