martedì 23 novembre 2021

Il coefficiente cinese


Il coefficiente di Gini, introdotto dallo statistico Corrado Gini, è una misura della diseguaglianza di una distribuzione. Per quanto riguarda la disuguaglianza sociale va da 0, che rappresenta l’uguaglianza assoluta, tutte le persone hanno esattamente lo stesso reddito, a 1, che rappresenta la disuguaglianza assoluta, vale a dire che una persona ha tutto il reddito e tutti gli altri hanno un reddito nullo.

Il coefficiente Gini ufficiale della Cina, è aumentato notevolmente dall’apertura al mercato di Deng nel 1978, da circa 0,31 a 0,4 nel 1997, a un massimo di 0,49 nel 2008, prima di scendere leggermente a 0,47 nel 2020. Qualsiasi cifra superiore a 0,4 è considerata dalle Nazioni Unite come indicativa di forte disuguaglianza.

Secondo la Banca Mondiale, nel 1978, il 10% dei redditi più alti in Cina e il 50% dei più bassi rappresentavano ciascuno circa un quarto del reddito totale del paese. La povertà era spalmata equamente. Nel 2018, il 10% dei più ricchi aveva più del 40% del reddito totale, mentre la metà più bassa della popolazione riceveva meno del 15%.

In termini di ricchezza patrimoniale piuttosto che di reddito, l’1% più ricco dei cinesi possedeva quasi il 31% della ricchezza della Cina nel 2020, rispetto a circa il 21% nel 2000. Negli Stati Uniti, ad esempio, la quota di ricchezza dell’1% più ricco ha raggiunto il 35% nel 2020. Secondo l’elenco Hurun Global Rich, il numero di miliardari in dollari in Cina era l’anno scorso di 1.058, negli Stati Uniti 696. Tenuto conto della popolazione, le situazioni sono simili, con la differenza non trascurabile che in Cina, superata generalmente la povertà assoluta, centinaia di milioni di contadini e di operai urbanizzati vivono in condizioni di povertà.

La Cina ha tracciato la soglia della povertà assoluta a 2,30 dollari il giorno al netto dell’inflazione e afferma di aver elevato il reddito di 100 milioni di residenti rurali sopra tale livello da quando Xi è entrato in carica nel 2012. La Banca mondiale, tuttavia, fissa una soglia di povertà più elevata, a 5,50 il giorno per i paesi a reddito medio-alto come la Cina. Su questa base un quarto della popolazione cinese risulta in povertà.

Secondo dati recenti è netto il divario tra le aree urbane e rurali dove risiede circa il 40% della popolazione cinese. Nel 1997, i redditi delle famiglie urbane erano in media dell’83% superiori a quelli delle famiglie rurali. Questo era salito al 167% nel 2009, in calo al 132% nel 2019, ma sempre più del doppio della media rurale.

Un articolo della rivista americana Foreign Affairs all’inizio di quest’anno rilevava che una persona urbanizzata in Cina è mediamente ricca quanto una persona media in Ungheria, mentre una persona in ambito rurale è mediamente povera quanto la persona media in Vietnam.

Il divario rurale-urbano si evince anche nelle città e nei principali centri di produzione, dove quasi 300 milioni di lavoratori migranti interni dalla Cina rurale costituiscono un’ampia percentuale della classe operaia. Non solo generalmente percepiscono salari più bassi, ma vivono in condizioni peggiori e subiscono discriminazioni. La stragrande maggioranza non ha un hukou urbano, ossia un documento di residenza ufficiale che fornisce pieno accesso ai servizi pubblici locali come scuole e ospedali. È un sistema progettato per fornire manodopera a basso costo e facilmente sfruttabile dall’industria e dai servizi negli enormi centri di produzione nelle aree costiere orientali della Cina.

Detto questo, bisogna riconoscere che il miglioramento del tenore di vita medio in Cina negli ultimi cinquant’anni, ossia da prima del nuovo corso denghiano, è stato a dir poco straordinario, tenuto conto che, nello stesso arco temporale, la popolazione è aumentata di quasi il doppio. Il tasso di mortalità infantile è crollato dall’8 per cento del 1970 al 5 per cento del 1980 e ora è sotto l’1. La speranza di vita, già in forte ascesa in epoca maoista, è ora oltre i settant’anni, mentre il prodotto interno lordo procapite ha cominciato la sua decisa ascesa solo dal 1990, eguagliando quello della Russia e surclassando quello dell’India (2019).

Ciò è stato possibile dall’apertura ai capitali esteri, dallo svincolo dalla rigida politica economica e finanziaria precedente, pur continuando il regime a dettare le coordinate generali dello sviluppo. Trascorsa questa fase, che possiamo considerare come quella della “accumulazione originaria” del capitalismo classico, e per prevenire la protesta sociale per le forti disuguaglianze di classe, la dirigenza cinese punta ad allargare e sostenere maggiormente il welfare, anche in considerazione del bisogno di consenso e stabilità interna per far fronte alla minaccia statunitense e l’incombente conflitto militare.

Pur considerando il grande compito storico assolto dalla rivoluzione cinese, non ci sono motivi per rimpiangere la Cina maoista, così come non ce n’era alcuno per rimpiangere la Cina di prima ancora. Verrà un giorno in cui la maggioranza dei cinesi non rimpiangerà la Cina attuale? 

3 commenti:

  1. Difficile che venga quel giorno. Diseguaglianze o no, questo è mediamente il miglior periodo della storia per la popolazione cinese nel suo complesso. E si tratta di una situazione che difficilmente durerà a lungo, essendo maturata quando si è realizzato appieno il vantaggio competitivo nazionale, costituito dalla manodopera a basso costo ma anche skillata, come si suol dire con brutto inglesismo. Se confrontiamo il lavoratore cinese con quello di paesi dove il costo del lavoro è ugualmente basso, ci accorgiamo che la produttività è molto superiore. Vale per l'India, come per tutta l'Africa. Si può aggiungere che pure il costo della vita è sorprendentemente basso, come dimostrano i dati sui limiti della povertà che tu mostri qui sopra. E, su tutto, c'è un fatto culturale molto semplice: il popolo cinese è disposto a lavorare sodo, e non gliene frega niente dei diritti sindacali, né dei diritti in senso lato. In questo senso, è assai probabile che quell'1% di ricchissimi non gli dia alcun fastidio, e che, complessivamente, la grande maggioranza ritenga di vivere un periodo storico molto soddisfacente. Il che ci riporta alla mia considerazione iniziale, sul fatto che questo periodo non durerà a lungo. Infatti, l'avanzare della tecnologia prosciugherà fatalmente il vantaggio competitivo basato sulla produttività delle risorse umane. L'automazione aziendale metterà fuori mercato non solo i pretenziosi lavoratori italiani, ma anche i volonterosi cinesi. Sarà un generale bagno di sangue, le cui conseguenze non riesco a immaginare.

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    1. Tutto ben detto.
      Sarà un bagno di sangue, e lo vedremo presto qui da noi, anzi siamo già ai primi schizzi.

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  2. La tua descrizione della povertà è la migliore che abbia letto. Decisamente superiore a quella di un gesuita biancovestito che la settimana scorsa ha sproloquiato su una "giornata mondiale della povertà". Pensare che c'è chi disse:va', vendi tutto ciò che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo.

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