sabato 31 luglio 2021

Il Verbo

 

Sì, è lui, sempre lui, quello col ditino alzato che ogni giorno dice al mondo ciò che è giusto e ciò che invece, ahinoi, è sbagliato. Le opinioni che si discostano dalle sue sono proibite, non già dall’inizio di questa psicosi, ma da prima. Non crediamo più al reale, viviamo nella finzione, perciò non ci resta che seguire ossequienti le sue istruzioni alla lettera. Altrimenti saremo fregati per chi sa quanto, probabilmente per l’eternità.

Non roviniamo la nostra possibilità di esserci imbattuti in un messia così intelligente che facciamo fatica a capirlo. Per esempio: la liberalizzazione dei brevetti per il vaccino anti- covid non è la soluzione, poiché manca e continuerà a mancare capacità produttiva e capitale umano.

Russia e Cina riescono a mandare tonnellate di ferraglia verso Marte e i bastioni di Orione? Però mancano di capacità produttiva e capitale umano per replicare il vaccino su libera licenza. Poveri deficienti che siamo, dovremmo vergognarci di fargli perdere tempo per spiegarci queste ovvietà.

E così l’India, la Francia, l’Italia, che pur rifornendo il mondo intero di medicinali, mancano di capacità produttiva e capitale umano per produrre un simile farmaco. Ci vuole il pentolone giusto per miscelare, e qualcuno che sappia usare il mestolo d’oro massiccio. Facciamocene una ragione, suvvia.

Tra alcuni anni, sempre sotto il segno del virus, alla variante Ω, ci ripeterà che continua a mancare capacità produttiva e capitale umano per produrre su libera licenza il vaccino.

Siamo fortunati che un giorno i pianeti si siano incontrati per inviarci il nuovo prescelto. Non lo meritiamo. Lui, che resta umile, nonostante la sua evidente superiorità intellettuale, ci dice con modestia che ci sbagliamo, ma che non è colpa nostra, siamo solo degli sciocchi.

venerdì 30 luglio 2021

Se bastasse il "senso civico"

 

Un amico mi ha spedito l’Introduzione di Scienza, quindi democrazia di Gilberto Corbellini, Einaudi 2011. Alcuni stralci:

Di «scienza e democrazia», di «democratizzazione della scienza» o di «scienza per la democrazia» si parla molto oggi. Eppure, vale più che mai quello che più di vent’anni fa scriveva Robert Dahl, cioè che un «termine che significa qualsiasi cosa non significa niente. Ed e diventato così con la parola “democrazia”». Un titolo più didascalico ed esplicativo avrebbe potuto essere «scienza e senso civico». Senso civico è espressione meno impegnativa sul piano filosofico, ma allo stesso tempo fa riferimento a qualita! individuali e a valori sociali, empiricamente valutabili e psicologicamente apprezzabili, che migliorano le pratiche di cittadinanza: definisce la diffusione in una società della capacità individuale di discutere criticamente e far proprie consapevolmente le regole più utili per migliorare la convivenza democratica. La cultura civica democratica implica la tolleranza per le opinioni altrui, la convinzione che solo una divisione bilanciata dei poteri può garantire le libertà personali e il rispetto della legge, l’aspettativa di partecipare a competizioni elettorali libere ed eque per scegliere tra leader politici affidabili e competenti, e una refrattarietà acquisita per le opzioni politiche che promettono cambiamenti e miglioramenti radicali della società.

Ebbene, stante quello che sappiamo su chi siamo, da dove veniamo e cosa possiamo fare, come si può negare un senso a domande quali: perché è così difficile far funzionare in modo efficiente una democrazia? Quale può essere stato il catalizzatore che ha messo in moto i processi economici, sociali e culturali da cui sono scaturiti, negli ultimi due secoli, livelli di maggior benessere, libertà ed eguaglianza che solo le liberaldemocrazie hanno conosciuto? È possibile che a svolgere una funzione attiva di catalizzatore sia stata la scienza? E, nel caso, in che modo potrebbe aver agito?

Quante belle parole sanno cavar fuori gli apologeti del sistema sociale borghese.

lunedì 26 luglio 2021

Il nemico alle porte

 

Il cosiddetto terrore dell’Anno Mille è un tema controverso tra gli storici. Viceversa, il terrore degli anni Duemila è faccenda evidente e certezza scientificamente fondata. Assistiamo alla fine del vecchio processo storico, così come a suo tempo avvenne per la transizione dal mondo antico a quella che chiamiamo età di mezzo, e da questa all’età moderna: una diacronia storica fittamente punteggiata da guerre e sciagure di ogni genere.

Questa schematizzazione, pur necessaria ai fini della sintesi, ci dice che non sta accadendo nulla di fondamentalmente nuovo ai nostri giorni, salvo, e non mi pare di poco conto, l’inedita dimensione e accelerazione dell’impatto antropico sull’intero pianeta, per tacere della minaccia nucleare e altre cose simili. Insomma un orgasmo della storia.

domenica 25 luglio 2021

Mario Capanna e il parlamento mondiale

 

Sul Domenicale di oggi leggo una recensione all’ultimo saggio di Mario Capanna contenuto in un volume dal titolo: Parlamento mondiale. Perché l’umanità sopravviva. La recensione è a firma di Armando Torno, che a causa della sua posizione di classe non sa porre obiezioni solide alla tesi sostenuta dal recensito nel suo scritto.

Capanna propone la costituzione di un parlamento mondiale basato sul principio che “ciò che riguarda tutti deve essere deciso da tutti”. Bellissimo slogan che mi ricorda la giovinezza. Un’assemblea di 1.000 esponenti, uno per ogni 7 milioni di abitanti del pianeta, dice Mario. Come proponente immagino ambisca a ricoprire uno degli 8-9 seggi che sarebbero assegnati all’Italia.

Se la proposta di Capanna è questa, dobbiamo immaginare un parlamento mondiale in cui la Cina avrebbe il maggior numero di seggi rispetto ad altri paesi presi singolarmente, seguita ad un passo dall’India. Non è una novità che i due paesi non si amino e non solo per ragioni di confine. Come numero di seggi da far valere l’India sarebbe incalzata a non molta distanza dal Bangladesh e dal Pakistan, che mi pare siano paesi inclini all’islamismo.

Resterebbe poi da vedere come la Russia e gli Stati Uniti d’America, soprattutto questi ultimi, accetterebbero di far parte di un simile concesso con una rappresentanza percentualmente stabilita sulla base del mero numero di abitanti, quasi alla pari per esempio dell’Indonesia o del Brasile. Insomma, gli Usa dovrebbero barattare il più potente esercito e la più importante borsa valori del mondo con circa il 5 per cento dei seggi. Neanche dopo aver svuotate due bottiglie di Chardonnay mi verrebbe in mente una cosa del genere.

Capanna, leggo nella recensione, cita il Papa e non testi di economia marxista, e ciò personalmente non mi sorprende, sulla scorta di una breve ma esaustiva conversazione in quel di Milano Marittima nell’agosto del 1994 alla presentazione di un suo librino. Scrive l’ex parlamentare che chi “rifiuta tale proposta ha il dovere di proporre un’alternativa”. Più che giusto, così avremo all’incirca miliardi di singole proposte alternative.

Leggo sempre nella recensione del Torno che Capanna ha posto in esergo al suo saggio una frase attribuita ad Albert Einstein: “I problemi non possono essere risolti allo stesso livello di pensiero che gli ha generati”. Ogni epoca si pone solo i problemi che può risolvere, questo va da sé, non ci voleva un Nobel.

Non si tratta semplicemente di “pensiero”, di mentalità, di motivazioni di tal specie, care a uno spirito critico troppo unilaterale, in senso borghese, per essere davvero critico. L’umanità è giunta precisamente al punto in cui non è più possibile risolvere nessuno dei grandi problemi senza tener in debita considerazione quello che sta in capo a tutti.

Si tratta invece della realtà storica concreta, laddove qualsiasi proposta, vuoi nel modo di Mario Capanna o in un altro, deve fare necessariamente i conti con gli attuali rapporti di forza, vale a dire i rapporti di produzione e di scambio, di relazione tra Stati antagonisti, eccetera.

Il punto vero di discussione non può essere eluso: come superare l’attuale modo di produzione e il riformismo politico, questo buono a produrre leggi che si accumulano alle precedenti, ma non a risolvere e nemmeno a impostare correttamente i grandi problemi del presidente e quelli che si prospettano già per domani.

L’alternativa non può uscire dal cilindro di un singolo soggetto, quasi si tratti d’una specie di mago, né può essere discussa e stabilita a tavolino da un qualsiasi consesso, per quanto largo, indipendente e nutrito di buoni propositi. L’alternativa può darsi solo in divenire, come lavoro di costruzione di un nuovo mondo a cui s’adoperi l’umanità intera, come superamento reale dei rapporti di sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Dunque non sarà una faccenda parlamentare e dei relativi decreti legge.


Eugenio Garin: da Giovanni Gentile a Roderigo di Castiglia

 

Il 25 luglio 1943, per molti segnò una cesura, uno spartiacque, ma per altri il ravvedimento tardò a maturare.

*

Il trasformismo politico non è solo una caratteristica italiana (Giuseppe Giusti dedicò Il Brindisi di Girella a Talleyrand), e però nello Stivale nei secoli ha trovato l’humus per stupefacenti fioriture (“Franza o Spagna, purché se magna”), specie nel secondo dopoguerra per opera dei tanti che col regime intrallazzarono cospicuamente e poi fecero il salto della quaglia effigiandosi genuini antifascisti. Una parodia può essere quella interpretata da Totò ne I tartassati, che nell’arco di solo dieci secondi si proclamava dapprima nostalgico della “buonanima” e subito dopo, vista la mal parata, verace antifascista.

Più di un elenco è stato stilato a riguardo di questi dietrofront di cui si resero attori i più chiari intellettuali dell’ex regime littorio. L’iter labirintico seguito da molti di essi, poi approdati nelle file dell’antifascismo, è ormai patrimonio comune della storiografia più accreditata. Uno degli esempi forse meno noti e però paradigmatici, nell’oceano di microstorie che ruotano intorno a quello scorcio di tempo, fu il trasformismo, o camaleontismo, impersonato da Eugenio Garin, storico della filosofia e del Rinascimento, il quale non fu un antifascista della prima ora e anzi ebbe trascorsi problematici ben oltre il 25 luglio, vale a dire anche nel periodo della Repubblica Sociale.

Nel 1931, s’iscrisse al PNF (Per Necessità Famigliari, fu il sarcastico acronimo all’epoca). E fin qui, transeat. Amico di Papini, Garin di Giovanni Gentile divenne collaboratore editoriale e portapenne, ed infine tenne nell’aprile 1944 il discorso commemorativo in memoria del filosofo. In quei mesi dell’occupazione nazi-fascista accettò di “partecipare a manifestazioni culturali di chiara impronta fascista”, come quelle organizzate dalla nota Jolanda de Blasi, restando contiguo ad ambienti cattofascisti.

Dopo “gli avvenimenti di aprile”, dunque dopo l’insurrezione partigiana del 25 aprile, Garin ebbe un repentino e disinvolto ripensamento a riguardo di molte cose, non ultimo il fascismo. Perlomeno a livello pubblico. Significativo in tal senso l’articolo che scrisse, già nel settembre 1945, per il Corriere di Firenze, divenuto da poco Corriere Alleato col patrocinio diretto del Psychological Warfare Branch. Titolo: La questione morale. Vi si legge, tra l’altro:

«Fascismo era, non già una discutibile teoria politica, ma il malcostume eretto a sistema e la organizzazione programmata di quanto peggiore i secoli più tristi della storia d’Italia abbiano lasciato in eredità nel carattere italiano: proprio per questo epurare dal fascismo sarà compito arduo».

Bel voltafaccia da parte di un ex chierico di quel regime.

Agli inizi del 1945, Firenze liberata dai partigiani nell’agosto precedente, Garin militò sotto la bandiera del Partito liberale Italiano, ne divenne poi per breve tempo esponente. Passò al partito repubblicano, e nel 1946 fu tra i firmatari del Manifesto agli italiani del movimento della democrazia repubblicana di Ferruccio Parri e Ugo La Malfa, che a Firenze vide l’adesione di numerosi e importanti antifascisti. Nel frattempo – scrive Luciano Mecacci nel suo La Ghirlanda fiorentina, da cui ricavo utili notizie –, “pur muovendosi politicamente nell’area laica, tra liberali repubblicani, Garin mantenne saldo il suo afflato religioso, collaborando con riviste di spiccata ispirazione cattolica”. Infine, la scoperta di Gramsci lo redense e gli cambiò la vita. Approdò, manco a dirlo, al Partito comunista italiano, trovando in Roderigo di Castiglia un suo grande estimatore.

sabato 24 luglio 2021

Continuità

 


Suvvia ragazzi, siam sempre partigiani, ma non esageriamo con i carboidrati.

A riguardo dei “fatti di Genova”, di cui molto si dice in questi giorni, vorrei ricordare, tra uno spaghettino al dente e una marcetta al sole, che tal Guido Leto fu Vice capo della Pubblica sicurezza e della Divisione polizia politica – OVRA. Arrestato il 26 aprile 1945, rimesso in libertà 16 febbraio 1946. Ministro della giustizia e Vice presidente del Consiglio del Regno d’Italia stava allora ... . Mah, non me lo ricordo.

Leto diventò direttore tecnico delle scuole di polizia dell’Italia democratica e antifascista. Mi sovviene che le rivolte agrarie, per esempio nel Veneto, venivano soppresse in certi modi, e altre cosette così. Dopo più di mezzo secolo di "democrazia" che cosè cambiato per chi osa alzare davvero la testa?

*

L’epopea napoleonica finì il 18 luglio 1815; il regime mussoliniano cadde il 25 luglio 1943, poi 76 anni or sono definitivamente. Potremmo immaginarci dei nostalgici francesi del Primo impero nel 1891 o del Secondo impero dopo Sedan? Nel 2021, i nostalgici del fascismo sono, secondo i sondaggi elettorali, il primo partito in Italia. Come disse quel tale, dopo il dramma, ci si gode la festa. In Francia una neofascista non troppo dissimulata potrebbe vincere le prossime presidenziali. Regimi fascisti sono oggi in Polonia e Ungheria. Tranquilli, almeno qui da noi non cambierebbe molto. Abbiamo già avuto al governo Berlusconi, Fini, Gasparri, La Russa, Salvini e perfino Renzi. Che altro ci potrebbe succedere, a parte un altro “meteorite”?

venerdì 23 luglio 2021

Non sappiamo ancora quando

 

Qual è il motivo principale, di là di quelli personali più vari, che induce questa resistenza di massa ad oltranza alla vaccinazione anticovid?

Questa domanda dovrebbe far seguito a un’altra, aleggiante da tempo e di carattere più generale, sempre attinente al tema: chi e perché ha creato e alimentato il panico per l’epidemia di coronavirus?

Cito, a titolo enfaticamente esemplificativo e per tacere di cose più impegnative, l’impiego dei camion dell’esercito per trasportare alcune decine di bare, fatti sfilare in lunga teoria in quel di Bergamo.

Possiamo negare il ruolo giocato dai media in questa vicenda, giorno dopo giorno lungo questo anno e mezzo? Quello di aver creato, diffuso e amplificare ad arte, con contrappunto di stimoli-risposta contraddittori, panico e confusione, scetticismo immotivato e allarme esagerato, speranza e delusione?

Non si tratta della libertà d’informazione, del diritto di cronaca e altre auliche esclamazioni. È di cose molto più prosaiche: da parte degli editori, vendere spazi pubblicitari, stemperare il rosso fallimentare dei loro conti; da parte di politici, “esperti”, opinion makers e giornalisti, di accalappiare consenso elettorale, lusingare meschine vanità, promuovere carriere e librini, firmare migliori contratti e solita roba che si può leggere in siti in ciò specializzati. Senza dimenticare le gelosie e le invidie che sono il condimento naturale di molte esistenze.

Unoccasione del genere, quasi mitologica, umanamente e impreditorialmente considerando, non potevano lasciarsela scappare. La vera storia di come sono andate le cose la publicheranno sempre loro, più tardi e con comodo, anzi già dal prossimo autunno, mettendoci a parte delle loro sensazionali rivelazioni. Questi stronzi sidentificano sempre con il loro ruolo e mi pare inutile aggiungere altro di più ingiurioso. L’unica attenuante che si può loro concedere riguarda il fatto che non hanno mai preteso di essere presi seriamente.

A fronte, quale esito potevamo aspettarci con tale spiegamento di mezzi anche sul tema dei vaccini? Certo, qui il concorso di colpa e di dolo è più articolato e meglio dissimulato, non riguarda solo i media e i loro capibastone, bensì da un lato i grandi interessi multinazionali, dall’altro l’improvvisazione e la vergognosa sciatteria con la quale, per lungo tempo e per certi aspetti tutt’ora, sè atteso alla campagna vaccinale e dapprima all’approvvigionamento dei relativi farmaci.

In un gioco di specchi, di rimandi politici e mediatici, l’epidemia virale attuale, non più grave di quella occorsa un secolo addietro senza riguardo per letalità alle fasce d’età, s’è trasformata in un dramma di proporzioni epiche, con danni che si ripercuoteranno per lungo tempo, anche perché non sappiamo quando e con quali proponimenti il sciur Enrico e Frau Lilli rientreranno dai loro lunghi e operosi ozi estivi .


La rottura di ogni precedente equilibrio

 

Nelle ultime settimane le brusche oscillazioni di Wall Street, e a seguire quello delle altre borse, in forte calo un giorno per riprendersi il giorno dopo, riflettono la grande incertezza su quanto potranno continuare i massimi record, finanziati da triliardi di dollari ed euro dalla Fed e dalla Bce, e se ci sarà un grande crisi.

Questa settimana è iniziata con quella che il Wall Street Journal ha descritto come una “drammatica svendita”. Il Dow è sceso di 725 punti, 2,1 per cento, mentre l’indice di riferimento S&P 500 è sceso dell’1,6 percento. Significativamente, il rendimento dei titoli del Tesoro a 10 anni, che è un indicatore della fiducia degli investitori nelle prospettive future dell’economia, è sceso a circa l’1,2% (c’è stata una corsa alla sicurezza, con l’aumento della domanda di buoni del Tesoro che ha fatto salire il loro prezzo: rendimento e prezzo sono inversamente proporzionali), mentre i prezzi del petrolio sono scesi del 7,5%, nel loro più vistoso calo di un giorno dallo scorso settembre.

Si sostiene che il principale impulso per il selloff di Wall Street, riflesso a livello globale con l’indice europeo Stoxx 600 nella sua peggiore sessione dell’anno, sia dovuto all’impatto della variante Delta del coronavirus. Può essere, in questa altalena ci può stare di tutto.

Nulla di che, s’è visto ben altro, ma si tratta comunque di un indicatore del nervosismo che precede storicamente i grandi tonfi. Siamo seduti sopra un vulcano, quello del debito pubblico e privato. C’è da chiedersi perché il “tappo” non sia ancora saltato e quanto ancora possa venir compresso con denaro a go-go.

Poi, come dopo i precedenti forti selloff, Wall Street si è ripresa martedì. L’S&P 500 è aumentato dell’1,5%, il maggiore aumento di un giorno da marzo, quasi azzerando le perdite del giorno precedente. Anche il Dow è salito, insieme al NASDAQ, con il risultato che i tre indici erano al 2% dei loro massimo del 12 luglio. L’aumento è continuato mercoledì, anche se non allo stesso ritmo, lasciando l’S&P a solo lo 0,6% dal suo record. Ieri c’è stato un aumento marginale di tutti e tre gli indici.

Ripeto, nulla di che dopo i record dei mesi scorsi, tuttavia le oscillazioni sono il risultato dei movimenti di denaro simili a onde di marea nei mercati finanziari. Da marzo dello scorso anno, la Fed ha pompato oltre 4 trilioni e continua a fornire denaro attraverso i suoi acquisti di asset al ritmo di 120 miliardi al mese. Non diversamente la Bce.

Questo oceano di denaro si sposta dalle azioni alle obbligazioni, e poi di nuovo al contrario, nella ricerca sempre più disperata di un rendimento adeguato. Potrebbe verificarsi, ne sono certo, più qualche tremore nel prossimo futuro. Le giravolte nei mercati finanziari sono il segno più sicuro che nessuno dei problemi che hanno portato al crollo del mercato di marzo 2020 è stato risolto. In effetti, le ragioni dello schianto non sono state ancora nemmeno completamente comprese.

All’inizio di questa settimana, il presidente degli Stati Uniti ha dichiarato: “Si scopre che il capitalismo è vivo e vegeto. Stiamo facendo seri progressi per assicurarci che funzioni nel modo in cui dovrebbe funzionare: per il bene del popolo americano”.

Queste parole ricordano, almeno a chi scrive, le osservazioni del presidente Herbert Hoover, nell’ottobre 1929, quando dichiarò che “l’attività fondamentale del paese, cioè la produzione e la distribuzione di merci, poggia su una base solida e prospera”.

I presidenti pro-tempore e i capataz della finanza non possono nulla nel lungo periodo a riguardo delle contraddizioni che stanno alla base del modo di produzione capitalistico. La prossima crisi finanziaria è solo questione di tempo, e sarà travolgente. Investimenti, produzione e distribuzione in un’economia mondiale come non mai interconnessa, non possono essere lasciati all’azione casuale della “mano invisibile”. Non più.

I vecchi rapporti, non solo di produzione, ma tutti i rapporti sociali nell’accezione più ampia, soffrono di una crisi senza precedenti; ciò in forza, in prima battuta, dello sviluppo prorompente dei rapporti di produzione degli ultimi decenni; quindi per la stanchezza di un sistema che non può, entro la cornice borghese, superare le contraddizioni proprie e risolvere nessuno dei grandi problemi del presente. Gli antagonismi geopolitici e l’immobilità antistorica della politica ci stanno condannando alle peggiori catastrofi, spingendo gli eventi, umani e naturali insieme, a rompere ogni precedente equilibrio con violenza.

giovedì 22 luglio 2021

Se quel giorno di luglio

 

Se Jeff Bezos, il padrone di Amazon, l’individuo più ricco del mondo, dimostrasse che due più due fa quattro, l’establishment dei media, non solo americani, esclamerebbe a tutta pagina: “Che innovazione!”, “Che svolta epocale!”

Il signor Bezos martedì scorso è volato brevemente nello spazio, insieme ad altri tre compagni di merende. Il Washington Post, di proprietà di Bezos, ha pubblicato un editoriale già lunedì intitolato: “Gli sforzi spaziali dei miliardari possono sembrare fine a sé stessi, ma sono pietre miliari importanti”. Importanti per chi, santa madonna? L’articolo, con sprezzo del ridicolo, sosteneva: “Potresti non amarli, ma i miliardari dietro questi sforzi del settore privato hanno sia le risorse che l’impazienza con la burocrazia del governo per riportare gli americani nello spazio, al loro posto”.

mercoledì 21 luglio 2021

Nulla è cambiato

 

Vent’anni fa, una manifestazione, in grandissima parte pacifica, finiva nel sangue. Tramontava definitivamente ogni illusione pacificatrice e riformista. Dopo aver ucciso Carlo Giuliani, la sbirraglia cantava: “siete uno di meno”. Sul corpo di Carlo c’erano i segni inequivocabili delle sigarette spente su di lui. Poi la Diaz e Bolzaneto.

Nelle caserme e nelle carceri, allora come oggi, si tortura e uccide. A norma di legge.

L’8 giugno scorso, su mandato della Procura di Roma, la polizia ha sequestrato a Paolo Persichetti il suo archivio. Paolo è il più competente studioso del “caso Moro” e il suo archivio, costruito in anni di paziente e faticosa ricerca, è probabilmente il più approfondito.

In oltre dieci ore di perquisizione gli è stata sequestrata perfino la documentazione amministrativa e medica di suo figlio disabile. Persichetti nei suoi lavori a stampa smonta complottismi e dietrologie costruiti intorno al rapimento Moro, facendo pian piano luce.

Ciò che non deve essere messo in dubbio è la convinzione stratificata da decenni di intossicazione di un sequestro sponsorizzato e supervisionato addirittura con l’apporto diretto di forze esterne al mondo brigatista, per impedire l’alleanza tra Dc e Pci e l’entrata di quest’ultimo nel governo.

Sono i processi giudiziari e le Commissioni parlamentari a scrivere una “Verità di Stato”, tanto che Paolo Persichetti è stato accusato di “divulgazione di materiale riservato acquisito e/o elaborato dalla Commissione Parlamentare d’inchiesta sul sequestro e l’omicidio dell’on. Aldo Moro”.

È accusato di favoreggiamento (378 cp) e dell’immancabile 270 bis, associazione sovversiva con finalità di terrorismo. La quale avrebbero avuto inizio nel dicembre 2015. Da cinque anni e mezzo, secondo la procura, sarebbe attiva in questo Paese un’organizzazione sovversiva (capace di sfidare persino il lockdown) di cui nonostante le molte stagioni trascorse non si conoscono ancora il nome, i programmi, i testi e proclami pubblici e soprattutto le azioni concrete (e violente, senza le quali il 270 bis non potrebbe configurarsi).

Anche far ricerca storica in Italia è reato.



martedì 20 luglio 2021

Non c'entra il gas

 


Era un criminale di guerra e un gran figlio di puttana, per dirla in modo corrente. Tuttavia nel 1918 gli fu assegnato il Nobel per la Chimica. Sua moglie, Clara Immerwahr, la prima donna laureata in chimica in Germania, pacifista e impegnata per i diritti delle donne, disapprovando ciò che stava facendo il marito come chimico, si uccise sparandosi con la pistola d’ordinanza di lui, promosso capitano per meriti di guerra.

Così sostengono alcune fonti, e ancora ieri sera questo racconto è stato ripetuto alla lettera in una trasmissione di Rai Scuola, con primo piano della divisa da capitano di Fritz Haber, la fondina e la Luger P08 (in realtà si intravede una Walter P38, evidente anacronismo).

Le cause della morte di Clara sono piuttosto controverse. Vero è che il marito avrebbe lavorato alla messa a punto di gas venefici per uso bellico, ma non c’è prova che operasse in tal senso prima ancora che scoppiasse il conflitto, e, ad ogni modo, Haber non era ancora stato chiamato alle armi e l’impiego del gas su cui lavorò, che in seguito prese il nome di iprite, avvenne un anno dopo la morte per suicidio di Clara (2 maggio 1914).

Molto più probabile è un’altra motivazione del suicidio, che si può rintracciare in una lettera privata di Clara a un’amica, nella quale scrive: “La vita che ne ho ottenuto è stata molto breve [...] e le cause principali di ciò è il modo oppressivo di Fritz di porre se stesso per primo a casa e nel matrimonio, cosicché una personalità meno violentemente auto-compiacente può solo essere distrutta”.

Non passa giorno che su Rai Storia e su Rai Scuola non si ascolti più di una favoletta a proposito dei più vari argomenti. Lo so, lo fanno apposta, per tenerci vigili e attivi. Grazie.


lunedì 19 luglio 2021

L’invenzione dell’uovo sodo


Il caso vuole che ieri, dopo aver scritto il post sulla differenza tra il cervello di quelli di sinistra e il cervello di quelli di destra, nel pomeriggio leggessi sul Domenicale un articolo scritto a quattro mani dagli psicoanalisti V. Lingiardi e G. Giovanardi dal titolo intrigante: La normalità non esiste. Viva la neuro diversità.

Come farselo scappare? Leggo:

«Gli antropologi sono concordi nell’affermare che circa 35.000 anni fa era avvenuta una trasformazione improvvisa (se considerata alla luce di 200.000 anni di cambiamenti minimi) in cui homo sapiens si è distinto nettamente dagli altri animali e ha iniziato la sua dominazione planetaria. In questo periodo compaiono l’arte, il simbolismo e l’uso di oggetti complessi. Ci sono diverse teorie su cosa abbia determinato tale accelerazione, ancora ancor più misteriosa dal momento che non corrisponde ad alcuna modificazione corporea».

Ancora una volta, parlando dell’evoluzione di quello strano animale che chiamiamo homo sapiens, si leggono cose spassose, accompagnate dall’immancabile riferimento al “mistero”, in questo caso celato dalle brume del paleolitico superiore.

domenica 18 luglio 2021

Il cervello di quelli di sinistra e di quelli di destra

 

Che aspetto ha il nostro cervello? Pesa in media 1,5 kg. Un po’ meno quello delle donne, ma questo non significa niente! Che cosa fa il cervello? Riceve, analizza, interpreta e risponde. Ma può anche ricevere e tacere. Ha molte informazioni grazie ai sensori, i nostri occhi come telecamere, le nostre orecchie come registratori, il nostro naso per gli odori, la nostra bocca per il gusto, la nostra pelle per ... ecc.. Ma questi esempi possono rivelarsi fuorvianti perché riducono la psiche umana alla semplice attività riflessa e dunque all’esclusivo ambito della fisiologia, basato appunto sul concetto di stimolo-risposta.

Il cervello è solo memoria? Non solo, perché ciò attiene alle funzioni elementari, mentre lo sviluppo delle funzioni psichiche superiori allude a ben altro, per esempio alla formazione di nuove connessioni cerebrali, e dunque alla produzione di stimoli di natura storico-culturale (cosa di cui le macchine, anche le più sofisticate, non sono capaci).

Tuttavia è vero che il cucciolo umano è fragile e impreparato. Alla nascita, altri animali possono stare in piedi, camminare, vedere. Il bambino non sa fare altro che succhiare e piangere. Pertanto gli esseri umani devono imparare e ricordare. Il linguaggio, che nasce insieme alla coscienza, svolge un ruolo fondamentale nell’apprendimento, com’è notorio.

Non tutti gli esseri viventi hanno un cervello. Per esempio le chiocciole hanno una sorta d’insieme di cellule nervose, ma non si può parlare di cervello. Molti bipedi moderni del genere homo, pur essendone dotati,  strisciano come non l'avessero.

E l’intelligenza, il QI? È un test di performance adatto a persone bianche di un determinato background sociale. 45 anni fa mi cimentai in un test statunitense: chiedeva raffronti sull’altezza di montagne americane a me sconosciute e cose del genere. Risultato: ero ai limiti del subnormale. Per questo motivo non mi assunsero alla Goldman Sachs.

E i bambini precoci? I cosiddetti precoci, se li osserviamo da vicino, hanno un problema d’indirizzo: artistico, relazionale, sociale. Lasciamo i bambini alla loro età e ai loro amici. È meglio per la salute del loro cervello e del loro corpo.

I robot diventeranno più intelligenti degli umani?

No. Ad esempio, affinché un robot riconosca un gatto, deve ricevere migliaia di foto di gatti. Basta che un bambino ne abbia visti due per sapere di quale animale si tratta. La memoria degli oggetti. Se dico: una racchetta da ping-pong, la visualizzi, ne immagini il colore, il peso, il materiale. Vedi il gesto che ne consegue. Se mostro una racchetta da ping-pong deformata e floscia, si riconosce subito. Il cervello sa come concettualizzare. Prima che ci arrivi il robot ... .

Il cervello delle persone di sinistra e quello delle persone di destra funzionano in modo diverso? Un tempo era generalmente così, le persone di sinistra avevano un cervello più empatico. E l’empatia è educativa, altrimenti ci occuperemo solo del nostro ombelico. Ora, a vedere ciò che succede, direi che c’è sostanziale omologia.

Qual è il miglior modo di usare il cervello? Senza dubbio questo!

sabato 17 luglio 2021

Liberali e ipocriti insieme



L’alluvione nella Germania occidentale, in Belgio e in parte dei Paesi Bassi sta assumendo proporzioni sempre più drammatiche. A mezzogiorno di ieri, il bilancio delle vittime nelle regioni tedesche della Renania-Palatinato e del Nord Reno-Westfalia era salito a 106, con un migliaio e forse più di persone considerate disperse.

In Renania-Palatinato, ieri pomeriggio il numero di vittime accertate era salito a 63, con almeno 362 feriti nel solo distretto di Ahrweiler. Si teme che questi numeri continueranno a salire. Ad Ahrweiler non solo mancano elettricità e acqua potabile, ma è fuori uso anche un gasdotto. Il fornitore del gas ha affermato che la riparazione potrebbe richiedere diversi mesi.

Nel vicino Nord Reno-Westfalia sono stati ufficialmente segnalati 43 vittime. Anche qui si teme che il numero sia più alto. La situazione è particolarmente critica a Erftstadt-Blessem, vicino a Colonia, dove sono crollati almeno tre edifici residenziali e parte del castello storico del paese. I soccorritori stanno cercando di portare in salvo gli abitanti, ma finora hanno avuto difficoltà a raggiungere le loro case.

Il bilancio provvisorio delle vittime in Belgio è salito a 23, con 20 dispersi. A Maastricht, nel sud dell’Olanda, 10.000 persone sono state evacuate per il timore che il fiume Mosa tracimasse inondando le aree residenziali. A causa dell’interruzione di corrente, molti telefoni cellulari sono inutilizzabili poiché non c’è un modo di ricaricare le batterie. Intere comunità sono tagliate fuori perché strade, ponti e binari ferroviari sono impraticabili.

Anche i distretti di Aquisgrana e Düren sono stati colpiti da forti temporali. Colpiti anche Colonia, Treviri, Solingen, Hagen, Leverkusen, anche se l’entità dei danni non è ancora stata stimata.

Le inondazioni hanno fatto seguito a diverse settimane di piogge intense e persistenti. Nelle strette valli dell’Eifel, nella regione intorno a Colonia, nel Bergisches Land e nel Sauerland, piccoli ruscelli sono diventati torrenti impetuosi in poche ore.

Il cambiamento climatico ha causato temperature e una siccità senza precedenti in Canada e negli Stati Uniti occidentali, e si è manifestato con forti piogge in Europa. L’Istituto meteorologico belga ha registrato precipitazioni record in 48 ore a Liegi, vicino al confine tedesco, con 271 mm registrati a Jalhay e 217 mm a Spa. Normalmente si misurano 100 mm a luglio in quelle aree.

I disastri alluvionali sono in aumento da diversi lustri. Che cosa si può fare? Ci sono esempi. A Grimma, in Sassonia, vicino a Lipsia, sul fiume Mulde, tre anni fa è stato installato un sistema di protezione dalle inondazioni dopo le grandi catastrofi alluvionali del 2002 e del 2013. Si sono costituito delle paratoie e un muro di protezione lungo diversi chilometri e profondo 12 metri nella terra. Un complesso sistema di canali sotto la città può assorbire e drenare grandi quantità di acqua. In due ore il centro della città può essere sigillato ermeticamente.

Tuttavia non si può pensare di intervenire radicalmente e diffusamente in tal modo, anche per un problema di costi. Gli enti locali semplicemente non hanno il denaro per farlo, e i governi sono alle prese, oltre che con gli effetti della pandemia, con altri tipi di finanziamento. Per esempio in Italia si profondano denari per il salvataggio di Alitalia e altre società decotte o banche derubate e fallite, con regalie a potenti famiglie, eccetera. In Germania la Bundeswehr è in fase di aggiornamento e il governo sta investendo nel cyberspazio e nella guerra spaziale, per dire.

Pertanto, non ci resta che caricare la responsabilità del cambiamento climatico su India e Cina, sicuramente grandi inquinatori (ad imitazione di ciò che fa l’Occidente da più di un secolo), dalle quali importiamo le merci che lì vi sono prodotte con i nostri marchi a costi più bassi e con profitti più alti. Il solito modo di essere liberali e ipocriti insieme. 

venerdì 16 luglio 2021

La Storia non è finita

 

Al tempo di Marx, più di due terzi della popolazione europea si dibatteva tra miseria e disoccupazione, nella più rosea delle ipotesi viveva in condizioni di dignitosa povertà. All’epoca di Lenin e di Mao, in Russia e in Cina vigeva ancora largamente il feudalesimo. Per quanto riguarda la prima metà del Novecento, non vanno dimenticati i fascismi, le due guerre mondiali e la grande depressione economica degli anni Trenta in assenza di un welfare state adeguato. Per lungo tempo, la prospettiva di una rivoluzione sociale che superasse la società borghese ebbe senso e largo consenso.

Se oggi chiedessimo alle persone, anche non abbienti e non solo a quelle che abitano nei paesi di più antica industrializzazione, di scegliere tra il comunismo e il capitalismo, il risultato dell’opzione sarebbe inequivocabile scontato. Nonostante tutte le contraddizioni patenti, meglio il capitalismo che il sedicente comunismo, soprattutto per come quest’ultimo s’è prospettato storicamente.

giovedì 15 luglio 2021

Richard Branson e i soliti cialtroni

 

Domenica scorsa, la compagnia di volo Virgin Galactic ha trasportato con successo quattro passeggeri ai confini dell’atmosfera terrestre utilizzando VSS Unity, un aereo spaziale suborbitale di classe SpaceShipTwo. Il volo è stato promosso dal fondatore di Virgin Galactic, il miliardario Richard Branson, che ha preso parte al viaggio, e dai media americani, che ora possono affermare con soddisfazione che Branson è il primo astronauta miliardario.

martedì 13 luglio 2021

Sulla riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario

 

In questi giorni si possono leggere dotte digressioni sulla vexata quæstio della riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, sull’esempio recente dell’Islanda.

Si rileva che il paese scandinavo conta una popolazione di circa 350.000 abitanti, vale a dire grossomodo come due quartieri di una metropoli italiana. Va da sé che le dimensioni di un fenomeno sono un fattore importante e dunque bisogna andare cauti con le generalizzazioni.

Altro aspetto, da non trascurare, sta alla voce “istruzione e formazione”, che possiamo allargare al concetto, sfuggente quanto si vuole ma non per questo metafisico, di “mentalità”, un po’ diversa tra i popoli scandinavi rispetto a quelli mediterranei. Come sapeva Giuseppe Tomasi (parte IV), il luogo dove avvengono le cose può assumere un’importanza decisiva.

Poi, si passa a definire che cosa è “produttività”, accennando alla “coesione sociale”, che sta all’opposto della “conflittualità che si svolge in contesti in cui la diffidenza sociale sfocia in giochi a somma zero”. Si tratta invero di una caratteristica, con radici ovviamente storiche e antropologiche (vedi sempre alla voce “mentalità”), in cui molti italiani primeggiano, e dunque non ci possiamo far nulla se non prenderne atto rassegnati.

Tuttavia, fin qui sulla “produttività” non si dice nulla, salvo richiamare un aspetto sicuramente fondamentale: lo stretto rapporto capitale/tecnologia e produttività del lavoro (solo il lavoro umano può creare nuovo valore, cari furbacchioni; quello delle macchine è valore che si trasferisce pro quota al nuovo prodotto, non ne crea ex novo).

Esemplifico sul ruolo della tecnologia: la produttività del lavoro con un aratro tirato da buoi è ben diversa rispetto a quella di un aratro trainato da un trattore meccanico. Ecco che tutte le dotte disquisizioni sulla “coesione e la diffidenza sociale” e anche quelle sulla “istruzione e formazione”, pur avendo interesse nel discorso, non sono elementi di per sé decisivi a riguardo della produttività del lavoro.

Qui va precisato che lo scopo dello sviluppo tecnologico non è quello di ridurre la “fatica” del lavoratore e nemmeno quello di ridurre la sua giornata lavorativa. Togliamoci queste ubbie dalla capa che possono solo far gran danno.

Come ogni altro sviluppo della forza produttiva del lavoro, il macchinario ha il compito di ridurre le merci più a buon mercato ed abbreviare quella parte della giornata lavorativa che l’operaio usa per se stesso (salario), per prolungare quell’altra parte della giornata lavorativa che l’operaio dà gratuitamente al capitalista per la produzione di plusvalore.

Pertanto, il punto vero della questione riguarda l’estorsione del plusvalore (da non confondere con il “valore aggiunto”, concetto borghese fuorviante sia sul piano ideologico che scientifico). La faccio breve e cerco di contestualizzare: non potendo svalutare la moneta, si svalutano i salari, dunque si aumenta la parte della giornata lavorativa data gratuitamente al capitalista per la produzione di plusvalore.

È in forza a questo imperativo, il recupero di competitività sul piano del plusvalore relativo, che l’industria italiana, caratterizzata prevalentemente dalla micro-piccola-media impresa, carente sul piano della ricerca e degli investimenti (spesso in una situazione di sottocapitalizzazione), alle prese con varie altre “patologie” del sistema economico-sociale, non ultimo il divario tra il nord e il sud del Paese, cerca di stare sul mercato mondiale.


Cuba, quanto potrà ancora resistere?

 

Sembra che le proteste siano iniziate a San Antonio de los Baños, un comune a sud-ovest della capitale, poi si sono rapidamente diffusi altrove, tra cui L’Avana e la maggior parte delle principali città del paese: Santiago de Cuba, Santa Clara, Matanzas, Cienfuegos e Holguín, e in numerose città più piccole come Palma Soriano.

I cubani hanno manifestato in massa domenica, nella più grande ondata di proteste sull’isola dall’agosto del 1994, che fu chiamata Maleconazo (Malecón è un viale de L’Avana). Le attuali proteste sono motivate da anni di difficoltà economiche che la pandemia ha aggravato. Libertà e Abbasso la dittatura, gridavano i manifestanti, ma molti altri hanno richiamato l’attenzione sulla carenza di cibo e le condizioni di vita.

Il crollo del turismo internazionale e quello del raccolto della canna da zucchero, che è stato a livelli del 1908, quindi la restrizione delle forniture dal Venezuela, in crisi, hanno fatto sì che ufficialmente l’economia cubana, non diversamente da altri Paesi, si sia ridotta dell’11%, la più grande contrazione dal 1993. Le importazioni nell’isola sono diminuite del 40%, davanti ai negozi si formano lunghe code per ottenere i prodotti alimentari di base, cui s’aggiungono interruzioni di elettricità diffuse.

Le motivazioni delle proteste cubane sono simili a quelle delle prolungate manifestazioni di massa in Colombia, che sono state represse molto più brutalmente, ma hanno ricevuto una frazione dell’attenzione dei media. Non ci sono dubbi che la mafia cubano-americana, come sempre, sta soffiando sul fuoco di un Paese in gravi difficoltà economiche e alle prese con il diffondersi della pandemia.

Il sindaco di Miami Francis Suarez ha chiesto l’intervento militare degli Stati Uniti, “per proteggere il popolo cubano da un bagno di sangue”, mentre il presidente Biden ha rilasciato una dichiarazione ufficiale di sconcertante ipocrisia chiedendo al governo cubano di rispettare il “diritto di protesta pacifica e il diritto del popolo cubano a determinare liberamente il proprio futuro” e a “servire i loro bisogni in questo momento vitale piuttosto che arricchirsi”.

Si può eccepire molto sul sistema sociale e politico cubano, ma a dare lezioni di democrazia non può essere certo l’oligarchia statunitense o i gangster cubani che controllano la Florida.

Cuba, stretta nell’embargo decretato dagli Usa e inasprito da Trump, è sola e in difficoltà. Ancora una volta bisogna prendere atto che, nonostante gli innegabili successi della rivoluzione cubana, la prospettiva nazionalista arranca nel sottosviluppo e nell’isolamento. C’è da chiedersi quanto potrà ancora resistere in tali condizioni, mentre che cosa potrebbe diventare l’isola, dopo un traumatico passaggio in mano alla mafia cubano-americana, è facile immaginarlo.


lunedì 12 luglio 2021

Ciò che ci aspetta

 

I ministri delle finanze e i banchieri centrali che rappresentano le maggiori economie del mondo, riunitisi a Venezia nel fine settimana, hanno firmato un accordo con l’obiettivo di abbattere le pratiche elusive delle multinazionali che spostano i profitti verso giurisdizioni con tassazione bassa o inesistente.

Secondo l’intesa raggiunta, i redditi delle società con oltre 750 milioni di fatturato sarebbero tassati con un’aliquota effettiva almeno del 15% da parte dei Paesi in cui le multinazionali hanno sede. Per le multinazionali più grandi una tassazione del 20-30% riguarderebbe i margini di profitti eccedenti il 10%.

Alcuni paesi a tassazione più bassa sono contrari all’accordo, inclusi i membri dell’Unione Europea, Irlanda, Ungheria ed Estonia. Il loro sostegno è necessario per ottenere l’approvazione dell’accordo da parte dell’UE, dove è richiesto un voto unanime.

Ancora in fieri gli aspetti tecnici dell’accordo sulla riforma dell’architettura fiscale internazionale, che dovrebbero essere definiti nel prossimo vertice che si terrà a Roma il 30 e 31 ottobre prossimi.

Quanto i paesi del G20 rispetteranno poi effettivamente gli impegni presi dal Finance Track con questo accordo? Non c’è ancora accordo sugli aspetti tecnici, che vanno ad incidere su aspetti civilistici del tutto eterogenei dei diversi Paesi, e non è difficile immaginare che le multinazionali, anche se fosse raggiunto un accordo sull’armonizzazione dei sistemi fiscali, riusciranno comunque ad aggirare gli ostacoli.

Un solo esempio delle difficoltà: l’approvazione della minimum tax per gli Stati Uniti potrebbe richiedere modifiche ai trattati esistenti, dunque un voto di due terzi al Senato, che è diviso 50-50 tra repubblicani e democratici.

Di là di questi aspetti, vediamo come un’intesa su molte questioni che stanno da decenni nell’agenda del G-7 e del G-20 non riescano a trovare soluzione. Prevalgono le contrapposizioni tra le grandi potenze economiche e militari, certi equilibri si rompono con maggiore facilità, lo scontro si fa sempre più aspro e ci si prepara alla guerra.

Ogni epoca, scriveva Marx, si pone solo i problemi che può risolvere, e questo è vero; e oggi siamo giunti precisamente al punto in cui non è più possibile risolverne nessuno senza risolverli tutti.

Superata la soglia di sostenibilità oltre la quale ogni equilibrio viene rotto, nel processo storico avviene un salto di binario. Attenzione: nessun passaggio d’epoca è avvenuto stabilendo in anticipo e in dettaglio il “dopo”. Ciò che ci aspetta è terra incognita.

P. S. : Un risultato utile il G20 veneziano l’ha comunque avuto. A sentire i gondolieri, a farsi placidamente cullare per i canali della città in questi giorni c’erano quasi solo gli sherpa designati dai rispettivi ministeri economici.


venerdì 9 luglio 2021

Dal G20 al migliore dei mondi possibili

 

Il silenzio e la pace dei giardini reali, alias napoleonici, alle spalle delle Procuratie Nuove, sono guastati dall’insistente sorvolo di un elicottero della GdF. È il prezzo che si deve pagare in questi giorni alla presenza dei caporioni del G20 a Venezia. Usciti dai giardini, prendendo a sinistra, a due passi si apre piazza San Marco, e l’omonima basilica, con i suoi mosaici e relativi pennacchi.

Pochi giorni or sono è morto Richard Charles Lewontin, il quale aveva scritto, tra l’altro, un famoso articolo: I Pennacchi di San Marco e il paradigma di Pangloss. Non era uno storico dell’arte, bensì uno dei maggiori biologi del Novecento, critico del cosiddetto “adattazionismo” e dei comuni pregiudizi biologici che tutt’ora informano varie discipline.

Lewontin e il suo grande amico Stephen Jay Gould, misero in questione un modo di pensare profondamente radicato fra gli studiosi dell’evoluzione, tra i quali appunto quelli aderenti al programma adattazionista o paradigma di Pangloss, ossia i sostenitori della quasi onnipotenza della selezione naturale nel forgiare le forme organiche, che darebbe vita al migliore dei mondi possibili.

Voltaire attirava sul dottor Pangloss l’osservazione che: «Le cose non possono essere in altro modo che come sono [...]. Ogni cosa è fatta per lo scopo migliore. I nostri nasi sono fatti per portare gli occhiali. Le gambe sono chiara- mente fatte per portare le brache, e noi le portiamo».

Lewontin e Gould opponevano, per sintetizzare qui la questione con una battuta, che se i maschi dei tirannosauri potevano benissimo avere usato le loro zampette anteriori per titillare le femmine, tuttavia ciò non spiega perché quelle zampe siano divenute così piccole! Insomma, un conto sono gli epifenomeni altra faccenda le cause primarie.

Nozione questa che non vale solo per la biologia, ovviamente.

Lydia Denworth, una signora di Brooklin che scrive per Scientific American, nel numero di luglio di Le Scienze, ci delizia con queste sorprendenti, direi epocali, scoperte scientifiche: «L’idea che l’adolescenza possa essere un periodo critico per l’elaborazione dell’esperienza emotiva e sociale è stata avanzata nel 2014 da due neuro scienziate, Sarah-Jayne Blakemore e Kathryn Mills, oggi rispettivamente dell’Università di Cambridge e all’Università dell’Oregon». Segue l’esempio degli uccelli che possono avere bisogno “di più tempo per l’apprendimento vocale per imparare i propri canti, cosa che di solito avviene nell’adolescenza”.

L’avessero saputo i miei insegnanti di scuola, non avrebbero fatto tante storie perché non avevo trovato tempo nel fare i compiti durante le vacanze e dovevo scopiazzarli in fretta e furia il mattino del giorno del rientro.

giovedì 8 luglio 2021

La fabbrica del futuro

 

Fin dalle epoche più remote, l’uomo ha guardato il cielo chiedendosi: chi sarà il primo miliardario ad andare nello spazio? L’attesa ora è finita. Jeff Bezos di Amazon e Richard Branson di Virgin sono in gara nella corsa allo spazio del 21° secolo.

Non importa che 250 milioni di persone in più vivano in condizioni di estrema povertà rispetto all’inizio del 2020, secondo la Banca Mondiale, o che 1,5 miliardi di schiavi abbiano perso la maggior parte o tutto il loro reddito lo scorso anno.

Quale momento migliore per due uomini di investire miliardi di dollari per lanciarsi nello spazio (in realtà, un volo suborbitale) per impressionare gli azionisti e divertirsi un po’? Uno strato sostanziale dell’aristocrazia e di utili idioti concorda senza ironia.

In una recente asta, uno sfigato ha pagato 29,7 milioni di dollari un biglietto per salire a bordo del volo Blue Origin di Bezos.

Il Wall Street Journal ha raccontato com’è andata l’avvincente e assolutamente straziante gara d’asta: la base è stata aperta 4,9 milioni, le offerte sono aumentate rapidamente a 10 milioni, poi quattro partecipanti si sono sfidati fino a raggiungere 28 milioni. Una commissione del 6% viene aggiunta all’offerta vincente, portando il costo finale a 29,7 milioni. Blue Origin ha dichiarato che 7.600 offerenti provenienti da 159 paesi si sono registrati per l’evento.

Questa gente, che sfrutta il lavoro di milioni di schiavi, a cui è concesso legalmente di evadere o eludere le imposte, ha buoni motivi per andare nello spazio. Bezos ha spiegato di cosa si tratta realmente in un’intervista del 2019:

«Mandiamo cose nello spazio, ma sono tutte fatte sulla Terra. Alla fine sarà molto più economico e semplice realizzare cose davvero complicate, come microprocessori e tutto il resto, nello spazio e poi rispedire quegli oggetti fabbricati altamente complessi sulla Terra, in modo da non avere le grandi fabbriche e le industrie che generano inquinamento che fanno quelle cose ora sulla Terra. E la Terra può essere suddivisa in zone residenziali».

Bezos progetta di aprire fabbriche e altro sul lato opposto della Luna, dove nessuno potrà ficcare il naso. Un giorno sulla Luna è l’equivalente di 27 giorni qui sulla Terra, pertanto un suo schiavo sarebbe pagato per 8 ore pur lavorandone 216.

Auguriamogli che il viaggio sia di sola andata.

domenica 4 luglio 2021

I conti con l'eredità

 


Questa brava e simpatica ragazza, che scrive in veneto come parla con la sua mamma (cosa che non è senza bellezza per chi volesse ridere), dimostra d’essere d’accordo con ciò che riprende da altri. E dunque i due distinti intellettuali serenissimi non credo siano molto addentro la vicenda che portò infine la cessione della Repubblica di Venezia all’Austria da parte di Napoleone (*).

Che la Repubblica, retta da un’oligarchia patrizia, fosse un faro di libertà millenaria è un truismo di larga accoglienza, tuttavia in omaggio alla verità storica consiglio più cautela e ragionamento. E non suggerisco di lambiccare il Maranini, ma di meditare l’Ippolito delle Confessioni. Non tutte le 916 pagine, che le ultime 300 ammetto di essere stucchevoli, ma almeno il primo capitolo per levarsi il capriccio!

Quanto al resto, il declino di Venezia, non solo economico, durava da molto tempo, come sanno anche gli scolaretti dei primi banchi, e non è casuale la città si fosse ridotta ad essere il bordello d’Europa, per quanto raffinato e attraente. Sarebbe sufficiente leggere La crisi dell’aristocrazia senatoria, di Giovanni Tabacco, e magari in Appendice la lettera che Andrea Tron scrisse ad Andrea Querini nel 1748. Tra l’altro:

«Trenta anni di pace non sono stati capaci non solo di rimettere le nostre finanze, ma neppure di minorare li debiti; dunque se essa durerà altri trenta saremo nello stesso difetto, perché quello che non si è potuto fare o non si è saputo sino al presente, è difficile che si eseguisca in progresso» (p. 201).

Tesori miei, queste parole di monito ci dovrebbero essere care e cogenti anche per il presente, in attesa di ricevere benefizi e nuovi crediti (alias debiti).

Come ognuno sa, nel 1797 Venezia seguì il proprio ineluttabile destino, passando dapprima sotto il dominio dell’Austria, poi della Francia (Regno d’Italia napoleonico), quindi di nuovo dell’Austria e infine sotto il dominio sabaudo che si chiamò Regno d’Italia.

Napoleone agì nelle vesti di commissario liquidatore di ciò che da moltissimo tempo si preparava in Venezia e più in generale in Europa. La Storia, come diceva uno storico d’oltralpe di cui ora non mi viene il nome, va letta e interpretata sul “tempo lungo”.

Certo, quel mascalzone di Napoleone depredò Venezia di innumerevoli suoi tesori artistici, specie alcuni che l’amica Francia non ci ha mai restituiti. Ma chi al suo posto avrebbe agito diversamente? Del resto i francesi fecero a Venezia quello che essa fece a Costantinopoli, a cominciare dai celeberrimi cavalli di bronzo.

Scrive bene Ernesto Ferrero sul domenicale di oggi recensendo un librino: “non abbiamo mai fatto seriamente i conti nemmeno con l’eredità napoleonica”. Vero, in fatto di eredità ognuno vuol fare a modo suo.

(*) Su Campoformio sarebbe magari auspicabile un’occhiata all’omonimo lavoro di Roberto Cessi, che anche a distanza di molto tempo resta un caposaldo insuperato.


sabato 3 luglio 2021

Cristo è sempre fermo da qualche altra parte

 

La prima e l’unica volta che ho messo piede a Matera fu nella primavera del 1974. Vi capitai in modo quasi casuale, giungendovi dalla Puglia, percorrendo una lunga strada dritta, ai lati infinite teorie di ulivi, non si vedeva una sola abitazione, non incrociavi unanima viva. Non ho un buon ricordo di quella città, per il suo degrado, la sporcizia ovunque, come vedevo in altre città del Sud.

Matera nel 2019 fu capitale Europea della cultura. Sui cosiddetti sassi di Matera hanno imbastito ad oltranza, a cominciare da Radiotre. Di questi giorni è la storiella del proprietario di un B&B che s’è affacciato dal proprio terrazzino a torso nudo mentre sotto passavano i presunti Vip del G20. Insomma, nessuno se li sarebbe filati se non fosse stato per quell’episodio.

Di là della solita retorica e colore, a me pare invece interessante questo articolo sulla situazione della monnezza a Matera nel 2020. Anche lì ci sono i soliti “problemi”, nel senso che prima si differenzia, poi si fa tutto un mucchio. Il sindaco non perde occasione per vantare che la quota di raccolta differenziata in città è passata dal 33 al 45 per cento.

Quando la quota arriverà al 50 per cento, celebrazione nazionale dell’evento con l’intervento delle più note vedette politiche, televisive, teatrali e radiofoniche. 


giovedì 1 luglio 2021

La farsa del socialismo con caratteristiche cinesi

 

In Cina oggi si celebrano i 100 anni della fondazione del Partito comunista cinese. In realtà la data esatta sarebbe il 23 luglio, quando il congresso di fondazione del Partito Comunista Cinese si aprì in un dormitorio di una scuola femminile, nella Concessione Francese di Shanghai, spostandosi poi in una casa privata.

La dirigenza cinese ha buon motivo di celebrare con fasto l’anniversario. Chi avrebbe immaginato, non nel 1921, ma anche 50 anni dopo, che la Cina sarebbe diventata il gigante economico mondiale che è oggi? Non v’è dubbio sul ruolo storico del PCC, nei decenni che sono seguiti alla sua fondazione, nel porre fine all’umiliante subordinazione della Cina nei secoli XIX e XX alle potenze imperialiste e nella costruzione della nazione cinese.

I cinema sono tenuti a proiettare, due volte la settimana, film che glorificano il PCC, e le sale mettono in scena le cosiddette opere rivoluzionarie. Ottanta nuovi slogan, come “Segui il partito per sempre” e “Nessuna forza può fermare la marcia del popolo cinese”, sono presenti ovunque. Agli scolari è richiesto di scrivere saggi sul “sogno cinese” di Xi per trasformare la Cina in una grande potenza sulla scena internazionale. Eccetera.

L’altra faccia della Cina è data dal Reporting Center for Illegal and Unhealthy Information, una divisione dell’apparato di polizia di Internet della Cina, che ha aggiunto un nuovo livello alla sua già ampia censura annunciando una nuova struttura per combattere il “nichilismo storico” (sic!). I cittadini sono incoraggiati a segnalare post online che possano distorcere la storia del PCC rispetto alla litania ufficiale, attaccare la sua leadership o “calunniare eroici martiri”.

La dirigenza cinese ha buoni motivi per preoccuparsi, posto il diffuso disgusto per la burocrazia corrotta del partito, che rappresenta apertamente gli interessi degli strati più ricchi e benestanti della popolazione. La celebrazione ufficiale è costruita sulla menzogna, anzitutto quella che vuole il partito fedele ai suoi principi fondanti. In realtà il partito ha rinunciato molto tempo fa al programma su cui era stato fondato, e “il pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi” non ha nulla a che vedere con quel programma.

Storicamente la svolta cinese partì da più lontano, dal 1911, quando Sun Yat-sen, che aveva fondato il Kuomintang (partito nazionalista borghese), divenne presidente provvisorio di una Repubblica cinese, ma non riuscì a unificare il paese e a porre fine all’ingerenza straniera. Poi, all’indomani della prima guerra mondiale, le maggiori potenze vittoriose alla conferenza di pace di Versailles accolsero le rivendicazioni del Giappone sulla provincia di Shandong, già appartenuta alla Germania.

Quando la decisione divenne pubblica, provocò vaste proteste e scioperi nel maggio 1919. Quello che divenne noto come il movimento del 4 maggio nacque da un sentimento antimperialista e portò a un fermento intellettuale e politico molto più ampio, in cui Chen Duxiu e il suo stretto collaboratore Li Dazhao interpretarono ruoli da protagonisti.

Chen fu cofondatore del Partito Comunista Cinese nel 1921, divenendone anche primo presidente e segretario generale (1921-1927). Filosofo e professore universitario, teorizzò che la Cina si sarebbe potuta ammodernare solo se avesse abbandonato l’antica ideologia confuciana, ormai inadatta ad interpretare la società contemporanea. Tutto l’opposto di quanto viene teorizzato ora in Cina.

L’obiettivo del PCC negli anni Venti, sulla scorta della rivoluzione Russa, fu la rivoluzione socialista mondiale, tutt’altro con la concezione nazionalista reazionaria del “ringiovanimento della nazione cinese”, che è l’elemento centrale del “sogno” di Xi.

Il PCC non è un partito del “popolo”, tantomeno del proletariato cinese, ma il partito-Stato dell’apparato burocratico che governa la Cina. Anche secondo le sue stesse cifre ufficiali, i lavoratori rappresentano solo il 7% dei membri del partito, che è dominato in modo schiacciante da funzionari statali e comprende alcuni dei più ricchi miliardari della Cina.

In Cina, come in qualsiasi paese capitalista, il profitto privato e il mercato dominano ogni aspetto della vita. L’affermazione che la Cina, con le sue società multinazionali private, i ricchi miliardari, rappresenti un “socialismo con caratteristiche cinesi”, è una farsa. Il “sogno” di Xi di una potente nazione cinese non ha nulla a che fare con il socialismo o il comunismo.

L’obiettivo del Partito sedicente comunista cinese è quello di aumentare il proprio rilievo nell’ordine capitalista mondiale. Obiettivo che si scontra inevitabilmente con il posto occupato e il ruolo giocato dall’altro gigante capitalista. Un confronto che non potrà evolvere a lungo in maniera pacifica.