domenica 28 febbraio 2021

La moglie dell'ambasciatore e altre storielle

 

Nicolò Tron (1685-1772) fu il più famoso personaggio della sua casata, che nei secoli aveva dato una lunga serie di procuratori di san Marco e un doge, eletto nel 1471.

Dal 1702 al 1704 aveva frequentato il collegio dei nobili di Parma, retto dai gesuiti; uscito dal collegio, aveva deciso di farla finita per sempre con i gesuiti, interessandosi di cultura scientifica divenendo un convinto estimatore del sistema economico inglese e olandese.

Conobbe Newton e strinse amicizia con industriali e agronomi inglesi e fu ben presto inviato ambasciatore a Londra, dove rimase in legazione dal 1714 al 1717.

Nel 1711 aveva sposato Chiara Grimani, del ramo dei calergi a san Marcuola. Nel 1712 era nato Andrea, di cui dirò.

La sua ambasceria fu “inconsueta” e sicuramente atipica dati i suoi interessi scientifici per le innovazioni tecniche. Sapeva perfettamente l’inglese, corseggiò tra libri di meccanica e fabbriche, tra pompe idrauliche e testi di agronomia.

L'ambasceria di Nicolò fu così anomala che gli inquisitori (non bisogna equivocare il termine, si trattava di alti funzionari della Repubblica veneta) gli spedirono, poco dopo il suo arrivo a Londra, un rabbuffo per non aver approfittato dell’inclinazione di re Giorgio I per la deliziosa ambasciatrice Chiara Grimani Tron, “la più bella dama dei suoi tempi”.

Scrive a tale riguardo Paolo Gaspari nel suo “Serenissimo principe ...”: “Avevano voglia quei vecchi barbogi Inquisitori spioni a chiedere al Tron di fare vita di corte e di ottenere favori alla Repubblica con le buone grazie della Trona!”.

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Tod in Venedig









Ore 16.34




sabato 27 febbraio 2021

Dovremmo fare come loro

 

In The 20th Annual Rich List, the Definitive Ranking of What Hedge Fund Manager Guadagned in 2020, Stephen Taub ha scritto: “Un brutto anno per l’umanità è stato un anno meraviglioso per l’élite degli hedge fund”.

Il 22 febbraio, l’Institutional Investor ha pubblicato la sua Rich List annuale dei 25 principali hedge manager e dei loro guadagni nel 2020. Tutto legale, ovviamente. È la classe dominante a decidere la differenza tra ciò che si può fare e ciò che è vietato.

La vendita allo scoperto, la leva finanziaria, le speculazioni sui derivati, sono tra le tecniche utilizzate massicciamente dagli “investitori istituzionali” e da persone con un patrimonio elevato che fanno parte dell’esclusiva oligarchia finanziaria. Tutto legale.

Nel più moralistico degli imperi del XIX secolo era assolutamente legale sfruttare per 12 ore al giorno il lavoro dei bambini con meno di 12 anni, per esempio. Oggi è giudicato riprovevole usare la parola “negro”, ma non sfruttarne il loro lavoro come schiavi.

Leggiamo con orrore dei Gulag stalinisti, uno degli aspetti che hanno caratterizzato l’accumulazione originaria in Urss. L’impero inglese ha realizzato la sua accumulazione originaria sfruttando il proletariato britannico e le sue colonie in modo non molto diverso. Se non si vuole leggere Engels sulla situazione della classe operaia inglese nella prima metà del XIX sec., si legga Il popolo dell’abisso di London per farsi un’idea della Londra dell’inizio del XX secolo. Nel costruire le ferrovie statunitensi sono morti decine di migliaia di salariati. Più di 6mila migranti sono morti in Qatar negli ultimi dieci anni, scrive il Guardian, molti dei quali si erano trasferiti nel paese per lavorare alla costruzione degli stadi e delle infrastrutture per i Mondiali di calcio.

Nessuno di noi è abbastanza innocente in questo sistema, che è il peggiore, però al netto di tutti gli altri. Non si dice così? Perché sorprendersi che una manciata di miliardari abbiano interesse a veicolare attraverso i media di loro proprietà questo e altri luoghi comuni? Ogni volta che c’è un crollo di borsa le cause addotte sono le più incredibili.

I super ricchi hanno aumentato i loro guadagni del 50% rispetto al 2019. Quando si pompano migliaia di miliardi per favorire la speculazione dei mercati azionari, peraltro indipendentemente dalla loro connessione con l’economia reale, un gruppo selezionato di uomini ricchi diventa ancora più ricco.

In cima alla lista c’è Israel (Izzy) Englander, il fondatore e CEO di Millennium Management, che ha guadagnato 3,8 miliardi di dollari nel 2020. Englander, 72 anni, ha più che raddoppiato i suoi guadagni del 2019 di 1,5 miliardi di dollari e ha un patrimonio netto di 7,2 miliardi di dollari ed è 74esimo più ricco americano secondo la lista Forbes 400.

Solo il 74esimo americano più ricco. C’è quasi da vergognarsi di essere così in fondo alla classifica. Sarebbe interessante sapere quanti ebrei ci sono nella lista Forbes, ma già porre in tal modo il quesito si può essere tacciati di antisemitismo.

Circa il 30 per cento dei 400 Forbes sono ebrei: Mark Zuckerberg, Michael Bloomberg, George Soros, Jeff Bezos, Bill Gates, Warren Buffet, Oracle Larry Ellison, per citare dei nomi molto noti, sono tra i primi della lista.

Anche l’ex presidente della Federal Reserve, Ben Shalom Bernanke, è ebreo, così come il suo predecessore, Alan Greenspan, e il fondatore della Fed, Paul Warburg. Insomma, tutta gente in gamba, non solo negli affari.

Molti di loro in origine erano poveri o comunque non ricchi. Quando negli anni Venti gli Usa hanno adottato leggi più restrittive verso l’immigrazione, gli ebrei europei hanno cominciato a popolare la Palestina. Non hanno solo espropriato gli arabi delle loro terre, ma ne hanno acquistate anche con i dollari donati dai ricchi ebrei americani.

Sia chiaro, guardo agli ebrei con ammirazione, sono ammirevoli in tutto (o quasi). Grande impegno nello studio, nel lavoro, nell’arte, negli affari. Dovremmo imparare da loro, ultimamente anche in fatto di vaccini (vedi alla voce Albert Bourla).


venerdì 26 febbraio 2021

Ceci n'est pas un complot !

 



Il botto

 

La causa principale del nervosismo sui mercati finanziari è la continua svendita dei titoli di stato, il cui prezzo scende e aumenta il loro rendimento, ossia il tasso d’interesse (prezzo e rendimento si muovono in direzioni opposte).

I pacchetti di stimoli all’economia, per esempio quello da 1,9 trilioni di dollari proposto dall’amministrazione Biden, finanziato interamente dal debito pubblico e non con tassazione, porterà a un rapido aumento dell’offerta di obbligazioni, riducendo il loro prezzo e facendo salire i tassi d’interesse, nonostante gli sforzi della Fed per mantenerli bassi attraverso il suo programma di acquisto di asset.

Durante la giornata di ieri il rendimento dei titoli del Tesoro USA a 10 anni, fondamento del sistema finanziario statunitense e globale, è salito fino all’1,6%, rispetto ai livelli di circa l’1,3% all’inizio della settimana, prima di tornare all’1,5%.

Scostamenti minimi, che però nell’attuale situazione sono sufficienti a creare nervosismo nei mercati finanziari. Non è tanto il livello assoluto dei tassi d’interesse a preoccupare ma la velocità con cui aumentano.

I rendimenti dei titoli di Stato Usa a 10 anni hanno eguagliato i rendimenti delle azioni quotate nell’S&P 500. Chi ha in portafoglio azioni che fin qui hanno reso di più, le vende per comprare i titoli governativi.

La vendita delle obbligazioni si è estesa alla Nuova Zelanda e all’Australia. Questa settimana il rendimento dei titoli di stato decennali australiani è salito all’1,64%, il livello più alto in due anni, spingendo la Reserve Bank of Australia a intervenire sul mercato con ulteriori acquisti.

Una montagna di capitale fittizio speculativo, a fronte di debiti pubblici mostruosi, che ora agisce come forza dominante nell’economia degli Stati.

I prezzi degli asset potrebbero diventare insostenibili per le banche centrali e l’inflazione aumentare. Del resto i governi per sostenere l’economia devono “stampare” moneta, ossia emettere nuovo debito, in un circolo vizioso che porterà prima o poi a un collasso del sistema su vasta scala. Non si tratta di sapere se accadrà, ma solo quando. E più tardi sarà, maggiore sarà il botto.

giovedì 25 febbraio 2021

Che pena

 

I politici non esistono più perché non esiste più la politica. Altri dicono che forse è più vero il contrario. Il risultato non cambia.

Permane tuttavia l’esigenza, inalienabile, da parte dei diversi strati sociali, di vedersi rappresentati politicamente. Non avviene per ragioni di passione civile e ideale, roba antica, bensì per mantenere o tentare di recuperare status economico e potere contrattuale in una fase in cui la dominanza assoluta del capitale monopolistico e le nuove tecnologie hanno scompaginato tutti gli assetti consolidati da decenni.

Questa situazione, relativamente recente, è stata alla base, da ultimo, dell’affermazione elettorale del Movimento cinque stelle, in particolare, ma anche della Lega e prossimamente dei fascisti, così come la scomparsa dei grandi partiti ideologici costituì il successo di Forza Italia. Il Pd invece ha dilapidato il lascito di un’altra storia, e sopravviverà a se stesso finché gli rimarranno dei claqueurs televisivi.

L’opzione politica incarnata da questi movimenti e partiti è data da una concezione del mondo lineare e interclassista, capace di suscitare miti semplificatori e agitare paure. Il tutto è mediato dai clan dell’informazione, all’occorrenza in alleanza con quelli giudiziari.

Alla fine che cosa è rimasto? I governi tecnici e la lotta famelica per accaparrarsi delle poltroncine. L’ultima baraonda per quelle di sottosegretario. Che pena.

Ammetto tuttavia che la mia è una visione molto pessimistica, dettata da un’estetica politica che appartiene a un tempo passato, non compreso dai molti e secondo un montaggio della realtà diverso da quello dello streaming.


mercoledì 24 febbraio 2021

Vaccini: in balìa della propaganda


I vaccini sono diventati un’arma geopolitica in una guerra d’influenza. Il caso microscopico di San Marino ne è solo la spia. La circolazione dei vaccini russo e cinese nei paesi del Medio Oriente, Asia, Africa e America Latina a prezzi accessibili ne costituisce la prova. L’Occidente non è nemmeno in grado d’inviare dosi sufficienti per vaccinare gli operatori sanitari in Africa, e l’Europa in questo momento non è in grado di garantirsi forniture adeguate in tempi brevi per vaccinare la propria popolazione.

Lo scorso ottobre, gli Stati Uniti, l’UE e il Regno Unito hanno respinto la richiesta dell’India e del Sud Africa all’Organizzazione mondiale del commercio di rinunciare alla protezione della proprietà intellettuale per i vaccini e consentire ai paesi in via di sviluppo di produrre o importare versioni generiche.

Questa è la realtà politica ed economica che governa il mondo, laddove la preoccupazione principale non è la salute della popolazione mondiale, ma la lotta per il vantaggio commerciale e geostrategico.

martedì 23 febbraio 2021

Ciao, Stanlio

 


Poche ore prima di morire, in quel 23 febbraio, disse all’infermiera che lo assisteva che avrebbe voluto essere in montagna a sciare. L’infermiera gli chiese se gli piaceva così tanto sciare. Risposte che odiava lo sci, ma che era sempre meglio che stare lì in quella condizione. 


Non si è mai abbastanza innocenti


C’è voluto l’assassinio di un diplomatico e di un carabiniere per accorgersi che “là fuori” il mondo è quello di sempre. Oggi come 60 anni fa, a Kindu, dove furono assassinati 13 italiani. A Mogadiscio, in Somalia, nel 1993, toccò a diversi militari italiani. Un anno dopo ad Ilaria Alpi, della quale ci si ricorda perché il caso è diventato oggetto di innumerevoli “inchieste” televisive.

Materie prime in cambio di armi, equipaggiamenti, automezzi e carburante. Un film già visto innumerevoli volte, un grande bazar, apparentemente anonimo, dove si compra e si vende di tutto, compresa ovviamente la vita delle persone.

Non abbiamo una giornata della memoria per il genocidio di milioni di congolesi all’epoca di Leopoldo II. Chi si ricorda del genocidio del Biafra, quello del Ruanda (la Radio Télévision Libre des Mille Collines svolse un ruolo di rilievo nella caccia ai Tutsi), né di altre stragi. Sono troppo lontani da noi i fatti e i luoghi. E poi, a volerle ricordare tutte non basterebbero i giorni del calendario. Bruno Vespa non avrebbe a disposizione abbastanza foto taroccate.

Chi avrebbe mai potuto pensare che nella pacificata Europa post 1989 potesse accadere quanto è avvenuto nella ex Jugoslavia? Ci fu la rincorsa – Vaticano in primis – a riconoscere la cattolica Croazia e la Slovenia, mentre si stava scatenando l’inferno, quello vero. Noi a 200 km eravamo in spiaggia. Fu l’ultima volta che protestai pubblicamente, per l’inerzia dimostrata dall’Italia e dall’UE, ricevendo in cambio sorrisi di scherno.

*

Niccolò Machiavelli, nel novembre del 1509, fu inviato al campo dell’imperatore Massimiliano presso Mantova e poi a Verona. Imperversava a quel tempo la guerra della Lega di Cambrai (un trafiletto anche nei libri di scuola!), che la Repubblica di Venezia perse sui campi di battaglia ma vinse ai tavoli della diplomazia, riuscendo mediante accordi separati a dividere il fronte dei coalizzati. Machiavelli fu testimone della ferocia delle truppe imperiali e dell’eroica resistenza delle popolazioni venete che salvarono la Repubblica.

Nel Discorso sopra le cose d’Alemagna, scriveva: «[...] e tutto di occorre che uno di loro preso si lascia ammazzare per non negare il nome viniziano. E pure jersera ne fu uno innanzi a questo vescovo [Giorgio di Neydeck, vesovo di Trento e luogotenente imperiale a Verona], che disse che era marchesco [fedele alla repubblica di Venezia], e marchesco voleva morire, e non voleva vivere altrimenti: in modo che il vescovo lo fece appiccare; né promessa di camparlo ne d’altro bene lo posse trarre di questa opinione: dimodoché, considerato tutto, è impossibile che questi Re tenghino questi paesi conquestati con questi paesani vivi».

Pragmatico il Machiavelli: ammazziamoli tutti.

In nota, a p. 312 del I vol. delle Opere complete, edite a Milano da Francesco Sanvito (1859), l’anonimo curatore, scriveva:

«Andrea Mocenigo e il francese Dubos, che scrissero la storia della famosa lega di Cambrai, attestano che la barbarie dei Tedeschi fosse allora giunta a tal segno, che non contenti di tormentare nel più atroce modo i contadini che cadevan loro nelle mani, avevano altresì ammaestrato cani per iscoprire le donne i fanciulli appiattati ne’ campi».

Non solo tedeschi, ma anche i francesi facevano a gara in ferocia. Un episodio può offrire l’idea.

Il 13 maggio 1510, un anno dopo la disfatta veneziana di Agnadello, il comandante degli imperiali, il principe d’Anhalt, uscì col suo esercito da Verona intenzionato a riconquistare Vicenza, che, scacciati gli imperiali, era ritornata con i veneziani. Dapprima tentarono l’assalto al castello di Longare, dove trovarono strenua resistenza, perciò si diressero a Mossano, i cui abitanti, certi delle rappresaglie delle soldatesche, avevano scelto rifugio nelle grotte di san Bernardino, presso Barbarano, e lì s’erano nascoste 1.200 persone, quasi tutte donne e bambini. I francesi dettero fuoco a delle cataste di legna poste all’imboccatura delle cave causando la morte per soffocamento di tutti quegli infelici, salvo una giovane donna e due bambine (*).

Di questa e di altre “comuni” stragi non c’era traccia sui miei libri di scuola. E sui vostri?

(*) La grotta di san Bernardino fu frequentata nel paleolitico inferiore e medio da preneandertaliani, poi da neandertaliani, quindi da gruppi di uomini moderni del paleolitico superiore e del mesolitico. Sono stati rinvenuti resti di diversi focolari con ceneri, risalenti a circa 250 mila anni fa, tra i più antichi sinora ritrovati, prova della domesticazione del fuoco da parte dei neandertaliani. Come altre grotte dei Berici, anche questa fu utilizzata, come nel caso riportato, come rifugio.


lunedì 22 febbraio 2021

Marte e i vaccini

 

Il successo dell’atterraggio del rover Perseverance sulla superficie marziana è un risultato scientifico e tecnologico di prim’ordine. Ci sono voluti solo otto anni di meticolosa pianificazione, coinvolgendo migliaia di persone di più paesi di tre continenti per posizionare delicatamente l’esploratore astrobiologico di 1.025 chilogrammi sulla superficie di un altro mondo.

I 2,7 miliardi di dollari spesi finora per costruire, lanciare e gestire Perseverance corrispondono a un quarto del costo di una delle portaerei di ultima generazione messe in cantiere dal Pentagono, meno dell’1 per cento della spesa militare della UE, circa il 3 per cento di quella cinese, inferiori a quanto “guadagnato” in settimana da Elon Musk, per citare un nome, il quale si è trasferito in Texas per profittare, legittimamente, della deregolamentazione fiscale.

Perseverance è l’ultimo di una serie di orbiter, lander e rover per lo studio di un pianeta che ci affascina da sempre e ci fa sognare da quando lo descrisse Schiapparelli. Come hanno dimostrato tutte le missioni, la superficie marziana è un luogo secco, freddo e arido. Tuttavia, nonostante tutta la sua attuale ostilità alla vita conosciuta, può sembrare molto familiare: ha dune, tempeste, calotte glaciali, montagne, torrenti prosciugati, fiumi, letti di laghi e ci sono anche tramonti piuttosto spettacolari.


Non ci sono chioschi di piadina, per ora.

Dopo un viaggio di 203 giorni, i sette strumenti a bordo del rover hanno già iniziato a trasmettere dati e immagini. Mentre le prime foto scattate da Perseverance sono utilizzate principalmente come test per verificare che il rover funzioni come dovrebbe, un’immagine della sua ruota anteriore sinistra rivela rocce porose. Sulla Terra, tali formazioni sono causate da vulcani, il che significa che forniranno informazioni sulla storia geologica di depositi e sedimenti nei fiumi e negli oceani, rocce formate da corsi d’acqua ora scomparsi dalla superficie.

domenica 21 febbraio 2021

Quando ad essere sfrattati erano i Benettón

 

La Storia, quella con la maiuscola, è la storia dei vincitori. Non sempre, però. L’Italia è zeppa di odonimi di fascisti. Non solo Italo Balbo, ma centinaia di altri nomi. In quasi ottant’anni di celebrazioni dell’antifascismo, nessuna autorità, che avesse il potere di farlo, s’è occupata di bonificare questa vergogna. L’antifascismo di facciata non ha mai fatto realmente i conti con quel periodo e i suoi volenterosi protagonisti in camicia nera.

La storia, per come viene generalmente raccontata dai media e trascritta sui testi scolasti, è un insieme di miti, truismi e deliberate falsificazioni che alimentano strampalate nostalgie e diffuse apologie sul ruolo storicamente positivo avuto dalle classi dirigenti e proprietarie.

Nel film Novecento di Bertolucci, si vedono sfilare dei carretti con le povere masserizie di contadini sfrattati dai padroni nel primo dopoguerra. Sembra che si tratti di pochi casi, dovuti alla ferocia di qualche proprietario, e invece nella realtà storica gli sfratti interessavano diverse migliaia di famiglie. Per esempio, in Veneto tra il 29 giugno e l’11 novembre 1922, nei soli distretti di Oderzo e Castelfranco, provincia di Treviso, le disdette di sfratto esecutive furono circa 2.000.

venerdì 19 febbraio 2021

Riforme di ieri, di oggi, di sempre

 

Quando sento parlare di riforme di sistema, mi coglie l’impeto di mettere mano alla celebre fondina. Riforme, con piccole idee e piccoli uomini?

Supponiamo, per mera e assurda ipotesi, che Benito Mussolini, al colmo del suo potere e prestigio, avesse in animo di porre mano a delle riforme, alcune delle quali non poteva ignorare fossero necessarie. A quali ostacoli sarebbe andato incontro?

La necessità e l’urgenza di una riforma agraria datava dall’unità nazionale. Ma ad un assetto patrimoniale più favorevole per le masse contadine si sarebbero opposti possidenti feudali, fattori e fittanzieri di grandi tenute agricole, tutta l’aristocrazia terriera che aveva le sue radici nella terra patrizia e vi traeva i suoi cespiti. Avrebbe fatto sentire la sua voce la gerarchia cattolica nel difendere i suoi interessi minacciati, come già accaduto per la nominatività dei titoli al portatore. Gli stessi sedicenti liberali, quali per esempio Benedetto Croce, cospicuo proprietario fondiario, non ne sarebbero stati contenti. Inoltre e non ultimi, numerosi quadri dello stesso partito fascista, rappresentanti politici della grande proprietà fondiaria, che non sarebbero rimasti inerti al grido di dolore dei loro benefattori.

Una riforma delle forze armate, segnatamente dell’esercito, diventato nel dopoguerra ancor più uno stipendificio, fu ben presente prima in Armando Diaz, poi in Pietro Gazzera e negli intendimenti di altri soggetti. Si trattava di ridurre il numero pletorico degli ufficiali, destinando le risorse risparmiate all’ammodernamento dei sistemi d’arma e degli equipaggiamenti. E però l’esercito, ovvero la casta degli ufficiali, aveva avuto un ruolo non marginale nel frangente della cosiddetta marcia su Roma, tanto che Diaz disse al monarca che l’esercito era fedele ma tuttavia non era il caso di metterlo alla prova (*).

Molto più semplice tagliare i salari. Il 1° dicembre 1930, le retribuzioni globali degli operai e degli impiegati furono ridotte dell’8%. Nell’agricoltura il taglio dei salari oscillò tra il 10 e il 25%, ma infine arrivò anche al 40%. Il risparmio annuo degli industriali fu calcolato in 1 miliardo annuo; per i proprietari fondiari in 1.218 milioni di lire annui; in circa 725 milioni il taglio dei salari dei dipendenti dello Stato (**).

Una riforma del diritto di famiglia? Si sarebbe scatenata la canea dai pulpiti delle chiese: al Vaticano andava benissimo che Cristo si fosse fermato a Eboli, perché il ruralismo arretrato consentiva di perpetuare il dominio sulle coscienze e nei corpi dei suoi fedeli (lo si vedrà ancora decenni dopo, contro le leggi sul divorzio e l’aborto). Soprattutto sui corpi delle donne, per esempio con l’introduzione dell’art. 587 del C.P. che prevedeva le famigerate attenuanti per il cosiddetto delitto d’onore, o l’art. 544 sul cosiddetto matrimonio riparatore, entrambi abrogati solo nel 1981!

La riforma della scuola? “La più fascista” delle riforme fu denotata di un’impronta spudoratamente classista, gravata dal peso dell’ideologia fascista e confessionale (reintrodusse l’indottrinamento religioso, in seguito anche nei licei). E misogene furono le leggi che l’accompagnarono, per esempio il regio decreto 2480/1926 stabiliva all’art. 11 che le donne non potevano insegnare materie scientifiche negli istituti tecnici, e lettere e filosofia nei licei, due materie che erano diventate centrali con la riforma Gentile.

Insomma, non vi furono solo motivi ideologici, di contingenza e opportunità politica ad impedire a Mussolini di attuare alcune riforme indispensabili per modernizzare il paese e svilupparne l’economia, ma anche interessi concreti fortissimi di classe, di casta e di apparato.

Chi vede nelle categorie della storia solo gli antagonismi astratti, per esempio tra destra e sinistra, tra conservatori e riformatori, dovrebbe tener conto che la storia non è fatta solo di categorie astratte, ma di uomini con i loro tenaci interessi. Esistono delle ragioni obiettive per cui le cose vanno in un modo e non in un altro. Ieri, oggi, sempre.

(*) Il gen. Gazzera, Ca. SM dell’esercito, in un’audizione al Senato, a nome del governo, il 21 marzo 1930, disse: “L’ immediato dopoguerra, specie il 1920, ha indotto ad immettere nell’esercito per necessità non militari, altri grossi blocchi di ufficiali inferiori” ( G. Novero, Mussolini e il generale, Rubbettino, p. 87).

(**) «Specialmente sull’onda degli entusiasmi nazionalistici per la “conquista dell’impero”, il regime godette certamente ancora di grande prestigio; si trattò però di periodi brevi, nei quali l’adesione popolare fu assai rumorosa ma, a ben vedere, meno plebiscitaria e soprattutto venata di preoccupazione per il futuro e specialmente di un bisogno di “riprendere fiato” e di “tirare i remi in barca”, che rivelavano l’affiorare, nell’ambito del consenso, di posizioni e soprattutto di stati d’animo più sfumati e meno disposti ad un’accettazione carismatica della politica del regime nel suo complesso» (Renzo De Felice, Mussolini il duce. Gli anni del consenso, I, Einaudi, p. 54 e ss.).


giovedì 18 febbraio 2021

Un’esplosione nucleare ci attende


Ieri l’altro il Bitcoin ha superato per la prima volta i 50.000 dollari, e oggi, come già ieri, sfiora 52.000. È raddoppiato di prezzo negli ultimi due mesi, in un anno del 413 per cento! Quattro anni fa si poteva acquistare a meno di due dollari.


Una bolla come quella classica dei tulipani olandesi? A differenza dei tulipani il Bitcoin non ha alcun valore intrinseco, non è neppure un fiore in potenza, ma pura evanescenza. 

L’ultima ondata di prezzo è stata innescata dall’annuncio del capo di Tesla, Elon Musk, all’inizio di questo mese, che la società stava investendo 1,5 miliardi nella criptovaluta e lo avrebbe accettato come pagamento su alcune transazioni.

Musk non è l’unico. Questo mese la Bank of New York Mellon ha annunciato che inizierà a trattare bitcoin come qualsiasi altro asset finanziario e MasterCard ha dichiarato che quest’anno integrerà bitcoin nel suo sistema di pagamento. Anche gli investitori miliardari Paul Tudor Jones e Stanley Druckenmiller hanno iniziato a speculare sul Bitcoin.

Tutto ciò nonostante non vi sia alcuna prospettiva che il Bitcoin diventi parte integrante del sistema monetario internazionale come invece propagandato dai suoi promotori.

Vengono realizzati enormi profitti dai principali istituti finanziari, hedge fund e altri grossi investitori, e ciò attira pesci nella rete. La speculazione sui bitcoin è l’esempio più eclatante di ciò che sta accadendo in tutto il sistema finanziario, laddove società con rating di tripla C o inferiore vedono aumentare le loro azioni e le obbligazioni spazzatura.

Questo è il risultato diretto di una grande massa di liquidità famelica d’investimenti redditizi e degli interventi delle banche centrali, le cui misure di stimolo hanno spinto al ribasso i tassi d’interesse sui titoli di stato e obbligazioni societarie investment-grade, il che significa che gli investitori sono spinti in aree più rischiose del mercato dove i rendimenti sono più elevati.

Anche se l’inflazione dovesse aumentare, la Fed e le altre banche centrali non risponderanno stringendo la politica monetaria in una situazione economica come quella creata dall’epidemia.

Le misure di stimolo non vengono finanziate attraverso una maggiore tassazione dei profitti delle società o tasse patrimoniali, almeno finora, ma quasi esclusivamente attraverso l’emissione di nuovo debito.

Quanto potrà durare questa follia speculativa? Nessuno può saperlo, così come nessuno poteva prevedere quando la speculazione sui tulipani sarebbe cessata. Tra le due situazioni storiche, quella olandese e quella attuale, il potenziale esplosivo della bolla speculativa sta nella misura dello scoppio di un petardo a fronte di un’esplosione nucleare. 

mercoledì 17 febbraio 2021

Sostiene Mario Draghi

 

Georg Wilhelm Friedrich Hegel (una singola persona, non tre fratelli), scrisse che solo ciò che è razionale è reale, e viceversa. Generazioni di studenti ripetono volentieri l’assunto (i loro insegnanti soddisfatti annuiscono), non sempre comprendendo l’effettivo significato che va attribuito alla frase nel contesto della dialettica storica.

*

I governi che non hanno una reale opposizione sono delle dittature di fatto. In Italia non hanno un’effettiva opposizione da diversi decenni. Nemmeno i governi Berlusconi hanno avuto un’effettiva opposizione parlamentare, ma al massimo quella espressa occasionalmente dalla Cgil o quella collaterale intrapresa dalla magistratura.

In Italia c’è la dittatura? È chiaro che non si tratta di una relazione semplice di causa- effetto, dalla quale discende linearmente che se non c’è un’opposizione al governo c’è sic et simpliciter una dittatura. Inoltre, se per dittatura s’intendono i regimi torvi e grotteschi del primo Novecento, si va fuori strada. In Italia, e non solo, c’è la più ampia libertà di scelta politica. Anche troppa, sostiene più d’uno con qualche nostalgia.

Nel divenire del modo di produzione capitalistico lo Stato ha, in stadi di sviluppo diversi, assunto forme diverse. Nella nostra epoca le dittature del passato sarebbero percepite come un elemento irrazionale e antistorico, si scontrerebbero con la realtà economica e sociale vigente. La Corea del Nord rappresenta un esempio paradigmatico d’irrazionalità e antistoricità di quel genere di dittatura.

Storicamente le metamorfosi della forma Stato, e dei governi che ne sono l’espressione, vanno lette in relazione al movimento contraddittorio del capitale e alle fasi di sviluppo che esso ha attraversato. Basti pensare che cosa è avvenuto a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, il via alle massicce privatizzazioni a fronte dell’alta incidenza degli investimenti nelle Partecipazioni Statali che aveva accompagnato nelle fasi precedenti l’economia italiana, che è però sfociata infine in sottocapitalizzazione e crescita del rapporto tra indebitamento e fatturato (il caso Alitalia è ancora cogente per tutti noi!).

Veniamo all’oggi, a quanto sostiene Mario Draghi: “La storia repubblicana ha dispensato una varietà infinita di formule”. No, non infinita, e tutta interna al parlamento e agli eletti. Non c’era stata, fino a una certa data, la formula dell’”inconsueto perimetro”, per citare ancora le sue parole, ossia quella dei presidenti del consiglio calati dall’alto e imposti ai partiti, incapaci di darsi un governo politico.

Perciò anche l’attuale governo, non meno degli altri calati dall’alto, non “è semplicemente il governo del Paese”. È un governo deciso al di fuori del parlamento, nel rispetto formale della Costituzione, al quale i partiti politici (sotto la formula di “una rinuncia per il bene di tutti”) sono tenuti a votare la fiducia perché incapaci di darsi un governo tutto loro.

Come già successe con Mussolini, con Badoglio, con Ciampi, con Dini, con Monti e ora con Draghi. Non sorprenda l’accostamento, sta tutto nella realtà dei fatti storici. Anche Mussolini e Badoglio sostenevano di agire per il bene del Paese, che allora usava chiamare Patria.

Su una cosa ha ragione il presidente Mattarella: sulla metafora della farina. E qui si dovrebbe aprire un’altra riflessione, quella sulla cosiddetta “crisi della democrazia”, ma per farla breve cito Luciano Canfora, secondo il quale il sistema è dominato da “un’oligarchia dinamica incentrata sulle grandi ricchezze ma capace di costruire il consenso e farsi legittimare elettoralmente tenendo sotto controllo i meccanismi elettorali” (Luciano Canfora, La democrazia, p. 331).

Per quanto riguarda le “dinamiche oligarchie”, bisogna dire che in Italia esse si presentano in forme e modalità piuttosto eterogenee e non sempre univoche, salvo che negli scopi fondamentali: per prima cosa garantire gli interessi particolari di classe, di ceto, di casta; quindi garantire la riproduzione dello status quo, pur con tutte le contraddizioni di una società di classe cui s’aggiunge il retaggio d’arretratezza culturale e civile di questo paese.


martedì 16 febbraio 2021

Dacci oggi la nostra babele quotidiana

 

Comunicazione fa rima con monetizzazione. La questione è tutta qui. I padroni dei media sanno benissimo che l’istupidimento di massa è una cosa seria, e del resto non investono i propri denari per guadagnarsi la gratitudine delle masse o il paradiso. Il prodotto deve essere vendibile, deve soddisfare banalmente i bisogni dei telespettatori, deve generare appeal di ogni tipo.

Anche quando non sia ha nulla da dire, basta mezza frase, a volte una sola parola, per farla diventare un argomento. Per farne un oggetto, e dell’oggetto quello che si vuole. Esempi? Frasi evocative come “crisi di governo”, mistiche espressioni come “Recovery Plan”, l’acronimo “MES”, oppure, di questi tempi, la parola “lockdown”, “covid”, “vaccino”, sufficienti per dare inizio al “dibattito”, cioè allo spettacolo.

Rivolgendosi all’ospite televisivo, il giornalista chiede: “Lei che ne pensa?”. Inizia il contraddittorio con un altro ospite, entrambi volti noti ai telespettatori: giornalisti “autorevoli” o “esperti” di qualcosa, chiamati ad esprimere il proprio punto di vista. I partecipanti sono protagonisti di se stessi, hanno libertà in un recinto circoscritto, devono cioè assumere un comportamento conforme alla trasmissione, al cliché riconosciuto al singolo personaggio.

Si specula sul “bisogno” dell’utente di essere intrattenuto su qualcosa che è diventato l’argomento del momento, deprivando i fatti del proprio contenuto reale in nome del comunicabile. Nel momento in cui la disputa si fa più “interessante”, si manda la pubblicità, i cui introiti consentono al gioco di continuare, ammicca sornione chi conduce la manfrina.

Più in generale, la realtà viene parcellizzata ed etichettata spettacolarmente nelle diverse categorie del “bisogno” dell’utente: intrattenimento socio-politico, musicale, sportivo, filmico, storico, eccetera, e nelle altrettanto molteplici e gerarchizzate sottocategorie, secondo un modulo di riproduttività meccanica, che attinge all’orientamento ideologico, al livello d’istruzione e al gusto di chi crede di essere il decisore delle sue scelte riconosciute dal telecomando.

In realtà invece di scegliere si viene scelti, secondo ogni altra esperienza di carattere commerciale. Di fatto i telespettatori nell’insieme si distribuiscono tra le diverse offerte al modo in cui il saggio medio del profitto si livella tra i diversi capitali, ossia approssimativamente secondo l’investimento di ogni singola piattaforma televisiva.


I vaccini ci sono per tutti, basta comprarli

 


Dal minuto  –20 (verso la fine).

Botta e risposta tra Zaia e una giornalista di La7.

Grande giornalismo (?!) d'inchiesta di Presa Diretta.


lunedì 15 febbraio 2021

Trump il vincitore

 

È passata quasi sotto silenzio l’assoluzione di Donald Trump al processo farsa intentato contro di lui dopo i fatti del 6 gennaio scorso. A nessuno conveniva mettere davvero le mani in quel bubbone. Troppe complicità e omissioni dirette e indirette. Quei fatti, gravissimi ed inediti, così come il processo omertoso e il conseguente verdetto, costituiscono un ennesimo esempio del declino della democrazia americana, dominata da un’oligarchia divisa in due grandi fazioni che si alternano al potere.

Non va dimenticato che 147 membri repubblicani della Camera e del Senato avevano votato contro la certificazione della vittoria elettorale di Joe Biden, avvalorando l’accusa di elezioni truccate e con ciò fornito il quadro politico per l’assalto del 6 gennaio.

Vale la pena confrontare il modo in cui fu condotto il secondo impeachment contro Trump con le indagini sullo scandalo Watergate sotto l’amministrazione Nixon.

Le udienze al Senato, iniziate nel febbraio 1973 e presiedute dal senatore democratico Sam Ervin, portarono non solo alle dimissioni forzate di Nixon di fronte a un impeachment praticamente certo, ma anche al coinvolgimento di FBI e CIA e alla condanna penale di una ventina di persone. E tutto ciò per un furto effettuato da cinque persone, in cui nessuno rimase ferito e tantomeno ucciso.

Anche le udienze per il processo Iran-Contra nel 1987 furono ben altra cosa. Rivelarono che l’amministrazione Reagan aveva violato in modo flagrante l’emendamento Boland, approvato dal Congresso per vietare l’assistenza del governo degli Stati Uniti ai Contras nicaraguensi. Inoltre, fu portata in luce l’esistenza del piano Rex 84 per la detenzione di massa di elementi “sovversivi”.

Ciò che è accaduto il 6 gennaio scorso, tra l’altro con morti e feriti, è molto più grave sotto ogni punto di vista. Il Senato vi ha dedicato meno di una settimana. Eppure era palese che Trump aveva in molti modi cercato di intimidire i membri del Congresso e dei funzionari per bloccare l’elezione di Biden, e inoltre non fece ciò che era suo dovere e in suo potere per porre fine, e anche per prevenire, le violenze iniziate il 6 gennaio. Questi fatti sarebbero stati sufficienti per un’inchiesta approfondita e per una condanna.

Trump ne esce vincitore, come leader dei repubblicani e potenziale candidato alle elezioni del 2024 (sempre che non siano intervenuti altri accordi sottobanco).

domenica 14 febbraio 2021

Mezz'ovo


Una serie di ricche pietanze quelle offerte oggi dal Sole 24 ore, non solo per quanto riguarda il suo inserto culturale, ma anche perché un suo giornalista rendiconta di essere stato ospite “a tavola con Elsa Fornero”. A pagina 10, con richiamo in prima, c’è un lungo articolo-intervista di Paolo Bricco dal titolo succulento: “La povertà, il ruolo delle élite e le sfide del progetto Draghi”.

Ne sarebbe bastata mezza porzione fosse stata un’intervista vera, in realtà sono prevalentemente considerazioni a bagnomaria del Bricco stesso, con qualche frase della ex ministra a guarnire un piatto che non sa di niente.

Bricco racconta che l’arredamento della casa è spartano, “lontanissimo dal gusto del lusso culturalmente démodé”. Quindi si accomoda in cucina da Elsa Fornero, “accontentandosi” di un risotto preparato dalla padrona di casa. La signora intanto armeggia con “un pentolino per scaldare il brodo di carne”.

Tutto l’articolo è improntato ad esaltare semplicità e sobrietà della ex ministra del Lavoro, tanto che anche il giudizio sul risotto è parsimonioso: “buono e saporito il giusto”.

A seguire la padrona di casa cucina un uovo, che aggiunge all’insalata, dunque metà uovo a testa. Bricco non si lascia sfuggire l’analogia, cita in chiusa la famosa mela a metà (in realtà pare si trattasse di una pera, ma non sottilizziamo), che Einaudi offrì a un suo ospite.

Bricco è generoso come ospite quanto come apologeta, mette in tavola il suo vino: “Barbaresco della cantina Produttori del Barbaresco, annata 2012, e Amarone di Masi del 2015”. Scelta impeccabile quando il tema del discorrere è la “povertà” (degli altri).

Elsa racconta della sua famiglia, nel canavese, “non povera”. Figlia di un guardiano di un poligono dell’esercito e proprietario di un podere, frequenta ragioneria a Torino. Nessun accenno alla scacchiera su cui gioca l’esistenza quotidiana dei comuni mortali, o allusione sulla speranza di promozione sociale e di una carriera garantita fino alla pensione.

Figuriamoci, simili meschinità non sono mai state nei pensieri di Elsa, che già allora sfuggiva alla diatriba del merito e del demerito con il suo impegno, che le consentì di sentirsi accolta e valorizzata all’università.

Ricama ancora il suo ospite che l’incompetenza oggi s’è fusa con “la credenza che si possa governare senza l’ausilio dei numeri e della matematica”. Ha ragione: quando l’aria è ammorbata, gli appestati dettano legge. Tuttavia non darei in mano la lista della spesa sociale a chi misura tutto nel mero calcolo ragionieristico di uova e insalate.

Elsa Fornero, in base alla sua esperienza familiare, di università e di moglie di un ex direttore del Sole 24 ore, s’è fatta l’idea che esistono i forti e i deboli, i ricchi e i poveri, i furbi e gli altri. Dubito però sappia esattamente che cosa significa passare la propria vita in una fabbrica o in un ufficio a guadagnare il denaro del mese che non basta, e quali condizioni producono insoddisfatti, risentiti e frustrati di un destino che questo sistema perpetua e che avrebbero desiderato diverso e non solo generoso di gadget.

Conosce i numeri, Elsa, meno la carne e il sangue che rappresentano nella realtà. Possiamo comprendere che una riforma delle pensioni andava fatta, e che quella che porta il nome della ministra non fu perfetta, così come nessuna riforma può esserlo e accontentare tutti. Qui però si tratta d’altro: dell’insopportabile predominanza degli interessi di un sistema sociale che non riesce più a ingannare come gli riusciva un tempo.

Quanto al signor Paolo Bricco, ci risparmi santini e leccatacce di culo. 

E lo chiamano lavorare


13 gennaio
(Ansa)
Si è ufficialmente aperta la crisi di Governo con le dimissioni delle due Ministre di Italia Viva.

18 gennaio
(Ansa)
Il Governo ha incassato la fiducia della Cemera.

19 gennaio
(Ansa)
Il Governo ha incassato la fiducia a Palazzo Madama.

Nel suo discorso alla Camera il premier ha utilizzato 5.632 parole per un totale di 32.563 caratteri. Il termine più ricorrente è stato “Paese” (24 volte).
Nel suo intervento al Senato, le parole di Conte sono state 6.682, per un totale di 38.690 caratteri. Quella più usata è stata “Politica” (32 volte), ma anche “Paese” è rimasto in pole con 28 citazioni.

20 gennaio
(Ansa)
Dal 13 al 19 gennaio, il presidente del Consiglio è stato citato circa 710 mila volte, da parte di circa 59 mila “autori unici”, con contenuti che hanno coinvolto (like + commenti + condivisioni) quasi 4.5 milioni di persone. Un volume di conversazioni che ha generato una portata potenziale, “opportunity to be seen” di ben 815.5 miliardi, che si stima aver dato luogo a 40.7 miliardi d’impressioni, al lordo delle duplicazioni.

20, gennaio
(Adnkronos)
Un incontro interlocutorio. Laconiche le valutazioni che emergono sul colloquio al Quirinale tra il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, salito al Colle per riferire al Capo dello Stato le sue valutazioni dopo la due giorni a Camera e Senato conclusasi con l’incasso della fiducia, al di sotto della maggioranza assoluta però a Palazzo Madama. L’incontro è durato poco meno di un’ora, Conte è poi rientrato a Palazzo Chigi.

sabato 13 febbraio 2021

Ostrega, xe tornà i marsiani

 

Ieri sera abbiamo assistito al ritorno dei marziani. Non sappiamo se hanno approfittato della congiunzione favorevole tra la Terra e Marte, che si verifica circa ogni 26 mesi, quando i due pianeti raggiungono il punto più vicino l’uno all’altro, fatto sta che gli omini sono di nuovo al governo, pronti a dirci la loro in fatto di riforma della pubblica amministrazione e di tunnel tra i laboratori del Gran Sasso a quelli del Cern, vicino alla città di Ginevra (la notizia, data allora dalla ministra dell’istruzione, trovò posto in un “sussidiario per tutte le discipline” pubblicato dalla Mondadori Education).

Non so se Mario Draghi ne sia a conoscenza, ma la faccenda dei marziani fu favorita da una cattiva traduzione in inglese del lavoro (Il pianeta Marte, 1893) di Schiaparelli: la parola “canale” fu tradotta con il termine canal, canale artificiale, invece del più corretto channel, che può indicare una conformazione naturale.

Scriveva Schiaparelli:

«Questa zona si ramifica dalla parte esterna con strisce oscure, le quali occupano tutta la regione circostante, e sembrano essere i canali distributori, per cui le masse liquide ritornano alle loro sedi naturali.
[...] aggiungeremo ora, che queste inondazioni diramate a grandi distanze per una rete di numerosi canali, forse costituiscono il meccanismo principale (se non unico), per cui l’acqua (e con essa la vita organica) può diffondersi sulla superficie asciutta del pianeta».

Insomma, fu mal tradotto, ma Schiaparelli lavorava molto anche su delle ipotesi di fantasia. Come succederà inevitabilmente anche nel nuovo governo, c’è da scommetterci 10 a 1.

Ma veniamo al Marte di oggi.

Due missioni hanno raggiunto Marte e sono entrate con successo nella sua orbita: il 9 febbraio la sonda spaziale Hope costruita dagli Emirati Arabi Uniti e lanciata dal nipponico Tanegashima Space Center, e il giorno dopo la Tianwen-1 lanciata dalla Cina dal sito Wenchang. Una terza missione, della Nasa, raggiungerà il pianeta giovedì prossimo, con a bordo una coppia di rover, denominati rispettivamente Perseverance e Ingenuity.

La “finestra di lancio” varia leggermente a seconda del percorso esatto intrapreso per arrivare su Marte, ma ha permesso a tutti e tre i veicoli spaziali di arrivare solo sette mesi dopo il lancio, dopo un viaggio relativamente breve di circa 493 milioni di chilometri.

La manovra d’inserimento orbitale è una delle operazioni più difficili nell’esplorazione spaziale. Le navicelle arrivano su Marte (e sugli altri pianeti) a velocità di decine di chilometri al secondo e devono frenare bruscamente e con precisione per essere catturate dalla gravità del pianeta ed entrare nella sua orbita, tanto più se si considera che l’attrazione gravitazionale di Marte è molto più debole, circa il 62% in meno, di quella terrestre.

Inoltre, i tempi di percorrenza dei segnali radio tra Terra e Marte, e viceversa, sono di circa 22 minuti, e ciò significa che l’intera operazione i veicoli spaziali la devono effettuare in programmata autonomia. Una sfida non da poco, basti pensare che da quando l’Unione Sovietica ha sfruttato per la prima volta questa finestra di lancio, 61 anni fa, più della metà delle 49 missioni su Marte sono fallite. Solo negli ultimi 25 anni i successi hanno superato i fallimenti.

La vicedirettrice del progetto della missione Emirates su Marte è una donna: Sarah bint Yousef al-Amir, che ha solo 34 anni. Se viene a saperlo la Gruber, l’invita in trasmissione per un intero anno marziano al posto di Travaglio, che pare sia in procinto di partire per raggiungere un nuovo sistema stellare.

venerdì 12 febbraio 2021

Il governo Cencelli


I più sprovveduti che pensavano che un solito governo fosse impossibile, sono rimasti delusi. Ancora una volta è stata rispolverata la vecchia commedia, giocando la carta dell’uomo più avanzato e di prestigio, che però ha tirato fuori dal cilindro il manuale Cencelli. Non possiamo biasimarlo se vuole salire al Quirinale e restarvi.

Una dopo l’altra le illusioni cadranno, poiché la crisi è di sistema e nessun partito politico, forte della propria impotenza, avverte la necessità di rischiare il proprio presente per guadagnarsi un futuro incerto. La negazione della politica sul terreno della politica stessa ci è stata servita stasera all’ora di cena dopo due mesi di tira e molla. 

Gli smemorati

 

Riguardo al post precedente, relativo alla farsa di Buccari, proprio ieri, in occasione dell’anniversario, Rai Storia nella sua rubrica quotidiana “i giorni e la storia”, oltre ad esaltare l’impresa, diceva testualmente, mentre scorrevano le immagini di un grande vascello da guerra che affondava, che durante quella missione fu affondato un piroscafo. La qual cosa è falsa. Non solo non fu affondata una nave da guerra (non erano presenti nel porto), ma nessun naviglio ebbe a subire danni. La cosa è nota, non serve aver letto il libro, per esempio, di Giacomo Scotti, basta dare una scorsa a Wikipedia. Sulla figura e le “gesta” di D’Annunzio continuano vergognose leggende.

Del resto della strumentalizzazione a scopo politico della storia, che ormai da anni ha preso piede in modo sistematico, ne è palese esempio il cosiddetto “giorno del ricordo” relativamente alle Foibe. Basti ricordare a tale riguardo da chi fu sponsorizzata e introdotto ufficialmente il “ricordo”.

Solo la memoria corta degli italiani e l’ipocrisia di buona parte della classe dirigente hanno espulso dalla memoria collettiva una tragedia di tal genere, lasciando alla destra in generale e ai fascisti in particolare di impossessarsi di una questione di forte impatto emotivo per alterare la storia e la memoria e sfruttare la credulità di un’opinione pubblica anestetizzata dalla retorica patriottarda.

La prassi tutta italiana di coprire con l’oblio passaggi storici che avrebbero meritato un forte impegno di autocritica e di verità in questo come in tanti altri casi, si è alleata alla rimozione di memorie scomode e allo loro banalizzazione.

In tal modo si coprono e dimenticano le responsabilità del regime fascista nella snazionalizzazione degli sloveni e dei croati dopo il 1918 e il 1924, i quali vennero a trovarsi entro i confini dello stato italiano. Il regime fascista si mosse nel presupposto che le popolazioni slave rappresentassero, come ebbe a dire Mussolini, una razza inferiore e barbara nei cui confronti fosse possibile e lecito imporre il pugno duro e purificatore dei dominatori.

Si dimentica che nel 1941 l’aggressione dell’Italia alla Jugoslavia e l’annessione violenta della provincia di Lubiana al Regno d’Italia contribuirono in modo decisivo alla dissoluzione dello stato Jugoslavo e alla apertura della fase storica che sfociò nella Jugoslavia di Tito.

Le foibe s’inseriscono in questo contesto e nella spirale di violenze che fecero seguito. Al di fuori di questo quadro non c’è la possibilità di comprendere le ragioni degli orrori dei quali parliamo e dei quali rischiamo di tornare a rimanere vittime.

Porre al centro dell’attenzione pubblica le foibe, serve a taluni solo per sottolineare le offese subite e per perpetuare uno sterile vittimismo, che però non contribuisce a fare i conti mancati con il passato. Oltretutto la questione delle foibe serve a coprire il vuoto di consapevolezza dei veri motivi della sconfitta dell’Italia. È la negazione della verità che mistifica e alimenta l’ipocrisia.

L’enfatizzazione delle foibe ha ritardato la riconciliazione con le vicine popolazioni slave, ha reso più difficile la cicatrizzazione delle ferite della guerra, ha oscurato i drammi veri delle popolazioni costrette a lasciare le loro case e la loro terra, le uniche che abbiano pagato per tutti gli italiani le malefatte di un regime criminale.

Giusto quindi ricordare le vittime innocenti e meno innocenti delle foibe, ma senza dimenticare il complesso di circostanze criminali che stanno a premessa di quei fatti. Invece i fascisti e i loro eredi politici (di fatto trasversali ai partiti) non hanno però alcun interesse a ricordare quali furono le circostanze che hanno innescato quella tragedia. È grave colpa anche di chi, insieme a loro, dimentica e tende a cancellare.

giovedì 11 febbraio 2021

La farsa di Buccari


Erano forsennatamente contrari alla T.A.P., al T.A.V. e a tutto il C.A.Z. d’insieme. In attesa che i postulatori della Grande Svolta precisino che cosa intendono per Transizione ecologica, e soprattutto chi, come e quando realizzarla, volgo l’attenzione a un altro mito, a conferma della tendenza storica di gran parte di questo paese di farsi coglionare, neanche tanto gratuitamente.

La prima volta che ho sentito menzionare la cosiddetta “beffa di Buccari” è stato quando frequentavo le elementari. C’era ancora chi – pensate che anacronismo – si occupava di inculcarci dei rudimenti di storia (e, horribile dictu, di geografia!). Sul momento, istintivamente, ricordo di aver pensato che con quella locuzione ci si riferisse a uno scherzo combinato da tal signor Buccari alle spalle di un ignaro babbeo. Sbagliavo, ma la verità non era lontana dalla mia supposizione.

Veniamo ai fatti consolidati. Nella notte tra il 10 e l’11 febbraio 1918, venne a compimento “una tra le imprese più audaci” della Prima Guerra Mondiale, così come strombazzano le Scritture patrie (motivo per stare all’erta).

L’impresa nautica aveva come obiettivo il naviglio austriaco ancorato nel porto di Bakar (in italiano Buccari), in Croazia, vicino a Rijeka (Fiume). Si trattava di un porto poco difeso e senza la presenza di unità militari nemiche, come aveva rilevato un ricognitore tricolore. Vi erano ancorate alcune vecchie carrette commerciali in disarmo. La scelta del luogo non fu casuale, poiché lo scopo della missione fu fin da principio squisitamente propagandistico.

L’operazione fu condotta da pochi uomini al comando di Costanzo Ciano, detto “ganascia”, padre del futuro “generone”. Parteciparono il Mas 96 (guidato dal capitano di corvetta Luigi Rizzo), il Mas 95 (tenente di vascello Profeta De Santis) e il Mas 94 (sottotenente di vascello Andrea Ferrarini). Con il termine Mas ci si riferisce a un motoscafo armato. A bordo di uno di essi, trovò posto l’ospite, vale a dire Gabriele D’Annunzio, chiamato a celebrare quanto sarebbe avvenuto come una missione militare audace e importante.

Dei sei siluri lanciati dai Mas nessuno esplose, o forse uno, ma senza recar alcun danno alle carrette del mare. Un insuccesso militare totale, date anche le premesse, ma che il D’Annunzio fece passare per una missione pienamente riuscita.

Nella sostanza in che cosa consisté l’impresa? Nel fatto che D’Annunzio gettò in mare tre bottiglie con dentro un biglietto in cui era scritta la seguente scempiaggine:

«In onta alla cautissima Flotta austriaca occupata a covare senza fine dentro i porti sicuri la gloriuzza di Lissa, sono venuti col ferro e col fuoco a scuotere la prudenza nel suo più comodo rifugio i marinai d'Italia, che si ridono d’ogni sorta di reti e di sbarre, pronti sempre a osare l’inosabile.

E un buon compagno, ben noto – il nemico capitale, fra tutti i nemici il nemicissimo, quello di Pola e di Cattaro – è venuto con loro a beffarsi della taglia».

Tutto qui? E vi pare poco un simile sarcasmo lanciato con sprezzo del ridicolo dal “nimicissimo” contro la cautissima flotta austriaca?

Sempre rincorso dai creditori (riparò per anni in Francia) e bisognoso del vile denaro, il “nimicissimo”, onusto di gloria e di medaglie, vendette il racconto dell’eroico lancio di bottiglie al Corriere della Sera, ripreso poi con adeguata enfasi dagli altri giornali; quindi fece stampare “un libriccino” edito dai Fratelli Treves, dal titolo: La Beffa di Buccari.

Per raccattare soldi faceva, a tempo perso, anche il pubblicitario per note marche di mercanzia, per cui coniava nomi e slogan per qualsiasi cosa gli capitasse a tiro. Per ricordare la storica impresa, coniò l’espressione “memento audere semper” (l’acronimo richiama la sigla Mas).

Insomma, D’Annunzio fu uno così, come tanti altri “illustratori” della Patria. Di ieri, di oggi, di sempre. 

Il rosso e il nero


Martedì, un tribunale polacco ha ritenuto la signora Barbara Engelking e Jan Grabowski, professore di storia polacco-canadese all’Università di Ottawa, rinomato storico del periodo dell’occupazione nazista della Polonia, colpevoli di diffamazione e diffusione di “informazioni imprecise”.

Sono stati citati in giudizio da Filomena Leszczynska, nipote di Edward Malinowski, sindaco di una villaggio polacco durante la seconda guerra mondiale, per un passaggio che appare in un loro lavoro, Night Without End. Nel volume, del 2018, è citata una testimonianza che accusa Malinowski di essere stato implicato nelle persecuzione locale di ebrei da parte di soldati tedeschi. A Engelking e Grabowski è stato ordinato di scrivere delle scuse alla nipote per aver diffamato lo zio e “aver fornito informazioni imprecise”.

Il fatto: degli ebrei si rifugiarono in una foresta e, secondo un sopravvissuto citato nel libro, vi furono assassinati dopo che il sindaco di Malinowo aveva rivelato ai nazisti il loro nascondiglio.

Il professor Grabowski ha riconosciuto che lo studio ha commesso un errore fondendo le storie di due ex sindaci di Malinowo che condividevano lo stesso nome, Edward Malinowski. Insomma, il caso è un po diverso e più complicato di come viene generalmente riferito.

L’attuale sindaco di Malinowo, Grzegorz Zaremba, ha dichiarato di aver appreso per la prima volta degli omicidi il mese scorso: “All’improvviso tutti parlavano del nostro piccolo villaggio, ma nessuno sa davvero la verità su quello che è successo qui. Quelli che lo sapevano sono tutti morti”.

In un’intervista del 2020 pubblicada da Krytyka Polityczna, Grabowski, ebbe a dichiarare di provare molto risentimento verso le cosiddette élite democratiche e liberali che, trascurando la storia, hanno consegnato questo importantissimo aspetto della memoria collettiva nelle mani di mitomani e creatori di miti.

La persecuzione contro la popolazione di religione ebraica era guidata e organizzata dai nazisti, ma essi potevano fare affidamento sulla collaborazione delle forze nazionaliste e antisemite locali in tutta l’Europa orientale, specialmente in Polonia, Ucraina e negli Stati baltici. Va detto che un’ampia collaborazione ai persecutori e assassini tedeschi fu data anche in Europa occidentale, specialmente in Francia.

All’inizio e alla metà degli anni 1930, il governo polacco, “ispirato” dalla legislazione antisemita nella Germania nazista, introdusse misure antiebraiche di vasta portata, consentendo alle bande fasciste di terrorizzare gli ebrei nelle strade e nelle università. Durante la guerra, fu il luogo principale di detenzione, schiavizzazione e uccisione degli ebrei europei. I principali Konzentrationslager, compresi Auschwitz, Treblinka, Bełżec e Sobibor, avevano sede in Polonia.

Il Partito Legge e Giustizia, al potere dal 2015, ha cercato di criminalizzare qualsiasi dubbio sull’eroismo dei polacchi durante la guerra e ha finanziato in gruppi di ricerca e progetti museali che presentano la Polonia come la perpetua vittima dell’Europa, del tutto irreprensibile per le vicende connesse al nazismo. Il lavoro di Engelking e Grabowski evidenzia, in particolare, il ruolo svolto dalla polizia polacca (polizia blu).

Delle 27.712 persone classificate come Giuste tra le Nazioni – non ebrei che hanno corso grandi rischi per salvare degli ebrei – più di 7.000 sono polacchi, molti di più che in qualsiasi altro paese. Del resto la Polonia contava la più numerosa popolazione ebraica dEuropa.

L’eroismo polacco, tuttavia, coesisteva con atti di violenza a volte mostruosi. Lo può ricordare un episodio del luglio 1941, quando gli abitanti del villaggio di Jedwabne, a nord-est di Varsavia, rinchiusero più di 300 ebrei, vicini di casa con i quali avevano vissuto pacificamente, in un granaio e appiccarono il fuoco, uccidendoli tutti.