mercoledì 26 maggio 2021

La lingua dei filantropi

 

Alcuni lustri or sono, mi trovavo a Ragusa (l’attuale Dubrovnik), una bella e antica città che in un certo periodo storico fu possedimento veneziano. Ebbene, notavo con un certo stupore che, nonostante la nutrita presenza di turisti, non solo italiani, le indicazioni, comprese quelle destinate specificatamente ai turisti, erano scritte in croato e non riportavano alcuna traduzione, vuoi in inglese o altra lingua e tantomeno in italiano. Un paradosso, che ha ovviamente una sua motivazione (nazionalistica).

Accenno ora a uno dei paradossi, opposto a quello descritto, della comunicazione odierna: si avverte la necessità di una comunicazione universale, laddove i contenuti veicolati siano gli stessi. Assistiamo a una specie di razionalizzazione della semantica sulla base della lingua inglese. Che poi, per quanto riguarda la pronuncia, non è sempre inglese, e penso, per fare un esempio banale, a una parola di uso corrente: privacy, pronunciata all’americana.

Vero che l’uso corrente è il vero padrone delle lingue, che l’arricchimento del lessico con termini inglesi è utile e in certi casi necessario, da molti sentito anche come una forma di distinzione, come fu per il francese un tempo, tuttavia mi pare si stia esagerando in tale direzione. Non sostengo che bisogna arrivare, come i francesi, a dire ordinateur invece che computer, ma vi sono termini, anche di argomento tecnico, che francamente possono essere tradotti in italiano senza perdere nulla in efficacia e concisione.

Leggevo tempo fa un articolo dove ogni tre parole vi era incastonato un termine inglese, che non di rado letteralmente non ha nulla a che fare col contesto della frase. E, si badi, non mi riferisco a termini come target, shopping, commodity, business, trend, partnership, che utilizzeremmo anche dal fruttivendolo, se la categoria merceologica esistesse ancora.

Più di recente: “Il mondo dell’hospitaly [sic!] è il petrolio del nostro Paese”. Oppure: “reputation e valore imprenditoriale non contano più come una volta”. E ancora: “Dopo la laurea lavoravo in un family office e mamma ...”. Chi è che parla così? Leggo dalla didascalia: “Investitore e filantropo”. Il quale dichiara nell’articolo con totale sprezzo del ridicolo: “Il mio punto di forza è la fede. Credere è una scelta, come lo è amare, e quella scelta mi fa star bene”.

Insomma, un filantropo di 34 anni, uno che avrà anche il suo punto di forza nella “fede”, ma soprattutto nel cospicuo patrimonio di famiglia. Uno dei tanti che parlano di merito e di cose così senza mai chiedersi chi è che al mondo sceglie di nascere povero.

Non è una novità che il linguaggio dirige i nostri processi mentali, e ha perciò un’influenza in tutto il nostro comportamento. È con la sua mediazione che si fissano e trasmettono, di generazione in generazione, i modi di pensare che formano la nostra coscienza individuale, la quale è il risultato sociale dell’interiorizzazione, mediata dalla parola, delle forme ideologiche con cui si entra in rapporto.

Dal carattere ideologico del linguaggio al contenuto ideologico della coscienza.

Scriveva U. Eco: “La lingua non soltanto rispecchia la storia di un popolo, ma ne condiziona la mentalità e i costumi” (Il segno, 1973, p. 104). Sottoporre la lingua a continui e massicci innesti di parole straniere, soprattutto quando si tratta di termini e locuzioni di una stessa lingua straniera, non significa solo togliere autorevolezza alla propria lingua, ma anche cercare di riunire i parlanti sotto un unico auspicabile modo di pensare e sentire.

10 commenti:

  1. Non a caso Orwell prefigurava la Neolingua come uno degli strumenti fondamentali per il controllo non solo della massa, ma pure del Partito stesso. Ciò che dici è verissimo e lo si ritrova anche, molto banalmente, nella quotidianità dei luoghi di lavoro, dove un certo modo di esprimersi diventa tipico di quell'azienda, di quell'ufficio. Si parla addirittura di "cultura aziendale" come di fattore positivo, distintivo, dell'azienda X. Se lavori qui devi avere questo modo di esprimerti e di pensare (gli inglesi direbbero questo "mindset").
    Il tutto ovviamente ha un valore potentissimo aumentando il fattore di scala, sui popoli, le nazioni, il mondo.
    Se il linguaggio, da una parte, è uno strumento potentissimo di unificazione, da un lato può facilmente servire il più becero dei conformismi.

    Come diceva Eco, le parole sono segni, di segni di segni, di segni.... E alla base c'è il pensiero, il concetto, il significato.
    Il movimento bidirezionale, se vogliamo circolare, tra segni e significati è la magia della lingua. E come ogni "magia", è anche una forma di potere da esercitare su chi non la capisce.
    Un saluto

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    1. Eccellente. Sei andato a segno. Ciao

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    2. Grazie! Questo argomento è uno dei miei (pochi) cavalli di battaglia :-)
      Tu in confronto sei la vera allevatrice professionista!

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  2. Eco è bravo anche se ripetitivo.

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  3. Quella di Eco era una battuta. Hai presente l'eco? Con te non si può mai scherzare.... Sei troppo polemica, questo è un po' il tuo limite.

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    1. non l'ho colta subito al volo. sai, ho dato uno dei pochi esami su un testo di Eco che faceva vomito. personaggio simpatico, mai amato.

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  4. Penso sia interessante vedere questo: https://archive.ph/KmFV9
    Si tratta del sito BBC "pidgin", scritto in una lingua che discende dal parlato di gruppi assimilabili agli afroamericani (anche se, essendo il sito della BBC, potrebbe riferirsi a un lessico similare, sviluppatosi da questa parte dell'Atlantico).
    L'impronta spontaneista può trarre in inganno, mimando un iter logico/storico "normale", ossia quello che arriva alla scrittura dalla lingua parlata. Questa, invece, mi pare operazione verticistica, simile a quella della neolingua orwelliana. O, se si preferisce, una cosa simile all'osservazione di Eco da te citata in fondo al post: cercare di riunire i parlanti sotto un unico auspicabile modo di pensare e sentire.

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    1. ti pensavo ancora in viaggio in India o Myanmar. dunque sei tornato, bene.

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  5. Senno che eco sarebbe...se non si ripetesse....
    Roberto

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