mercoledì 30 giugno 2021

Il carcere, specchio dei rapporti sociali

 

I media hanno scoperto che nelle carceri si praticano sevizie e tortura. Questione di un paio di giorni, dopodiché la questione passerà nelle pagine interne e poi più nulla.

Nel corso del tempo l’arte di punire s’è “addolcita” e affinata l’ideologia del controllo. S’è trasformato l’arcipelago carcerario, almeno apparentemente, superando certe situazioni descritte in film come Detenuto in attesa di giudizio di Nanni Loy (gli intellettuali di sinistra svolgevano ancora una funzione sociale progressista).

Nella sostanza della realtà non è cambiato nulla, come del resto e da ultimo testimoniano le immagini provenienti dal carcere di Capua.

All’origine c’è una contraddizione sulla quale si sorvola: da un lato l’utopia del recupero del “deviante” per restituirlo al contesto sociale; dall’altro il pregiudizio di pericolosità che impedisce la reintegrazione.

Nel primo caso il carcere avrebbe una funzione terapeutica, ossia quella di curare per restituire il malato alla sanità della norma; nel secondo caso, la prigione si chiude nell’impermeabilità delle sue mura, nella separatezza e morte civile.

Queste due funzioni, quella sociale/terapeutica e quella disciplinare/repressiva, coesistono e s’influenzano a vicenda, ma la loro bivalenza non può emergere che in modo contraddittorio, prevalendo ora l’una ora l’altra tendenza.

Anche l’utopia riformatrice dei decenni scorsi, non ha fatto altro che riconfermare l’aporia originaria, della cui esistenza tali riforme sono il prodotto, come volontà di superare questa dicotomia. Che però è organica al modello carcerario stesso, il quale è specchio, in ogni epoca, dei rapporti sociali vigenti e delle relative forme di dominio.

lunedì 28 giugno 2021

Ipotesi non fingo


La versione non classificata del rapporto preliminare sui fenomeni aerei non identificati (UAP), presentata dall’Ufficio del Direttore dell’Intelligence Nazionale (ODNI) al Congresso statunitense, in esito a quanto stabilito dal Rapporto 116-233 del Comitato Ristretto per l’Intelligence del Senato, che accompagnava l’Intelligence Authorization Act del 2021, è stata accolta con molta delusione dai media.

domenica 27 giugno 2021

A volte

 

Pare che Alessandro Sallusti, il giornalista che contende l’amore della Gruber con Travaglio, abbia scritto che “essere culturalmente liberisti non è un reato”. S’è per questo neanche trafficare con l’ideologia fascista è un reato. L’Italia è esportatrice netta di questo genere di cultura. Insomma, Sallusti è libero come tutti di credersi e sentirsi ciò che vuole; la questione va ben oltre l’aspetto individuale, abbraccia il grado di evoluzione della coscienza sociale.

La coscienza individuale e con essa quella sociale non è in mano nostra, o almeno non come si crede comunemente. Ogni individuo, nel corso della sua attività, mediata dalla comunicazione, assimila rappresentazioni e concetti elaborati da altri e si forma in tal modo una coscienza “spontanea”. Tuttavia, in ogni epoca storica, tale attività si svolge in una posizione subordinata all’interno di determinati rapporti sociali, interiorizzando delle forme illusorie dell’ideologia della classe dominante.

Il rapporto padrone-schiavo, padrone-servo, padrone-salariato, padrone-giornalista, prete-fedele, eccetera, sono esempi di coscienza che nel processo della sua costruzione è interamente sottomessa a determinati rapporti sociali e all’ideologia che ad essi corrisponde.

Con ciò non voglio dire che la classe dominante manipola la coscienza di ognuno a suo piacere. Nella formazione sociale capitalistica, posizione di classe e forme della coscienza vivono irrisolvibili contraddizioni. Perciò la manipolazione è sì reale, ma soprattutto instabile e mai definitiva, posto che è contraddetta dalla pratica sociale entro le contraddizioni materiali che si vengono a determinare giorno dopo giorno.

Ecco dunque perché non si diventa liberisti, fascisti, comunisti o altro per caso, e perché Sallusti e altri come lui, a volte, possono apparire culturalmente perfino meno sgradevoli di ciò che in realtà essi sono.

sabato 26 giugno 2021

In vacanza con Nice

 

Immagino che oggi l’attenzione dei molti lettori di questo blog sia rivolta agli eventi di cui si parla, tra tutti: 1) la defatigante diatriba sulla genuflessione della nazionale di calcio, faccenda che da una settimana divide inesorabilmente famiglie e amici; 2) il rapporto del Pentagono sugli Ufo (non mancherò di parlarne nei giorni più caldi); 3) lo scontro Grillo-Conte; 4) l’allarme sulla variante Covid, che ci accompagnerà per tutta l’estate e deflagrerà in autunno quando i soliti noti ritorneranno dalle lunghe ed estenuanti vacanze ai loro stazzi televisivi; 5) il ddl Zan, che prevede assistenza legale, sanitaria, psicologica e vitto e alloggio alle vittime di reati d’odio e discriminazione.

Avessi l’occasione, presenterei un emendamento per ottenere perequazione di trattamento anche a favore di chi, dichiaratosi comunista, si sentisse in quanto tale discriminato ed oggetto d’odio.

Invece racconto una storiella, vera quanto brevissima. La Val Fex si trova a pochi chilometri oltre il confine italiano, a nord del Parco delle Orobie bergamasche. Un’allegra compagnia sta percorrendo la valle, quando qualcuno ricorda che qui ha trovato riposo finale il direttore d’orchestra Claudio Abbado. Un altro escursionista indica la casa di Nietzsche. Ed è a questo punto che una procace e avvenente ma non particolarmente coltivata signora, che ha già sentito menzionare il nome di “Nice” e non vuol farsi sfuggire l’occasione di raccogliere punti premio, chiede: “è qui che viene a trascorrere le vacanze?”.


giovedì 24 giugno 2021

A che punto è la notte

 

Ieri, sul Corriere della sera, Ernesto Galli pubblicava un suo articolo dal titolo: Le illusioni della Cina.

La Cina è accusata dall’editorialista di aver fatto del «capitalismo una sorta di prigione con dentro delle macchine. Non già invece, come un certo Carlo Marx sosteneva a suo tempo, una formazione storico-sociale complessa che è fondata sul principio di libertà, sia pure inizialmente “astratta e formale” quanto si vuole, che però ha finito per improntare di sé tutte le relazioni tra gli uomini, dando vita a infinite contraddizioni destinate tuttavia a rivelarsi un formidabile motore di progresso storico».

Va da sé che lo sfruttamento dei lavoratori cinesi costituisce benefico motivo di sviluppo se avviene in occidente, mentre in Cina è prigione. Ed è per il forte anelito di libertà capitalistica occidentale che le nostre Luane D’Orazio continuano ad offrire le proprie vite in olocausto al progresso storico occidentale.

Proprio in questi giorni sul Corriere e altra stampa avevo letto altre cose a proposito del lavoro nero e dello sfruttamento di quei famosi “camerieri” che non si fanno trovare abbastanza numerosi, ma si tratta di una categoria di schiavi marginale.

Alla stessa stregua possiamo considerare un “formidabile motore di progresso storico” anche gli atti di barbarie e le infami atrocità dei cosiddetti cristiani in ogni regione del mondo e contro ogni popolo che sono riusciti a soggiogare e che non trovano parallelo in nessun’altra epoca della storia della terra, in nessun’altra razza, per quanto selvaggia e incolta, spietata e spudorata?

Non sono parole mie, ma quelle di un “uomo che si è fatto una specialità del cristianesimo”, poi riprese da Karl Marx. Il quale, è noto a tutti, considerava lo sfruttamento del lavoro una delle «infinite contraddizioni destinate tuttavia a rivelarsi un formidabile motore di progresso storico».


mercoledì 23 giugno 2021

Dopo la Francia, l'Italia

Del primo turno delle elezioni regionali di domenica scorsa in Francia mi pare se ne sia parlato poco e di malavoglia. Ci scaldiamo per cose di ben altro momento, tipo la stringente ramanzina del card. Giacomo Antonelli respinta al mittente da Camillo Benso.

Queste elezioni, che per l’establishment politico francese rappresentano un indicatore per quelle presidenziali del prossimo anno, sono state caratterizzate da uno storico tasso di astensione. L’affluenza nazionale è solo del 32,8 per cento, con l’astensione al 67,2 per cento, un record per le elezioni a due turni sotto la V Repubblica. Nel 2015 l’astensione alle elezioni regionali era stata del 49,9 per cento; l’astensione più alta di sempre era stata quella del 2010, al 53 per cento. Il tasso di astensione nelle regionali del 1986 era appena del 22,7 per cento.

I gilets jaunes sono solo una spia del diffuso malessere francese. Ha scritto Le Monde: «questa astensione degli elettori è un segno di una democrazia malata, di una delusione politica che sta prendendo piede e della sensazione che “votare è inutile”». C’è voluto un po’ per arrivare a questo punto, ma alla fine sono andati a votare solo i parenti, amici e clienti dei candidati. Per chi suona la campana? Ci diranno, per spaventarci, che suona per la “democrazia”. Balle. Sono loro che l’hanno confiscata.

Le elezioni regionali nominano 1.767 consiglieri regionali per sei anni nelle 12 regioni metropolitane francesi. Al primo turno, se una lista ottiene la maggioranza assoluta dei voti espressi, ottiene un quarto dei seggi da coprire. I restanti seggi sono ripartiti per rappresentanza proporzionale tra tutte le liste che hanno ottenuto almeno il 5 per cento dei voti espressi.

Nessun partito ha ottenuto la maggioranza assoluta dei voti espressi, perciò sarà necessario un secondo turno in tutte le regioni. Possono candidarsi al secondo turno i partiti che hanno ottenuto almeno il 10 per cento dei voti espressi, ed eventualmente unirsi a liste con almeno il 5 per cento dei voti (*).

Macron è screditato e non è riuscito a vincere in Hauts-de-France, Auvergne Rhône Alpes e Occitania. Il presidente corre dietro con le sue leggi al programma della Le Pen, affossa la legge del 1905 sulla laicità e sulla separazione tra Chiesa e Stato, il suo Ministero della Cultura, tanto per dire, ha tentato di far pubblicare le opere di Charles Maurras, il leader antisemita dell’Action Française, un pilastro del regime di Vichy. Certa letteratura sospinta continua ad affascinare in Francia come qui da noi.

Il primo round è stato una delusione anche per il RN di Le Pen. In precedenza, sondaggi e media prevedevano che sarebbe arrivato primo in sei o sette regioni. In realtà, il voto RN è diminuito rispetto alle elezioni regionali del 2015, in cui aveva preso quasi il 28 per cento dei voti al primo e al secondo turno, ovvero 6,8 milioni di voti. Nel 2015 la RN non ha vinto in nessuna regione al secondo turno, ma aveva ottenuto 358 consiglieri regionali, tre volte di più rispetto al passato.

Tuttavia, nonostante il calo dei voti al primo turno, i neofascisti rimangono una delle principali forze politiche consolidate in Francia, mentre per la sinistra di Mélenchon, che aveva ricevuto poco meno del 20 per cento dei voti alle elezioni presidenziali del 2017, il risultato del 4,2 per cento è una catastrofe. Quale reale e credibile alternativa può rappresentare la sinistra liberale? Gente che definisce Philippe Pétain come un “grande soldato”!

Qualunque possa essere l’esito finale delle elezioni regionali francesi, così come di quelle presidenziali del prossimo anno, nessuno dei problemi fondamentali della Francia potrà trovare soluzione.

Più in generale, per chi sta alla base della piramide, al momento non vi sono opzioni praticabili. Del resto per fare che cosa? I grandi mutamenti possono avvenire solo a livello globale, e un mutamento sostanziale delle società è già avvenuto da decenni. Il movimento di tutti gli strati di classe è determinato e condizionato dalle scelte della grande borghesia cosmopolita, che ha saputo imporre la propria egemonia ideologica su ogni segmento sociale, lasciando alla sinistra parlamentare di rincorrere i diritti civili e ad altri di agognare l’autonomia amministrativa (in Italia) o l’indipendenza (Catalogna, Scozia, ecc.).

(*) Il Rassemblement National di Marine Le Pen si è assicurato il maggior numero di voti nella regione Provenza-Alpi-Costa Azzurra (PACA). I repubblicani (LR) hanno vinto in Hauts-de-France (43,1 percento), Grand Est (31,5 percento), Normandia (35,1 percento), Pays de la Loire (34,1 percento) e Auvergne-Rhône-Alpes (43,8), e nell’Ile-de-France (34,2). Il Partito socialista ha ottenuto il primo posto in cinque regioni: Centre-Val de Loire (25,6 percento), Nouvelle-Aquitaine (28,6 percento), Occitanie (39,6), Borgogna-Franca Contea (26,2) e Bretagna (20,8). In Corsica, il partito autonomista è in testa con il 28 per cento dei voti.

A livello nazionale, secondo stime, i risultati del primo turno per partito sono: LR e suoi alleati 27,2 per cento; Rassemblement National 19,3; il PS e i suoi alleati 17,6; Ecologia Europa-Verdi e alleati, 12,5; Republic on the Move di Macron e i suoi alleati 11,2; LFI e alleati di Mélenchon 4,2. 


 

martedì 22 giugno 2021

Un’estate alla grande

 

Per quanto abbia speso occasionalmente (per ciò che vale, ovvio) qualche parola a favore di una più equa distribuzione del carico fiscale, segnatamente a partire delle imposte di successione e le donazioni, vale a dire rispetto a una misura di minima decenza per potere poi avere la faccia di dire altro, tuttavia non mi nascondo che nella nostra epoca serve ben altro, ossia un progetto nuovo di società.

Se bastasse evocare la trita litania sulla socializzazione dei mezzi di produzione e altre perline da infilare nel lungo filo che ci porterà al “comunismo”, ossia se potessimo risolvere l’equazione pur non disponendo nei suoi termini degli elementi della sua soluzione, l’umanità si sarebbe tolta un gran peso da un pezzo. Evidentemente non è mera questione etica e di decreti attuativi.

Allo stesso modo, per quanto riguarda il riformismo, non bastano des idées qui reviennent, come sa quel 66 per cento di francesi che alle elezioni di domenica scorsa non si sono dati la pena di votare. Non basta promettere una più rigida tassazione delle multinazionali, paventando di far piangere i ricchi e i ricchissimi. I padroni del mondo hanno buoni motivi per continuare a ridere per puerilità del genere spacciate da un secolo in qua come risolutive delle “disarmonie” economiche del “migliore dei mondi possibili” (frase che i Leibniz odierni ripetono sorseggiando Balvenie).

Non so quanto ce ne stiamo rendendo conto, ma siamo ben dentro a un cambiamento climatico repentino, sempre a un passo da un’escalation bellica generale, con una situazione di debito pubblico e privato non più gestibile, una crisi finanziaria incipiente, prezzi delle materie prime alle stelle, e per giunta con le discoteche chiuse e camerieri che non hanno più voglia di servire ai tavoli. È evidente che ciò rischia di rovinarci le vacanze. Ma infine giunge una buona notizia che alimenta la speranza di unestate alla grande: il presidente del consiglio Mario Draghi promette di destinare il corrispettivo di 14.000.000.000.000 di vecchie lire nella lotta “alle diseguaglianze”, ossia per “ridurre le disparità di genere”.


lunedì 21 giugno 2021

Dal conte Camillo al professor Mario

 

Non da oggi, ma soprattutto in questi ultimi tempi, si sono formalizzate esplicitamente delle maggioranze parlamentari trasformiste. Vuoi per ragioni contingenti, come il governo in corso, vuoi per opportunismo, come nel caso dei due governi precedenti. I governi non rappresentano più uno schieramento di maggioranza, ma sono espressione di occasionali comparanze, tanto che qualsiasi programma politico, quando c’è, resta lettera morta (la bibbia M5S-Lega di tre anni fa?).

Sappiamo che non esistono più recinti ideologici e che l’identità politico-ideale è quanto di più evanescente e intercambiabile sia dato nel regno della politica parlamentare, tanto quanto sono instabili gli orientamenti politici dei ceti sociali in tutte le loro stratificazioni. Non è più tempo di formali abiure e mutazioni identitarie: ai parlamentari si chiede solo e semplicemente il voto in aula e nelle commissioni, il resto si decide altrove. È storia vecchia, anche se mai in epoca repubblicana le infedeltà e le apostasie avevano raggiunto l’indecenza attuale.

A metà legislatura, 200 sempiterni Fregoli, oltre un quinto dei parlamentari, erano passati ad altri gruppi rispetto a quelli cui s’erano iscritti ed erano stati eletti. Si pensi solo che Italia Viva non era presente alle elezioni, e però adottando un simbolo che vi aveva concorso, si è costituita come gruppo autonomo.

Resta il retaggio feudale, psicologico e prosaico, quello di misurare la lealtà in termini di favori resi e ricevuti. Anche molti di coloro che, non più tardi del 2018, erano stati eletti come alternativa radicale facendo leva sull’interclassismo, si sono piegati, volenti o nolenti, allo status quo. Scriveva uno storico inglese il 22 giugno 1976 su Le Monde come la formula trasformistica sia “il modello della vita politica italiana”, tanto che anche Mussolini se ne servì come “mezzo per dividere e convogliare una parte dell’opposizione liberale verso il fascismo”.

Gli antecedenti “nobili” si rintracciano già in Cavour (il Connubio con Rattazzi), poi in Depretis, e ne furono maestri Crispi, che paradossalmente il trasformismo del suo predecessore aveva aspramente biasimato, e ovviamente Giolitti. Fino a giungere al “compromesso storico” DC-PCI, in mancanza di alternative politiche e come soluzione necessaria per uscire dalla crisi economica, per mettere ordine nelle fabbriche e freno all’antagonismo sociale che guardava con sempre maggior interesse alla guerriglia metropolitana.

Oggi assistiamo all’ammucchiata di Lega, Forza Italia, Pd, M5S ed epigoni della defunta sinistra. Chi l’avesse pronosticato solo due anni fa sarebbe stato sottoposto a TSO. Chi dai palchi grillini avesse vaticinato come guida del M5S uno sconosciuto avvocato devoto a Francesco Forgione sarebbe stato tacciato di provocazione.

Quanto a Mario Draghi, il suo compito non è quello di tracciare nuove linee economiche del Paese, già definite a livello continentale, ma di prendersi cura d’indirizzare i cospicui finanziamenti europei destinati all’Italia. Tutto ciò ha bisogno di riforme strutturali, di cui si favoleggia da Massimo Taparelli in qua. Non solo perché “lo chiede l’Europa”, ma per risalire un po’ quelle classifiche che ci vedono impietosamente al penultimo posto in Europa.

Tuttavia senza una ridefinizione dello Stato e delle forze politiche che di tale processo dovrebbero farsi carico, tale compito resta una chimera. Il terreno di scontro sarà more solito la spartizione dell’ingente bottino, con lasche maglie nelle quali s’infiltrerà il clientelismo politico e quella malavita di cui s’è fatto scuola al mondo intero.


venerdì 18 giugno 2021

Però a Roma non finisce come l’altra volta

 

Questa mattina, a Radiotre, un ascoltatore telefonava per magnificare il dibattito che si è tenuto tra i candidati a sindaco del Comune di Roma. Mah, c’è chi si compiace di politica ridotta a un miserabile gioco mediatico-narcisistico. Discorsi, discorsi, promesse, promesse, vento, vento ... . Non la smettono di scatenare buone intenzioni senza futuro.

È mia opinione (ognuno ne ha almeno una su ogni argomento) che chiunque sarà eletto sindaco nel prossimo settembre o nelle elezioni del 2051, la situazione in cui versa Roma resterà sostanzialmente tale e quale. Per una molteplicità di motivi, alcuni dei quali sarebbe antipatico rievocare nel dettaglio.

Ciò vale anche per altre città, delle quali mi pare pleonastico fare il nome. Se può consolare, Vicenza è una delle città europee con l’aria più impestata. Così titola oggi un giornale locale come fosse una rivelazione.

Un altro ascoltatore telefonava per denunciare la miriade di norme e adempimenti cui è tenuto il soggetto che voglia avvalersi del famigerato superbonus 110% sulle ristrutturazioni edilizie. Diceva che per districarsi in quel ginepraio osceno (numerosi gli interventi interpretativi dell’agenzia delle Entrate, del ministero dello Sviluppo economico e dell’Enea, mentre la ristampa della guida del Sole 24ore conta un centinaio di pagine!), sono necessari consulenti e tecnici di ogni tipo, dagli architetti ai notai passando per i certificatori ed esperti di burocrazia.

Pertanto si tratta di un provvedimento legislativo, finanziato con soldi pubblici, che andrà a vantaggio di chi può permettersi di sostenere questo tipo di spese per comporre il puzzle dei requisiti, dei controlli, delle attestazioni, delle detrazioni, della cessione del credito o dello sconto in fattura. In ultima analisi ne beneficerà soprattutto chi di soldi pubblici regalati non ne avrebbe bisogno.

Viviamo in una società che sta diventando sempre più classista e democraticamente autoritaria. A fronte di questa situazione vi è chi sogna una rivoluzione comunista foriera di uguaglianza e giustizia sociale. Anch’io un tempo facevo di questi sogni, che temperavo con un pizzico di realismo a riguardo della non emendabilità di certi fatti in una società molto complessa qual è la nostra.

Ora è più ricorrente un altro sogno: l’arrivo dei marziani. Però a Roma non finisce come laltra volta. Stavolta è come lApocalisse dello pseudo Giovanni. 

Che ci posso fare, ai sogni non si comanda e stamattina butta così.

giovedì 17 giugno 2021

Come ebbe a dire quel Lord britannico

 

La Federal Reserve, la principale banca centrale del mondo, nella riunione conclusasi ieri, ha indicato che non farà nulla che possa essere interpretato come un ritiro del sostegno alla montagna di debito e di capitale speculativo (80 miliardi di dollari al mese di bond più 40 di asset backed securities) che le sue politiche hanno creato negli Stati Uniti e nel mondo e continuerà ad immettere denaro praticamente gratis (0-0,25%), cosa che ha consentito l’ulteriore arricchimento dell’oligarchia finanziaria a livelli mai visti prima nella storia.

La Fed potrebbe iniziare ad aumentare il suo tasso d’interesse base alla fine del 2023 anziché nel 2024, come era stato indicato in precedenza, ma in realtà non ha mosso un dito per cambiare la sua politica monetaria, in attesa di vedere “l’andamento dell’inflazione o le aspettative di inflazione di lungo termine”.

In vista della riunione, negli ambienti finanziari era stata sollevata la questione se la Fed avrebbe iniziato a ridurre i suoi acquisti di attività finanziarie. Il presidente, Jerome Powell, ha offerto rassicurazioni sul fatto che non sarebbe stato fatto nulla per innervosire i mercati finanziari. Riporta il Sole 24ore: “le interruzioni delle forniture, aumentano la possibilità che l’inflazione diventi più elevata o sia più persistente di quanto ora ci aspettiamo”.

Prima della crisi finanziaria globale del 2008, la Fed deteneva nei suoi libri attività finanziarie per un valore di circa 900 miliardi di dollari. Tale importo è salito rapidamente a oltre 4.000 miliardi e poi di nuovo a oltre 8.000 nel 2020 ed è ora in procinto di raggiungere almeno 9.000 miliardi entro la fine di quest’anno (più di tre volte il debito pubblico italiano, per dare un’idea di grandezza).

Le politiche della Fed, che sono state seguite da altre grandi banche centrali, hanno avuto due effetti. In primo luogo hanno direttamente facilitato il trasferimento di ricchezza nelle mani dell’oligarchia finanziaria e aziendale globale. Dati pubblicati da Forbes ad aprile dicono che nel solo 2020 la ricchezza patrimoniale collettiva dei miliardari del mondo è aumentata del 60 percento, da 8.000 a oltre 13.000 miliardi, descritta dalla rivista come “la più grande accelerazione della ricchezza nella storia umana”.

In secondo luogo questa politica monetaria ha creato una montagna di debiti. In un articolo sul Wall Street Journal di questa settimana si legge che dopo aver emesso 1.700 miliardi di obbligazioni lo scorso anno, quasi 600 milioni in più rispetto al precedente massimo, il debito totale delle società statunitensi alla fine di marzo ammontava a 11.200 miliardi, equivalente a circa la metà del prodotto interno lordo degli Stati Uniti.

Stessa situazione in Europa, dove migliaia di aziende sono sostenute solo dalla politica del tasso d’interesse zero della Banca centrale europea e dai suoi acquisti di attività finanziarie, nonché dal sostegno diretto dei governi nazionali. Se così non fosse, s’innescherebbero in tutta Europa (dunque non solo in Italia) decine di migliaia di fallimenti.

La creazione di un indebitamento mostruoso è una delle conseguenze delle politiche monetarie delle banche centrali. L’ondata di denaro a tasso prossimo allo zero nel sistema finanziario globale ha promosso una gigantesca giostra speculativa, che va dalle materie prime alle abitazioni, alle azioni e alle criptovalute, solo per citare alcuni esempi. È saltato qualunque rapporto reale tra prezzo delle azioni e il valore che esse rappresentano. Il rendimento delle obbligazioni societarie spazzatura, quelle con rating inferiore allo status di investment grade, è sceso ai minimi storici.

Insomma, mi pare evidente che le banche centrali non possono staccare la spina alla speculazione aumentando i tassi, se non vogliono terremotare il sistema finanziario, ma nel contempo il debito pubblico (e privato) continua ad aumentare e diventa sempre più ingestibile. I nodi verranno al pettine, è solo questione di tempo, come ebbe ad osservare banalmente anche quel Lord britannico di cui al momento non mi viene il nome.


martedì 15 giugno 2021

La NATO, vera minaccia per la pace

 

Il comunicato NATO del vertice di Bruxelles è di 79 paragrafi. Sarebbe interessante esaminarne una buona parte, ma confido che Federico Rampini, nella sua obiettività e indipendenza, saprà colmare le mie inevitabili lacune.

Al paragrafo 50 si legge: “Gli alleati chiedono alla Russia di tornare alla piena attuazione e al rispetto della lettera e dello spirito di tutti i suoi obblighi e impegni internazionali, che è essenziale per ricostruire la fiducia, la trasparenza militare e aumentare la prevedibilità nella regione euro-atlantica”.

Quanta ipocrisia. Che fine ha fatto la famosa promessa fatta a suo tempo dal segretario di Stato americano James Baker, in un incontro con il leader sovietico Mikhail Gorbaciov, che la NATO non si sarebbe mossa “di un pollice a est”?

Quella promessa non fu l’unica nel suo genere. Nel processo di riunificazione tedesca dal 1990 al 1991, Gorbaciov e altri funzionari sovietici ricevettero, da parte dei leader occidentali, tutta una serie di garanzie riguardo alle questioni sulla sicurezza dell’Unione Sovietica. Ciò è evidenziato da documenti declassificati americani, sovietici, tedeschi, britannici e francesi pubblicati dai National Security Archives della George Washington University.

I russi non dimenticano l’alto tributo di sangue e distruzioni pagato nell’ultimo conflitto a causa dei fascismi che sono sorti in seno alle “democrazie” europee. Né possono dimenticare l’atteggiamento delle stesse democrazie assunto negli anni Trenta, che isolavano la Russia lasciandola in balìa dell’autore del Mein Kampf.

La NATO, dall’annessione della DDR alla Germania dell’Ovest (*), ha iniziato l’espansione verso est, che è proseguita in varie tappe e non si è ancora fermata. Un’area geopolitica stabile è entrata in un gigantesco arco d’instabilità, che parte dal Medio Oriente e interessa l’Afghanistan, il Caucaso e giunge fino al Baltico, con un susseguirsi di atti di aperta provocazione in prossimità dei confini e delle zone d’influenza della Russia.

Non è dunque vero (para. 1) che la NATO è “un’Alleanza difensiva che lotta per la pace, la sicurezza e la stabilità in tutta l’area euro-atlantica”. La NATO è lo strumento militare della strategia statunitense per mantenere e ampliare il dominio americano in Europa e dovunque le riesca, destabilizzando e minacciando guerre per chi non vi si assoggetta.

(*) Non fu creato un nuovo Stato, ma si trattò di una “incorporazione”, ossia di un’annessione (Beitrittsgebiet): vedi Trattato di risoluzione finale per la Germania o Trattato dei 2+4. Il Trattato 2+4 stabiliva che né le truppe della NATO né le armi nucleari sarebbero state schierate sul territorio dell’ex DDR.


lunedì 14 giugno 2021

Le bestemmie che affascinano Franco Cardini

 

Franco Cardini, studioso che non ha bisogno di presentazioni, sul Domenicale è recensore di un libro di Alessandro Barbero, definito “divo del piccolo schermo” e divulgatore “geniale”, che sa “saltabeccare”, cioè passare da un argomento storico a un altro, con “nonchalance”.

Il prof. Barbero è persona simpaticissima e competente, ben altra cosa rispetto alla serialità televisiva sword and sandal. Tuttavia mi chiedo se sia appropriato accostargli un poker di nomi quali William Faulkner, Mark Twain, Margaret Mitchell e Harriet Stowe per tratteggiarne la scrittura “ruvida e a un tempo maestosa”.

Il libro di Barbero è un esercizio “psicoanalitico-mnemotecnico”, nota il professore fiorentino, un “monologo ininterrotto per 262 pagine di un vecchio reduce quasi centenario che mastica tabacco inchiodato alla sua poltrona”. In C’era una volta il west c’è anche la sputacchiera.

Non manca un riferimento alla “banalità del male”, un must, né agli “idilli amorosi d’una sensualità tutta e solo carnale”, youporn ante litteram, e alle “bestemmie e bevute che ti disgustano” e ciò malgrado, “misteriosamente, ti affascinano”, scrive il “pertinace cattolico” Cardini.

Corri fiducioso in libreria, lettore, affrettati d’impeto, finché “il ventre che l’ha partorito è ancora gravido”, rammentando che “Questa è fortuna editoriale e mediatica, studio, intelligenza, lungimiranza”, certifica il professore emerito.

Posso capire che il recensore punti a riscuotere il pattuito tessendo le lodi di un collega di vaglia che pratica la divulgazione storica con arte, però mi pare che l’enfasi si sia spinta fino a diventare marchetta. A tal punto che sorge il sospetto che in realtà Cardini abbia voluto divertirsi con una birichinata.

domenica 13 giugno 2021

A piedi non si sbaglia mai

 

“Senza musica la vita sarebbe uno sbaglio” [Irrtum], è un celebre aforisma di Nietzsche. L’interpretazione comune di questa frase è estensiva, mentre il filosofo richiamava l’attenzione sull’indispensabilità delle lezioni di musica nelle scuole. L’affermazione che la musica è la più sociale di tutte le arti non è nuova. E per quanto riguarda lo sport, segnatamente il gioco del calcio?

Il gioco del calcio non piace a tutti. Del resto nemmeno la musica. Ascoltavo la settimana scorsa un’intervista a Walter Siti su Classica HD, nella quale dichiarava, appunto, non solo di non essere interessato alla musica, ma di sfuggirla. Non siamo fatti tutti della stessa argilla, e del resto sono gli dèi a farci dono delle nostre sensibilità e passioni.

sabato 12 giugno 2021

Giovanni Gentile e il suo "fattore di forza morale"

 

Lo storico della filosofia Guido de Ruggiero sintetizzava il giudizio degli oppositori del fascismo a riguardo di Giovanni Gentile: «Fuori del fascismo, cioè fuori dalla catena servile, il giudizio su di lui è formato da un pezzo. Si può usare qualche indulgenza verso l’uomo della piazza che getta fango su cose di cui ignora il valore; ma l’uomo educato e colto che s’incanaglia è quanto di peggio possa offrire la specie umana».

Gentile, fin dalla sua costituzione, sarà componente del Gran Consiglio del fascismo, oltre che ministro del governo Mussolini. Insomma un alto esponente del fascismo, uno di quelli che getteranno “le basi infrangibili dello Stato fascista”.

Solo per dar conto della sua fluente produzione editoriale degli anni Venti: Che cos’è il fascismo (Vallecchi 1925); I fondamenti ideali: che cos’è il fascismo (De Alberti, 1926); L’essenza del fascismo (Utet, 1928); Fascismo e cultura (Treves, 1928); Origini e dottrina del fascismo (Libreria del Littorio, 1929). Nel 1931 pubblica La filosofia dell’arte, dal 1934 in compendio a uso delle scuole, che Benedetto Croce definisce come “il pensare di un mezzo idiota”. Eccetera.

Sul finire degli anni Venti, gli sono intitolati il liceo classico della natia Castelvetrano (Trapani) e la colonia marina Falconara Marittima (Ancona). Per curiosità ho digitato in internet: “Castelvetrano liceo Gentile”. Ebbene, esiste ancora a Castelvetrano un liceo intitolato a suo nome!

È lo stesso Gentile che il 31 marzo 1924, in un discorso elettorale in Sicilia, elogiava il manganello quale fattore di forza morale, per il condizionamento della volontà [sic!].

giovedì 10 giugno 2021

Né mai lo sarà

 

Vi sono delle Macondo pedemontane dove l’autunno è perenne; se non fosse per l’aumento delle temperature non ci si accorgerebbe dell’estate. Anche stamane è arrivata una spruzzatina d’acqua, poi quella pomeridiana e più tardi è prevista quella serale. Se non altro non c’è da abbeverare l’orto. Il cambiamento climatico passerà per essere un virtuosismo del sistema economico capitalistico.

Approfitto per un’occhiata a ciò che si dice oggi, compresi i semplici frasaioli, quelli che non solo scrivono come parlano, ma vivono come scrivono, e soprattutto capiscono solo ciò che vogliono. Che disperazione. Non resta che volgersi al passato, come mi capita spesso.

Avevo intenzione di scrivere un post in occasione dell’anniversario della dichiarazione di guerra di 81 anni fa, ma non è un evento troppo remoto e si corrono dei rischi. Se dicessi, argomentando con fatti e fonti di prima mano, che a Mussolini non restava che quella scelta, infausta, ma non per questo, in quel frangente, meno obbligata?

Dichiarava di aver bisogno di qualche migliaio di morti per sedersi al tavolo delle trattative. Canaglia per quello e per molto altro ancora. Certo, assieme ad altri di un lunghissimo elenco.

Di quanti morti ha avuto bisogno l’Ilva di Taranto? Per citare un solo esempio. C’è forse una giornata della memoria per i milioni di assassinati a vantaggio del profitto e a maggior pompa del capitale?

Eppure il capitale, che oggi chiamasi “mercato”, ha assunto comunemente un’aurea quasi sacrale, cosmica direi, di forma pacifica del processo sociale, assimilabile al bene assoluto. La libertà stessa è fusa nella magica parola “mercato”, intesa quale sinonimo, ché alternativa allo status quo non è data oggi né mai lo sarà.

mercoledì 9 giugno 2021

Un principio democratico

 

C’è stato lannuncio dei ministri delle finanze del G7 di aver concordato un’aliquota minima d’imposta sulle società del 15%, come parte del tentativo di eliminare i paradisi fiscali per le principali multinazionali (in particolare sui ricavi nei loro mercati nazionali delle aziende hi- tech come Google, Facebook e Apple), superando l’attuale normativa secondo cui le società sono tassate solo nei paesi in cui hanno una presenza fisica.

I leader politici ed economici del G7 si sono espressi in modo lirico sull’impatto di un nuovo eventuale regime fiscale, annunciato come l’inizio di una nuova era di multilateralismo e persino come un passo importante verso la giustizia sociale!

martedì 8 giugno 2021

Le elezioni in Sassonia-Anhalt e il fallimento della sinistra liberale

 

Le elezioni di domenica in Sassonia-Anhalt (ex DDR), sono considerate un banco di prova per le elezioni federali del 26 settembre prossimo e le elezioni statali a Berlino, Meclemburgo- Pomerania occidentale e Turingia che si svolgeranno contemporaneamente.

L’affluenza alle urne è stata quasi la stessa di cinque anni fa, poco più del 60 per cento. I risultati elettorali hanno richiamato l’attenzione sul fallimento dei partiti che si definiscono “di sinistra”. Il Partito della Sinistra (Linke), il Partito Socialdemocratico (SPD) e i Verdi (Grünen) insieme hanno ricevuto solo un quarto dei voti. In un länder deindustrializzato caratterizzato da alti livelli di emigrazione e disoccupazione e bassi standard di vita, questi partiti hanno lasciato campo libero all’Unione Cristiano Democratica (CDU) e all’estrema destra Alternativa per la Germania (AfD).

La CDU ha ottenuto un inaspettato 37,1% dei voti (+7,4 punti percentuali e più 10 seggi). L’opposizione, Alternativa per la Germania, smentendo i sondaggi che la davano in crescita, ha avuto il 20,8%, con un calo di 3,4 punti percentuali e un seggio in meno. La Sinistra e l’SPD hanno subito i peggiori risultati di sempre nel länder, rispettivamente l’11,0% (-4 seggi) e l’8,4% (-2 seggi). Il Partito Liberale Democratico (FDP), che per poco non era riuscito a rientrare nel Landtag nel 2016 (soglia 5%), ha ottenuto il 6,4% dei voti e 7 seggi. I Verdi hanno chiuso con un 5,9% (+1 seggio), solo un leggero miglioramento (+0,8) rispetto al risultato precedente.

L’AfD ha perso 3,5 punti ma rimane il secondo partito. Sebbene sia dominato dall’ala populista e nazionalista (völkisch Flügel) e si presenti con slogan fascisti, un elettore su cinque ha votato per questa organizzazione di estrema destra. Cinque anni fa l’AfD aveva condotto una campagna anti-immigrati, questa volta ha anche affrontato questioni come le pensioni e la salute, dando voce ai negazionisti del coronavirus (hanno pure un loro partito: DieBasis, con l’1,5 per cento).

La netta vittoria elettorale della CDU è da attribuire soprattutto al ministro-presidente Reiner Haseloff, che ha adottato in larga misura il programma elettorale dell’AfD, assicurando allo stesso tempo l’elettorato moderato che non ci sarebbe mai stata una coalizione di governo con l’AfD. Il partito di sinistra ha perso il 10 per cento e l’SPD il 18 dei propri elettori a favore della CDU.

Negli anni 1990, l’SPD fu il partito più forte in Sassonia-Anhalt. Nel 1998 ottenne il suo miglior risultato elettorale, con il 35,9 per cento dei voti. Dal 1994 al 2002, il primo ministro Reinhard Höppner ha guidato un governo di minoranza SPD sostenuto dal predecessore del partito di sinistra (Linke), ossia il Partito del socialismo democratico (PDS). Sotto il cosiddetto “modello di Magdeburgo”, il PDS partecipò per la prima volta a un governo statale.

Dopo otto anni di modello Magdeburgo, il länder aveva il tasso di disoccupazione più alto del paese, 21,4 per cento. Di una delle più grandi aree industriali della Germania non è rimasto quasi nulla. Grandi stabilimenti chimici a Bitterfeld, Halle e Leuna, impianti di ingegneria meccanica a Magdeburgo e miniere di rame a Mansfelder Land sono stati chiusi. Anche le strutture per i giovani e il tempo libero, quelle sportive e le istituzioni educative, sono state chiuse in gran parte e i budget per asili nido e doposcuola sono stati tagliati di un terzo.

Nel 2002, la SPD ha perso quasi un terzo dei voti e, con un drastico calo dell’affluenza alle urne, ha ottenuto solo il 20%. Oggi, con appena l’8,4 per cento, ha ottenuto il peggior risultato della sua storia. Il PDS/Partito di sinistra è riuscito a resistere ancora per qualche anno. Nel 2006 è addirittura diventato il secondo partito più forte della Sassonia-Anhalt con il 24,1% dei voti. Così come in Italia e altrove in Europa, le politiche liberiste hanno portato al disastro sociale. Con l’11% dei voti, la Linke ha registrato il suo peggior risultato elettorale dalla fondazione dello stato federale dopo la riunificazione tedesca nel 1990.

Anche i Verdi puntavano su migliori aspettative elettorali, e sebbene abbiano aumentato la loro quota di voti dello 0,8 per cento, con appena il 5,9 sono rimasti molto indietro rispetto alle previsioni.

Il Partito della Sinistra, SPD e Verdi hanno ottenuto i risultati migliori nelle aree urbane a più alto reddito, dove l’affluenza è stata superiore alla media, mentre hanno subito rovesci nelle aree più povere e in quelle rurali. Insomma, paese che vai, il canovaccio elettorale è molto simile per la sinistra senza popolo. Non diversamente di quanto accadde nella crisi degli anni 1930. Con la differenza che i partiti “moderati” di centro tengono ancora botta, grazie all’enorme quantità di nuovo debito pubblico col quale si affronta la crisi di sistema.


lunedì 7 giugno 2021

Lo strano caso del signor Fred Stein

 

L’epoca è categorica e chi rifiuta di credere in un mondo così binario passa per obsoleto. In nome di questo e contro quello, come insegna abbondantemente ciò che si è detto e contraddetto durante questa pandemia virale. È brutto voler sempre cercare di capire, perciò mi rassicura vedere un umano con un libro in mano, fosse pure il Mein Kampf. L’avessero preso sul serio per tempo quello lì. Quando penso a tutti gli arretrati che ho lasciati sugli scaffali e sulla scrivania mi prende la malinconia (si scusi la rima).

Per restare nella storia, racconto ciò che capitò a William Coley, un giovane medico che, alla fine del XIX secolo, arrivò fresco di studi e di vivaci proponimenti al New York Cancer Hospital. Si scontrò rapidamente con un caso senza speranza: una ragazza di 17 anni, Elizabeth (Bessie) Dashiell, affetta da un sarcoma alla mano. All’epoca niente chemio, niente radioterapia e tutto ciò che può fare Coley è amputargli il braccio. Sfortunatamente il cancro si è metastatizzato e l’intervento non è servito a nulla. La giovane muore.

Coley è devastato. Trascorre le sue serate negli archivi dell’ospedale spulciando tra vecchi lavori e relazioni per scoprire cos’altro avrebbe potuto fare. Scopre un caso interessante. Undici anni prima, Fred Stein, un immigrato tedesco, era arrivato in ospedale con un tumore al collo delle dimensioni di un’arancia. Viene operato quattro volte, ma il tumore si ripresenta. Un giorno Stein si ammala di erisipela, un’infezione della pelle causata da batteri. Niente a che vedere con il cancro, eppure, dopo questa infezione, il suo tumore scompare!

Di fronte a questo fatto curioso, Coley rimane senza parole. Trova però altri 47 casi simili. Decide di fare un tentativo. La sua cavia sarà un immigrato italiano (ti pareva!) chiamato Zola, che presenta dei tumori alla gola. Nel 1891, Coley gli inietta ripetutamente il batterio dell’erisipela. Zola sviluppa l’infezione con una forte febbre, e quasi ci resta. Però nel giro di due settimane i suoi tumori scompaiono.

Il nostro eroe testa il suo metodo su altri 12 pazienti con risultati molto eterogenei. Due pazienti guariscono e due vengono uccisi dal trattamento. Gli altri mostrano pochi risultati. Coley non si scoraggiò e continuò con la sperimentazione.

Il resto si può leggere su Wikipedia. Troverete anche il nome del marchio Pfizer, che nel 2005 ha acquisito il Coley Pharmaceutical Group.

Quello che non dice Wikipedia sul caso Coley: le cellule cancerogene, quelle imbroglione, possono addormentare il nostro sistema immunitario per evitare di essere distrutte. S’ipotizza che l’infezione (qui da batterio dell’erisipela) abbia “risvegliato” il sistema immunitario, riavviando tutti i processi che lo combattono.

Aiutare il sistema immunitario ad eliminare il cancro si chiama immunoterapia. Un procedimento che è stato provato e testato per diversi anni e sta rivoluzionando la lotta contro la malattia. Non come ha fatto Coley, che è troppo pericoloso. Oggi ci si affida ad altre tecniche per rafforzare il nostro sistema immunitario, come mascherare gli “interruttori” sulle nostre cellule immunitarie, impedendo al cancro di disattivarle.

Il problema con l’immunoterapia è che è un po’ una lotteria: funziona solo su una minoranza di pazienti, e dunque si tratta di prevedere su chi può funzionare questo trattamento. Nonostante i suoi errori, Coley era sulla strada giusta.

domenica 6 giugno 2021

Per una giusta causa

 

Perché dovrebbero preoccuparci le nostalgie dell’on. Giorgia Meloni? Si possono avere di quelle nostalgie a vent’anni, ma se te le tiri dietro a trenta e più, non c’è sorta di rimedio. Sappiamo chi sono e come la pensano quelli come lei, e in cuor loro credono anche di essere dei democratici, a modo proprio s’intende. A qualcuno, in privato, potrebbe scappare persino di essere un po’ antifascista. Su una cosa da quelle parti sono tutti graniticamente uniti e concordi: l’anticomunismo.

Discorso diverso per i “veri” democratici e liberali, specie quelli che un tempo alle manifestazioni indossavano qualcosa di vistosamente “rosso” per l’occasione. Che magari scrivevano per un “quotidiano comunista” o altro foglio di lotta anticapitalista. Quelli che, per fare un esempio concreto, un’epoca tragica come quella raccontata nel libro Vita e destino di Grossman, usano macinarla nel tritacarne dell’anticomunismo.

Non vedo nessun discrimine sostanziale, se non di meri accenti, tra l’anticomunismo di Giorgia Meloni e quello di questi democratici e liberali. Sarò all’antica, ma per me la Meloni e quelli che un tempo salutavano col pugno chiuso, e ora se ne vergognano, stanno tutti dalla stessa parte.

*

Nel 2019, finalmente, è apparso in una traduzione inglese completa Za pravoe delo (Per una giusta causa) di Vasilij SemënoviGrossman, con il titolo Stalingrad (New York Review of Books). Il libro fu pubblicato nel 1952, ancora vigente “baffone”. L’opera è il prequel di Grossman di Vita e destino (1959). L’Autore offre una panoramica della società sovietica in guerra, con una profonda simpatia per la sofferenza e gli enormi traumi che quella società aveva attraversato, non solo a causa della guerra, ma anche per il terrore stalinista degli anni 1930. Non isola l’individuo dalla società e dal processo storico, ma mostra la connessione complessa e non sempre diretta tra gli eventi sociali e politici decisivi del tempo e la vita personale degli individui. Grossman comprendeva bene come gli ideali della Rivoluzione del 1917 (non un mero putsch come sostengono alcuni idioti), l’uguaglianza sociale e la libertà dall’oppressione di ogni tipo, motivavano ancora gli sforzi e le speranze della popolazione russa nel resistere ai fascisti.

Prematuro tradurre Za pravoe delo in italiano, posto che qui vi sono ancora delle micro sacche di accanita resistenza bolscevica da debellare a colpi di falsificazioni storiche.


venerdì 4 giugno 2021

Più poveri e molto più ricchi (ma non tutti)

 

Martedì scorso, in televisione, il professor Romano Prodi ha affermato: «Siamo di fronte a uno strano cambiamento del mondo che io non avevo previsto: la politica interna americana, la politica sociale, è cambiata in modo così radicale che sta cambiando il mondo dopo quarant’anni di liberismo assoluto». Tanto che «Biden ha parlato d’imposte e nessuno s’è messo a ridere; anzi, abbiamo avuto i dieci più ricchi che hanno detto: “il presidente ha ragione”».

Mentre qui da noi, ha rimarcato Prodi, si sono suonate le campane per mezza frase sulla attuale ridicola aliquota fissa sulla tassazione delle successioni, che era solo una “frasetta” in mezzo a un discorso molto più ampio del prof. Letta.

Eh già, siamo alle solite: liberali col culo degli altri, dei soliti. Quelli che sono bravi nelle diagnosi, ma se gli chiedi una goccia del loro sangue sono pronti a farti la guerra. Un sofisma tra tutti: “e le aliquote sulle altre imposte che paghiamo, allora?”. E poi perché distribuire 10mila euro ai 18enni? Su quest’ultimo punto con ragione, posto che c’è un debito pubblico del 160 per cento/Pil che andrebbe velocemente ridotto (figuriamoci).

Per carità, chiedere un po’ più di equità sociale è demagogia. Si fa del populismo se si rileva che il patrimonio del 5% più ricco degli italiani (titolare del 41% della ricchezza nazionale netta) è superiore a tutta la ricchezza detenuta dall’80% più povero (2019). E lasciamo stare che l’Italia detiene il 6 per cento della ricchezza mondiale con lo 0.0007 della popolazione, con liquidità bancarie e titoli delle famiglie per 1.800 miliardi.

I super-ricchi, con redditi di oltre 300 mila euro, sono 40.560, lo 0,10% dei contribuenti; i ricchi, con redditi tra i 100 e i 300 mila euro, sono 416.760, l’1,01%; i benestanti, tra i 70 e i 100 mila euro, sono 616.440, l’1,49%. In queste fasce di reddito ci sono soprattutto dirigenti pubblici e privati, liberi professionisti, imprenditori. Il resto dei contribuenti ha redditi sotto i 70 mila euro e comprende il 97,4% dei contribuenti.

Basta un’occhiata alle imbarcazioni, per numero e stazza, nei porti e porticcioli, poi anche un occhio alle auto sopra di 40mila euro in circolazione, per avere un quadro più realistico della situazione rispetto alle dichiarazioni dei redditi. Ma queste considerazioni sono da rosiconi, si sa.

Secondo dati Banca d’Italia (2020), l’1% più ricco della popolazione adulta (circa mezzo milione di persone) detiene il 14% della ricchezza totale, e tale quota è rimasta invariata tra il 1995 e il 2016. Al vertice della piramide, la quota dello 0,1% più ricco è cresciuta più rapidamente dal 5,5% del 1995 al 12% attuale, con valori stimati della ricchezza individuale che passano da 8 a 21 milioni di euro. Viceversa, il 50% più povero ha visto la propria quota di ricchezza passare dall’11% del 1995 al 3% attuale.

In quel laboratorio d’idee marxiste che è Credit Suisse, si scriveva che «L’Italia ha fatto la sua parte entrando nella top ten dei Paesi in cui la ricchezza è cresciuta maggiormente: 1 milione e 288 mila milionari nel 2017 (milionari in dollari), 138 mila in più rispetto al 2016: è italiano il 4% dei milionari del mondo».

Sempre il medesimo covo marxista, stima i super-ricchi con patrimoni di oltre 5 milioni di dollari in 111.872, lo 0,23% degli italiani, mentre i ricchi con patrimoni tra 1 e 5 milioni di dollari sono 1.384.284, il 2,85% degli italiani. Quasi il 97% degli italiani ha patrimoni inferiori al milione di dollari. Il valore del patrimonio mediano è di poco superiore ai 91 mila dollari (*).

Dunque, vediamo bene chi ha motivo di temere un sia pur lieve innalzamento delle aliquote fiscali su successioni e donazioni, ferma restando l’attuale franchigia per ciascuno degli eredi o donatari di milione di euro e imposte ipotecarie e catastali ridotte a 336 euro complessivi per la prima casa.

(*) Credit Suisse considera ricchi coloro che hanno un patrimonio superiore a un milione di dollari e super-ricchi chi ha un patrimonio che supera i 50 milioni. C’è però un problema metodologico da tenere presente per quanto riguarda l’Italia, ed è costituito dal fatto che le indagini campionarie – come quelle di Eurostat e Banca d’Italia – «non riescono a cogliere in misura significativa il 5% più ricco della popolazione, con una forte sottovalutazione della concentrazione sia dei redditi che della ricchezza».


mercoledì 2 giugno 2021

De Sade e l'accento ficcato


Oggi cade l’anniversario della nascita del Marchese de Sade. Fortuna vuole che l’amministrazione capitolina non debba dedicargli una targa, altrimenti sarebbero stati guai (Donatien-Alphonse-François fu a Roma nel 1755, di cui al suo Voyage d’Italie, traduz. Bollati, cap. 2).

E però anche ‘sto cazzo di Azeglio, diciamocela tutta, poteva farsi bastare il vezzeggiativo col quale lo chiamava sua moglie. Va bene, calciatore e poi allenatore della sacra nazionale, ma perché darsi tante arie anche da morto? Colpa dei genitori che dovrebbero pensarci bene prima di affibbiare certi nomi ai propri pargoli.

Ricordo che al tempo di Oscar Luigi Scalfaro, non è letteratura e testimoni a mio favore vivono ancora, mandammo al macero un tot di roba già stampata quando l’interessato pretese che si aggiungesse un accento grave al cognome. Scansai la fucilazione quando i proiettili erano già in viaggio per il bersaglio.

Se solo una piccola parte delle nostre bestemmie gli sono state addebitate, ebbene in tal caso Scàlfaro sta friggendo all’inferno. 

Rinascita, estasi e assassinio

 


Rinascita.
In attesa che la Politica Agricola Comune europea ci metta l'acqua. 


Stendhal.



La palma del kitsch.