mercoledì 25 novembre 2020

Così parlò Giovanni Dosi


Se nel 1788, anno della sua morte, avessero chiesto a François-Marie Arouet un vaticinio sul futuro della Francia e dell’Europa, è possibile che si sarebbe spinto fino ad ipotizzare una rivoluzione sociale, ma sarebbe rimasto stupito di fronte ai “dettagli” di un sommovimento epocale quale effettivamente avvenne di lì a pochi anni, vale a dire nel periodo 1789-1815.

Se poi nel 1812, durante una gala in un favoloso palazzo, dove Napoleone fu omaggiato dall’imperatore d’Austria, da uno stuolo di reali e di arciduchi genuflessi, qualcuno avesse messo in giro la burla che quell’uomo tanto potente di lì a tre anni sarebbe caduto prigioniero degli inglesi, relegato in un’isoletta nebbiosa nel mezzo dell’Atlantico, alloggiato in una casupola infestata dai sorci (tanto da trovarne un ragguardevole esemplare annidato dentro il suo celebre cappello), avrebbe riso incredula tutta l’Europa.

Se nel 1910, anno della sua scomparsa, avessero chiesto a Lev Tolstòj di pronosticare il futuro della Russia, pur non nutrendo liriche illusioni sul destino del suo paese, forse non si sarebbe spinto ad immaginare le modalità del sovvertimento che travolse l’impero zarista nel 1917, la reazione appoggiata dalle più grandi potenze che seguì la presa del potere da parte dei bolscevichi, la crudezza dell’epidemia influenzale e di quella tifoide che provocarono milioni di morti.

Se infine il 31 dicembre 2019 ci avessero chiesto un pronostico per l’anno venturo, chi avrebbe immaginato quanto è accaduto quest’anno? Quando il futuro diventa realtà notiamo quanto sia difficile raccapezzarci con il presente nonostante tutte le nostre ponderate previsioni. E dunque a che cosa serve studiare ciò che è avvenuto nel passato? A dare un reddito agli storici di professione e profitti agli editori, a trastullarci con ricostruzioni, congetture e falsificazioni?

Ognuno di noi può rispondere a questa inesausta domanda come preferisce, aspettando impaziente di vedere cosa poi davvero accadrà.

Nietzsche, per esempio, diceva che la vitalità non trae giovamento dalla storia; chi vive, se vuole andare avanti, deve dimenticare il suo passato. Questo, a mio avviso, non può essere valido nemmeno sul piano personale. Senza storia ci sentiremmo come se avessimo l’Alzhaimer.  La storia è parte costitutiva essenziale della nostra identità individuale e collettiva. 

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Mai che il pensiero critico s’arrischi di andare oltre la mera constatazione di un fatto.

Ieri sera, verso le nove, anche per non sentire la solita sciarada di numeri fasulli (quelli reali sono segreti, e ciò la dice lunga sul fatto che al popolo viene negata senza creanza l’effettività del primo articolo della costituzione e quindi rimane anche in questo caso all’oscuro dei maneggi del potere), ascoltavo su Classica HD l’intervista di Piero Maranghi al prof. Giovanni Dosi, il quale ebbe a dire cose di un certo interesse.

Per esempio ha prefigurato due scenari per il futuro: una società dove la tecnologia avrebbe creato un sabba di libertà ove ognuno avrebbe trascorso la maggior parte del suo tempo occupandosi di musica, poesia, bricolage, bunga bunga e altro; oppure, ugualmente e approfondendo il trend esistente, una società ipertecnologica dominata però da “un’élite tecno-feudale” che controlla sia l’appropriazione del reddito che il proletariato, ridotto in condizioni di generale precarietà.

Questo non è il futuro, la seconda ipotesi di Giovanni Dosi è una realtà conclamata.

L’avvento di Internet ha segnato uno spartiacque tra un prima e un dopo, una cesura epocale, come dicono quelli che sanno parlare. Chi gestisce i nostri dati, li registra e storicizza, detiene un potere enorme, non solo economico. I motori di ricerca, tipo Google, catalogano e indicizzano i siti che frequentiamo, la data, l’ora e per quanto tempo; le nostre transazioni: quali libri, film e altra mercanzia acquistiamo; i contenuti di ciò che carichiamo, scriviamo e scambiamo in rete. Il nostro smartphone consente di identificarci nello spazio e nel tempo, con chi entriamo in relazione, ecc.. È sulla base delle nostre domande che viene costruito il nostro profilo personale, azzeccando i nostri gusti e orientamenti, al punto che ha poca importanza l’identità digitale che noi dichiariamo esplicitamente (oltretutto conoscono il nostro IP).

È cambiato il concetto stesso di potere, ora esplicato attraverso macchine collegate in rete tra loro, che si scambiano ed elaborano informazioni di ogni tipo a una velocità straordinaria. Strumenti che a loro volta ci sono utili per il nostro lavoro, gli spostamenti, lo scambio di notizie e documenti, che ci consentono di “esplorare” il mondo della “rete”, che insomma ci rendono la vita più facile e comoda, come ben sappiamo. Macchine che apparentemente non ci chiedono nulla in cambio se non appunto i nostri dati e metadati, anche i più intimi, che possono essere raggruppati per sesso, classi di età, gruppi sociali e aree geografiche, per tipologia politica, eccetera.

L’uso commerciale di questi dati è ovvio, così come quello a scopi politici, ma è possibile anche un “tracciamento” funzionale per molti altri scopi, per esempio di sorveglianza e controllo della vita del singolo individuo e sulla popolazione nel suo insieme, in forme così capillari e totalitarie come mai era stato possibile realizzare in precedenza. Blade Runner, citato dal prof. Dosi, è già qui. 

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I consigli dei ministri, il comitato per la sicurezza dei cazzi loro, tutte le decisioni vengono prese in piena notte. Come in ogni situazione malavitosa che si rispetti.

Gentile pacco escrementizio, risponda a questa domanda: quando è iniziata la crescita esponenziale della curva? 7-8 settimane or sono, non 20, non cinque mesi fa, non a giugno. Dunque?

3 commenti:

  1. “Un’élite tecno-feudale” mi sembra una buona definizione. La servitù della gleba è sui generis, in quanto l'accezione geografica di "gleba" va sostituita con qualcosa di virtuale, tipo "il vasto web", o sue partizioni. In effetti, pur essendo io uno dei servi, sono alieno da luoghi come Instagram o qualunque feudo dove regnino le Ferragni.
    Riguardo al futuro, feudale o no, rimane senza risposta la domanda fondamentale: una volta drenato tutto il reddito a favore delle élites, chi comprerà, e con quali soldi, i beni e servizi messi sul mercato dalle élites e propagandati dalle Ferragni?

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