domenica 15 agosto 2021

Finché dura la fiducia

 

La data del 15 agosto 1971 segnò un cambio d’epoca: furono posti in mora gli accordi internazionali di Bretton Woods, vale a dire che finirono i cambi fissi tra le monete e la stabilità monetaria.

Gli accordi del 1944 avevano sancito la sostanziale continuazione del precedente sistema internazionale di cambi e pagamenti valutari denominato gold exchange standard, innovato con la creazione del Fondo monetario internazionale e, aspetto ancor più significativo, con la consacrazione del dollaro quale mediatore unico tra le valute nazionali e l’oro (35 dollari per un’oncia).

Il ferragosto di cinquant’anni fa il presidente Nixon annunciava la sospensione temporanea (in realtà definitiva), della convertibilità del dollaro in oro. Fino a quel giorno, per dirla in termini spicci, chiunque possedesse almeno 35 dollari poteva bussare a Fort Knox per farsi dare in cambio l’equivalente in oro.

Perché quell’annuncio? Con l’elezione della moneta statunitense a mediatore internazionale degli scambi, gli USA trassero indubbi vantaggi: potevano stampare moneta a costi irrisori e invece gli altri paesi dovevano acquistarla con equivalenti reali. Ciò consentì agli USA, tra l’altro, di finanziare il Piano Marshall (dando fiato soprattutto alle loro esportazioni agroalimentari sempre in grande affanno), mettere in campo un robusto e largo welfare, vincere la corsa agli armamenti strategici e la gara spaziale con l’Urss, far fronte alle pazzesche spese per la guerra in Vietnam, e tutto ciò con una bilancia dei pagamenti negativa e un debito pubblico in forte crescita.

Ciò provocava disagi (eufemismo) a livello internazionale e inflazione al 6 per cento negli USA. Il rischio, neanche tanto aleatorio, fu quello che i dubbi sulla sostenibilità del dollaro si trasformassero in una corsa a cambiare i biglietti verdi contro oro, quello custodito nei forzieri dell’United States Bullion Depository. L’annuncio di Nixon costituiva una manovra di difesa preventiva contro una siffatta eventualità, e dava al Federal Reserve System la possibilità di stampare dollari senza preoccupazione per le proprie riserve auree.

Dopo l’annuncio di Nixon, il dollaro perse oltre il 7 per cento del proprio valore con l’oro, passando da 35 a 38 dollari per oncia. In meno di un decennio il prezzo dell’oro decuplicò, quello del barile di greggio salì alle stelle, l’inflazione s’accompagnò alla stagnazione, divenne possibile per le banche centrali stampare moneta senza farsi troppi scrupoli, ebbe via libera l’orgia finanziaria e il massiccio indebitamento pubblico. Oggi, mezzo secolo dopo, per un’oncia d’oro ci vogliono quasi 1.800 dollari (circa 62 dollari al grammo).

Sia chiaro, a causa di quell’annuncio il dollaro non perse la sua posizione dominante negli scambi e come moneta di riserva internazionale. Non a caso Reagan scrisse nelle sue memorie: «Il grandioso successo dinamico del capitalismo ci ha fornito una potente arma nella battaglia contro il comunismo: il denaro. I russi non potrebbero mai vincere la corsa agli armamenti, mentre noi possiamo sperperare all’infinito».

Tuttavia anche il presunto infinito monetario ha un suo limite, soprattutto se i debiti statali fanno leva sulla “fiducia” degli investitori. Reagan ne era consapevole: «In un certo senso Karl Marx aveva ragione. Siamo testimoni di una grande crisi rivoluzionaria, una crisi in cui le istanze dell’ordine economico cozzano contro quelle dell’ordine politico (Discorso alla Camera dei Comuni inglese tenuto in occasione della sua visita dell’8 giugno 1982).»

Oggi i rapporti finanziari internazionali non avvengono più sulla base dell’oro reale, si regolano per esempio sul cosiddetto “oro di carta”, un paniere di cinque monete, un particolare tipo di valuta virtuale, di conto, per il 40 per cento espressa in dollari, un 30 per cento in euro e il resto in sterline, yen e da ultimo anche in renminbi.

Il ritorno al vecchio sistema di rifermento aureo è impensabile per il semplice motivo che il bluff attuale verrebbe allo scoperto con effetti catastrofici immediati. Il sistema reggerà finché durerà la “fiducia”. Dopo di che si griderà al “si salvi chi può”, e non è escluso ritornino in auge vecchie canzoni.

P.S. : il debito sovrano è incrementato di più di un sesto (17,4%) nel 2020, salendo di 9.300 miliardi di dollari, per un totale record di 62.500 miliardi di dollari, superando il PIL mondiale. L’incremento è stato equivalente a un settimo (14,8%) del PIL globale. Ciò è favorito da tassi vicini ai minimi storici, dovuti in parte all’enorme quantità di liquidità in circolazione. Il debito pubblico italiano ammonta a 3.196 miliardi di dollari ed è più che raddoppiato negli ultimi 25 anni.

6 commenti:

  1. Nel tuo post, peraltro pregevole, si lascia implicito l'episodio monetario dell'eurodollaro. Negli anni sessanta si ebbe, su larga scala, il fenomeno dei dollari che non rientravano per essere cambiati, ma rimanevano fluttuanti all'estero (tipicamente, in Europa). In questo modo, il deficit americano ebbe respiro (fino, appunto, al 1971) e molti accusarono gli USA di "esportare inflazione".
    Tutti i regimi, compreso quello di Bretton Woods, hanno una decadenza, caratterizzata da fenomeni anomali.
    Rimane il fatto che il sistema di Bretton Woods era splendidamente concepito. Uno dei pochissimi casi nei quali una politica monetaria funziona davvero.

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    1. Non perderti, in seconda pagina del Domenicale, la recensione di Mauro Campus al libro di Tobias Straumann

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  2. Ci sono politiche monetarie che funzionano meglio di altre, ma non esistono politiche monetarie in grado di risolvere alla radice la contraddizione che sta a fondamento del modo di produzione capitalistico e dunque in grado di evitare le crisi e in ogni modo di portare fuori dalla sua crisi storica il capitalismo.

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    1. Ferragosto: non mi pare sia il caso di disputare su monetarismo & dintorni. Dico solo che, dovendosi gestire i regolamenti fra stati, il sistema di BW era molto buono, finché è potuto durare (25 anni). Mica voleva risolvere alla radice le contraddizioni. Se proprio vuoi inserirci una critica morale, prova a immaginare una spartizione di bottino fra gangster: il bottino è di origine poco etica, ma sempre meglio una spartizione amichevole di una a pistolettate.

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  3. Gli USA, o meglio il sistema oligarchico che li regge ha una natura imperiale per ciò le istanze economiche risultano spesso subordinate a quelle politiche (così va interpreta, a mio parere, la citazione di Reagan da lei riportata).
    Moneta, sistema produttivo, forze armate, apparati pubblici e privati sono tutti adoperati in funzione della grandezza, anche ideale, di quel sistema sociale che riesce a riversare le proprie difficoltà sui Paesi asserviti senza danno: difatti malgrado le periodiche crisi, a parte "le estreme" nessuno oggi paventa la caduta del capitalismo finanziario, quasi nessuno poi immagina che ciò sia possibile (come affermò S. Zizek, è più accettabile una catastrofe ambientale globale che la fine del capitalismo).
    La lettura economicista mi risulta un po' limitata, per l'appunto unidimensionale.
    (Peppe)

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  4. tu dici :'''Tuttavia anche il presunto infinito monetario ha un suo limite'''
    ...finche i polli ci crederanno ancora. che poi in qual cosa bisogna pur credere .
    ps ho quasi finito di leggere il popolo dell'abisso: grazie dei consigli di lettura

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