martedì 3 agosto 2021

La psicoanalista col fazzoletto in bocca

 

Sir Cyril Lodowic Burt (1883-1971), autorevole psicologo inglese, nella prima decade del Novecento dimostrò, in alcuni suoi articoli e con suffragio di test sui gemelli, l’ereditarietà dell’intelligenza, “sebbene fattori sociali e ambientali potessero svolgere un ruolo secondario nello sviluppo intellettuale” (Enciclopedia britannica).

Sostenne che “i livelli d’intelligenza potevano essere correlati con i livelli occupazionali” dei genitori e che i bambini delle classi superiori delle scuole preparatorie private avevano risultati migliori nei test rispetto a quelli delle normali scuole elementari, e che la differenza era innata.

La tesi di Burt, cara a molti, può essere così sintetizzata: si è poveri, in genere, perché si è poco intelligenti. E poiché l’intelligenza è un carattere ereditario, si è poveri anzitutto per cause genetiche. Pertanto le capacità cognitive dei bambini, mediamente, sono direttamente proporzionali allo spessore del portafoglio di mamma e papà. La variante corrente di questa tesi classista, più antica e pervicace di Burt, porta il nome di “meritocrazia”.

Un rapporto tra povertà e capacità cognitive esiste ed è provato, ma è un rapporto legato all’ambiente sociale e non semplicemente ai geni. Non è la scarsa dotazione d’intelletto causa di povertà, ma è questa che limita il pieno sviluppo dell’intelligenza. Tuttavia aumentando semplicemente il reddito non aumentano ipso facto anche le capacità cognitive dei bambini. L’ambiente familiare e sociale nella sua totalità, nell’offrire determinati stimoli, indirizzi educativi e nel proporre opportunità, assume un ruolo decisivo nella formazione dell’individuo e nel favorire lo sviluppo delle sue attitudini e capacità.

Burt fu “molto coinvolto nell’avvio dell’orientamento infantile in Gran Bretagna”. Tra l’altro fece parte della British Psychoanalytical Society. Solo dopo la sua morte emersero prove che indicavano che aveva alterato e falsificato i dati di ricerca, inventando correlazioni in gemelli separati che non esistevano.

A sua volta Burt aveva scoperto l’inganno del quale si era resa protagonista Hermine Hug-Hellmuth, una pioniera della psicoanalisi infantile, membro della Società psicoanalitica viennese, ammirata e protetta da Sigmund Freud.

Donna di oltre quarant’anni, Hermine stava curando nel 1915 un libro che sarà pubblicato nel 1919 sotto lo pseudonimo di Grete Lainer con il titolo: Diario di una giovinetta. Freud le scrisse:

«Il diario è un piccolo gioiello. Davvero, io credo, sinora nessuno è mai riuscito a penetrare con una simile chiarezza e veridicità negli impulsi psichici che caratterizzano lo sviluppo di una fanciulla del nostro livello sociale e culturale negli anni della pubertà [...]. Penso che Lei abbia il dovere di pubblicare il diario. I miei lettori Gliene saranno grati.»

Hug-Hellmuth aveva scritto di suo pugno quel diario, attribuendolo a una ragazzina che s’immaginava alle prime scoperte del suo corpo e del resto.

Wikipedia scrive: “È uno dei contributi più citati alla psicoanalisi infantile, ha influenzato importanti psicoanalisti come Anna Freud, Melanie Klein, Jean Berges e Gabriel Balbo”.

Nessuno sottolineò mai che si trattava di una storia totalmente inventata. Scoperta la frode, il Diario fu inizialmente ritirato dalle librerie, ma il seguito fu ristampato e tradotto in varie lingue (A Young Girl’s Diary è del 1921).

Il vero oggetto del racconto di questa psicanalista fu in realtà un suo nipote, Rudolf (detto Rolf) Otto Hug, figlio illegittimo della sorellastra Antonia. Dopo varie traversie e affidamenti, Hermine prese Rudolf, di nove anni, sotto le sue cure e lo sottopose a “continue sedute di analisi”, facendolo diventare il soggetto della sua ricerca. Pubblicò nel 1913 Aus Dem Seelenleben des Kindes (Sulla vita spirituale dei bambini). Nel libro riferì che le azioni di Rolf erano basate su motivazioni e tendenze sessuali anormali.

Nel 1924, la zia sorprese Rolf che le stava rubando del denaro. Dapprima Rolf cercò di soffocarla con un cuscino e poi la strangolò, “e per essere sicuro che la zia non parlasse più ... le mise un fazzoletto in bocca”, scrive lo storico della psicologia Luciano Mecacci. Rolf passò alcuni anni in prigione ma, una volta uscito, chiese a Paul Federn, presidente della Società di psicoanalitica viennese, un risarcimento danni sostenendo che il suo comportamento criminale era la conseguenza delle pratiche terapeutiche della psicoanalisi.

Come poteva finire questa storia? Scrive Mecacci: «Chi nasce “caso” è condannato a restare tale: deve continuare a recitare la sua parte. Così la richiesta di denaro di Rolf fu interpretata – psicoanaliticamente – come la domanda di una nuova terapia e – prontamente – gli fu consigliato d’intraprendere una nuova analisi con Helene Deutch». Da qui in poi la tragedia di Rolf e Helen prende una piega comica.

4 commenti:

  1. Hai correttamente colto la fallacia logica, nella sua forma più perniciosa, ossia l'inversione di causa e effetto: "Non è la scarsa dotazione d’intelletto causa di povertà, ma è questa che limita il pieno sviluppo dell’intelligenza". Tuttavia, il legame operativo tra le due entità (povertà e intelligenza) passa per la scuola, come si accenna all'inizio del post. E qui occorre dire che noi italiani abbiamo fruito di una situazione privilegiata fino a qualche decennio fa: una scuola pubblica d'eccellenza. Mentre nel resto d'Europa, e forse del mondo, le scuole costose davano quella cultura che serve a non essere poveri, qui da noi nelle screditate scuole private ci andavano i rampolli svogliati delle famiglie ricche.
    Se tutto questo non è più vero, occorre fare un esame di coscienza, e convenire che quella scuola pubblica è stata costruita nei primi decenni dell'unità d'Italia, ed è stata distrutta quando la scuola è diventata il rimedio alla disoccupazione degli insegnanti, anziché il luogo della elevazione culturale degli studenti. E' anche per questo che io non sono d'accordo con il concetto di meritocrazia di Burt, ma, temo, neanche con il tuo disprezzo per il concetto stesso.

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    1. Viviamo in una società di spettri. La famiglia, la scuola, gli ambienti di lavoro, perfino gli amici, l'insieme dei rapporti sociali, tutto vi è coinvolto in questa crisi epocale.

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  2. Ho sottomano alcuni testi di Mecacci ma non trovo la citazione ch'ella mette tra virgolette. Potrebbe precisarla. Grazie e a buon rendere.
    Il suo CdB!

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    1. Il caso Marylin M. e altri disastri della psicoanalisi, Economica Laterza, 2002, p. 109

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