venerdì 23 aprile 2021

Pagliacciate, frodi e trappole politiche


Eccone un altro.


Il presidente Joe Biden ha convocato un vertice di 40 paesi, un evento di due giorni pieno di vuote promesse da parte dei maggiori produttori e consumatori di combustibili fossili del mondo, i quali hanno promesso, come già in passato, d’impegnarsi e di fare meglio per ridurre l’inquinamento: entro il 2030, o 2050, o 2060 e via procrastinando.

Un autentico piano globale per affrontare il riscaldamento e il cambiamento climatico non si trova da nessuna parte, poiché tutto è subordinato da due fattori: gli interessi economici e quelli strategici degli stati-nazione rivali. Ciò impedisce che un evento come un vertice globale su quel tema assuma un significato reale.

Prendiamo in esame la situazione dal lato degli Stati Uniti.

Per l’amministrazione Biden, l’evento è stata l’occasione per la riaffermazione della “leadership americana” sulla questione del cambiamento climatico, abbandonata durante l’amministrazione Trump, quando la politica statunitense era subordinata alla negazione totale del cambiamento climatico. Trump si è ritirato dall’Accordo sul clima di Parigi, una decisione che Biden ha annullato, nominando l’ex Segretario di Stato John Kerry come suo inviato per il clima nel mondo.

Biden giovedì mattina, si è rivolto ai leader di 40 paesi, tra cui Cina, Russia, India, Giappone, Germania, Francia e Gran Bretagna, come se stesse parlando a un comizio elettorale di burocrati sindacali.

Ha iniziato dichiarando: “Vedo un’opportunità per creare milioni di posti di lavoro ben pagati per della classe media”, e ha continuato citando i presunti benefici delle sue politiche per i lavoratori elettrici, dei giacimenti petroliferi, i minatori, gli operai automobilistici e delle costruzioni.

Poi ha citato l’importanza di rallentare il riscaldamento globale, ricordando che secondo gli scienziati quello in corso è “il decennio decisivo”, nel quale “Dobbiamo cercare di mantenere la temperatura della Terra a un aumento di 1,5 gradi”.

Ricordo che la necessità di ridurre drasticamente le emissioni di gas serra è stata ben compresa dagli scienziati sin dagli anni 1970, cioè mezzo secolo fa.

Pur mettendo in guardia sulle implicazioni di un aumento superiore i 1,5 gradi, in termini di “incendi, inondazioni, siccità, ondate di calore e uragani che colpiscono le comunità”, a volte le dichiarazioni di Biden erano così incoerenti che c’era il dubbio che potessero essere state scritte davvero.

La chiave di volta del discorso di Biden è stata la sua promessa, molto pubblicizzata, di ridurre le emissioni di gas serra degli Stati Uniti del 50% entro il 2030, rispetto al 2005, un livello che è stato criticato dagli scienziati del clima come inadeguato, soprattutto dato il ruolo fuori scala dagli Stati Uniti come il più grande inquinatore del mondo nell’ultimo mezzo secolo. Biden si è impegnato a ridurre le emissioni totali nette a zero entro il 2050.

Tutte promesse roboanti che non potranno essere rinfacciate poi a un presidente degli Stati Uniti che oggi ha 78 anni ed è in precarie condizioni di salute.

Circa un terzo dell’anidride carbonica emessa oggi rimarrà nell’atmosfera per migliaia di anni. Di conseguenza, ridurre le emissioni a zero fermerà, forse, un futuro aumento delle temperature, ma non invertirà il riscaldamento rispetto alle emissioni passate.

Non c’è un piano concreto sulla traiettoria di riduzioni fino al 2050, il che significa che tali impegni, basati sulla cooperazione volontaria delle compagnie petrolifere e chimiche, delle banche e di Wall Street, è condannato fin dall’inizio al fallimento.

Le industrie di combustibili fossili dominano il Partito repubblicano e parti significative del Partito democratico, in particolare in Stati come il West Virginia (carbone) e Ohio e Pennsylvania (gas con tecnica fracking). Ci sono poche possibilità che passi anche solo una parte delle proposte di Biden in un Senato 50-50, e anche alla Camera si presenteranno resistenze.

Biden ha posto fine alla stipula di nuovi contratti di locazione per lo sfruttamento del petrolio e gas su terre federali, ma ciò non avrà effetto sulle trivellazioni per anni perché le società hanno già stipulato massicci contratti di locazione in tal senso. Si sta chiudendo la stalla quando i buoi sono già scappati.

Biden chiede al Congresso di approvare 1,7 trilioni di dollari di spesa nei prossimi 10 anni, insieme a misure nazionali entro gennaio 2025 per la riduzione delle emissioni. Anche se andassero in porto queste buone intenzioni, avrebbero un modesto effetto sulle emissioni di gas serra degli Stati Uniti.

Secondo il Bureau of Economic Analysis degli Stati Uniti il prodotto interno lordo è stato di 21,5 trilioni di dollari nel 2019, inclusi 193 miliardi dall’estrazione di petrolio e gas, 355 miliardi dalle utility (principalmente elettricità e gas naturale), 147 miliardi per il trasporto aereo, 175 miliardi per il trasporto merci su gomma e 44 miliardi per ferrovia, 2,35 trilioni per l’industria, con 164 miliardi per la sola produzione di veicoli a motore. Le suddette attività sono responsabili di gran parte, ma sono tutt’altro che tutte, delle emissioni di gas serra degli Stati Uniti.

Secondo Banking on Climate Change 2020, ben 35 tra le maggiori banche del pianeta hanno proseguito a incanalare una smisurata quantità di denaro verso società e progetti che partecipano alla filiera dei combustibili fossili, cioè gas, petrolio, e carbone. A guidare il gruppo ancora una volta le grandi banche statunitensi: JPMorgan Chase, Wells Fargo, Citi e Bank of America. Chissà le risate che si sono fatti quelli ai piani alti quando hanno sentito le promesse di Biden.

In breve, bisogna aver chiara una cosa altrimenti si continuerà a discutere inutilmente: gli ostacoli a questo tipo d’interventi per ridurre drasticamente l’inquinamento non sono tecnologici e scientifici, bensì economici, sociali e politici.

È nelle possibilità/capacità dell’umanità limitare il cambiamento climatico a livelli gestibili mantenendo un buon standard di vita generale, basandosi in gran parte sulle tecnologie che esistono oggi. Ma per fare questo è necessario un cambiamento radicale degli assetti geopolitici ed economici su scala mondiale.

Il piano climatico di Biden, come tutti i piani del genere proposti dai principali governi (incluse Cina e Russia), implica che la crisi climatica possa venire affrontata nel quadro dell’attuale sistema di appropriazione/sfruttamento capitalistico.

Presentare lo Stato imperialista per antonomasia e le società private come i motori della trasformazione necessaria per affrontare realmente ed efficacemente i problemi climatici, così come generici impegni per risolvere altre contraddizioni sistemiche, è una frode e una trappola politica.


6 commenti:

  1. Un gran bell'articolo. Dubito però che molti lo comprenderanno a fondo. La maggioranza è troppo presa dal vedere gli effetti e non le cause che stanno determinando la distruzione del mondo.
    Buona serata!

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  2. In questi discorsi pubblici la premessa implicita è sempre la non-negoziabilità dello stile di vita consumistico; una spia della cattiva coscienza di noi occidentali è l'aver coniato l'ossimoro "sviluppo sostenibile", uno slogan propalato anche da ambientalisti quali Gianfranco Bologna, direttore scientifico del WWF.
    Mi sembra che anche lei, purtroppo, sia convinta che non dobbiamo rinunciare a nulla, che manchi solo la buona volontà per fare le stesse cose in maniera diversa.
    Secondo me la questione è serissima e se ne uscirà solo dolorosamente perché tutti godiamo, in grado diverso, di questo perverso sistema di produzione di beni e servizi; la sua solidità è nel renderci complici gioiosi. È però impossibile (ripeto: impossibile) che le risorse energetiche rinnovabili proseguano l'attuale modello crescitista dovuto al basso costo degli idrocarburi, anche perché questi sono una risorsa materiale e non solo energetica difficilmente sostituibile (ad es. le plastiche sono in qualunque prodotto).
    La nostra civiltà sarà vista come un fuoco di paglia, o se preferisce come un copertone incendiato, che brucia ferocemente e non lascia nulla di gradevole.
    (Peppe)

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  3. Il calo delle emissioni, verranno più da queste azioni tecnologiche di cui al link, che dalle chiacchiere di un Biden

    https://www.evwind.es/2021/04/24/iberdrola-and-porcelanosa-launch-their-first-project-to-electrify-ceramic-production-by-combining-renewables-green-hydrogen-and-heat-pump-technology/80490

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  4. Scriveva Deborg nel 1971:
    Fino ad oggi lo sviluppo della produzione si è interamente verificato in quanto compimento dell'economia politica: sviluppo della miseria, che ha invaso e rovinato l'ambiente stesso della vita. La società in cui i produttori muoiono di lavoro, e non abbiamo che da contemplarne il risultato, oggi dà loro a vedere, e a respirare, proprio il risultato generale del lavoro alienato in quanto risultato di morte. Nella società dell'economia sovrasviluppata tutto è entrato nella sfera dei beni economici, anche l'acqua delle sorgenti e l'aria delle città, il che significa che tutto è diventato male economico, "il rinnegamento compiuto dell'uomo" che raggiunge adesso la sua perfetta conclusione materiale. Il conflitto tra le moderne forze produttive e i rapporti di produzione, borghesi o burocratici, della società capitalista è entrato nella sua ultima fase. La produzione della non-vita ha perseguito sempre più veloce il suo processo lineare e cumulativo; avendo ora superato un'ultima soglia nel suo progresso, adesso produce direttamente la morte.

    La funzione ultima, riconosciuta ed essenziale dell'economia sviluppata oggigiorno, nel mondo intero in cui regna il lavoro-merce, che assicura tutto il potere ai suoi padroni, è la "produzione di impieghi". Siamo dunque ben lontani dalle idee progressiste del secolo scorso sulla possibile diminuzione del lavoro umano attraverso la moltiplicazione scientifica e tecnica della produzione, che si riteneva potesse assicurare sempre più facilmente il soddisfacimento dei bisogni "in precedenza riconosciuti da tutti come reali", e senza alterazione di fondo della qualità stessa dei beni disponibili.

    Sono ancora e sempre in molti coloro che credono nelle "azioni tecnologiche", leggendo nel sito proposto dall'anonimo, approfondendo poi le conoscenze in merito a questo "idrogeno verde", sembra proprio di capire che si faccia proprio tutto per produrre posti di lavoro, questa la propaganda che molto giustifica l'azione tecnologica.
    Si curano i sintomi, non la malattia, oggi risulta evidentissimo, e perlopiù in malafede.
    Eppure si continua a credere sia l'unica via.
    Grazie Olympe per l'ottimo scritto

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  5. Scriveva Deborg nel 1971:
    Fino ad oggi lo sviluppo della produzione si è interamente verificato in quanto compimento dell'economia politica: sviluppo della miseria, che ha invaso e rovinato l'ambiente stesso della vita. La società in cui i produttori muoiono di lavoro, e non abbiamo che da contemplarne il risultato, oggi dà loro a vedere, e a respirare, proprio il risultato generale del lavoro alienato in quanto risultato di morte. Nella società dell'economia sovrasviluppata tutto è entrato nella sfera dei beni economici, anche l'acqua delle sorgenti e l'aria delle città, il che significa che tutto è diventato male economico, "il rinnegamento compiuto dell'uomo" che raggiunge adesso la sua perfetta conclusione materiale. Il conflitto tra le moderne forze produttive e i rapporti di produzione, borghesi o burocratici, della società capitalista è entrato nella sua ultima fase. La produzione della non-vita ha perseguito sempre più veloce il suo processo lineare e cumulativo; avendo ora superato un'ultima soglia nel suo progresso, adesso produce direttamente la morte.

    La funzione ultima, riconosciuta ed essenziale dell'economia sviluppata oggigiorno, nel mondo intero in cui regna il lavoro-merce, che assicura tutto il potere ai suoi padroni, è la "produzione di impieghi". Siamo dunque ben lontani dalle idee progressiste del secolo scorso sulla possibile diminuzione del lavoro umano attraverso la moltiplicazione scientifica e tecnica della produzione, che si riteneva potesse assicurare sempre più facilmente il soddisfacimento dei bisogni "in precedenza riconosciuti da tutti come reali", e senza alterazione di fondo della qualità stessa dei beni disponibili.

    Sono ancora e sempre in molti coloro che credono nelle "azioni tecnologiche", leggendo nel sito proposto dall'anonimo, approfondendo poi le conoscenze in merito a questo "idrogeno verde", sembra proprio di capire che si faccia proprio tutto per produrre posti di lavoro, questa la propaganda che molto giustifica l'azione tecnologica.
    Si curano i sintomi, non la malattia, oggi risulta evidentissimo, e perlopiù in malafede.
    Eppure si continua a credere sia l'unica via.
    Grazie Olympe per l'ottimo scritto.
    bonste

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