venerdì 7 agosto 2020

Vieni, che ti spiego l'arida realtà



«Di dove vengono le illusioni del sistema monetario? Questo sistema non ha visto nell’oro e nell’argento che, come denaro, essi rappresentano un rapporto sociale di produzione, ma li ha considerati nella forma di cose naturali con strane qualità sociali» (K.Marx, Il Capitale, I, I sez., cap. I).

L’oro, nella cui forma naturale s’è venuta identificando man mano socialmente la forma di equivalente, diventa merce denaro, ossia funziona come moneta. La sua funzione specificamente sociale, e quindi il suo monopolio sociale, diventa quella di rappresentare la parte dell’equivalente generale entro il mondo delle merci. Di questo fatto, specie nell’epoca del dollaro come moneta internazionale di riferimento, dell’estrema e parossistica finanziarizzazione dell’economia, delle transazioni elettroniche e dei bitcoin, non si fa più caso. Tuttavia la realtà ha notoriamente la testa dura.

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La “stampa” di centinaia di miliardi di euro e di trilioni di dollari e altre valute da parte dei governi e delle banche centrali di tutto il mondo ha portato il prezzo dell’oro a un livello record di oltre 2.000 dollari l’oncia (*).

La frenesia dell’acquisto di oro ha due forze trainanti: la speculazione, ritenendo che il prezzo aumenterà ancora, e le preoccupazioni a lungo termine che l’inondazione dei mercati finanziari con enormi quantità di denaro generato elettronicamente possa portare a una crisi di fiducia nel dollaro USA, estendendosi a tutto il sistema finanziario.

Può sembrare un paradosso, ma il dollaro USA sta diventato una delle valute più deboli del pianeta. Il che può far gioco al commercio statunitense e provocare versamenti di bile qui in Europa e altrove, ma la svalutazione del biglietto verde è un’arma a doppio taglio anche per gli USA.

Nei cosiddetti “tempi normali” – che stanno diventando sempre più un lontano ricordo – l’oro era in svantaggio rispetto agli investimenti in titoli di Stato o in azioni perché non restituisce interessi e plusvalenze. Ma i massicci programmi di acquisto di obbligazioni della Fed e delle altre principali banche centrali hanno aumentato il prezzo delle obbligazioni e spinto i tassi d’interesse a registrare i minimi (i due indici hanno una relazione inversa).

Questa settimana il tasso d’interesse sui buoni del Tesoro USA a 10 anni, una delle basi del sistema finanziario globale, è stato intorno allo 0,5 per cento, vicino al suo minimo storico, e potrebbe diminuire ulteriormente. Ciò significa che quando si tiene conto dell’inflazione, queste obbligazioni, considerate un rifugio sicuro, stanno portando rendimenti negativi, spingendo risparmiatori e speculatori per l’appunto verso l’oro.

Pertanto, riprendendo la citazione di Marx posta in esergo, le persone che guardano all’oro tendono a considerarlo nella forma di una cosa naturale con strane qualità sociali, ma ciò che attira gli investitori verso l’oro non è la fede nell’oro stesso, ma la mancanza di fiducia in altre cose: banche centrali, governi e, in particolare, una mancanza di rendimenti reali in altre forme d’investimento.

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I bruschi colpi di scena nei mercati finanziari sono guidati dal massiccio afflusso di denaro creato dai governi e dalle banche centrali premendo un pulsante del computer per cercare di salvare le società e sostenere i mercati azionari. Ovvio che in questa crisi di sfiducia e di corsa ai rendimenti il prezzo dell’oro aumenti e possa raggiungere quotazioni ancor più elevate.

Ciò ha portato alla creazione di quella che potrebbe essere descritta come una sindrome della doppia personalità in mercati finanziari sempre più folli.

Da un lato, gli speculatori del mercato azionario ritengono che l’intervento della Fed statunitense a metà marzo, quando divenne il sostegno per tutte le aree del sistema finanziario statunitense, dal mercato dei titoli del Tesoro USA alle obbligazioni societarie e fino ai titoli spazzatura, significa che, qualunque siano gli sviluppi nell’economia reale, la Fed sarà a disposizione per sostenere Wall Street.

Questa non aleatoria convinzione è stata alla base dell’ascesa dei mercati azionari dal crollo di metà marzo e ha aggiunto centinaia di miliardi di dollari alle fortune finanziarie di chi già non ne aveva bisogno, mentre i comuni mortali affrontano le peggiori condizioni economiche dalla Grande Depressione degli anni 1930.

Dall’altro, vi è una crescente paura, riflessa per l’appunto nell’aumento del prezzo dell’oro, che la continua creazione di trilioni di dollari stia minando l’intero sistema finanziario.

Dall’agosto 1971, quando il presidente degli Stati Uniti Nixon ritirò il sostegno in oro dal dollaro USA, ogni valuta del mondo, con riferimento al dollaro USA come moneta internazionale, è diventata una valuta fiat, cioè priva di alcun valore in un bene fisico (specificatamente nell’oro, come equivalente universale).

La fiducia nel sistema monetario nell’ultimo mezzo secolo si è retta nella convinzione che il potere della superpotenza americana, nonché quello dei governi e delle banche centrali delle maggiori potenze economiche, fosse in grado di mantenere la stabilità del sistema. Questa fiducia viene ora rapidamente erosa dall’espansione senza precedenti dell’offerta di moneta.

Ciò si esprime nella paura che, se continua questo trend, ad un certo punto l’inflazione – un’inflazione causata non dall’aumento dei prezzi nell’economia reale ma dal crollo del valore delle valute fiat, a partire dal dollaro USA, cominci a galoppare. A dire il vero questo timore, peraltro fondato, deve tener conto di un’altra tendenza, quella dell’economia reale in forte recessione (ma non è questo il tema del post).

Per complicare il quadro, si aggiungono le preoccupazioni per il crescente caos politico negli Stati Uniti, quindi le elezioni presidenziali di novembre, le crescenti tensioni geopolitiche, soprattutto il conflitto con la Cina (ma anche i difficili rapporti con l’Europa), e non ultimo la situazione economica e le tensioni sociali prodotte da ultimo e in modo devastante dall’epidemia virale.

Ad ogni modo, anche sotto il profilo dell’analisi, è la vecchia “economia politica”, ovvero la critica marxiana di essa, che si sta prendendo una rivincita.  

(*) L’entità dell’acquisto di oro è stata rivelata dal Financial Times: l’exchange traded fund (ETF) SPDR Gold Shares, che possiede azioni di oro fisico piuttosto che derivati ​​finanziari basati sul metallo, acquista tonnellate di oro ogni giorno.

L’oro in suo possesso, conservato nei caveau londinesi della banca HSBC, ammonta ora a 1258 tonnellate dopo averne acquistate 15 tonnellate lunedì e martedì di questa settimana.

Costituendo una partnership tra la banca di Boston, State Street e il World Gold Council, un ente commerciale, le azioni auree di SPDR sono ora pari a un quarto dell’oro detenuto a Fort Knox e sono più delle riserve auree della Banca del Giappone, la Bank of England e la Reserve Bank of India.

Chiaro che l’obiettivo immediato di SPDR è quello di un ritorno ottenuto dall’acquisto di oro, ed infatti poiché il prezzo dell’oro è aumentato vertiginosamente l’ETF ha registrato quest’anno un rendimento del 33%.

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