martedì 17 agosto 2021

La sindrome del Vietnam

 

Ancora una volta l’imperialismo ha mostrato il suo vero volto. Si tratti di quello sovietico o statunitense, e ancor prima di quello inglese o francese. Se non altro i russi avevano il pretesto che l’Afghanistan si trova sull’uscio di casa loro.

Il crollo del regime fantoccio degli Stati Uniti in Afghanistan è un’umiliante debacle per l’imperialismo americano, sulla falsariga di quanto avvenuto in Vietnam nel 1975. Sotto il profilo emotivo e mediatico forse non avrà lo stesso duraturo impatto, ma sul piano strategico e nelle implicazioni e conseguenze politiche la fuga precipitosa dall’Afghanistan avrà conseguenze ancora più significative di quella da Saigon (dove peraltro nell’evacuazione avevano il supporto della marina militare).

Oggi il presidente Biden sostiene che gli USA stavano in Afghanistan per combattere il terrorismo. Dimentica che i gruppi ribelli che combattevano l’occupazione sovietica furono finanziati con miliardi di dollari dagli Stati Uniti e dall’Arabia Saudita tramite l’Inter-Services Intelligence pakistano.

La vittoria degli Stati Uniti e dei suoi alleati nella prima guerra contro l’Iraq nel 1991, fu interpretata come la dimostrazione che “la forza funziona”. Il presidente George W. Bush dichiarò che l’imperialismo americano aveva “superato la sindrome del Vietnam una volta per tutte”.

Qual era lo scopo principale della guerra afghana? Il crollo dell’Unione Sovietica aveva creato un vuoto politico in Asia centrale. Instaurando un regime cliente e spostando vaste forze militari nella regione, gli Stati Uniti miravano a stabilire un nuovo quadro politico all’interno del quale esercitare un controllo egemonico.

Gli Stati Uniti godono d’un “vantaggio competitivo” nell’industria degli armamenti. Tuttavia né questo vantaggio né i prodotti di questa industria possono garantire il dominio mondiale. La sconfitta in Afghanistan, per mano di un movimento islamista armato solo di armi leggere in uno dei paesi più poveri e dilaniati dalla guerra, è una metafora della strategia americana, come lo fu il Vietnam mezzo secolo fa.

Nonostante la sofisticatezza delle sue armi, la quota statunitense nella produzione mondiale è diminuita drasticamente. Il suo deficit commerciale internazionale aumenta di miliardi di dollari ogni mese, ed è coperto stampando elettronicamente trilioni di dollari di capitale fittizio. La concezione che sta alla base del culto che la superiorità tecnologica delle proprie armi possa compensare questi indici economici fondamentali è un’illusione pericolosa.

Alla fine di giugno, le agenzie d’intelligence avevano stimato che se anche i talebani avessero guadagnato il potere in ampie zone dell’Afghanistan, ci sarebbe voluto almeno un anno e mezzo prima che Kabul fosse minacciata. Ora si è sbalorditi dal rapido collasso dell’esercito afghano. I diplomatici statunitensi hanno dovuto ammettere che Washington non controlla più nemmeno l’aeroporto di Kabul.

Se i circoli dirigenti americani erano impreparati all’improvviso crollo del regime che sostenevano con costi enormi, ciò è dipeso in larga misura dal fatto che hanno preso per buona la loro stessa propaganda. Nel corso di due decenni, nessun grande giornale, rete televisiva o media mainstream ha esaminato questa guerra di occupazione neocoloniale con un minimo di onestà.

A differenza del Vietnam, la classe dirigente americana non può incolpare della debacle in Afghanistan un movimento contro la guerra, e non si ritirerà dai suoi sforzi per controllare il mondo attraverso la forza militare, da cui dipende la sua ricchezza.


7 commenti:

  1. Grazie, bell'articolo.
    Aggiungo che l'opinione pubblica credette, e crede ancora, che si possa combattere e vincere una "guerra al terrorismo" (dichiarata da G.W. Bush vent'anni fa) vale a dire una guerra ad una tecnica di combattimento, non disdegnata talvolta dagli stessi Stati.
    Sul deficit commerciale osservo che questo è strutturale all'Impero americano, è la ragione del vassallaggio di Stati come la Germania ed il Giappone e persino dell'Italia; il mercantilismo trumpiano voleva fare degli USA uno Stato come gli altri, pacifico ed economicamente sano, ma per una società fondata sull'ambizione, il consumismo e la volontà di potenza il rinchiudersi puritanamente in casa per risparmiare sui nichelini, ovvero l'isolazionismo, è una bestemmia. Gli uomini non vivono di solo pane e le comunità non si reggono solo sui bilanci economici, purtroppo. Alla lunga ciò porta alla catastrofe, è indiscutibile, ma, come sappiamo, nel lungo periodo saremo tutti morti comunque.
    La questione è che gli USA vivono una fase di stanchezza imperiale e sono portati a moltiplicare le aree di crisi per impegnare gli avversari ai confini dell'impero. Quindi ci sarà più caos, maggior impegno degli Stati vassalli (è almeno un lustro che la NATO esige dai suoi aderenti il raggiungimento del 2% del PIL nelle spese militari -gli USA sono al 5%, mi pare) e continue provocazioni agli avversari globali (RPC e Russia, la prima con un crescente nazionalismo e la seconda una tigre di carta che ama ricoprire questo ruolo, per semplice millanteria).
    (Peppe)

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    1. Quella russa non è solo millanteria, resta pur sempre la seconda potenza nucleare del pianeta, con una forza subacquea che la Cina può solo sognare. Strategicamente è presente in Europa e in estremo oriente, tecnologicamente è ben posizionata con un parterre scientifico di tutto rispetto, anche se nella faccenda dei vaccini non si è dimostrata all'altezza.

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    2. L'Urss era ancora -e soltanto- un colosso militare il mattino del 26 dicembre 1991; all'ora di cena al Cremlino non si sapeva più cosa farne delle testate atomiche. La Russia è stata attraversata da forte malcontento per l'impegno in Siria, una piccola guerra tutto sommato, ma ne abbiamo saputo poco perché le manifestazioni pubbliche sono vietate: Putin non voleva vedere in giro altre organizzazioni come quelle delle madri dei soldati delle guerre cecene.
      Di contro, negli Usa il malcontento è sull'abbandono dell'Afghanistan (del tipo "Four more years!"), sugli errori nella guerra più che sulla guerra in sé. Ciò, a mio parere, è segno che gli Americani non hanno ancora deposto i loro vessilli, anche se nessun cittadino americano parlerà mai di missione imperiale (si tira sempre in ballo la lotta al terrorismo, i diritti umani, l'esportazione della democrazia e slogan affini).
      La corsa ai vaccini è stata come quella per la conquista dello spazio: l'hanno vinta gli Usa e l'Occidente, sono così l'avanguardia tecnologica e possono continuare ad imporre i loro fondamentali culturali (liberalismo, cultura anglosassone, moneta, stile di vita, ecc.).
      Parafrasando Mark Twain, la notizia della morte dell'impero americano anche questa volta è grandemente esagerata.
      (Peppe)

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  2. Penso si stia esagerando con commenti e articoli, datosi che: con i talebani è stato sottoscritto un accordo il 29 febbraio 2020. Il Governo e tutte le forze politiche italiane erano al corrente. Erano al corrente anche i soliti manipolatori.

    https://www.repubblica.it/esteri/2020/02/29/news/afghanistan_passi_verso_la_pace-249865362/?fbclid=IwAR0XfKXgnjcUwhksLWavwPhLU6f29iBdfxEuPU-43iNIIOJtUsc-bb3aAHc

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    1. uhmmm.eh si. e la incredibile cavalcata fino a kabul sa tanto di telefonato......

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  3. Sprechi e corruzione: “L’esercito fantasma costava 750 milioni”

    Secondo il think tank “Rosa&Roubini” gli Usa pagavano per effettivi inesistenti: solo un terzo dei militari dichiarati era realmente in servizio. E le armi finivano ai talebani

    https://www.repubblica.it/economia/2021/08/17/news/sprechi_e_corruzione_l_esercito_fantasma_costava_750_milioni_-314382418/?ref=RHTP-BH-I314257717-P2-S4-T1

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    1. Sviluppo e validazione di strumenti d'arma ha il suo costo.
      Validazione su campo in vero scenario poi costa ancora di piu'...

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