domenica 24 gennaio 2021

L’aspirazione al reddito di cittadinanza al tempo della Bastiglia

 

Parigi alla vigilia della rivoluzione contava circa 700.000 abitanti, moltissimi dei quali vivevano in condizioni di povertà o di estrema miseria. Non solo molti operai erano poveri e sopravvivevano in situazioni di precarietà, ma anche tutto un sottoproletariato di emarginati, indigenti e delinquenti esprimeva una miseria ancora più profonda di quella dei mendicanti e dei vagabondi. Erano spesso dei ragazzi o giovani uomini provenienti soprattutto dalle campagne della regione parigina.

È in questo clima di aspre disuguaglianze, di povertà e di stenti in cui viveva gran parte del popolo minuto, e per contro di lusso sfrenato e scandalosa dissipazione di una classe aristocratica di parassiti, che prende piede la psicosi del complotto: non si arrivava a capire come un paese ritenuto ricco potesse essere oppresso dalle carestie e dalla fame.

A dominare per lungo tempo fu un’ossessione psicologica, un orizzonte mentale collettivo fatto della paura dei pericoli e delle minacce più svariate, ma che in definitiva rifletteva la rivendicazione del diritto alla vita, un’aspirazione verso una sussistenza comunitaria minimale, verso ciò che noi oggi chiamiamo reddito di cittadinanza.

Le centinaia di rivolte che si erano susseguite in tutta la Francia nel secolo, trovavano motivo e giustificazione nel fatto che il governo, con le casse vuote, un debito pubblico enorme e incapace di varare una seria riforma fiscale, non riuscì più a soddisfare le richieste della popolazione in una situazione aggravata dai frequenti accidenti della meteorologia (il 1788 fu disastroso) e dalla speculazione sulle granaglie.

Le rivolte dei secoli XVII e XVIII tendevano alla difesa conservatrice di una collettività tradizionale ostile alla rottura degli equilibri che assicuravano la sopravvivenza dei ceti sociali più fragili contro i progressi del capitalismo (*).

Bisogna tener presente che l’80% dei francesi era costituito da contadini, che per sopravvivere dovevano trovare mezzi diversi dallo sfruttamento delle loro terre, quando ne avevano. Tuttavia alla vigilia della Rivoluzione la lotta contro la feudalità non dominava le coscienze, sia popolari che borghesi. Fu la crisi della primavera del 1789, la fame del presente e la disillusione sul futuro, a porre in primo piano la necessità di tale lotta.

Jacques Solé scrive a tale riguardo: «La crisi di approvvigionamento, che travolse l’Ancien Régime, non segna una rottura rivoluzionaria. Essa fece trionfare, contro i progressi del capitalismo e dello Stato, la risposta spontanea e tradizionale della rivolta popolare, semplicemente associata, questa volta, e per caso, ad una profonda perturbazione politica. La rivoluzione provocata da questa congiunzione accidentale, non poté mai risolvere i problemi economici e sociali che l’avevano in parte causata» (Storia critica della rivoluzione francese, Sansoni, p. 62).

Non vanno altresì trascurate, in tale quadro, le necessità del prorompente capitalismo, come dimostravano da ultimo i disordini scoppiati nell’aprile 1789 nel faubourg Saint- Antoine, quando un direttore di una fabbrica di carta da parati aveva abbassato i salari.

Il 28 aprile 1789, le guardie svizzere ricevono l’ordine di reprimere la rivolta, causando oltre 300 morti.

Nel gennaio 1789, Luigi XVI aveva convocato gli stati generali, lo scopo è quello d’imporre la propria autorità sulla nobiltà del paese che contesta il suo potere. Vuole costringere la nobiltà recalcitrante ad accettare una tassa. Per vincere questo scontro, il re ha bisogno del terzo stato, del quale ha raddoppiato i delegati. Il terzo stato, ossia la borghesia, è la classe che paga il grosso delle imposte. Il proletariato (il quarto stato) non sarà rappresentato, se non con la sua voce trascritta nei cahier de doléances.

A ridosso di questa convocazione, si era fatta strada nella popolazione, oltre alla convinzione che si stava tramando per affamarla, anche quella della manipolazione aristocratica dei futuri stati generali. Una combinazione psicologica esplosiva.

5 maggio 1789, apertura degli stati generali. La strategia del re gli si ritorce contro: per la prima volta i delegati del terzo stato sono in maggioranza e intendono cogliere tale opportunità per imporre le loro richieste. Prima fra queste il rifiuto della regola che stabilisce che i voti devono essere contatti per ordine, ossia uno per la mobilità, uno per il clero e uno per il terzo stato. I rappresentanti della borghesia pretendono la regola di un voto per delegato, in questo modo avrebbero la maggioranza. Finché non otterranno soddisfazione dal re, si rifiuteranno di procedere con i lavori.

Paradossalmente è il clero a ribaltare gli equilibri di potere a Versailles. Dopo alcune settimane di impasse, diversi delegati del clero scelgono di unirsi alla borghesia nella sua rivolta contro il re. Improvvisamente i delegati del terzo stato non sono più soli, cosicché il 17 giugno prendono una decisione senza precedenti: costituirsi in assemblea nazionale in rappresentanza del popolo francese. Quest’atto di forza spinge Luigi XVI a cercare di riprendere il controllo della situazione che gli sta sfuggendo di mano.

Il 20 giugno, il re chiude la sala degli stati generali per impedire che la nuova assemblea si riunisca. I delegati non sapevano cosa fare, finché uno di loro propose di riunirsi nella sala della pallacorda, sempre a Versailles.

Sapevano che stavano vivendo un momento storico. Improvvisamente in quella sala echeggiante si sentì distintamente la voce di un delegato che chiedeva a tutti di fare un giuramento: di non separarsi mai e restare seduti finché la nuova Costituzione del regno non fosse stata stabilita. Questo giuramento, il 20 giugno, nella sala della pallacorda, entra negli annali della storia di Francia.

Luigi XVI si trova ad affrontare una rivolta senza precedenti nella storia della monarchia. Tre giorni dopo, il 23 giugno, decide di agire per fermare la ribellione. Rifiuta di riconoscere l’assemblea nazionale e ordina che i delegati si disperdano; tuttavia quando lascia la sala non accade nulla di quello ha ordinato.

Il maestro delle cerimonie non sapeva cosa dire ed è corso ad avvertire il re della situazione, e subito dopo ha ripetuto l’ordine ai delegati di disperdersi. Mirabeau gli rispose pronunciando le famose parole: dite a chi vi ha mandato che siamo qui per volontà del popolo e che lasceremo questo posto solo se costretti dalle baionette.

Luigi XVI è costretto a riconoscere ufficialmente la nuova assemblea nazionale, per la gioia della popolazione di Parigi, che però all’inizio di luglio si rende conto che il cedimento del re è servito solo per predisporre il suo contrattacco, avendo schierato 20.000 soldati attorno a Parigi, tra cui reggimenti di tedeschi e svizzeri dislocati al Campo di Marte.

L’avvocato Camille Desmoulin svolse un ruolo cruciale in quei frangenti. Il 12 luglio, invitò a prendere le armi e a mettere le coccarde tricolori per farsi riconoscere. Immediatamente nei giardini delle Tuileries e poi a Piazza Luigi XV, una folla si raduna per esprimere la sua rabbia, ma i dimostranti vengono subito attaccati da un reggimento di dragoni tedeschi che caricano con le sciabole. I reggimenti delle guardie francesi decidono di difendere Parigi anziché il loro re. Respingono un primo assalto dei soldati tedeschi. La sera, il barone di Beseneval, comandante militare, ritira tutte le sue truppe nel Campo di Marte.

Quella sera stessa la folla inferocita s’impossessa delle strade della capitale. L’obiettivo dei parigini sono le barriere doganali che circondano la città, servono per imporre una tassa a tutti i beni in transito. Non ci saranno più dazi. Tuttavia i parigini erano angosciati per la loro sorte; erano convinti che le truppe regie e i “briganti” stavano circondando Parigi, e che la città sarebbe stata bombardata da Montmartre e dalla Bastiglia.

Il giorno dopo, il 13 luglio, la rivoluzione popolare assume diversi volti: disordini per la fame sono nel quartiere Saint-Nazaire, dove la plebaglia saccheggia un ricco convento (**); un’insurrezione a Piazza Luigi XV, dove la folla prova ad impossessarsi delle armi in disuso custodite in un magazzino reale; allo stesso tempo all’Hôtel de Ville, il municipio di Parigi, e a Place de Grève, i delegati della borghesia parigina fondano la Comune di Parigi. La Comune recluta subito migliaia di volontari per formare una guardia municipale armata.

Nelle prime ore del 14 luglio 1789, gli abitanti hanno solo un pensiero: armarsi per resistere alle truppe reali. Mentre i sobborghi nella città si organizzano, alcuni volontari della guardia municipale si dirigono verso gli Invalides, dove entrano in possesso di 32.000 fucili e diversi cannoni. Nello stesso momento la popolazione di Saint-Antoine si dirige verso la fortezza della Bastiglia per disarmarla e procurarsi polvere da sparo. La fortezza è il simbolo dell’assolutismo e del potere militare che minaccia Parigi, e deve dunque essere resa inoffensiva.

Gli assalitori tentano di oltrepassare le mura che cingono l’impressionante fortezza. Il governatore della prigione, dopo essersi dimostrato conciliante, perde la testa e ordina di aprire il fuoco sulla folla. Decine di persone rimangono uccise. Quando le Guardie francesi e le Guardie nazionali arrivano in sostegno dei parigini puntando tre cannoni verso il portone della fortezza, i rapporti di forza si rovesciano.

La prigione è presa d’assalto e dopo sanguinosi combattimenti è presa. La folla cattura il governatore che ha sparato sulla gente; portato a Place de Grève è linciato e poi decapitato. La sua testa venne simbolicamente portata su una picca per dimostrare che il popolo di Parigi era padrone della città e che non si sarebbe fatto derubare della neonata rivoluzione.

La presa della Bastiglia, avvenimento in sé di poca importanza, secondo la ricostruzione di George Lefebvre, servì però a infrangere la resistenza della Corte. Il 17 luglio, il re si reca a Parigi e accetta suo malgrado la coccarda tricolore.

I tumulti popolari percorsero tutta la Francia dalla primavera all’inizio dell’estate del 1789. I membri degli stati generali si rendevano conto di questo rischio di anarchia generalizzata e convenivano nella necessità assoluta di ristabilire l’ordine pubblico. Tuttavia la plebe aveva preso il sopravvento e nemmeno l’assemblea nazionale poté nulla. Il bisogno di cambiamento e la carestia avevano svegliato il “mostro”.

*

L’intervento della guardia francese contro i dragoni tedeschi e poi in occasione della presa della Bastiglia, permise a una rivolta cittadina di trasformarsi in una rivoluzione. La stessa cosa non accadde nel 1871, al contrario. In Russia, nel febbraio 1917, senza l’iniziativa del reggimento Volynskijle, e poi dei reggimenti Preobraenskij e Litovskij, altri soldati e civili non avrebbero potuto saccheggiare l’arsenale militare e imporsi con la forza. In estate le truppe fedeli al nuovo governo dapprima fermarono i convogli di Kornilov, poi in autunno furono determinanti per i bolscevichi. In Cina, la costituzione dell’esercito rosso consentì di far fronte dapprima ai giapponesi e poi di vincere contro Chiang Kai-shek. Ciò dimostra che per imprimere una svolta politica e sociale radicale è necessario l’appoggio di una forza armata estesa e organizzata, una direzione politica decisa e, come sempre, di una congiunzione di circostanze favorevoli. Non esistono rivoluzioni “pacifiche”.

(*) Rivolte che proseguirono anche durante la Rivoluzione, così come rilevava Hippolyte Taine: «Reclutati nella classe colta e raffinata, i governanti immettevano nel potere i pregiudizi e le sensibilità del secolo [...]. Non volendo reprimere, si lasciarono opprimere. È così che dal 1° maggio 1789 al 2 giugno 1793 hanno legiferato o amministrato mille sommosse quasi tutte impunite [...], frutto malsano della teoria e della paura, e non hanno fatto che trasformare l’anarchia spontanea in anarchia legale (Le origini della Francia contemporanea. La rivoluzione, Adelphi, II, p. 15).

(**) Secondo Taine, nel convento dei Lazzaristi la plebe distrugge la biblioteca, il gabinetto di fisica, si precipita nelle cantine, sfonda alle botti e si ubriaca. Qui troveranno una trentina di morti o morenti, annegati nel vino, uomini e donne. Vengono portati al mercato 52 carri di granelli e farine (I, p. 75).


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