lunedì 21 giugno 2021

Dal conte Camillo al professor Mario

 

Non da oggi, ma soprattutto in questi ultimi tempi, si sono formalizzate esplicitamente delle maggioranze parlamentari trasformiste. Vuoi per ragioni contingenti, come il governo in corso, vuoi per opportunismo, come nel caso dei due governi precedenti. I governi non rappresentano più uno schieramento di maggioranza, ma sono espressione di occasionali comparanze, tanto che qualsiasi programma politico, quando c’è, resta lettera morta (la bibbia M5S-Lega di tre anni fa?).

Sappiamo che non esistono più recinti ideologici e che l’identità politico-ideale è quanto di più evanescente e intercambiabile sia dato nel regno della politica parlamentare, tanto quanto sono instabili gli orientamenti politici dei ceti sociali in tutte le loro stratificazioni. Non è più tempo di formali abiure e mutazioni identitarie: ai parlamentari si chiede solo e semplicemente il voto in aula e nelle commissioni, il resto si decide altrove. È storia vecchia, anche se mai in epoca repubblicana le infedeltà e le apostasie avevano raggiunto l’indecenza attuale.

A metà legislatura, 200 sempiterni Fregoli, oltre un quinto dei parlamentari, erano passati ad altri gruppi rispetto a quelli cui s’erano iscritti ed erano stati eletti. Si pensi solo che Italia Viva non era presente alle elezioni, e però adottando un simbolo che vi aveva concorso, si è costituita come gruppo autonomo.

Resta il retaggio feudale, psicologico e prosaico, quello di misurare la lealtà in termini di favori resi e ricevuti. Anche molti di coloro che, non più tardi del 2018, erano stati eletti come alternativa radicale facendo leva sull’interclassismo, si sono piegati, volenti o nolenti, allo status quo. Scriveva uno storico inglese il 22 giugno 1976 su Le Monde come la formula trasformistica sia “il modello della vita politica italiana”, tanto che anche Mussolini se ne servì come “mezzo per dividere e convogliare una parte dell’opposizione liberale verso il fascismo”.

Gli antecedenti “nobili” si rintracciano già in Cavour (il Connubio con Rattazzi), poi in Depretis, e ne furono maestri Crispi, che paradossalmente il trasformismo del suo predecessore aveva aspramente biasimato, e ovviamente Giolitti. Fino a giungere al “compromesso storico” DC-PCI, in mancanza di alternative politiche e come soluzione necessaria per uscire dalla crisi economica, per mettere ordine nelle fabbriche e freno all’antagonismo sociale che guardava con sempre maggior interesse alla guerriglia metropolitana.

Oggi assistiamo all’ammucchiata di Lega, Forza Italia, Pd, M5S ed epigoni della defunta sinistra. Chi l’avesse pronosticato solo due anni fa sarebbe stato sottoposto a TSO. Chi dai palchi grillini avesse vaticinato come guida del M5S uno sconosciuto avvocato devoto a Francesco Forgione sarebbe stato tacciato di provocazione.

Quanto a Mario Draghi, il suo compito non è quello di tracciare nuove linee economiche del Paese, già definite a livello continentale, ma di prendersi cura d’indirizzare i cospicui finanziamenti europei destinati all’Italia. Tutto ciò ha bisogno di riforme strutturali, di cui si favoleggia da Massimo Taparelli in qua. Non solo perché “lo chiede l’Europa”, ma per risalire un po’ quelle classifiche che ci vedono impietosamente al penultimo posto in Europa.

Tuttavia senza una ridefinizione dello Stato e delle forze politiche che di tale processo dovrebbero farsi carico, tale compito resta una chimera. Il terreno di scontro sarà more solito la spartizione dell’ingente bottino, con lasche maglie nelle quali s’infiltrerà il clientelismo politico e quella malavita di cui s’è fatto scuola al mondo intero.


2 commenti:

  1. Non so se sono in molti a capire il pericolo che ci sovrasta. Non c'è solo la tendenza a deviare la spesa verso i clientes e la malavita. Qui c'è un'inversione perversa del processo. Facciamo l'esempio della finanza privata di uno di noi. Io posso decidere di comprarmi quello che preferisco, e se sono un tipo "frugale" metterò i soldi nell'acquisto di un appartamento, oppure sull'istruzione dei figli, eccetera. Se sono un farfallone, spenderò in viaggi, ristoranti, droga, puttane. Ma il processo è: prima individuo l'esigenza di spesa, poi stanzio la somma necessaria.
    Con i fondi europei, il processo si inverte: ho a disposizione una certa somma, e entro breve devo decidere come spenderla e poi anche spenderla. Devo cioè creare le esigenze di spesa. Non sorprende che il processo sia iniziato con una specie di referendum nei ministeri, dal quale sono uscite idee come "metto i condizionatori negli uffici che ne sono sprovvisti".
    Tutti questi soldi poi bisognerà restituirli.
    Io spero sinceramente che i paesi cosiddetti "frugali" l'abbiano vinta, e i soldi ci siano negati.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Giusto e acuto. In un mondo normale sarebbe perfino banale. Lo è in una famiglia, ma non nel governo delle cose comuni.

      Elimina