mercoledì 17 marzo 2021

La créme c’est moi

 

Le opinioni che vado esprimendo in questo blog hanno, ovviamente, lo stesso valore delle opinioni di qualsiasi altro comune mortale. Tra l’altro non ho titoli speciali da esibire o rivendicare in materia di politica, economia, sociologia, filosofia, psicologia, storia, medicina e altre discipline. Tuttavia mi riconosco due qualità: l’onestà intellettuale e la coerenza. Che non vuol dire l’ostinato puntiglio nel sostenere tesi che nel mutare delle circostanze possono diventare obsolete o dimostrarsi sbagliate. E però non significa neanche, per contro, giocare più parti in commedia, dicendo o anche solo credendo: la créme c’est moi. Bisogna essere consapevoli, per quanto ritenessimo di incarnare uno spirito sottile, che portiamo a spasso ognuno il nostro mezzo chilo di merda.

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Al tempo di artisti come André Le Nôtre e d’ingegni della tecnica come Rennequin Sualem, ideatore della machine de Marly, con la quale innalzò l’acqua della Senna per oltre 160 metri in modo da alimentare i giochi d’acqua e le fontane della reggia di Versailles, Luigi XIV non sopportava di vedersi superato nello sfarzo e nel lusso dal suo ministro delle finanze, Nicolas Fouquet, ammirato anche per i suoi fastosi banchetti curati da un giovane talento della gastronomia, François Vatel, rinomato per il suo perfezionismo maniacale nel soddisfare ogni capriccio dei nobili, cioè di chi era nato dalla parte giusta.

A grattar via lo stucco dei palazzi nobiliari, viene fuori una società che nel volere tutto non si curava realmente di nulla, salvo i divertimenti e la gelosia per i propri vantaggi, sciupando la vita in intrighi, vanità e pettegolezzi. A poco varranno, dopo la morte di Luigi XIV, gli sforzi di riforma del cardinale Fleury, ed infine, di lì a qualche decennio, mani aristocratiche spalancheranno le porte alla Rivoluzione, forgiandone le armi negli ateliers des calomnies.

La vicenda di Vatel, pseudonimo di Fritz Karl Watel (1631-1671), ha ispirato l’omonimo e modesto film interpretato da Gérard Depardieu.

Lo scrittore François de La Rochefoucauld, che il Grand Siècle visse quasi fino in fondo, sosteneva che a muovere il mondo è l’interesse. Sicuramente, ma non meno l’invidia. Come sempre.

Fouquet finì arrestato da d’Artagnan (non solo personaggio romanzesco), con l’accusa di malversazione, nel contesto di una congiura che portò all’ascesa di Jean-Baptise Colbert. Vatel, temendo a sua volta di seguirne la sorte, riparò in Inghilterra. Più tardi, rassicurato, fece ritorno in Francia.

Vatel è ricordato anche per la crème Chantilly, da lui battezzata così in onore dell’omonimo castello dove prestava servizio come maestro cerimoniere alla corte di Luigi II di Borbone, principe di Condè e cugino di Luigi XIV. Probabilmente Vatel la sua crema l’aveva creata anni prima quando era al servizio di Nicolas Fouquet al castello di Vaux-le-

Vicomte, ispirandosi a una ricetta (“neve di latte”) di Bartolomeo Scappi, cuoco che Caterina de’ Medici aveva portato con sé in Francia.

Il celebre quadro seicentesco di Nicolas Poussin, Et in Arcadia ego, universo elegiaco e pastorale per eccellenza, evocava però un destino certo: la morte in agguato. Vatel, cuoco, pasticcere e cerimoniere morirà suicida nel 1771. Curioso il motivo che lo portò al gesto estremo.

Per crème Chantilly s’intende volgarmente una crema pasticcera (alias crema diplomatica) alleggerita da panna montata, ma la ricetta originale corrisponde a tutt’altro.

La chantilly è un’emulsione del latte con l’aggiunta di “qualcosa”. Il segreto risiede nel controllo della viscosità per mezzo della bassa temperatura. La panna, formata da almeno il 35 per cento di materia grassa, dev’essere a una temperatura appena inferiore ai 5 - 6 gradi (per evitare la coalescenza totale dei globuli di grasso in un unico ammasso). Va sbattuta con un mixer per intrappolare abbastanza aria dentro le goccioline di lipidi che, sotto la forza meccanica, si coagulano (coalescenza parziale) e si mantengono in sospensione sotto l’effetto della tensione attiva delle proteine del latte, fino a raggiungere la stabilità (altrimenti la panna si smonta).

La panna cruda del buon tempo antico è difficile da trovare, perciò si può utilizzare quella pastorizzata fresca intera ed evitare quella UHT, peraltro un po’ più lunga da montare.

Vatel ebbe il genio di aggiungere alla panna montata così ottenuta un tocco di vaniglia (un baccello, ma oggi si può usare lo zucchero vanigliato) e di moderare la quantità di zucchero per non rendere la panna stucchevole.

Insomma, la chantilly è panna montata aromatizzata. L’attribuzione dell’idea originale a Vatel è probabilmente una leggenda. A differenza delle molte leggende di cui ci rimpinzano i media, quella che riguarda la mousse di Vatel è dolce e si mangia col cucchiaino.


3 commenti:

  1. Non per venire sotto questa finestra a sviolinare romanze, ma - da un punto di vista intellettuale - la gustosità e raffinatezza delle pietanze che questo blog offre al palato dei lettori sono equivalenti (a tratti superiori) all'Haute Cuisine.

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  2. ...e tutti i giorni

    maurix

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